• Non ci sono risultati.

Carta delle Autonomie: per un percorso condiviso

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Carta delle Autonomie: per un percorso condiviso"

Copied!
88
0
0

Testo completo

(1)

Roma, palazzo Giustiniani 14 giugno 2011

Anci e Associazione Parlamentari Amici dei Comuni

Carta

delle Autonomie:

per un percorso

condiviso

(2)

Collana Eventi

a cura della Direzione editoriale

di ComuniCare – Ufficio prodotti e servizi

ComuniCare

Anci Comunicazione ed Eventi srl Via dei Prefetti, 46 – 00186 Roma Tel. 06 680091 – fax 06 81108792 infocomunicare@anci.it

www.ancicomunicare.it

Amministratore unico Giuseppe Rinaldi Direttore editoriale Danilo Moriero

Direttore marketing e relazioni esterne Patrizia Minnelli

I testi del volume sono stati redatti sulla base della trascrizione e della revisione effettuate dai resocontisti parlamentari di

Impaginazione Sergio Carravetta

ISBN 978-88-96280-29-4

(3)

INDICE

INTRODUZIONE 5

Osvaldo Napoli, presidente f.f. dell’Anci

e vicepresidente dell’Associazione parlamentari amici dei comuni

SALUTO 9

Renato Schifani, presidente del Senato della Repubblica

INTERVENTO DI APERTURA 14

Enzo Bianco, presidente dell’Associazione parlamentari amici dei comuni e relatore ddl “Carta delle Autonomie”

INTERVENTI 20

Carlo Vizzini, presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Angelo Rughetti, segretario generale dell’Anci

DIBATTITO 29

Vito Santarsiero, sindaco di Potenza Mariangela Bastico, senatrice Pd Michele Emiliano, sindaco di Bari

Maria Fortunata Incostante, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato

INTERVENTO 41

Andrea Pastore, senatore Pdl e relatore ddl “Carta delle Autonomie”

DIBATTITO 46

Francesco Bosi, deputato Udc Alvaro Ancisi, vicepresidente dell’Anci

Franco Pizzetti, presidente del Comitato di indirizzo scientifico dell’Anci

(4)

Linda Lanzillotta, deputata Api Achille Variati, sindaco di Vicenza

Mauro Guerra, vicesindaco di Tremezzo e vicepresidente dell’Anci Maurizio Gasparri, presidente del gruppo Pdl del Senato Marilena Adamo, senatrice Pd

Alessandro Cosimi, sindaco di Livorno

e coordinatore dei presidenti delle Anci regionali Domenico Benedetti Valentini, vicepresidente

della commissione Affari costituzionali del Senato Wladimiro Boccali, sindaco di Perugia

Enrico Borghi, sindaco di Vogogna e vicepresidente dell’Anci

Daniele Manca, sindaco di Imola e presidente dell’Anci Emilia-Romagna

INTERVENTO 82

Graziano Del Rio, sindaco di Reggio Emilia e vicepresidente dell’Anci

CONCLUSIONI 85

Enzo Bianco

(5)

OSVALDO NAPOLI, presidente f.f. Anci e vicepresidente dell’Associazione parlamentari amici dei comuni. Illustrissimo pre- sidente Napolitano, egregio presidente Schifani, colleghi e amici, voglio rivolgere un grazie sincero e caloroso al presi- dente della Repubblica per la sua presenza qui oggi a testimo- nianza, ancora una volta, della sua straordinaria attenzione e vicinanza al sistema dei comuni.

Le riflessioni che ci accingiamo a fare insieme toccano il cuore e il nucleo fondante della democrazia italiana: rinnovare il sistema dei comuni, costruire i comuni del futuro significa tessere una trama più solida per un futuro dell’Italia migliore.

I nostri comuni sono la base profonda ed infrangibile del- l’unità nazionale. Sono le radici dell’albero della Repubblica;

richiamando le parole pronunciate da lei, presidente, nel di- scorso alla Camera per la celebrazione del centocinquantenario dell’unità d’Italia, il comune «è la nostra istituzione di più antica e radicata tradizione storica, il fulcro dell’autogoverno democratico e di ogni assetto autonomistico».

Indebolire i comuni significa, quindi, rendere precaria la democrazia, mal funzionante l’amministrazione pubblica, si- gnifica allontanare i cittadini dalle istituzioni.

(6)

In queste convinzioni risiede la grande rilevanza che l’as- sociazione nazionale dei comuni italiani assegna al processo di rinnovamento dell’assetto istituzionale costruito su un nuovo e più avanzato bilanciamento dei poteri, dei compiti e delle re- sponsabilità fra i livelli di governo, che attendiamo ormai da un decennio.

Infatti siamo al decennale dall’approvazione della revisione del titolo V e sarebbe certamente un esito, auspicato da tempo, dare attuazione alla cornice costituzionale, che ha come prin- cipio cardine quello della equiordinazione fra le componenti della Repubblica, fermo restando la primaria funzione unifi- cante e di coordinamento dello Stato.

I comuni si attendono da questa riforma ciò che attendono il Paese e i cittadini.

E’ necessario che i ruoli e le sfere di azione assegnate alle re- gioni, alle province e ai comuni siano definite nel rigoroso ri- spetto delle regole e dello spirito della nostra Carta costituzionale.

L’individuazione delle funzioni fondamentali, non va intesa come operazione giuridica astratta e fredda, ma come defini- zione dell’assetto delle competenze degli enti locali, con le relative risorse finanziarie certe e stabili, con l’obiettivo di porre in essere una seria razionalizzazione e semplificazione dell’assetto amministrativo che elimini duplicazioni, ineffi- cienze e riduca strutturalmente la spesa pubblica in apparati e intermediazione.

E’ necessario mettere bene in chiaro che nella sfera di com- petenza propria dei comuni non possono insistere competenze di altri livelli di governo, di carattere gestionale ed ammini- strativo. Così come le imprese, gli operatori economici e so- ciali chiedono da tempo, è necessaria una spinta alla semplificazione burocratica e alla efficienza amministrativa, spinta che non ha mai prodotto gli esiti sperati, perché non ha

(7)

mai puntato con vera determinazione sul ruolo del comune come base dell’amministrazione pubblica.

E’ necessario rendere più coeso e semplice il sistema istitu- zionale locale, collegando strettamente l’ente provinciale ai comuni che insistono sul territorio, attraverso la previsione del requisito di sindaco o consigliere comunale per accedere al- l’elettorato passivo dei consigli provinciali.

E’ necessario imprimere un nuovo impulso al processo di decentramento amministrativo, per avvicinare i centri deci- sionali ai cittadini, in un’ottica di riduzione e snellimento degli apparati centrali e mai in un ottica di duplicazioni di sedi e soggetti, tenendo conto dei principi di adeguatezza e differenzazione.

E’ necessario dotare i comuni di figure professionali capaci di condurre costantemente l’amministrazione verso gli obiet- tivi di sana gestione, economicità ed efficacia.

Il sistema dei comuni, con l’Anci, da anni ha avanzato pro- poste e idee, mettendo in discussione certezze e dogmi, con- sapevole che il rinnovamento del Paese passa attraverso una modernizzazione complessiva dell’assetto istituzionale.

Da qui la massima disponibilità ed apertura a sostenere, stimolare ogni forma di gestione associata di funzioni per i 5mila comuni di minor dimensione demografica, in un qua- dro chiaro di regole e modelli.

Contemporaneamente il sistema dei comuni italiani è con- sapevole della necessità di dotarsi e dotare il sistema Paese di una struttura di rappresentanza forte e tecnicamente preparata per concorrere nelle sedi di confronto e raccordo, a livello cen- trale e regionale, alla costruzione di una forte e coesa Repub- blica federale delle autonomie.

Nel solco della tradizione che dura da più di un secolo, i co- muni vedono nell’Anci uno strumento prezioso che vogliono ulteriormente legittimare e per cui chiedono un ulteriore ri-

(8)

conoscimento istituzionale nell’ambito del processo di attua- zione delle riforme istituzionali.

Tutto questo non basta. Solo con la riforma del parlamento che dia rappresentanza anche ai governi regionali e locali nel- l’ambito di un senato finalmente federale, il processo di ade- guamento del nostro assetto istituzionale potrà dirsi davvero compiuto.

Signor presidente, i comuni attendono queste riforme da anni, e l’augurio che mi sento di fare è che l’anno del cento- cinquentenario, che è anche il decennale dalla riforma costitu- zionale, sia il tempo giusto per vederne finalmente il varo.

Sarà il modo migliore per celebrare la rinnovata unità del Paese, alla quale lei ha dato e dà un contributo che resterà per sempre nella storia nazionale.

(9)

RENATO SCHIFANI, presidente del Senato della Repubblica.

Signor presidente della Repubblica, colleghi, relatori, auto- rità, signore e signori, la discussione parlamentare sulla Carta delle Autonomie ha rappresentato un momento di importante collaborazione tra tutte le forze politiche, sia quelle di mag- gioranza sia quelle di opposizione.

Il dibattito costruttivo, senza pregiudizi e forzature, su questioni fondamentali della vita dei cittadini e delle istitu- zioni dovrebbe rappresentare una forte costante nei rapporti politici e istituzionali, anche se dobbiamo constatare con ama- rezza come siano sempre più rare le occasioni di confronto in grado di costruire percorsi comuni nell’interesse generale del- l’intera nazione.

L’esame della Carta delle Autonomie è, però, un esempio di come sia possibile incontrarsi e condividere progetti duraturi, capaci di visioni, pur provenendo da diverse storie politiche, culturali e ideali.

La questione complessa e difficile della riforma e della sem- plificazione dell’architettura costituzionale è del tutto priori- taria, nonostante il confronto politico e le emergenze interne e internazionali abbiano di fatto offuscato l’obiettivo fonda- mentale dall’ammodernamento dello Stato. Resta, invece, la risposta essenziale alle urgenze dei cittadini e dell’intero Paese, al consolidamento del sistema rappresentativo, all’efficienza del pubblico potere.

È giunto il tempo della chiarezza e nessuno può sottrarsi al dovere di scelte coraggiose. Il messaggio che ci proviene dai cittadini è una vera e propria richiesta di progetti, di azioni e comportamenti trasparenti, verificabili, concreti, capaci di rin- saldare il senso della comune appartenenza, per un benessere che garantisca l’Italia di oggi, ma anche quella di domani, quella dei nostri figli.

L’autonomia è la storia che stiamo vivendo, quella che ci at-

(10)

tende e ci sta di fronte, così come in passato era l’unità il più alto e nobile fine che la classe dirigente italiana seppe porsi come priorità per lo sviluppo equilibrato di uno stato ancora da costruire.

Oggi, il territorio è lo spazio della prossimità istituzionale dove nasce l’identità di un popolo, di una comunità e dove si consolida il vero senso dello Stato. Quel senso dello Stato che resta un elemento di coesione irrinunciabile, coscienza e sen- timento di una nazione consapevole del proprio passato e ca- pace di costruire la propria storia superando gli ostacoli di un presente, riconosciamolo, troppo spesso caratterizzato da divi- sioni e fratture che non appartengono in realtà ai cittadini.

La riforma federale, entro la logica dell’autonomia tra stato, regioni, province e comuni, è uno dei pilastri sul quale regge il valore decisivo e immodificabile dell’unità d’Italia. L’altro pilastro è quello dell’appartenenza a una comunità più ampia che impone di per sé la logica della solidarietà su quella del- l’egoismo. È questa la prospettiva di una storia dell’Italia den- tro e per l’Europa.

Con il presidente Napolitano va ribadito che ogni ipotesi separatista o indipendentista è insostenibile e inimmaginabile.

Il fondamento delle autonomie e dell’autonomia nella gestione della cosa pubblica resta, pertanto, il principio di uguaglianza che, nel sistema tracciato dall’articolo 3 della Costituzione im- pone il vincolo solidale come dovere inderogabile e cardine dell’intero ordinamento.

Ipotesi di sviluppo autosufficiente di una parte soltanto, fosse anche la più avanzata economicamente, sono contrarie a un sano ed equilibrato federalismo, che rappresenta invece una risorsa e una leva di primaria importanza per tutti. L’unità na- zionale è il valore fondante delle stesse autonomie e ogni ar- retramento o semplice sottovalutazione appaiono fuorvianti.

Anche l’Europa di tutto ha bisogno tranne che di piccoli prin-

(11)

cipati o piccole patrie, roccaforti solo per poteri fuori con- trollo, modelli frutto del vecchio centralismo che scoraggiano la vera innovazione.

La sfida dell’autonomia è oggi l’impresa di chi vuole rin- forzare il rapporto tra cittadini ed eletti e, come si legge nel- l’articolo 6, comma 1 della nostra Carta, indirizzare comuni, province, città metropolitane, istituzioni tutte a organizzare le rispettive funzioni fondamentali valorizzando, in applicazione del principio di sussidiarietà, l’iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.

Sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sono il perimetro ideale entro il quale costruire un nuovo patto tra territori e nazioni.

Il cuore del federalismo e dell’autonomia è lo sviluppo sia del nord che del sud del nostro Paese. Una crescita a due ve- locità sarebbe paralizzante per l’intero sistema economico, po- litico e istituzionale. Dobbiamo riconoscere che la logica dei trasferimenti, per come finora si è venuta a configurare, ha ri- schiato di far perdere al contribuente “la sua dignità di parte- cipe della vita statale”, come scrisse con lucidità e attualità ancora intatte Piero Gobetti ne “La rivoluzione liberale”.

In effetti, la responsabilità degli amministratori richiede innanzitutto verificabilità della loro azione di governo e am- ministrativa. Una nuova generazione e classe politica di diri- genti regionali e locali può allora dimostrare agli elettori la propria capacità attraverso l’assunzione di un vincolo diretto di responsabilità.

Risponde pienamente ai valori costituzionali il collega- mento tra potestà tributaria e decisione amministrativa, nel solco del moderno costituzionalismo che lega l’imposizione tributaria alla rappresentanza.

Come aveva ben chiaro Luigi Einaudi, “gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché pagano, e se quella

(12)

ragione non è spiegata chiaramente gridano all’ingiustizia”. La fiscalità va spiegata, innanzitutto, in termini di servizi resi alla collettività; inoltre, in termini di solidarietà, equità e giustizia, che prescindono dalla logica del dare e avere.

Il dualismo dell’economia italiana attanaglia fin dall’unità il nostro Paese, e si può e si deve superare vincendo le inegua- glianze. Nel Mezzogiorno si produce solo un quarto della ric- chezza nazionale mentre vi risiede un terzo della popolazione.

I giovani che abbandonano gli studi prematuramente si atte- stano su percentuali esorbitanti. Chi non lavora e non studia può essere vittima di sopraffazione e ricatto, soprattutto al sud. Il recupero e la piena realizzazione dell’unità nazionale è un progetto civile che deve coinvolgere tutte le componenti migliori del Paese e impone fortemente un fronte comune della politica.

La riscoperta dell’unità del Paese è, quindi, una necessità, una vera e propria possibilità culturale e sociale che non deve lasciare nessuno indifferente. A ciascuno si chiede il sano pro- tagonismo dell’esperienza, dell’intelligenza e del cuore. A cia- scuno si chiede di sentirsi accomunato insieme agli altri da un ideale che superi la fragilità del mito e si faccia simbolo di civiltà; la civiltà di una storia da raccontare con orgoglio per chi ne ha preso parte e capace di aprire nuovi orizzonti al con- tributo generoso delle future generazioni. La lontananza, che troppo spesso circonda la vita delle nostre istituzioni, può e deve essere superata.

Il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia si- gnifica riscoprire che ogni innovazione è possibile. Ma ogni ri- forma sarà efficace e duratura solo nella continuità di una storia che è nata proprio per la costruzione delle istituzioni parlamentari. La centralità del parlamento va anche oggi risco- perta quale presidio delle autonomie, delle istituzioni demo- cratiche, di tutti i cittadini e di tutte le realtà locali.

(13)

La Carta delle Autonomie è un’occasione che mi auguro possa rappresentare l’opportunità per realizzare insieme un modo avanzato e civile di confronto politico, quel confronto politico che necessita di grandi convergenze quando si parla di grandi riforme nell’interesse del nostro Paese.

(14)

ENZO BIANCO, presidente dell’Associazione parlamentari amici dei comuni e relatore ddl “Carta delle Autonomie”. Signor presidente della Repubblica, considero un altissimo onore, non solo per l’Anci, ma anche per l’Associazione parlamentari amici dei comuni – organizzazione che si è costituita cinque anni fa e alla quale aderiscono 180 parlamentari, senatori e deputati appartenenti a tutti i gruppi presenti in parlamento – la sua presenza qui oggi. Ritengo che essa, oltre naturalmente all’at- tenzione consueta nei confronti del tema delle autonomie lo- cali, intenda probabilmente sottolineare il metodo che è stato seguito nell’esame parlamentare del disegno di legge su cui stiamo lavorando in questi giorni: la ricerca, cioè, di una larga intesa parlamentare, che si è già registrata alla Camera, su quello che sarà il nuovo Testo unico degli enti locali e che è at- tuazione del titolo V della Costituzione. Credo che lavorare con un metodo tendente a ricercare una larghissima conver- genza parlamentare su temi che sono diretta attuazione della Costituzione sia un principio fondamentale. Esattamente a questo metodo ci siamo ispirati nel lavorare insieme.

Mi consenta, signor presidente del Senato, di rinnovarle ancora il ringraziamento per la sua presenza, ma soprattutto per il suo discorso, che ci ha incoraggiato notevolmente a pro- seguire su questa strada. Con il senatore Vizzini, presidente della 1a commissione Affari costituzionali, stiamo lavorando esattamente con questo spirito. Nella scorsa legislatura, allora presidente della commissione Affari costituzionali, affidai a due parlamentari, uno di maggioranza e uno di opposizione, il compito di lavorare su questo argomento. L’interruzione prematura della legislatura non ci consentì di completare quell’esame. Il presidente Vizzini così ha operato e, grazie anche a questa scelta, stiamo lavorando e in uno spirito ten- dente a ricercare gli elementi che ci accomunano.

Vorrei ringraziare, anche personalmente, il ministro Ro-

(15)

berto Calderoli, non solo per la sua presenza, ma per avere con- diviso con noi questo percorso e per avere lavorato, sino a que- sto momento, per valorizzare gli elementi comuni.

Contiamo di depositare in questa settimana una sorta di testo unificato a cui abbiamo lavorato nelle scorse settimane insieme con il collega senatore Pastore, con il presidente della commis- sione e con il ministro. Si tratta di un testo unificato largamente condiviso; ciò consentirà al comitato ristretto, già la settimana prossima, di esaminarlo. Trattandosi di un testo condiviso, spe- riamo che l’esame in commissione possa essere egualmente ra- pido, in modo tale che il testo, se il presidente del Senato e la conferenza dei capigruppo lo riterranno, potrà essere esaminato già nel mese di luglio in aula, a Palazzo Madama.

Lavoreremo, signor presidente, facendo in modo che ci sia un’intesa non formale, ma un lavoro comune anche con i col- leghi della Camera, in modo che gli emendamenti che appro- veremo in Senato siano considerati con la massima attenzione anche da parte dei colleghi deputati.

Sarebbe auspicabile che questo testo fosse varato il prima possibile anche – è il mio pensiero – per riparare a quello che io considero un grave errore: avere varato il testo sul federali- smo fiscale, la legge delega, senza avere varato contestualmente o preventivamente la Carta delle Autonomie. Il percorso natu- rale avrebbe comportato che prima si definissero le funzioni e poi si affrontassero le questioni finanziarie e fiscali.

L’obiettivo è quello di riparare, signor presidente, anche a un altro errore che talvolta si commette: a causa di iniziative della più varia natura, vengono inseriti provvedimenti spot, che talvolta non sono sufficientemente meditati e che, per esempio, non sono oggetto di esame da parte delle commis- sioni parlamentari competenti per merito. Si adottano scelte un po’ improvvisate e poi si è costretti a tornare indietro. Gra- zie al Testo unico sugli enti locali rinnovato penso che si do-

(16)

vrebbe dare anche un carattere di organicità agli interventi in materia.

Permettetemi di illustrare brevemente le novità principali che introdurremo nel testo varato dalla Camera. Si tratta di dieci punti che mi limiterò a richiamare sinteticamente.

Primo. Si ribadisce che il federalismo che viene realizzato in Italia, il sistema delle autonomie, non ha un carattere ge- rarchico. Non c’è una visione gerarchica dell’organizzazione dello Stato, ma ci si ispira al nuovo titolo V della Costituzione e al principio che la Repubblica è il concorso delle responsa- bilità dei diversi livelli di governo del territorio. Per esempio, viene affermato che, per evitare che ci siano tentazioni di neo- centralismo regionale, le funzioni di coordinamento delle re- gioni riguardino le materie delle regioni che vengono trasferite ai comuni e alle province e non le materie proprie dei comuni. Si afferma, quindi, un principio fondamentale, ossia che il potere di indirizzo si esercita nelle materie di indirizzo regionale.

Secondo. Vengono accresciute le funzioni fondamentali dei comuni, in particolare secondo il principio di responsabi- lità. Tutto quello che riguarda i comuni viene affidato alla ge- stione degli stessi e così la gestione dei beni demaniali e patrimoniali, le garanzie di accesso ai servizi pubblici e pri- vati.

Noi auspichiamo che ci sia una forma di coordinamento non di tipo gerarchico, ma di coordinamento da parte dei sin- daci nella gestione di tutti gli orari di apertura dei servizi pub- blici e privati offerti al pubblico, in modo tale che ci sia un po’

di armonia in una materia in cui ci sono troppi input. Ugual- mente dicasi per la gestione dei beni e dei servizi culturali di cui il comune sia titolare e per tutta la materia elettorale e statistica che, ovviamente, non può che essere di competenza dei comuni.

(17)

Il terzo punto, molto importante, riguarda le città me- tropolitane. Questa novità introdotta nell’ordinamento costi- tuzionale purtroppo non è ancora partita. È stata inserita, nella legge delega sul federalismo fiscale, una norma transitoria che riguarda le città metropolitane. Qui finalmente c’è la previ- sione definitiva: la città metropolitana eserciterà le funzioni proprie delle province. Viene prevista anche la parte istituzio- nale che sin qui largamente manca, con il sistema elettorale, con l’autonomia statutaria.

E’ molto importante il fatto che la città metropolitana non avrà un modello unico, ma molto sarà lasciato all’autonomia statutaria, così da fare in modo che una città come Bologna, che ha punti di diversità rispetto a Firenze o Napoli, possa avere un abito istituzionale adeguato alle sue prerogative e alle specificità del territorio.

Il quarto punto riguarda l’esercizio associato per le pro- vince inferiori ai 200mila abitanti. Abbiamo previsto che il principio dell’esercizio associato di funzioni che riguarda i pic- coli comuni possa essere esteso anche alle piccole province.

Un punto molto importante – il quinto – è l’abolizione di tutti gli enti intermedi tra il comune e la provincia, tranne na- turalmente le unioni di comuni e le convenzioni, per evitare quello cui oggi invece assistiamo, una vera e propria giungla di enti intermedi che molto spesso sono considerati emanazione di

“appetiti” di potere che francamente non rispondono a funzioni.

Il sesto punto prevede di eliminare le duplicazioni orga- nizzative e funzionali. Se una funzione viene trasferita al co- mune, il livello da cui proviene il trasferimento della funzione deve cessare di avere una sua presenza, altrimenti abbiamo du- plicazioni di costi e una diminuzione di efficienza.

Il settimo punto riguarda il trasferimento di funzioni dallo Stato. Esaltiamo il ruolo delle prefetture come uffici ter- ritoriali del governo. È inutile che nel territorio ci siano ema-

(18)

nazioni e presenze, provincia per provincia, di tutti i livelli derivanti da singoli ministeri, con l’eccezione degli Esteri, della Giustizia e della Difesa. Tutte le funzioni vanno in capo alle prefetture territoriali del governo.

Con l’ottavo punto viene esaltata l’autonomia statutaria dei comuni, prevedendo che nello statuto si possano intro- durre sistemi come la deliberazione prioritaria, su richiesta del sindaco, e che i poteri di coordinamento dei lavori siano af- fidati al presidente del consiglio comunale.

Il nono punto riguarda i piccoli comuni. La parte istitu- zionale prevista in un disegno di legge che viaggiava separa- tamente in materia di piccoli comuni, viene richiamata qui. In questo quadro valuteremo con molta attenzione la richiesta, che viene dal sistema dei piccoli comuni, di eliminare il di- vieto del terzo mandato per i sindaci nei comuni sino a 5mila abitanti. È una richiesta che viene avanzata dai sindaci da mol- tissimo tempo e che credo corrisponda a una valutazione di carattere generale. Ci sono opinioni diverse su questo punto, ma sarebbe francamente una possibilità, per i piccoli comuni sino a 5mila abitanti, da considerare con attenzione.

Al decimo punto, l’albo nazionale dei segretari comunali e provinciali viene ricostituito. Non vi sono più venti agenzie regionali, con costi eccessivi e insopportabili, ma cinque cir- coscrizioni che corrispondono a quelle delle elezioni per il par- lamento europeo; nello stesso momento, c’è un’unica agenzia (che sovrintende anche all’organizzazione della scuola) compo- sta da rappresentanti dei comuni, delle province, dei segretari comunali ed esperti nominati dalla Conferenza Stato-città.

Stiamo esaminando con molta attenzione anche la possibi- lità di introdurre in questo disegno di legge la normativa sullo scioglimento dei comuni per mafia. Infine, spero che in questo disegno di legge sia finalmente riconosciuta una specificità in funzione istituzionale per l’Anci e l’Upi.

(19)

L’Anci è un’organizzazione che esiste ormai da più di cento anni. Oggi essa è un’associazione privata, ma svolge delle fun- zioni pubbliche molto delicate e può diventare – io lo spero – insieme con l’Upi un organismo riconosciuto con legge, a con- dizione ovviamente che sia rappresentativo della maggioranza dei comuni.

Signor presidente della Repubblica, queste sono le novità più importanti. Il mio auspicio è che gli oltre 8mila comuni italiani, grazie anche a questa Carta delle Autonomie, possano superare un momento di grande difficoltà, quello relativo alla finanza locale.

I comuni hanno dato in questi anni un grande contributo al risanamento dei conti della finanza pubblica. Grazie alla flessibilità di sistema che qui viene individuata potranno avere una nuova linfa vitale.

La mia vita, la mia vicenda personale è strettamente legata al mondo dei comuni, essendo io stato sindaco, presidente dell’Anci, avendo completato il Testo unico sulle autonomie locali, la cui legge delega fu approvata mentre lei era ministro dell’Interno e fu da me completata nel 2001.

Credo che sia molto importante che i comuni, questa strut- tura portante della democrazia italiana, elemento caratteriz- zante del nostro Paese, grazie anche alla Carta delle Autonomie possano ritrovare competitività e dare un contributo serio di competitività, flessibilità, diversità, ma anche di unità, al si- stema Italia.

Questo è l’auspicio con cui lavoreremo nelle prossime set- timane.

(20)

CARLO VIZZINI, presidente della commissione Affari costitu- zionali del Senato. Signor presidente della Repubblica, signor presidente del Senato, ministro, colleghi, signori sindaci, ri- cordo che l’esperienza della 1acommissione in questa legisla- tura ci ha già portato a lavorare insieme sulla riforma della pubblica amministrazione, sul federalismo fiscale in concorso con altre commissioni, su tutti i provvedimenti di contrasto alla criminalità organizzata, sulla Carta delle Autonomie e do- mani i due relatori, uno di maggioranza e uno di opposizione, consegneranno il testo definitivo di un lavoro comune per la riforma della polizia locale, un altro traguardo che ci siamo posti. È segno questo che si può lavorare senza pregiudiziali per riformare il Paese.

Sono stati illustrati i punti e i princìpi della riforma. Essi si muovono tutti in una luce, quella dell’articolo 118 della Costituzione, che valorizza il principio di sussidiarietà. In- torno a questo, si muove la nuova struttura delle autonomie locali, si definiscono le funzioni con strumenti chiari e flessi- bili, si lavora per efficienza e trasparenza. L’obiettivo finale è quello di migliorare, attraverso il funzionamento delle auto- nomie, la qualità della vita degli italiani.

Questo provvedimento ha stretto collegamento con il fede- ralismo fiscale, che è andato avanti con un disegno di legge di delega. Il lavoro del governo è stato quasi completato con una serie di deleghe già valutate dal parlamento e approvate e va- rate definitivamente dal consiglio dei ministri. È evidente che funzioni e gestione delle risorse debbono camminare insieme per far valere un principio di responsabilità dell’amministra- tore, il quale deve poter mostrare con grande chiarezza ai cit- tadini quello che fa, come appunto utilizza le risorse e sulla base di questo poi cogliere l’orientamento dei consensi.

Manca un anello a tutto questo. Nominerò la riforma tri- butaria non certo per le polemiche che si leggono sui giornali

(21)

in questi giorni, ma perché suppongo che, per arrivare a un fe- deralismo degno di questo nome che non resti un decentra- mento burocratico-amministrativo, la riforma tributaria dovrà provvedere anche a imposte proprie dei comuni, in modo tale che chi amministra possa scegliere come usare la leva finanzia- ria per procurarsi e destinare risorse, ma anche in modo che la gente possa esaminarne tutto il tragitto nel principio della piena responsabilità.

Se è vero che il principio della democrazia è “no taxation without representation”, questo è un Paese in cui il 50 per cento del territorio lavora al di fuori di questo principio. Il federa- lismo ancora oggi viene attuato prevalentemente sulla base dell’attuale sistema tributario, studiato negli anni sessanta ed entrato in vigore i primi anni settanta e che fu fortemente cen- tralistico, in contrapposizione al fatto che nello stesso periodo nascevano le regioni. Con una mano si dava il decentramento creando le regioni, con l’altra mano si toglieva ai comuni l’au- tonomia impositiva che pure avevano avuto fin dall’inizio della storia della nostra Repubblica. Credo che la riforma vada fatta e vada fatta in una logica assolutamente solidale.

Ritengo che la vera novità degli anni duemila sia l’articolo 114 della Costituzione, che concepisce la Repubblica come soggetto primario, composta da comuni, province, regioni, città metropolitane e Stato. Si tratta di soggetti equiordinati che svolgono funzioni diverse sul territorio, ma che rompono la struttura piramidale dello Stato per creare un modello oriz- zontale in cui tutti i soggetti istituzionali si pongono con pari dignità e con la necessità di tutta una serie di saldature tra queste funzioni.

Abbiamo trasformato profondamente comuni e province e ci apprestiamo, se andrà in porto questa riforma, a guardare alle città metropolitane. L’unico soggetto che rimane immo- bile rispetto alla struttura precedente è lo Stato. Pensando alla

(22)

funzione del parlamento, questo può determinare che, svol- gendo le due Camere esattamente la stessa funzione, venga a mancare una stanza di compensazione politica in cui i pro- blemi del territorio, le vertenze e i conflitti possano trovare una sede politica e istituzionale di confronto, evitando che siano affidati alla giurisdizione.

La politica talvolta si lamenta dell’invadenza della giurisdi- zione, ma poi dimentica di realizzare le riforme che servono af- finché le sedi politiche e istituzionali possano svolgere il loro ruolo e svolgerlo sino in fondo.

Credo che questo sia un impegno primario se vogliamo com- pletare l’architettura istituzionale del titolo V, alla quale molti di noi non contribuirono al momento del voto, ma che, con grande rispetto e con grande correttezza, in questa legislatura stiamo cercando di portare avanti nella sua concreta attuazione.

Da qui bisogna ripartire. Io credo che l’Italia sia una delle democrazie parlamentari più forti tra le democrazie occiden- tali. Stiamo assistendo alla formazione di un circuito degli ese- cutivi che oggi trova nell’ultimo atto del governo il suo completamento, cioè la creazione della Conferenza della Re- pubblica, un circuito tra gli esecutivi di tutti gli enti che la compongono, con la validità che questa può avere, ma anche con i suoi limiti. Basti pensare che in conferenza Stato-regioni ogni regione dispone di un voto, il che vuol dire che la più piccola regione vota come la più grande.

Mentre questo è un sistema di raccordo istituzionale utile per risolvere determinati problemi, non si può pensare che contemporaneamente non vi sia una sede di confronto poli- tico-istituzionale in un ramo del parlamento della Repubblica.

È un ragionamento antico che non abbiamo mai avuto la fortuna e la forza di portare a compimento e sul quale ci tro- viamo d’accordo. Quando svolgiamo i dibattiti parlamentari, vengono presentate mozioni approvate da tutti i gruppi.

(23)

Non so se questa legislatura abbia ancora il fiato e lo spazio per affrontare problemi di questo genere. So però che abbiamo affrontato il federalismo fiscale e oggi la Carta delle Autono- mie. Questo dovrebbe essere un metodo da seguire sempre quando si parla delle grandi riforme che debbono ammoder- nare l’Italia.

Di qui alla fine della legislatura noi continueremo a cercare di portare a compimento un cambiamento che forse è di quelli che la gente non comprende perché sembra non riguardare di- rettamente le tasche degli italiani. In realtà è diretto a miglio- rare la qualità della vita, a semplificare, a dare efficienza, a dare trasparenza, a dare ai cittadini consapevolezza di quello che fanno i loro amministratori per poterli meglio giudicare.

ANGELO RUGHETTI, segretario generale dell’Anci. Signor presidente della Repubblica, onorevole presidente del Senato, ministro, gentili sindaci, relatori e partecipanti, vorrei anche io unirmi al ringraziamento a tutti voi per la presenza ed in particolare anche io rivolgo un saluto deferente al presidente Napolitano per la vicinanza che sta dimostrando nei confronti dei comuni e dell’Anci e che anche oggi è confermata in que- sta sede.

Voglio poi esprimere gratitudine all’Associazione dei par- lamentari amici dei comuni, al presidente Bianco, che ha pro- posto l’organizzazione di questa giornata che è dedicata ad un tema dirimente non solo e non tanto per le istituzioni territo- riali ma soprattutto per i cittadini, le famiglie e le imprese italiane.

Vorrei porre l’attenzione sull’aspetto dinamico dell’orga- nizzazione amministrativa della Repubblica - come delineata nel titolo V riformato della Carta costituzionale – per sotto- lineare che da questa organizzazione dipende una parte im- portante dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione.

(24)

L’invito che l’Anci rivolge a tutti gli interlocutori istituzio- nali va proprio in questa direzione: cercare di affrontare l’attua- zione degli articoli 114, 117 lett. p) e 118 della Costituzione non in una ottica di rappresentanza corporativa di livelli istitu- zionali, bensì assumendo il punto di vista del cittadino che guarda alle istituzioni, che cerca risposte ai propri bisogni e che vorrebbe sentire le istituzioni come sue. Dobbiamo tutti guar- dare con questi occhi la riforma per realizzare una articolazione dei compiti e delle funzioni amministrative degli enti che com- pongono la Repubblica improntata a canoni di efficienza, sem- plificazione, efficacia ed economicità.

È in questa prospettiva che abbiamo auspicato un con- fronto con il governo, il parlamento e le rappresentanze degli altri livelli di governo territoriale volto alla ricerca di soluzioni istituzionali che avessero a cuore il buon andamento della macchina amministrativa e non il potenziamento o il depo- tenziamento di un ente territoriale a favore o a sfavore di un altro.

I comuni italiani di oggi sono il frutto di una stratifica- zione legislativa, amministrativa accumulata negli anni, di fe- nomeni economici e sociali che ne hanno influenzato ruolo e funzioni. Ma soprattutto i comuni italiani recano il segno di un retaggio: l’essere nati prima dello Stato unitario e conside- rati da sempre enti di prossimità a cui il cittadino, la famiglia e l’impresa si rivolgono quale prima frontiera di rappresenta- zione della funzione pubblica. È questo un patrimonio eredi- tato dal passato ed una responsabilità che si rinnova continuamente.

Questa qualificazione soggettiva dei comuni la ritroviamo all’interno della Costituzione sotto molti profili ma in modo più esplicito all’interno dell’articolo 118 sia nella nuova che nella vecchia formulazione.

I comuni sono i titolari di tutte le funzioni amministrative.

(25)

Così recita il 118. È un’affermazione radicale che consolida il rapporto fra gli individui (singoli o organizzati) ed i comuni stessi.

Il legislatore, secondo il 118, deve indicare i casi nei quali le funzioni amministrative si spostano ad un altro livello di governo; detto in altri termini, deve stabilire quando la do- manda posta dal cittadino richiede una organizzazione tale che il comune da solo non può garantire. Il cosiddetto principio di adeguatezza.

Non solo. Il costituente del nuovo titolo V ha stabilito che il rapporto fra cittadino e comune è tanto forte che deve avere un minimo comun denominatore su cui contare. E lo ha fatto inserendo la lettera p) all’interno di quella parte dell’articolo 117 che disciplina la competenza legislativa riservata allo Stato, stabilendo che le funzioni fondamentali dei comuni de- vono essere individuate con legge statale proprio perché rap- presentano il requisito di omogeneità che la Repubblica deve garantire su tutto il territorio nazionale.

È in questo ambito che il cosiddetto codice delle autono- mie deve trovare un punto di equilibrio che non può che essere il frutto di una miscela composta, da un lato, dalla storia del nostro Paese fatta di città e campanili e, dall’altro, dalla neces- sità di efficienza e semplificazione di cui i cittadini hanno bi- sogno.

Anci ha indicato alcune linee sulle quali tracciare la riforma che possono essere riassunte in alcuni punti schematici.

Ai comuni devono essere attribuite tutte le funzioni che il legislatore nazionale e regionale non allocano motivatamente presso livelli di governo diversi e di conseguenza deve essere riconosciuta ai comuni anche una sorta di competenza resi- duale. In questo ambito ai comuni vanno attribuiti tutti i compiti connessi al godimento dello ius civilis ed i relativi servizi alle persona che da ciò ne derivano.

(26)

Ai comuni devono essere attribuiti tutti i compiti prodro- mici alla fruizione e allo sviluppo del territorio nell’ambito della programmazione regionale; è necessario semplificare e sfoltire l’organizzazione istituzionale intermedia, estranea all’articolo 114 della Costituzione, priva di legittimazione democratica che tende a complicare il quadro delle compe- tenze e a sottrarre compiti agli enti di prossimità. È in questa categoria forse che vanno rintracciati e definitivamente eli- minati i cosiddetti costi della politica e non nei comuni che sono stati gli unici a ridurre indennità e gettoni già peraltro molto esigui.

I comuni, in ossequio alla Costituzione, devono avere il po- tere di regolamentare autonomamente l’esercizio delle fun- zioni di cui sono titolari e la legge statale deve garantire che l’esercizio di questo potere non sia limitato dall’intervento di altre fonti normative. I principi di equiordinazione e della pari dignità devono essere salvaguardati per evitare il rischio di neo centralismi. Rivolgiamo un appello alle regioni: siano sempre più enti di legislazione e alta programmazione e siano sempre meno enti di gestione diretta come purtroppo alcuni dati mettono in evidenza.

La titolarità delle funzioni fondamentali deve essere attri- buita a tutti i comuni ma occorre che ogni comune garantisca una organizzazione adeguata alle domande sociali poste dal- l’opinione pubblica. I piccoli comuni sono dei baluardi della democrazia che devono coalizzare le forze attraverso la gestione associata e le unioni dei comuni per fare in modo che ogni cit- tadino veda pienamente attuato il disposto dell’articolo 3 della nostra Carta costituzionale. Deve essere chiaro che la rivendi- cazione di funzioni e l’esercizio delle stesse non può non tro- vare un limite nel diritto dei cittadini a vedere rimossi gli ostacoli che ne impediscono un pieno accesso ai beni pubblici intesi in senso lato.

(27)

Ai comuni va riconosciuta una piena autonomia organizza- tiva libera da altri condizionamenti che non siano quelli rela- tivi al rispetto del principio di legalità e degli equilibri di bilancio. Appare incongrua la previsione di limitare la pre- senza di figure apicali negli enti anche quando questo avviene salvaguardando il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica.

Va definita una migliore interlocuzione dei comuni e/o delle città metropolitane con le province. È opportuno a no- stro avviso creare un legame istituzionale e forse anche eletto- rale fra i comuni ed i consigli provinciali con l’obiettivo di rendere le province enti di area vasta che operino sempre di più in raccordo o per conto dei comuni dell’area stessa. Allo stesso modo deve essere definitivamente sciolto il nodo delle città metropolitane riconoscendo a questo ente compiti e fun- zioni che non possono limitarsi alla mera somma delle fun- zioni del capoluogo di regione e della provincia.

Noi pensiamo che questa impostazione rigidamente rispet- tosa della Costituzione garantisca una moderna e qualificata organizzazione della Repubblica e che dimostri efficienza nei confronti dei cittadini.

Abbiamo auspicato che questo lavoro di sistemazione delle competenze avvenisse prima dell’attuazione dell’articolo 119 proprio per allocare al meglio le risorse finanziarie di ogni li- vello di governo. Definita la griglia delle funzioni poteva es- sere meglio definita la tabella delle entrate.

Signor presidente, i comuni hanno accettato da subito la sfida del federalismo e lo hanno fatto in un periodo di assoluta emergenza della finanza locale. Per primi hanno accolto l’in- troduzione di sistemi di misurazione dell’efficienza attraverso i costi ed i fabbisogni standard. Nel 2010 la stragrande mag- gioranza dei comuni italiani ha avuto un saldo finanziario at- tivo ed ha prodotto un obiettivo di finanza pubblica superiore di un miliardo di euro a quello assegnato.

(28)

I comuni chiedono il riconoscimento di questo cammino.

Chiedono di essere valutati per quello che raccontano questi fatti e non per altro. Auspicano la riorganizzazione ed il raf- forzamento del sistema di controlli interni che oggi è molto confuso ed in questa ottica suggeriscono di potenziare il ruolo e le funzioni dei consigli comunali che altrimenti rischiano di divenire marginali e che non devono essere attratti dai ri- chiami del passato verso poteri gestionali.

È urgente un provvedimento legislativo che rimetta ordine in un sistema normativo che ha subito vari interventi anche nelle parti ordinamentali attraverso fonti anomale che gene- rano incertezze, conflitti amministrativi e soprattutto che non chiariscono il ruolo di ciascuno dei livelli di governo del Paese.

I cittadini hanno il diritto di sapere a chi rivolgere la loro domanda, la forma della stessa e devono avere tempi certi nelle risposte. Oggi tutto ciò è molto difficile per la mancanza di un quadro chiaro e definito.

Ci auguriamo che il Senato prima e la Camera dei deputati poi possano giungere con celerità all’approvazione di questo provvedimento che da tanto tempo è atteso dagli 8.094 con- sigli comunali italiani e dall’associazione che ha l’onore di rap- presentarli e che quest’anno compie i suoi 110 anni di vita.

(29)

VITO SANTARSIERO, sindaco di Potenza. Abbiamo par- lato a lungo nel merito e bene di come attuare il titolo V della Costituzione. Abbiamo ascoltato da Enzo Bianco dieci punti che sono dieci pilastri del nuovo ruolo del comune, delle sue funzioni, delle sue competenze, della sua autonomia e del modo con cui attuare il suo potere. Abbiamo parlato del ruolo delle regioni e giustamente abbiamo chiesto che esse operino nel contesto dalla programmazione e abbiamo parlato di ge- stione associata.

È emerso che la Carta delle Autonomie rappresenta l’ele- mento primario per attuare il federalismo. Stiamo quindi par- lando di come attuare il federalismo, mentre, paradossalmente in Italia è stata fatta passare l’idea che il federalismo ormai sia cosa fatta.

Mentre si faceva passare questa idea, i comuni vivevano la più terribile stagione della propria esistenza, almeno dal dopo- guerra. Non dimentichiamo che i bilanci sono stati prorogati al 30 giugno, che non è ancora arrivato il provvedimento gover- nativo che ci dica qualcosa in merito ai trasferimenti statali, che non era mai successo che la seconda rata del trasferimento dello Stato non giungesse nelle casse dei comuni, determinando dif- ficoltà immani e che siamo quindi in presenza del flop del de- creto sul federalismo fiscale approvato nello scorso marzo.

La verità è che, parlando di federalismo, ci si è mossi in un contesto completamente diverso: quello di un quadro di con- tenimento della spesa e di riduzione dei costi della pubblica amministrazione, puntando il dito e colpendo inevitabilmente sempre noi comuni. È un modo di procedere, com’è stato sot- tolineato, che considera le autonomie locali e i comuni in par- ticolare non già quale interlocutore paritario con cui decidere e condividere scelte e modelli, come è stato evidenziato nel- l’ultimo intervento, ma quale elemento di contrapposizione e contraltare degli altri livelli istituzionali.

(30)

Ben venga allora la Carta delle Autonomie per tornare a parlare di vero federalismo, quello del titolo V, dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Ben venga questa opportunità. Magari si arrivasse a luglio all’approvazione del decreto-legge sul federalismo con le modifiche che ci sono state indicate. Magari, attuata questa legge, si potesse arrivare alla piena attuazione della legge 42/2009, all’autonomia ge- stionale, all’autonomia finanziaria, ai fabbisogni standard, ai costi standard, alla perequazione economica e infrastrutturale.

Tutto ciò, nel nostro Paese, in questo momento non c’è, a danno di noi amministratori che non riusciamo più a soddi- sfare le esigenze primarie dei nostri cittadini e a garantire i servizi essenziali.

È evidente che, così come è impostata, la Carta delle Au- tonomie deve garantirci l’eliminazione di tutte quelle sovrap- posizioni che generano diseconomie e che, traducendosi in sperpero di risorse, abbassano la qualità della pubblica ammi- nistrazione, la rendono farraginosa, confondono e disorientano i cittadini e diminuiscono il livello della stessa responsabilità dei vari livelli istituzionali.

Si è parlato anche di una Camera delle Autonomie per concertare l’azione legislativa con tutti i livelli istituzionali e per meglio rappresentare i nostri interessi, quelli dei co- muni, delle province e delle regioni. A maggior ragione, ci auguriamo che a luglio si possa ritornare qui a parlare di una Carta delle Autonomie approvata e di un federalismo vero che parte.

MARIANGELA BASTICO, senatrice Pd. Entrerò nel me- rito, partendo dalla condivisione. Dobbiamo impegnarci tutti a giungere all’approvazione di un testo attraverso una proce- dura la più condivisa e la più partecipata possibile.

Abbiamo urgenza della Carta delle Autonomie. Il gruppo

(31)

del Partito democratico, all’inizio della legislatura, ha presen- tato al Senato un testo di elaborazione di cui io sono stata prima firmataria. Lo abbiamo presentato subito perché era- vamo fortemente convinti che l’assetto istituzionale delle au- tonomie locali e l’attribuzione delle competenze dovessero precedere tutto il percorso relativo al federalismo fiscale. Ci siamo battuti per questa scelta, ma il governo e la maggio- ranza hanno intrapreso la strada della legge delega sul federa- lismo fiscale e poi dei decreti attuativi.

Come gruppo del Partito democratico abbiamo contribuito fortemente all’elaborazione della legge 42/2009 e credo che abbiamo fatto un buon lavoro con i decreti attuativi, pur- troppo non sempre adeguatamente applicati. Ora siamo impe- gnati sul tema delle competenze, delle funzioni e dell’assetto istituzionale e ritengo sia fondamentale dare forza e nitidezza alle competenze delle autonomie locali, perché queste costitui- scono l’elemento fondamentale di vicinanza ai cittadini e di valorizzazione dell’identità e delle comunità.

Credo che in questa fase ci debba essere una vera e propria ripartenza delle autonomie locali rispetto agli importanti pro- cessi di riforma. Quindi, attribuisco a questa legge, che dà strumenti e chiarezza istituzionale alle autonomie locali, un grandissimo valore politico, oltre che istituzionale.

Come affermava Rughetti, occorrono funzioni chiare par- tendo dall’applicazione dell’articolo 118 e dal fatto che il nu- cleo fondamentale sono proprio i comuni. È interessante anche il ragionamento sulla competenza residuale affinché sia chiaro che tutto ciò che non viene espressamente attribuito riguardo alle funzioni di carattere amministrativo compete ai comuni

Credo che sia molto importante l’eliminazione delle du- plicazioni. Ne stiamo vivendo moltissime nell’attuale assetto istituzionale, con i relativi costi di carattere amministrativo e non legati all’erogazione dei servizi ai cittadini. Pertanto, nel

(32)

disegnare queste funzioni fondamentali dovremo avere molto coraggio, perché non sarà facile.

A queste funzioni va attribuito il relativo finanziamento.

Qui sottolineo che esiste un problema aperto relativo alla fase transitoria: occorre fare molta attenzione nel passaggio tra le funzioni attualmente attribuite come fondamentali e quelle a regime. Occorre anche garantire, in questa fase, in cui davvero i tagli sono stati inaccettabili e drammatici, una transizione possibile. Non si possono distruggere gli enti locali e dopo stabilire quali funzioni svolgeranno nel futuro. La fase di tran- sizione deve essere chiarita e questo è uno dei nodi complessi del disegno di legge che stiamo discutendo.

Eliminazione delle duplicazioni significa anche, e concordo con chi lo ha detto prima di me, abolizione di tutte le strut- ture intermedie. Ci sono i comuni e le unioni di comuni, ma ritengo che debba essere mantenuta anche la provincia come soggetto di area vasta. Possiamo ragionare sull’opportunità che alla provincia sia associata un’elezione diretta o, come pro- pone qualcuno, un’elezione di secondo livello, ma credo che sul tema di un’istituzione di area vasta che accolga tutte le funzioni di coordinamento, che invece oggi sono svolte da tante soggettività e consorzi moltiplicativi delle funzioni am- ministrative dove si annidano costi non sempre totalmente trasparenti, si debba compiere una scelta più forte rispetto a quella contenuta nell’attuale disegno di legge. Su questo punto servono più nitidezza e più decisione.

Credo anche, come discusso in alcune proposte qui avan- zate, che vada meglio definito il rapporto tra il comune e la re- gione, quindi complessivamente tra la funzione legislativa e di programmazione della regione e la parte di funzioni proprie dei comuni. Questo è un punto ancora aperto sul quale dob- biamo trovare una posizione di equilibrio; occorrerà quindi un confronto con tali livelli istituzionali. A mio avviso, inol-

(33)

tre, il federalismo e l’abolizione del centralismo passano dalla valorizzazione non di un ente solo, ma dalla valorizzazione del sistema delle autonomie locali nel suo insieme.

C’è molta timidezza in questo disegno di legge relativamente al cambiamento degli uffici decentrati dello Stato. Qui non si cambia nulla. C’è semplicemente una delega su princìpi molto generali. A nostro avviso, dobbiamo riprendere il testo che è contenuto nel di- segno di legge a cui facevo riferimento all’inizio, dove il cambia- mento è già attuato e dove si indica la modalità, cioè l’accorpamento nelle prefetture di tutti gli uffici che in questa fase mantengono al- cune funzioni relative ai servizi di carattere territoriale.

Se concepiamo il federalismo e la valorizzazione dell’auto- nomia senza pensare mai di cambiare lo Stato è chiaro che i costi dell’operazione aumenteranno di molto: più che una du- plicazione, vi sarà una triplicazione e tutto sarà scaricato sui tagli alle autonomie locali.

Credo che questo processo vada interrotto. Ciò che il go- verno oggi sta praticando, a mio avviso, non è assolutamente convincente. Conosco abbastanza bene l’assetto del sistema scolastico e penso che, finché non decideremo un cambia- mento radicale del ministero della Pubblica istruzione e delle sue articolazioni a livello territoriale, non potremo mai fare un ragionamento reale sul federalismo delle scuole dentro l’or- dinamento nazionale dell’istruzione.

Riguardo al metodo che Enzo Bianco ha proposto, condivido l’invocazione alla larga partecipazione e alla condivisione. Le due cose sono assolutamente unite. Dobbiamo trovare un punto alto di mediazione e dobbiamo trovarlo presto perché ce n’è bisogno.

MICHELE EMILIANO, sindaco di Bari. Innanzitutto, non posso fare a meno di sottolineare lo sforzo che l’Anci ha com- piuto in questo momento nel quale noi siamo costretti a met- tere le mani su alcune riforme di sistema di natura comunque

(34)

costituzionale. Una Carta delle Autonomie, pur essendo una legge ordinaria, ha un tale peso sulla costituzione materiale da produrre come effetto un cambiamento radicale della nostra struttura amministrativa. È anche il tentativo di riordinare una confusione che deriva dal fatto che la politica non è stata in grado di impostare la riforma dello Stato.

Avremmo potuto affermare con chiarezza che avevamo l’idea di creare uno Stato federale; avremmo potuto cambiare anzitutto la struttura del parlamento e realizzare una compen- sazione in una Camera dei territori, una Camera federale, che in qualche modo restituisse garanzie ai comuni, alle province e alle regioni sulla natura del federalismo fiscale che stiamo esaminando e sulle garanzie costituzionali.

Una Camera che, con competenze sul bilancio e composta attraverso la diretta convocazione nell’aula dei presidenti delle regioni, dei sindaci dei capoluoghi di regione e dei componenti anche di piccoli e medi comuni, potesse offrire il riequilibrio politico di un problema che ovviamente la Carta delle Autono- mie non può risolvere, quello della solitudine politica dei sindaci che possono contare effettivamente solo sull’Anci, sul suo se- gretario e sul suo presidente facente funzioni.

Il segretario ha svolto una relazione politica. Per certi versi vi è stato costretto e io devo inevitabilmente complimentarmi con lui. Ma questa solitudine una volta almeno era lenita dalla presenza del deputato del luogo, che condivideva la relazione con il territorio. Oggi i deputati compiono uno sforzo enorme per costruire questo processo legislativo della Carta delle Au- tonomie, ma è molto più complicato che in passato portare nel parlamento della Repubblica le istanze dei territori.

La conseguenza l’abbiamo vista ieri. Il popolo italiano molto spesso salta completamente tutti i livelli intermedi di costruzione della decisione politica e pretende di intervenire, sempre con maggiore forza, direttamente nelle decisioni.

(35)

Qualche volta questo avviene con le elezioni primarie, che stanno diventando un patrimonio ormai condiviso di tutte le forze politiche perché ci si rende conto che il sistema non fun- ziona e che molto spesso la sovranità deve essere esercitata di- rettamente dal popolo attraverso forme anche non normate.

Per questo dobbiamo avere la forza di “dribblare” tutti gli ostacoli per costruire l’opzione migliore rispetto a quella pre- sente, ma non dobbiamo dimenticare mai che questa riforma costituzionale dello Stato deve essere portata a termine. Non sarà possibile in questa legislatura, ma dobbiamo continuare a insistere. Tutti abbiamo accettato la legge n. 42 e i suoi effetti, ma i più convinti sono soprattutto i comuni, persino quelli del sud, che vengono spesso accusati di essere nemici del federali- smo. Nessuno di noi lo mette in discussione, anzi molti sindaci hanno cominciato già da tempo a costruire nelle proprie ammi- nistrazioni le premesse per dare applicazione alla legge n. 42. Il quadro di confusione nel quale ci muoviamo e nel quale anche l’Anci e il presidente Bianco sono stati costretti a operare, in qualche modo sta finalmente trovando un suo bilanciamento.

Mi auguro che questo assetto non venga ulteriormente rinviato.

Per esempio, la Carta delle Autonomie compie un primo tentativo di definire, sia pure con prudenza visto che neanche la dottrina si azzarda a farlo, i cosiddetti poteri di area vasta.

Esistono degli elementi che cominciano a consentire di dare vita alla definizione di questi poteri. Che siano esercitati dalle province elette direttamente o in secondo grado oppure dalle città metropolitane, i poteri di area vasta pongono difficili questioni tecnico-giuridiche e politiche. Si tratta, infatti, di poteri di coordinamento che un tempo lo Stato nazionale rea- lizzava dentro di sé con un meccanismo verticale e che adesso vanno invece realizzati sul piano orizzontale, poiché questo è il livello al quale stiamo lavorando.

Possiamo riconoscere alcune esperienze positive. Per l’ese-

(36)

cuzione del piano strategico dell’area di Terra di Bari, per esempio, abbiamo dato vita a un’unione, ma non a un’unione di comuni in senso tecnico. Si tratta di un comitato di sindaci di trentuno città che lavorano in maniera volontaristica, si co- ordinano per loro scelta e costruiscono politiche comuni in modo molto significativo. Il presidente dell’Anci Puglia sa che questi esperimenti nella nostra regione hanno dato ottimi risultati e la regione Puglia ci sta dando una mano.

Credo però che un meccanismo nel quale trentuno sindaci sono stati capaci, senza leggi e senza particolari obblighi, di coordinarsi tra loro possa indicare che il terreno è già suffi- cientemente fertile per consentire che questi poteri di area vasta, siano essi esercitati dalle città metropolitane o dalle pro- vince, vengano definiti dalla dottrina e poi da un testo legi- slativo in modo tale da evitare una serie di ulteriori complicazioni che inevitabilmente finirebbero per aggravare il lavoro della Corte costituzionale.

Aggiungo inoltre che, probabilmente, bisognerebbe an- cora ripensare al conflitto di attribuzioni. Occorrerebbe di certo un meccanismo di filtro perché non è possibile che i co- muni adiscano la Corte costituzionale per qualsiasi piccola o grande questione, ma esistono situazioni nelle quali, per al- cune città, la mancanza del conflitto di attribuzioni davanti alla Corte costituzionale è drammatica. Ultimamente, in un conflitto durante un giudizio di ottemperanza su una proce- dura amministrativa, a noi è capitato, addirittura, di subire, da parte di un commissario ad acta, l’ordine di compiere una variante al piano regolatore, da area verde a edificabile, per costruire il palazzo di giustizia di Bari.

Non è mai accaduto in Italia. Noi non abbiamo potuto che assentire trattandosi di un commissario ad acta. In più, in violazione di tutte le norme sulla concorrenza, visto che non è mai stato emesso un bando di gara per assegnare l’appalto,

(37)

sta arrivando da parte del commissario ad acta l’ordine di fir- mare il contratto di assegnazione dell’opera pubblica a una determinata azienda, e tutto questo con il supporto del Con- siglio di Stato.

Ci è mancata non tanto la possibilità di sostenere l’aspetto tecnico-giuridico quanto di adire la Corte costituzionale per chiedere se l’effetto di tali ragionamenti giuridici del Consi- glio di Stato assolutamente legittimi, non finisse per incidere sulle attribuzioni dei comuni come, per esempio, la potestà di gestione del territorio e la potestà urbanistica.

Siccome sotto questo aspetto i casi sono numerosi, l’Anci, ancora una volta, è l’unico luogo nel quale le amministrazioni pubbliche hanno trovato quell’attenzione che probabilmente a noi oggi manca in altri luoghi. I partiti, anche il mio, si sfor- zano di dare questo sostegno. Bisogna però percorrere ancora una lunga strada per evitare che la struttura di governo dei comuni, caratteristica fondamentale del nostro Paese, venga indebolita.

L’indebolimento dei comuni italiani corrisponderebbe al- l’indebolimento del Paese.

MARIA FORTUNA INCOSTANTE, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato. Noi teniamo molto all’approvazione di questa legge. Dovremmo partire dal fatto che ogni qualvolta andiamo a toccare i meccanismi e il funzio- namento dei sistemi istituzionali del nostro Paese, lo facciamo nell’interesse della collettività, lo facciamo perché tutto di- venti più agevole e più facile nella vita dei cittadini e nella fruizione dei servizi e perché si rinsaldi il rapporto di fiducia istituzionale tra cittadini, politica e istituzioni.

Questo significa anche incidere su alcuni aspetti fonda- mentali dello sviluppo del nostro Paese. Non vi è dubbio che la modernizzazione e l’efficienza dei sistemi istituzionali siano

(38)

un grande elemento di forza affinché lo sviluppo dei territori possa essere al passo con i tempi. È su questi due punti, rap- porto tra cittadini e istituzioni e rapporto tra territorio e svi- luppo, che va fondata la riforma del sistema delle autonomie.

È stato fatto un buon lavoro, ma sorge anche un primo punto interrogativo. Quando colleghiamo questo disegno di legge a quanto si sta facendo sul piano del federalismo, sap- piamo che c’è un tentativo – esplicito, perché è scritto nel testo – di far sì che tutte le funzioni assegnate siano quelle at- tribuite attualmente dal meccanismo delle leggi e dei decreti attuativi del federalismo che rimarranno tali fino al 2014. Poi si vedrà.

Credo che si debba porre grande attenzione a questo punto perché si rischia che il lavoro definito sulla carta, rimanga marginale o risulti addirittura insignificante per i meccani- smi della vita del sistema del nostro Paese nei prossimi anni.

Questo è un primo campanello d’allarme sul quale tutti dob- biamo riflettere per far sì che ci sia un raccordo, come detto, tra la fase attuativa del federalismo e la Carta delle Autono- mie.

L’altra questione che volevo porre è quella a cui, in parti- colare, mi sono dedicata insieme ad altri colleghi e che ha trovato grande attenzione in tutta la commissione e nei rela- tori, cioè le norme che riguardano le infiltrazioni criminali e mafiose negli enti locali. Molti passi avanti sono stati fatti, ma altri ancora bisogna farne, soprattutto per quanto ri- guarda, per esempio, le aziende partecipate e collegate al co- mune o la questione dei dirigenti delle amministrazioni comunali. Occorre trovare dei meccanismi che possano spe- cificare al meglio alcuni vuoti lasciati dalle normative.

Spero che ci dedicheremo altrettanto attentamente al tema della corruzione. Stiamo esaminando in aula il relativo dise- gno di legge e alcune norme sono state stralciate proprio con

(39)

l’intenzione di portarle nella Carta delle Autonomie. So che i due relatori sono già al lavoro e credo che questo sarà un altro punto qualificante e importante per questa riforma.

Restano altri interrogativi. Non so se saremo in grado di scioglierli, ma certamente un auspicio sarebbe poter affron- tare temi come quello dell’area vasta, della provincia come istituzione, o altre suggestioni ed elementi che potrebbero essere introdotti su questo terreno anche dal punto di vista della riforma istituzionale. Credo, tuttavia, che dobbiamo in- terrogarci sui tempi perché il Paese non può aspettare sempre la soluzione di tante compatibilità e tanti problemi che esu- lano dal reale bisogno dell’organizzazione dei territori e del loro funzionamento.

Resta poi un punto molto importante, di cui ha parlato il segretario Rughetti. È un elemento di riflessione, ma anche di pratiche di comportamento politico. Dobbiamo sfuggire in ogni modo a quello che chiamerei “corporativismo istituzio- nale”. L’Italia, com’è noto, già soffre di un corporativismo so- ciale tale da impedire spesso profondi elementi di riforma.

Questo forse è uno degli elementi di arretratezza che va sfi- dato culturalmente e sul quale si deve andare avanti; dob- biamo fare altrettanto dal punto di vista istituzionale.

È giusta la linea che attribuisce ai comuni tutte le funzioni amministrative, così come è giusto riconoscere che vi sono funzioni di area vasta che vanno coordinate con altri schemi istituzionali. Allo stesso modo, esiste una funzione delle re- gioni che deve essere di programmazione e non di gestione, benché alcune regioni ancora si attardino nella gestione di- retta. Tuttavia, tale funzione deve essere ampia e piena affin- ché si possa creare una sintonia tra comuni e i più moderni strumenti istituzionali e di garanzia, allo scopo di definire collaborazioni e cooperazioni sul territorio regionale. Come recita la nostra Costituzione, dobbiamo concentrarci su coo-

(40)

perazione ed efficienza, e dobbiamo tenere presente l’idea che, anche da questo punto di vista, si deve lavorare sistemica- mente per realizzare le migliori sinergie nell’interesse dei cit- tadini e del Paese.

(41)

ANDREA PASTORE, senatore Pdl e relatore ddl “Carta delle Autonomie”. Credo che l’importanza della giornata di oggi sia testimoniata dalla presenza e dall’attenzione sia del capo dello Stato sia del presidente del Senato.

Alcuni presupposti. Le autonomie locali, alle quali ven- gono conferiti poteri molto rilevanti, risorse economiche e po- testà tributarie più o meno estese, hanno un sistema di governo adeguato? Rispondo subito di sì, ma aggiungo che tale sistema deve essere aggiornato e corretto.

Ricordo prima di tutto a me stesso che l’assetto delle au- tonomie locali risale a poco più di vent’anni fa. Prima vi era un modello completamente diverso, il quale tuttavia ha dato dei buoni risultati sul territorio. Pur con tutte le correzioni, le critiche e le obiezioni che possiamo fare, ha prodotto dei buoni risultati e dei governi stabili, certamente più efficienti e trasparenti di quanto siano stati i governi prima della ri- forma della legge 142/1990.

Nel nostro sistema furono introdotte tre questioni princi- pali: la separazione tra gli organi elettivi politici e gli organi di amministrazione; l’autonomia statutaria e regolamentare;

l’emancipazione dalla tutela statale, non completa ma molto rilevante. Subito dopo il 1990 è stata varata la nuova legge elettorale che ha previsto l’elezione diretta dei sindaci e gli strumenti istituzionali per portare avanti questo modello.

Credo che tutto sia perfettibile e che tutto vada osservato anche in relazione al nuovo assetto costituzionale, ma penso anche che il modello di governance comunale e provinciale abbia in qualche modo indotto il legislatore alla riforma del 2001.

Se avessimo avuto un sistema di autonomie non funzio- nante, inefficiente e traballante, certamente non sarebbe nato un articolo 114 che, anche se può ritenersi enfatico nella sua enunciazione, traduce ciò che viene sviluppato nel testo costi-

(42)

tuzionale e cioè l’assenza di gerarchie. La gerarchia, infatti, molto limitata e comunque emergenziale, è quella dello Stato ai sensi dell’articolo 120, mentre nell’attività amministrativa la gerarchia è addirittura rovesciata e vi è una vera e propria rivoluzione copernicana sia a livello legislativo sia a livello amministrativo.

L’attuazione della riforma costituzionale è stata realizzata, in parte, attraverso le leggi La Loggia e Buttiglione e, adesso, attraverso la legge sul federalismo fiscale. Forse – in questo sono d’accordo con chi ha parlato prima di me – sarebbe stato opportuno fare prima la riforma delle autonomie locali.

Competono certamente al parlamento la scelta e la respon- sabilità in materia di definizione delle funzioni, dei compiti amministrativi eccetera. Credo però che sia più importante – e in questo disegno di legge l’elemento è presente – indivi- duare i processi e le modalità per realizzare una serie di obiet- tivi che non possiamo cristallizzare. Proprio l’articolo 118, infatti, ci insegna e ci impone che tutto ciò che non è attri- buito ad altri enti appartiene ai comuni. È difficile immagi- nare altre funzioni oltre la lunga tabella contenuta nel disegno di legge, ma non possiamo escludere che tra qualche mese o tra qualche anno emergerà una necessità di carattere pubblico che, in base all’articolo 118, ricada in capo ai comuni.

Più che fissare in maniera rigida obiettivi e funzioni, credo che sia importante studiare i processi e soprattutto individuare le sedi dove poter calare un modello flessibile e poter evitare conflittualità, confusione, accavallamenti e gelosie di ruoli e di funzioni che altrimenti sono sempre possibili. Queste sedi esistono e sono individuate.

È un altro impegno che ci dovremo assumere. Il governo ha già licenziato un disegno di legge sulla riforma delle Confe- renze e credo che questo sia un tassello importante. Certa- mente, la sede principale per dirimere i conflitti e mediare le

Riferimenti

Documenti correlati

RIMBORSI RICEVUTI PER PERS. COMAND./FUORI RUOLO/IN CONV. circolare: "istruzioni generali e specifiche di

Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e

SFILATA DI MODA con vestiti tipici, colori ed atmosfere dei vari paesi del mondo. www.karibuscorze.it FESTA DEI POPOLI - Campi sportivi parrocchiali

In ragione della riscontrata difformità di orientamento, la Sezione di controllo per la Regione siciliana ha sospeso la pronuncia ed ha rimesso gli atti al Presidente

La questione proposta alla valutazione della Sezione di controllo riguarda la possibilità di applicazione automatica da parte dei comuni del Friuli Venezia Giulia

Credo di essere nella situazione ideale per un let- tore della " nostrc " rivista: le mie cogn'Ìzioni sono sempre qualche passo indietro agli articoli più

Ammontare interessi per mutui, prestiti obbligazionari, aperture di credito e garanzie di cui all'articolo 207 del TUEL autorizzati fino al 31/12/ esercizio

(1) - per gli enti locali l'importo annuale degli interessi sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti obbligazionari precedentemente emessi, a