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Quel che resta del giorno di James Ivory

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Academic year: 2022

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Testo completo

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Oratorio - Centro Giovanile - Don Bosco

via B. M. Dal Monte, 12 40139 BOLOGNA

Comune di Bologna

Quartiere Savena

C.G.S. “Vincenzo Cimatti”

Progetto CINEMAINSIEME

in collaborazione col circolo ARCI Benassi

“Tre libri… tre film”

Letteratura anglosassone nel cinema

Un ciclo di tre storie che traggono spunto da capolavori letterari:

1. martedì 11 gennaio 2011 “Orgoglio e pregiudizio” di Joe Wright 2. martedì 18 gennaio 2011 “The Dead – Gente di Dublino” di John Huston 3. martedì 25 gennaio 2011 “Quel che resta del giorno” di James Ivory

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martedì 25 gennaio 2011 ore 20:30

verrà proiettato, in sala audiovisivi dell’oratorio, il film

“Quel che resta del giorno”

di James Ivory

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SCHEDA titolo Quel che resta del giorno (tit. orig.: The

Remains of the Day) distribuito da Columbia

interpreti

Anthony Hopkins (James Stevens) [dopp.

da Dario Penne], Emma Thompson (Mary Kenton) [dopp. da Emanuela Rossi],

Caroline Hunt (possidente), James Fox (Lord Darlington) [dopp. da Cesare Barbetti], Peter Vaughan (William Stevens) [dopp. da Renato Mori],

Christopher Reeve (Jack Lewis) [dopp. da Sergio Di Stefano], Hugh Grant (Reginald Cardinal) [dopp. da Sandro Acerbo], Michael Lonsdale (Dupont D'Ivry) [dopp.

da Paolo Lombardi], Paula Jacobs (sig.ra Mortimer, la cuoca), Ben Chaplin (Charlie) [dopp. da Massimo De Ambrosis], Steve Dibben (George), Tim Pigott-Smith (Thomas Benn) [dopp. da Antonio Sanna], Lena Headey (Lizzie) [dopp. da Cristina Boraschi], Patrick Godfrey (Spencer), Peter Cellier (Sir Leonard Bax), Terence Bayler (Trimmer), Jeffrey Wickham (il visconte Bigge), John Savident (dott.

Meredith), Paul Copley (Harry Smith), Ian Redford (locandiere), Steven Beard (Andrews), Pip Torrens (dott. Richard Carlisle), Wolf Kahler (ambasciatore tedesco).

fotografia Tony Pierce-Roberts musiche Richard Robbins

sceneggiatura Kazuo Ishiguro; Ruth Prawer Jhabvala regia James Ivory

produzione GB/USA,

1993 genere drammatico/

sentimentale durata 2h 14'

trama

E' il 1958; Stevens sta viaggiando attraverso l'Inghilterra. Esemplare

perfetto di maggiordomo inglese, Stevens è attualmente alle dipendenze di Mister Lewis. Durante il viaggio, Stevens ricorda gli anni passati al servizio di Lord Darlington. All'epoca, Stevens era orgoglioso di servire la causa del suo padrone e solamente nel 1939, si è compreso quale fosse in realtà: un patto con i nazisti. Ora, Stevens capisce che la sua fede in Lord Darlington gli è costata parecchio anche dal punto di vista personale ...

Concorsi e premi

Questo film ha partecipato a:

• 66 edizione Academy of Motion Picture Arts and Sciences Awards (premio Oscar) (1994) concorrendo nell* categori* migliore attore protagonista (a Anthony Hopkins), migliore attrice protagonista (a Emma Thompson), migliore scenografia (a Luciana Arrighi, Ian Whittaker), migliori costumi (a Jenny Beavan, John Bright), miglior regia (a James Ivory), migliore colonna sonora (a Richard Robbins), migliore sceneggiatura non originale (a Ruth Prawer Jhabvala), miglior film dell'anno;

• 47 edizione British Academy of Film and Television Arts (1994) concorrendo nell*

categori* miglior film, migliore attore protagonista (a Anthony Hopkins), migliore attrice

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protagonista (a Emma Thompson), per la fotografia (a Tony Pierce-Roberts), sceneggiatura non originale (a Ruth Prawer Jhabvala), premio David Lean per la regia (a James Ivory);

• 38 edizione David di Donatello (1994) vincendo nell* categori* migliore attore straniero (a Anthony Hopkins), migliore attrice straniera (a Emma Thompson);

• 52 edizione Directors Guild of America (1994) concorrendo nell* categori* eccellenza nella regia (a James Ivory);

• 51 edizione Golden Globe Awards (1994) concorrendo nell* categori* miglior regia (a James Ivory), migliore attore protagonista in un film drammatico (a Anthony Hopkins), migliore attrice protagonista in un film drammatico (a Emma Thompson), migliore sceneggiatura (a Ruth Prawer Jhabvala), miglior film drammatico;

• 50 edizione Nastro d'Argento (1995) vincendo nell* categori* regista del migliore film straniero (a James Ivory);

• 62 edizione National Board of Review (1993) vincendo nell* categori* migliore attore protagonista (a Anthony Hopkins);

• 46 edizione Writers Guild of America (1994) concorrendo nell* categori* miglior sceneggiatura non originale (a Ruth Prawer Jhabvala).

Recensioni.

ACEC.

Soggetto: alla guida di una delle automobili di casa Darlington, il compassato Stevens rievoca, attraversando l’Inghilterra, gli anni del suo servizio in qualità di maggiordomo in casa del Lord. Là il nobiluomo intratteneva i suoi amici migliori e là, dal 1930 in poi, Stevens fu sempre perfetto, devoto e discreto. Ora che il Lord è morto e che la villa con il magnifico parco è stata acquistata da Mister Lewis (un americano che già conosceva Stevens e lo ha confermato al proprio servizio) il maggiordomo si reca dopo tanto tempo ad un incontro con la ex- governante Miss Kenton (in atto moglie di Benn, madre e prossima nonna). Miss Kenton lui l’aveva assunta per le ottime referenze. I rapporti tra loro erano stati sempre difficili, anche se i compiti differivano: Stevens come vero “genius loci”, lei puntigliosa e indipendente, pur nel reciproco rispetto ed in mezzo ad una dozzina di camerieri e garzoni. In realtà, senza dirlo e senza allusioni, i due si erano malgrado tutto amati, fino a che lei si era licenziata per sposare Benn (un matrimonio risultato non felice). Stevens, che aveva ai suoi ordini come vice l’anziano e malandato padre (morto una sera per un ictus, proprio mentre il figlio si occupava di un importante ricevimento), dovette aggiungere al suo dolore anche una delusione: si era reso conto che Lord Darlington ospitava spesso uomini politici di diverse nazioni convinto che l’amicizia con il Fuhrer della nuova Germania era da ricercare sotto ogni aspetto. Ma, anche in questo caso, Stevens era riuscito a controllare ogni eventuale reazione emotiva: la fedeltà al Lord ed il ruolo affidatogli come responsabile del servizio per il prestigio della casa dovevano restare indiscutibili. Solo molto tardi e dopo tanta dedizione, Stevens ormai invecchiato comprende, nel suo fugace incontro con la ex governante, di aver sprecato la propria esistenza, rinunciando a gioie e sentimenti vitali, per un “ordine” esteriore impeccabile, sempre da lui voluto ed assicurato, che le delusi oni hanno amaramente rivelato inutile.

Valutazione pastorale: splendido questo film di James Ivory (di produzione statunitense e tratto da un romanzo del giapponese Kazhuo Ishiguro): profondo, raffinato ed ultrabritannico nella sostanza ed in ogni suo risvolto, accuratissimo nella fattura. C’è tutto, il suo stile, l’exploit dei dettagli calligrafici, l’ossessiva manìa della forma (argenteria sempre in ordine, le tovaglie immacolate, l’eleganza di fastosi ambienti ed arredi), la scelta delle luci adatte, la nettezza delle immagini. Il cast è assai valido: una Miss Kenton (Emma Thompson) calibrata, frustrata da puntigli ed illusioni ed uno Stevens (Anthony Hopkins) qui al meglio delle sue capacità espressive (un maggiordomo impeccabile, che ha il culto del servizio e della fedeltà, ma nella piena dignità propria, in realtà un uomo timido, controllore di ogni pur minimo anelito affettivo, in fondo prigioniero delle sue stesse sofferenze).

Indovinatissimo il titolo originario del film che anche nella traduzione italiana ben esprime la morale di una storia, la quale, paradossalmente e malgrado la rilevanza (e novità) dei riferimenti politici, si offre anche come una malinconica storia d’amore. Come a dire che, in ciò che resta del giorno, non vi è più spazio per emozioni e sentimenti, ma solo si addicono i rimpianti e la tristezza di un tramonto. Eccellente il dialogo.

Morandini 2010.

Nel 1958, dopo che la tenuta di Darlington Hall, dove ha servito per trent'anni e più, è stata acquistata da un ricco americano (Reeve), un maggiordomo (Hopkins) si rende conto che la sua ammirata fedeltà per il padrone era mal riposta e che nella totale identificazione nel proprio ruolo ha fallito la sua vita. Tratto dal romanzo (1990) di Kazuo Ishiguro, giapponese cresciuto in Inghilterra, e adattato da Ruth Prawer Jabhala che per 30 anni gli ha scritto 2 film su 3, è il più malinconico e amaro dei film di J. Ivory. E il più politico. Ha la struttura di una cipolla, strati da levare, gustandoli, a uno a uno fino a scoprire il cuore che qui è un nocciolo duro: una lucida requisitoria verso una classe, un mondo, un modo di vivere. In letteratura come al cinema c'è differenza tra formalismo e scrivere bene. Ivory scrive bene. E non esiste un modo di scrivere “troppo bene”. Ebbe 8 candidature ai premi Oscar tra cui quelle per A. Hopkins, E. Thompson e i costumi di Luciana Arrighi. Non ne vinse uno.

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Pag. 4 di 6 Farinotti 2010.

Stevens (Hopkins) è stato per trent'anni il maggiordomo di Lord Darlington (Fox), gentiluomo formale e ingenuo e molto influente, che prima della guerra stava dalla parte dei nazisti. Quando Darlington muore la tenuta viene acquistata da certo Lewis (Reeve), americano pragmatico, ma con un suo stile. Stevens si mette così in viaggio per riassumere l'antica governante Sara Kenton (Thompson), che se n'era andata vent'anni prima, per (infelicemente) sposarsi. La ritrova, ma le cose rimangono come sono. Nel frattempo Stevens è stato maggiordomo impeccabile, mancando persino di assistere il

padre morente per non compromettere il perfetto servizio di una cena, e ignorando tutto il resto della vita, sentimenti compresi, incapace di giudicare gli errori enormi del suo padrone che, come tale, era sempre dalla parte del giusto. Il maggiordomo sembra vacillare solo quando la governante gli dichiara il suo amore, anche se subito torna formale e non riesce a liberarsi dei lacci. Tratto dal romanzo di Kazuo Ishiguro, il film è indubbiamente seducente. Ambiente, interpretazione, storia, dialogo, tutto perfetto. Del resto il nostro tempo sembra fatto apposta per farsi incantare dall'eleganza, dall'onore, dal senso del dovere, dalla

limpidezza dei sentimenti, dalla forma quando aderisce alla sostanza. Efficaci anche le istantanee storiche che mostrano una società inglese snob, distaccata e ingenua e "politicamente dilettante", capace di credere a un ministro tedesco che definisce Hitler un "uomo di pace".

Luigi Paini (“Il Sole 24 Ore”).

Mister Stevens (Anthony Hopkins) è stato per tutta la vita il "gentiluomo di un gentiluomo", ha cioè svolto la funzione di primo servitore in una nobile casa britannica. Quel che resta del giorno, di James Ivory, racconta la sua costante presenza al fianco di Lord Darlington (James Fox), dagli anni Trenta fino alla metà degli anni Cinquanta. Il film è un lungo flashback: Stevens sta viaggiando sulla lussuosa auto del suo ex padrone, che il nuovo proprietario americano gli ha permesso per una volta di usare. Vuole raggiungere Miss Kenton (Emma Thompson), la governante di un tempo, per convincerla a ritornare nella bellissima dimora aristocratica, ora pronta a riprendere la grande vita. Intanto il passato riaffiora. Lord Darlington, che non aveva mai nascosto le sua simpatie per la Germania, soleva organizzare incontri e conferenze nella sua casa, prima per favorire la causa tedesca, poi per cercare di evitare la guerra. Avvenimenti di notevole importanza, dunque, rivisti con gli occhi della memoria di chi, con la sua paziente, maniacale opera quotidiana aveva permesso che ogni particolare fosse sempre disposto nell'ordine più assoluto. Ma la dedizione di Stevens, il suo impareggiabile mestiere hanno avuto un prezzo. Non si è accorto che la vita gli è passata accanto, non ha voluto - o saputo - dire sì al suo cuore, che lo spingeva, ricambiato, verso la dolce Miss Kenton. Un libro di un autore giapponese, Kazuo Ishiguro, un regista americano, una sceneggiatrice ebrea-polacca vissuta in India, Ruth Prawer-Jhabvala, per una storia tutta inglese. Ivory fa ancora una volta il miracolo: Quel che resta del giorno è, semplicemente, un film perfetto.

Roberto Escobar (“Il Sole 24 Ore”).

Il gentleman del gentleman: così il Mister Stevens di Quel che resta del giorno vede il proprio ruolo a Darlington Hall, e dunque nella vita. Questa convinzione gli viene dal padre, orgoglioso d'essere invecchiato servendo. Per contrasto, la situazione potrebbe ricordare quella raccontata nel 1963 da Joseph Losey ( Il servo). Ora, tuttavia, non c'è traccia della dialettica servo-padrone che pervadeva quel film. Nell'opera di Losey, il servo Hugo Barrett (Dirk Bogarde) si opponeva subdolamente al padrone Tony Mountset (James Fox): si insinuava nella sua decadenza e finiva per sostituirsi a lui. Ma il risultato non era una nuova libertà, una nuova "signoria" sul mondo, secondo l'immagine classica e ottimistica (hegeliana) della dialettica servo-padrone. Semplicemente, Barrett prendeva il posto di Mountset, imprigionandosi da se stesso in quel suo nulla senza futuro. Trentuno anni più tardi, niente resta di quella visione del mondo, neppure ribaltata. Non ci sono ottimismo né pessimismo storico in Quel che resta del giorno. C'è semmai rimpianto per gli anni perduti, gli amori sprecati. La decadenza raccontata da Ivory non è una metafora sociale. Volendo usare parole perdute nella nostra memoria, nel suo film non ci sono tesi e non ci sono antitesi. A maggior ragione non ci sono sintesi, né positive né negative. Ed è per questo che c'è, invece, commozione. Quel che resta del giorno è attento ai singoli: agli uomini e alle donne che vivono nelle cucine di Darlington Hall come a quelli che, nei suoi salotti, decidono del destino d'Europa e del mondo. La guerra che è alle porte è davvero legata al mal di piedi di un diplomatico francese? Il nazismo minaccia l'Inghilterra proprio a causa dell'onesta stupidaggine di un Lord? Probabilmente no, e tuttavia è questa la prospettiva scelta da Ivory e dalla sua sceneggiatrice di sempre, Ruth Prawer-Jhabvala, per raccontare il rapporto "senza conflitto" - e dunque sterile - tra Mister Stevens (un grande Anthony Hopkins) e Lord Darlington (James Fox, proprio come nel film di Losey).

Questo racconto certo si intreccia con la Storia. Addirittura ne illumina indirettamente la tragedia. Tuttavia, quel che in esso resta sempre in primo piano sono le storie individuali, le occasioni mancate dai singoli, le piccole cose che sarebbero potute essere e non sono state. Il servo e il padrone vivono vite parallele, specchiandosi l'uno nell'altro: entrambi nell'illusione patetica d'essere al centro del mondo («Era il mondo che veniva a

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Darlington Hall», dice con orgoglio e nostalgia Mister Stevens a Mister Lewis, il nuovo padrone americano). Lord Darlington scorge il vuoto orrido che sta dentro il suo senso cieco e anacronistico dell'onore, ma solo quando ormai più nulla può essere rimediato. Per Stevens, invece, il "giorno" potrebbe non essere ancora finito... Il gentleman del gentleman per decenni ha visto la propria immagine riflessa in quella del padrone, e in essa dunque l'ha vista andare in frantumi. Quando poi fallisce il tentativo di riconquistare la vita, di ritrovare un amore mai nato, Darlington Hall diventa quel che è sempre stato: la prigione da cui non c'è via d'uscita. Come per India Bridge - che, in Mr. e Mrs. Bridge (1990), restava intrappolata nella sua auto, serrata nella solitudine e nel freddo - anche per lui il tempo della vita sembra concluso. La questione sarà anche sociale, anche economica, anche storica. Tuttavia nel film, è personale, relativa alla concretezza di un uomo. È la sua esistenza che è stata negata, non quella di una categoria o di una classe. Il merito di Ivory è proprio questo: non aver raccontato il fallimento di un uomo per illuminare il fallimento di un'epoca, ma semmai aver fatto il contrario. Aiutato da interpreti straordinari - Emma Thompson gareggia in bravura con Hopkins -, Ivory affida il senso di Quel che resta del giorno a cenni fuggevoli dei volti, a silenzi eloquenti. Nel film ci sono anche echi espliciti dei grandi fatti che stanno precipitando il mondo nel disastro, ma essi valgono soprattutto come sfondo per il vero dramma. Che è poi lo stesso che si nasconde nella quasi epopea di Passaggio in India (1983), nella commedia di Camera con vista (1986), nella tragedia borghese di Mr. e Mrs. Bridge: il prevalere mortale della freddezza rispettabile sul calore dei sentimenti, della forma sulla carne. C'è chi si lascia trarre in inganno da Ivory, chi rimprovera al suo cinema il gelo e il formalismo che sono invece l'oggetto critico della sua poetica. Con Quel che resta del giorno l'equivoco dovrebbe essere dissipato. In nessun altro suo film è stato tanto evidente che la perfezione espressiva non muore in se stessa, ma piuttosto esalta per opposizione l'assenza di umanità dei personaggi. O meglio:

esalta per opposizione la loro incapacità di volere quello che, nel profondo, desiderano.

Stefano Lo Verme (4 maggio 2007).

Inghilterra, Anni ’30. Mr. Stevens è un impeccabile maggiordomo che lavora al servizio di Lord Darlington, un influente aristocratico simpatizzante della Germania nazista, nella cui residenza si svolgono incontri diplomatici decisivi per il destino dell’Europa. Legato al suo padrone da una cieca devozione, Stevens sceglierà di non vedere quello che accade davanti ai suoi occhi e di reprimere i propri sentimenti per Miss Kenton, la governante di Darlington Hall.Dopo aver riscosso un grande successo con una serie di adattamenti cinematografici di classici della letteratura inglese e americana, il regista James Ivory, ancora una volta in collaborazione con il produttore Ismail Merchant, porta sullo schermo l'opera di un autore contemporaneo, il bellissimo romanzo “Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro, riunendo la coppia già protagonista del precedente “Casa Howard”, Anthony Hopkins ed Emma Thompson, entrambi candidati all'Oscar. Grazie alla magnifica sceneggiatura della sua collaboratrice Ruth Prawer Jhabvala (ma la versione originale era firmata da Harold Pinter), ad un cast di attori straordinari e al fondamentale apporto delle scenografie di Luciana Arrighi, dei costumi di Jenny Beavan e delle musiche di Richard Robbins, Ivory ci regala uno dei suoi film più intensi e toccanti, un autentico capolavoro all’interno della produzione del regista americano.La complessa struttura narrativa è suddivisa in due linee cronologiche parallele: il presente, ambientato nel 1958, e il passato (l’Inghilterra degli Anni ’30, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale), rivissuto in un lungo flashback dal maggiordomo Stevens (Anthony Hopkins, in una delle migliori interpretazioni della sua carriera) attraverso le immagini rievocate dai deserti corridoi di Darlington Hall. Come sempre nelle pellicole di Ivory, anche in questo caso abbiamo un’approfondita analisi delle classi sociali inglesi e della distanza (anche sul piano umano) tra i membri delle diverse gerarchie. In particolare, il film si sofferma sul rapporto tra servo e padrone e su quell’inviolabile senso del dovere e della tradizione che caratterizza sia il maggiordomo, sia la figura di suo padre, e che arriverà a condizionare in maniera ineluttabile l’intera vita di Stevens. Nel personaggio dell’ambiguo Lord Darlington (James Fox), invece, troviamo l’incarnazione di un sistema di valori e di una concezione arcaica della società inesorabilmente destinati al fallimento (le amicizie di Lord Darlington con i nazisti porteranno l’Inghilterra sull’orlo del disastro), e che saranno spazzati via con l’avvento della guerra. E difatti non a caso alla morte del suo proprietario, caduto in disgrazia, la tenuta sarà acquisita da un “uomo nuovo” della politica, il progressista Mr. Lewis (Christopher Reeve).Ma accanto al discorso storico-politico, imperniato sugli errori della classe dirigente inglese alle prese con la Germania di Hitler, emerge un altro tema centrale della pellicola: la riflessione di Stevens sul proprio fallimento individuale, la sua tardiva presa di coscienza (emblematico in questo senso il rinnegamento del padrone che aveva servito fedelmente per tanti anni) ed il rimpianto per aver soffocato così a lungo l’amore per la brillante Miss Kenton (una splendida Emma Thompson). Il carattere malinconico del personaggio di Stevens viene reso perfettamente attraverso il tono intimista e l’atmosfera crepuscolare del film,

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C.G.S. “Vincenzo Cimatti” – presso Oratorio San Giovanni Bosco via Bartolomeo M. dal Monte 14, 40139 Bologna tel.051467939

sito web: http://www.donbosco-bo.it e-mail: cinemainsieme@donbosco-bo.it

insieme con un’eccellente regia e un gusto per la narrazione che sono diventati ormai un marchio di fabbrica del cinema di James Ivory.

Romina (“Oltre il cancello”).

Quel che resta del giorno (1993) è un film diretto da James Ivory e tratto da un romanzo di Kazuo Ishiguro, scrittore di origine giapponese ma naturalizzato inglese. Mr. Stevens è un maggiordomo ligio al dovere, elegante, raffinatissimo e invariabilmente sottomesso; il suo unico scopo esistenziale consiste nel compiacere Lord Darlington. Ciò lo induce a comportarsi come un automa che rifiuta di ascoltare le proprie intime emozioni e di giudicare il proprio padrone quando commette, in buona fede, l’errore di simpatizzare con i nazisti e di organizzare riunioni di carattere politico a Darlington Hall. Nulla deve turbare il suo animo, nulla deve distorglielo dal compimento del suo lavoro. Si potrebbe quasi affermare che Mr. Stevens sia, su un altro piano di lettura e in senso lato, l’emblema del più rigido conservatorismo, tipico di chi non riesce a concepire alcun tipo di mutamento in sé e fuori di sé, di chi accetta la propria condizione passivamente tollerando soprusi e umiliazioni, in un acritico e patetico ossequio allo status quo. Da un certo punto di vista, Mr. Stevens è dunque il paradigma dell’immobilità sociale, culturale ed emotiva. La feroce opera di auto-repressione alla quale si è immolato lo induce poi a sacrificare il sentimento più umano e naturale di tutti, l’amore, in quanto fonte d’incertezza, d’instabilità, di mutamento. Mr. Stevens rifiuta di ammettere a se stesso i sentimenti che nutre verso Miss Kenton, la fa soffrire e la perde. Amaro e malinconico, il film si distingue per la fredda, accurata e impietosa disamina di una realtà fortemente classista, che condanna le persone al loro stato sociale senza lasciare alcuna via di fuga; nello stesso tempo, attraverso l’emblematica figura di Mr. Stevens, mette in luce i disastrosi effetti pratici causati dall’incapacità di esprimere le proprie emozioni, dall’acritica sottomissione al Dovere, dalla rinuncia ad affermare le proprie idee e dal feroce conformismo. La perfetta ed elegantissima ricostruzione ambientale, l’ottima recitazione degli attori e la pluralità di significati che lo caratterizzano rendono questo film, da taluni ingiustamente sottovalutato, un’opera imperdibile per gli amanti del buon cinema.

James Ivory (Berkeley, 7 giugno 1928 – ) regista statunitense. Tra le sue numerose opere ricordiamo “Calore e polvere”, “Camera con vista”, “Mr. & Mrs.

Bridge”, “Casa Howard”. Ha vinto numerosissimi premi ed ha ricevuto tre nomination all’Oscar.

Kazuo Ishiguro (Nagasaki, 8 novembre 1954 – ) scrittore giapponese naturalizzato inglese. Tra le sue opere ricordiamo “Un pallido orizzonte di colline”,

“Un artista del mondo effimero” e “Non lasciarmi”.

In Italia, la prima edizione del romanzo è stata pubblicata nel 1990 da Einaudi, nella collana “Supercoralli”. Tradotto da

Maria Antonietta Saracino.

Arrivederci a martedì 8 febbraio 2011, per vedere, al circolo ARCI “Benassi”,

“Una storia vera” di David Lynch

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