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Discrimen » Il sistema penale minorile. Imputabilità, pericolosità ed esigenze educative

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(1)
(2)

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

62

(3)

minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

(4)

IL SISTEMA PENALE MINORILE

IMPUTABILITà, PERICOLOSITà ED ESIGENZE EDUCATIVE

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

(5)

ISBN/EAN 978-88-348-3594-4

Volume pubblicato con il finanziamento del Premio Giovani Ricercatori, assegnato all’Autore nel 2008 dal Senato Accademico dell’Università di Messina.

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

Composizione: La Fotocomposizione – Torino Stampa (D): Stampatre s.r.l. – Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/

fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633.

Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web www.clearedi.org.

(6)

Al mio Maestro

Giancarlo de Vero

(7)
(8)

INDICE-SOMMARIO

pag.

PREMESSA XIII

C

APITOLO

I

L’ EVOLUZIONE DEL SISTEMA PENALE MINORILE TRA ESIGENZE DI DIFFERENZIAZIONE

E GARANZIE COSTITUZIONALI

1. Alle origini del sistema penale minorile 1

2. I primi tentativi di specializzazione del giudice per i minori 10 3. Il tardivo consolidamento della giurisdizione minorile in Italia p.15 4. Il carattere afflittivo della legislazione minorile degli anni tren-

ta: a) la disciplina introdotta dal nuovo codice penale 19 5. Segue: b) i profili di disciplina sostanziale nel r.d.l. n. 1404/1934 23

6. Segue: c) le misure di prevenzione 24

7. La svolta costituzionale p.27 8. I primi interventi legislativi “costituzionalmente orientati”: a) le

misure (preventive) di rieducazione 31

9. Segue: b) la nuova formazione del giudice minorile 36 10. Il fondamentale apporto della giurisprudenza della Corte costi-

tuzionale: a) le garanzie processuali 38

11. Segue: b) gli adeguamenti della disciplina sostanziale 46 12. Gli input provenienti dalla tutela transnazionale del reo in età

minore 54

13. Le disposizioni sul processo penale a carico di imputati mino-

renni 66

14. I nuovi dubbi di legittimità costituzionale: a) l’esordio del neo-

nato procedimento penale minorile 72

14.1. Il proscioglimento per irrilevanza del fatto 73 14.2. La sospensione del processo con messa alla prova 77

14.3. Le questioni strettamente processuali 80

15. Segue: b) i persistenti deficit della disciplina sostanziale 85 16. Specificità minorile versus garanzie costituzionali 88

(9)

pag.

17. L’art. 27, commi 1 e 3, Cost.: tra personalità della responsabili-

tà penale e rimproverabilità del reo p.90 18. Segue: finalismo rieducativo e condizione minorile 97

C

APITOLO

II

LE CONDIZIONI PERSONALI DEL REO IN ETÀ MINORE

1. Considerazioni introduttive 101

Sezione I

L’IMPUTABILITÀ

2. Dal discernimento alla capacità di intendere e di volere p.103 3. Segue: la parentesi “positiva” p.111 4. Segue: la standardizzazione dell’imputabilità per adulti e minori

nel requisito indifferenziato della capacità di intendere e di volere 116 5. La vicenda evolutiva nella disciplina penalistica: il minore in-

fraquattordicenne p119

5.1. L’accertamento dell’età minore e la conclusione del proce-

dimento penale per l’infraquattordicenne p.125 6. Il reo di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni: a) la

novità della disciplina codicistica e l’inerzia ermeneutica della

giurisprudenza p.130 7. Segue: b) la maturità quale fondamento sostanziale dell’imputa-

bilità minorile p.132 8. Segue: c) la “strumentalizzazione” dell’art. 98 c.p.: tra difesa so-

ciale, protezione del minore ed esigenze di politica criminale p.138 9. La rivalutazione della disciplina de lege lata in materia d’impu-

tabilità minorilep 142

9.1. Il deficit di socializzazione e l’impulsività del minore quali limiti intrinseci della sua “rimproverabilità”: l’incapacità di comprendere la criminosità del proprio comportamento e

l’inattitudine a dominare le emozioni e le passioni p.143 9.1.1. La diversa questione della rimproverabilità per colpa p.152 9.2. Le insidie dell’accertamento processuale dell’imputabilità

minorile p.156 10. Il discutibile ritorno alla “maturità” in prospettiva de lege ferenda p.159 11. Minore età e deficit psichici non fisiologici p.161 12. Segue: i deficit psichici “non totalizzanti” del minore in età im-

putabile p. 164

(10)

pag.

Sezione II

LA PERICOLOSITÀ SOCIALE

13. Minore età e pericolosità p169

14. Segue: il ruolo precursore del sistema penale minorile nell’abo-

lizione delle forme presuntive di pericolosità 173 15. Segue: i persistenti limiti della disciplina vigente p.175 16. Segue: la differenziazione della pericolosità sociale minorile 179 17. Le proposte de lege ferenda in materia di pericolosità sociale: tra

maggiori garanzie per gli adulti e revirements per i minori p.183 18. L’opinabilità di una prognosi criminale attendibile nei riguardi del

reo in età minore p185

C

APITOLO

III

IL SISTEMA SANZIONATORIO MINORILE

1. Considerazioni introduttive 188

Sezione I

LA COMPLESSA TRAMA DI SANZIONI E “BENEFICI” PER IL MINORE IMPUTABILE

2. La diminuente della minore età e lo svilimento del suo ruolo

nella politica legislativa p.189 3. Le pene sostitutive minorili tra afflittività e educazione p.194 3.1. Le sanzioni sostitutive di recente introduzione p.201 4. Le “nuove” sanzioni penali minorili mutuate dal sistema sanzio-

natorio degli adulti p.203 5. Le ragioni di opportunità nella limitazione delle pene accesso-

rie per i minori p.206 6. Il sistema di “benefici” per il reo in età minore: a) la sospen-

sione condizionale della pena p.207 6.1. La sospensione condizionale delle sanzioni sostitutive p.212 7. Segue: b) il perdono giudiziale e i suoi rapporti con la sospen-

sione condizionale p.214 8. Segue: c) la liberazione condizionale minorile nel raffronto con

la disciplina generale p.219 9. Segue: d) la speciale riabilitazione minorile p.223

(11)

pag.

10. Segue: e) gli istituti processuali di rilevanza sostanziale: la sen-

tenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto p.227 10.1. L’irrilevanza penale del fatto tra deficit di determinatezza,

inopportunità della pretesa punitiva e teleologismo peda-

gogico del rito minorile p.231 10.1.1. La dubbia funzionalità educativa del prosciogli-

mento per irrilevanza del fatto e la sua (attuale) surrogabilità con omologhi processuali o con isti-

tuti sostanziali p.241 10.2. La sospensione del processo e messa alla prova p.245 10.2.1. Il recupero del minore tra mediazione e afflizione 249

10.2.2. Verso l’abbandono del probation minorile? p. 252

Sezione II

LE MISURE DI SICUREZZA PER IL MINORE SOCIALMENTE PERICOLOSO TRA DUBBI ERMENEUTICI E PRECARIA EFFI- CIENZA

11. Quali misure per il minore socialmente pericoloso? p.255 12. Lo snaturamento del riformatorio giudiziario e la dubbia fun-

zionalità delle sue nuove forme esecutive p.258 13. La libertà vigilata tra multiformità e limiti operativi p.261 14. La persistenza della disciplina codicistica e le ricadute applica-

tive p. 265 15. Il collocamento in comunità tra terapia e prevenzione p.269

16. La libertà vigilata quale chiave di volta della flessibilità sanzio-

natoria nel trattamento “di sicurezza” p.276 16.1. La valorizzazione della libertà vigilata quale succedaneo del-

le altre misure di sicurezza personali non detentive p.279 17. La problematica adeguatezza delle misure di sicurezza patrimo-

niali 281

C

APITOLO

IV

LA SIGNIFICATIVA RILEVANZA COMPARATISTICA DELLO JUGENDSTRAFRECHT

1. Alle origini della specializzazione del sistema penale minorile te-

desco 283

(12)

pag.

2. Il ruolo precursore dello Reichsjugendgerichtsgesetz del 1923 nella

definizione della Schuldfähigkeit 286

3. Il sistema sanzionatorio minorile introdotto nel 1923 p.290 4. Gli effetti del nazionalsocialismo sulla legislazione penale mi-

norile tedesca: lo Jugendgerichtsgesetz del 1943 292

5. Lo Jugendgerichtsgesetz del 1953 296

6. Minori e responsabilità nell’odierno sistema penale tedesco 298

7. L’imputabilità minorile 299

7.1. Segue: imputabilità e conoscibilità della norma penale 304

7.2. Segue: minorità e vizio di mente 307

8. La proiezione ulteriore dello Jugendstrafrecht: la problematica

categoria degli Heranwachsende 311

9. Il sistema di sanzioni per lo Jugendliche: a) le Erziehungsmaßregeln 319

10. Segue: b) gli Zuchtmittel 325

11. Segue: c) la Jugendstrafe 333

12. Segue: le misure di sicurezza fra trattamento terapeutico e pre-

venzione 340

C

APITOLO

V

VERSO UN NUOVO SISTEMA DI SANZIONI PER IL MINORE REO

1. La peculiare funzione della sanzione penale minorile: al di là

della rieducazione 347

2. Segue: … e della (ri)socializzazione 349

3. Le classi di età dei minori delinquenti e le relative risposte

istituzionali: a) i giovani adulti 350

4. Segue: b) la persistente opportunità dell’infanzia penale 352 5. Segue: c) la transizione verso l’età adulta 354 6. La sorte degli istituti a beneficio del reo 358 7. Quale trattamento per il minore con deficit psichici patologici? 360

INDICE BIBLIOGRAFICO 361

(13)
(14)

PREMESSA

È opinione diffusa che il sistema minorile assuma una posizione d’avanguardia nei confronti del sistema penale generale, ove non di ra- do, anche a livello comparatistico, trovano sviluppo istituti la cui pri- ma sperimentazione è stata avviata con riguardo ai minorenni. Del re- sto la stessa giurisprudenza costituzionale ha dato impulso ad inediti e talvolta “rivoluzionari” orientamenti interpretativi in seno alla discipli- na minorile, con particolare riguardo alle categorie della colpevolezza e della pericolosità sociale.

La necessità di individuare nuove strategie sanzionatorie, in una con l’esigenza di coniugare le istanze di difesa sociale con la specificità della condizione minorile, inevitabilmente catalizzano l’attenzione delle tratta- zioni scientifiche in materia sui profili sanzionatori e processuali, del re- sto oggetto di intervento privilegiato (rectius: esclusivo) dello stesso legi- slatore, sospinto dagli input provenienti dalla normativa transnazionale.

La problematica delle condizioni personali del reo in relazione alle quali il nostro ordinamento modula la reazione sanzionatoria alla commissione del fatto di reato, individuate anche per il minore nell’imputabilità e nella pericolosità sociale, è invece solitamente affrontata avuto riguardo al sog- getto in età adulta. Notevoli sono, su questo piano, i contributi che la dot- trina ha fornito nell’elaborazione delle categorie giuridiche di cui si discu- te, soprattutto avuto riguardo all’imputabilità e ai suoi rapporti con la col- pevolezza, nonché alla tematica del vizio di mente, oggetto privilegiato de- gli studi in materia.

Eppure il diritto penale dei minori offre potenzialità dogmatiche ina- spettate, che, già suggerite da un approccio costituzionalmente orientato alla funzione della sanzione penale, trovano ulteriore slancio nello studio dell’evoluzione storica dell’imputabilità minorile.

La riflessione sulla funzione assegnata dal Costituente alla pena stric-

to sensu intesa, implicando la considerazione del principio di colpevolez-

za, insinua la consapevolezza che la sanzione penale criminale può tro-

vare applicazione solo nei riguardi dei consociati in grado di comprende-

re il disvalore giuridico-sociale del fatto perpetrato, così evidenziando un

rapporto d’implicazione necessaria tra la rimproverabilità del reo e la sua

(15)

punibilità, che sembra a sua volta svelare una relazione di stretta conti- guità tra l’imputabilità e la conoscibilità della norma incriminatrice.

Del pari, l’indagine diacronica sull’imputabilità minorile, condotta senza riguardo ai confini geopolitici, rivela la risalente riflessione sui rap- porti tra responsabilità criminale e capacità di discernere la “meritevolezza di pena pubblica”, che impegnò soprattutto la dottrina e il legislatore d’Ol- tralpe con particolare riguardo proprio al sistema minorile, tributario di un ruolo avanguardistico nella disciplina della Schuldfähigkeit. Con rife- rimento all’istituto dell’imputabilità minorile il panorama delle codifica- zioni europee del XIX secolo si caratterizzò per la contrapposizione tra il modello francese e quello tedesco, che tutt’oggi dirimono le discipline na- zionali europee in materia. In proposito, l’ordinamento tedesco si distinse per la maggiore puntualità nella descrizione dell’imputabilità del minore, sottratta al generico e perciò ambiguo concetto di discernement assunto dal modello francese e connotata in senso (non più morale) ma normati- vo. L’individuazione della componente intellettiva dell’imputabilità nella capacità d’intendere l’Unrecht del fatto, oggi rintracciabile non solo nella disciplina generale della Schuldunfähigkeit tedesca, ma anche in altre co- dificazioni europee, ha incoraggiato la riflessione dogmatica sui rapporti tra imputabilità e coscienza dell’illiceità nella dottrina d’Oltralpe, renden- do il confronto con il sistema tedesco particolarmente interessante oltre che proficuo nella prospettiva de lege ferenda.

Anche il presupposto personale della pericolosità sociale, solitamente

trascurato dalla dottrina, svela un ruolo precursore del diritto penale mi-

norile, in seno al quale negli anni settanta prese avvio il processo di aboli-

zione delle forme presuntive di pericolosità. La stessa definizione del pre-

supposto, specificamente introdotta dal legislatore del 1988 per i minoren-

ni, non senza limiti e incoerenze, sembra suggerire l’adozione di taluni ac-

corgimenti nella disciplina generale dell’istituto, in modo da renderlo mag-

giormente rispondente al principio di proporzione e fondare il relativo ac-

certamento su di un giudizio prognostico dotato di maggiore concretezza

empirica. Eppure le proposte de lege ferenda in materia di pericolosità

sociale segnalano un atteggiamento ancipite del legislatore, che, a fronte di

uno sforzo teso a dare concretezza al giudizio di pericolosità nonché sod-

disfacimento al principio di proporzione nel sistema generale, sembra in-

clinare verso revirement repressivi nei riguardi del minore. Peraltro, una

più attenta considerazione della condizione minorile, inevitabilmente ca-

ratterizzata da fluidità evolutiva, svela l’inopportunità di un giudizio pro-

gnostico drasticamente negativo nei riguardi di un soggetto la cui perso-

nalità è ancora in formazione.

(16)

La scarsa considerazione per i presupposti categoriali del sistema san- zionatorio minorile ha incoraggiato modifiche puntuali della disciplina vigente al di fuori di una prospettiva di strutturazione organica del setto- re. Fra l’altro, l’intento di corrispondere all’avvertita esigenza di diversifi- care la risposta istituzionale alla delinquenza minorile ha trovato sfogo nell’impropria sede processuale, rischiando di compromettere i diritti co- stituzionalmente garantiti del giovane reo, rispetto ai quali si segnala una contrapposizione tra la specificità minorile e le garanzie costituzionali; an- tinomia non estranea alla stessa giurisprudenza della Consulta.

La mancanza di un’organica politica legislativa in materia penale mi- norile ha così ostacolato la realizzazione di un sistema sanzionatorio di- stinto, tale da costituire un reale statuto penale del minore. Di contro, solo l’assunzione di una puntuale presa di posizione sulla funzione della pena minorile può contribuire a verificare l’opportunità dell’intervento penale nei riguardi del minorenne ed (eventualmente) a individuare le modalità della sua realizzazione, di modo che la dimensione processuale, nonché quella esecutiva, costituiscano la naturale sede per sviluppare precise scel- te da effettuare in sede sostanziale, in coerenza con i principi cui esse si ispirano. In proposito la riflessione in chiave costituzionale sembra sugge- rire una diversa funzione della sanzione penale minorile, individuabile nell’educazione, di per sé non assimilabile né alla rieducazione né alla ri- socializzazione, che dovrebbe trovare soddisfazione in un appropriato com- plesso di interventi non necessariamente di carattere punitivo.

Al riguardo utili suggerimenti potrebbero venire dal confronto con al- tri ordinamenti giuridici; tuttavia, per le considerazioni già svolte, sareb- be infruttuoso e riduttivo avviare un’indagine di ampio raggio, rivolta a molteplici sistemi stranieri, ma limitata unicamente ai rispettivi profili sanzionatori. Non s’intende con ciò sottovalutare l’importanza di un’ana- lisi comparata di altri sistemi giuridici, non di rado dotati di interessanti strategie punitive nei riguardi dei minori; tuttavia è difficilmente negabile che l’ “importazione” di istituti propri di altri ordinamenti, avulsa da una più ampia riflessione sistematica che involga i presupposti personali della punibilità del reo già nel rispettivo ordinamento di provenienza, costringe a inevitabili aggiustamenti, che spesso sfociano in ibridi poco proficui quanto ai risultati e sovente forieri di insanabili contraddizioni di sistema.

Conviene allora tralasciare il confronto con ordinamenti troppo distanti dalla nostra tradizione giuridica, quali sono in particolare i sistemi di common law, e indirizzare l’analisi verso il prototipo più vicino alla no- stra esperienza.

In questo senso, nel panorama degli ordinamenti giuridici dell’Euro-

pa continentale, il sistema penale minorile tedesco si presta a costituire

un valido modello di confronto, non solo per la disciplina che lo sostan-

(17)

zia, ma anche per la riflessione dogmatica che storicamente lo ha inte- ressato.

Lo studio dell’ampio ventaglio sanzionatorio messo a punto dal legisla- tore tedesco per contrastare la delinquenza minorile segnala come talvolta dietro (apparentemente) innocue etichette inneggianti all’educazione o alla disciplina del reo si celino provvedimenti che difficilmente possono rite- nersi estranei alla pena stricto sensu intesa; mentre tutte le risposte san- zionatorie alla criminalità minorile si radicano sull’unitaria condizione di pericolosità del giovane reo, di fatto appiattendo la distinzione tra le corsie sanzionatorie messe a punto dal legislatore d’Oltralpe. Inoltre, gran parte delle misure educative previste dallo Jugendgerichtsgesetz trovano corri- spondenza nella nostra disciplina delle misure di sicurezza minorili, sug- gerendo un recupero (dei contenuti) di queste ultime in prospettiva de le- ge ferenda, sebbene sul presupposto non più della pericolosità del giovane reo, bensì delle esigenze educative da questi manifestate.

Il ripensamento dell’attuale sistema penale minorile dovrebbe poi dare adeguata risposta alla spinosa questione del trattamento da riservare al minore reo affetto da deficit psichici patologici. Si tratta di una proble- matica che, manifestatasi soprattutto a seguito della declaratoria d’inco- stituzionalità che ha investito l’art. 222 c.p. nella parte in cui prevedeva l’applicabilità dell’ospedale psichiatrico giudiziario al minorenne, solita- mente non trova adeguato approfondimento nelle trattazioni in materia penale minorile, nonostante non sia priva di risvolti pratici. In proposito, la specificità minorile suggerisce ancora una volta l’introduzione di mi- sure a carattere terapeutico peculiari, contrariamente alla tradizione giu- ridica che ha caratterizzato la nostra disciplina in materia, disinvoltamente orientata a considerare assorbente la condizione patologica rispetto a quel- la di minorità. Fra l’altro, il vuoto conseguito alla pronuncia della Con- sulta sull’art. 222 c.p. ha aperto la strada a discutibili adeguamenti inter- pretativi, che suggeriscono il collocamento in comunità (come forma esecutiva del riformatorio giudiziario) del giovane reo socialmente pe- ricoloso affetto da deficit psichici di tipo bio-patologico.

In breve: la valorizzazione dell’indagine sugli istituti dell’imputabilità

e della pericolosità sociale, mentre de lege lata può contribuire a delinea-

re un quadro organico del sistema penale minorile vigente, sembra indi-

rizzare de iure condendo verso l’introduzione di un distinto complesso

sanzionatorio per il reo in età minore, maggiormente coerente con la fun-

zione pedagogica dichiaratamente espressa dalla normativa transnazio-

nale in materia e sottesa alla stessa riflessione in chiave costituzionale

sulla funzione della pena.

(18)

C

APITOLO

I

L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA PENALE MINORILE TRA ESIGENZE DI DIFFERENZIAZIONE

E GARANZIE COSTITUZIONALI

SOMMARIO:1. Alle origini del sistema penale minorile. – 2. I primi tentativi di

specializzazione del giudice per i minori. – 3. Il tardivo consolidamento del- la giurisdizione minorile in Italia. – 4. Il carattere afflittivo della legislazione minorile degli anni trenta: a) la disciplina introdotta dal nuovo codice pena- le. – 5. Segue: b) i profili di disciplina sostanziale nel r.d.l. n. 1404/1934. – 6.

Segue: c) le misure di prevenzione. – 7. La svolta costituzionale. – 8. I primi interventi legislativi “costituzionalmente orientati”: a) le misure (preventive) di rieducazione. – 9. Segue: b) la nuova formazione del giudice minorile. – 10. Il fondamentale apporto della giurisprudenza della Corte costituzionale:

a) le garanzie processuali. – 11. Segue: b) gli adeguamenti della disciplina so- stanziale. – 12. Gli input provenienti dalla tutela transnazionale del reo in età minore. – 13. Le disposizioni sul processo penale a carico di imputati mino- renni. – 14. I nuovi dubbi di legittimità costituzionale: a) l’esordio del neona- to procedimento penale minorile. – 14.1. Il proscioglimento per irrilevanza del fatto. – 14.2. La sospensione del processo con messa alla prova. – 14.3. Le questioni strettamente processuali. – 15. Segue: b) i persistenti deficit della disciplina sostanziale. – 16. Specificità minorile versus garanzie costituziona- li. – 17. L’art. 27, commi 1 e 3, Cost.: tra personalità della responsabilità pe- nale e rimproverabilità del reo. – 18. Segue: finalismo rieducativo e condizio- ne minorile.

1. Alle origini del sistema penale minorile

Il sistema penale minorile nasce dall’esigenza di garantire al mi- nore un trattamento sanzionatorio differenziato rispetto a quello pre- visto per gli adulti e ciò in ragione della particolare condizione di im- maturità che caratterizza la minore età.

Non a caso elemento determinante ai fini della rilevanza giuridica

dell’età era, fino al tardo diritto romano, quello fisico della pubertà,

(19)

ritenuta indice di discernimento del giovane in vista della normale corrispondenza tra sviluppo fisico e sviluppo psichico

1

. Vi è di più:

l’assenza di una compiuta dimensione di razionalità nei primi anni di vita dell’uomo ha da sempre suggerito l’individuazione di una fascia d’età, nella quale fosse del tutto escluso qualsiasi intervento punitivo nei confronti del giovane reo. L’opportunità di scandire l’età minore in al- meno due periodi, uno concernente l’assoluta impunità del reo, l’altro un suo più mite trattamento sanzionatorio, influenzò le stesse parti- zioni dell’età codificate nel Corpus Juris Civilis giustinianeo, che in- dividuò ben tre distinte fasi dell’età evolutiva, in ragione delle quali il minore era (progressivamente) indicato come infans, impubes, pu- bes

2

. L’infans, cioè il minore che non avesse compiuto i sette anni, momento a partire dal quale si riteneva acquisita la capacità di parla- re

3

, era esente da pena

4

; dal compimento del settimo anno e fino alla pubertà, che era considerata raggiunta al quattordicesimo anno per i

1 Cfr. I.BAVIERA, Diritto minorile, vol. I, 3ª ed., Milano, 1976, p. 61. Già le do- dici tavole, prima codificazione del diritto romano, prevedevano per gli impuberi un trattamento meno severo: così, per il pubere che di notte avesse furtivamente sottratto i frutti nei campi coltivati era prevista la pena di morte mediante impic- cagione ad un albero sacro a Cerere; l’impubere, a scelta del pretore, veniva fusti- gato oppure condannato a pagare il danno o il doppio del danno (Tab. VIII, 9).

Una pena più mite era prevista anche per il minore responsabile di furtum mani- festum: l’autore del furtum manifestum, se libero, doveva essere fustigato e aggiu- dicato (come schiavo) al derubato; laddove si fosse trattato di uno schiavo, inve- ce, veniva fustigato ed ucciso. Diversa era la sorte per i giovani impuberi che, a giudizio del Pretore, venivano fustigati e dovevano risarcire il danno (Tab. VIII, 14). Il testo delle XII tavole può essere letto in P.F.GIRARD,F.SENN, Les lois des Romains, 7e édition par un groupe de romanistes des «Textes de droit romain», Tome II, pubblicazione curata da V. Giuffrè, Napoli, 1977, p. 40 ss. In argomento, v. C.FERRINI, Diritto penale romano, Milano, 1899, p. 130, che considera «vera pe- na» la sanzione inflitta al pubes e «correzione, avente carattere di polizia» la ver- beratio riservata all’impubes.

2 Cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciulli. Ricerche sulla imputabilità dei mi- nori nella cultura giuridica moderna, Torino, 2000, p. 11 ss.

3 Il termine in-fans letteralmente indica un soggetto che non può parlare; più specificamente, nel senso arcaico, infans era colui che non poteva «recitare compiu- tamente le formule dell’antico diritto quiritario da cui scaturivano precise conse- guenze giuridiche» (G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 11, cui si rinvia per le ulteriori considerazioni sul simbolismo del numero sette nelle età dell’uomo).

Non a caso in alcuni codici dell’Italia preunitaria la disciplina relativa alla punibilità dei minori era estesa ai sordomuti, anch’essi in-fanti: cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 92.

4 G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 13.

(20)

maschi ed al dodicesimo per le femmine

5

, la punibilità era subordi- nata alla capacitas doli ed alla forma necessariamente commissiva del reato

6

; i puberes, infine, erano considerati pienamente capaci di dolo, sebbene puniti meno severamente dei soggetti maggiori di età

7

. La con- clusione del processo evolutivo era individuata nel compimento del venticinquesimo anno

8

.

L’attenuazione delle conseguenze sanzionatorie per i soggetti in età minore si tramandò fino alle codificazioni promulgate nel XIX secolo, che, se si eccettua il Code pénal napoleonico del 1810 e pochi altri testi ispirati al modello francese, non tralasciarono mai di ga- rantire una soglia d’età al di sotto della quale fosse sancita l’impu- nità

9

. Già lo Josephinisches Strafgesetz del 1787 aveva previsto (al

5 Cfr. A.HAIMBERGER, Il diritto romano privato e puro. Con comenti relativi al- l’attuale legislazione del Regno d’Italia, e con note per l’Avv. Francesco Fulvio, Napoli, 1863, p. 36 s.; F.MACKELDEY, Corso di diritto romano. Nuova traduzione italiana per cura di Vittore Ricci sopra la 14ª edizione originale tedesca. Con un’appendice sul- la procedura civile dei romani, vol. I, Introduzione e parte generale, Milano, 1866, p. 174.

6 Generalmente, in questa fase, era esclusa la pena capitale e la stessa mutila- zione di membra, ma la pena ordinaria tornava ad avere applicazione quando il minore avesse commesso crimini atroci: cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciul- li, cit., p. 14. La considerazione dell’iniquità di un trattamento indifferenziato tra minori che da poco avessero superato l’infanzia e minori che erano invece pros- simi alla pubertà portò, nel diritto romano imperiale, ad introdurre l’ulteriore di- stinzione tra i proximi infantiae, che avendo un’età ancora prossima all’infanzia usufruivano dell’impunità, e i proximi pubertati, punibili se doli capaces: in argo- mento, v. B.PERRIN, L’apparition du «Proximus pubertati» en droit romain classi- que, in Synteleia Arangio Ruiz, vol. I, Napoli, 1964, p. 469 ss.; cfr., altresì, T.CANO- NICO, Introduzione allo studio del diritto penale, Del reato e della pena in genere, To- rino, 1866, p. 110. Furono i glossatori medievali a puntualizzare questa distinzione, indicando nei dieci anni e mezzo per i maschi e nei nove anni e mezzo per le fem- mine il discrimen tra infantiae proximi e proximi pubertati: cfr. G. PACE, Il discer- nimento dei fanciulli, cit., pp. 14-16.

7 Cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 15.

8 Cfr. A.HAIMBERGER, Il diritto romano privato e puro, cit., p. 36; F.MACKEL- DEY, Corso di diritto romano, cit., p. 174.

9 È bene precisare che il Code pénal napoleonico del 1810, la cui disciplina in materia non era molto dissimile da quella disposta dal precedente Code pénal del 1791, sebbene non disponesse l’indubbio esonero dall’applicazione della sanzione per i soggetti in giovanissima età, ne mitigava comunque il trattamento punitivo:

innanzitutto era prevista una soglia d’età, individuata nel compimento del sedice- simo anno, al di sotto della quale il minore che avesse agito senza discernimento veniva assolto; tuttavia, secondo le circostanze, poteva essere «consegnato a’ suoi parenti, o condotto in una casa di correzione, per esservi allevato e detenuto per quel numero di anni» determinato nella sentenza, e comunque non oltre il conse-

(21)

§ 5, lett. d)) l’esonero dalla responsabilità criminale degli infradodi- cenni, in quanto privi della «libera volontà»

10

. Anche il susseguente Codice penale universale austriaco, promulgato nel 1803 da Francesco II, aveva individuato una fascia d’età caratterizzata da assoluta im- punibilità

11

; analogamente può dirsi per la disciplina disposta dal co- dice penale bavarese del 1813

12

, dal successivo codice imperiale tede-

guimento del ventesimo anno (art. 66 Code pénal). Laddove, invece, si ritenesse che il minore avesse agito con discernimento, veniva applicato un trattamento punitivo meno severo rispetto a quello ordinariamente disposto per gli adulti. In proposito, degna di nota è la sostituzione della pena di morte, dei lavori forzati a vita e della deportazione con la detenzione da dieci a venti anni in una casa di correzione (art. 67 Code pénal). Il testo del Code pénal del 1810 può essere consultato in Codice penale dei delitti e delle pene pel Regno d’Italia (1811), Ristampa anastatica, con scritti di AA.VV. raccolti da S.VINCIGUERRA, Padova, 2002.

10 Lo Josephinisches Strafgesetz (Allgemeines Gesetz über Verbrechen und dersel- ben Bestrafung), promulgato dall’Imperatore Giuseppe II, teneva altresì conto del- la giovane età nella commisurazione della risposta sanzionatoria: al § 14, nel gra- vare il giudice del compito «di osservare un giusto equilibrio tra il delitto e la pe- na e di confrontar scrupolosamente a questo fine tutte le circostanze», gli impo- neva di avere riguardo «alla debolezza dell’età giovanile più portata ad essere se- dotta, e più incauta».

11 Secondo la disciplina del Codice penale universale austriaco, esteso al Regno Lombardo-Veneto a seguito della sua acquisizione all’Impero Asburgico nel 1815, il minore di età inferiore ai dieci anni era esentato da pena e rimesso alla corre- zione domestica (Codice penale universale austriaco, Parte II, Capo I, § 4); analo- ghe erano le conseguenze per i minori di età compresa tra i dieci ed i quattordici anni laddove avessero commesso taluna delle contravvenzioni di polizia previste dalla Parte II del codice (Codice penale universale austriaco, Parte II, Capo III, §§

28 e 32). Qualora, invece, questi ultimi si fossero resi responsabili di un delitto, venivano puniti come se avessero compiuto una grave trasgressione di polizia, cioè con la reclusione in un separato luogo di custodia (per un periodo che, in base alle circostanze, era determinato tra il minimo di un giorno ed il massimo di sei mesi) cui veniva congiunto il lavoro proporzionato alle forze del ragazzo e l’istruzione; la pena poteva inoltre essere «esacerbata col digiuno, col castigo cor- porale, o con duro lavoro» (Codice penale universale austriaco, Parte II, Capo III,

§§ 28-31). L’età compresa tra i quattordici ed i venti anni, infine, costituiva una

«circostanza mitigante» (Codice penale universale austriaco, Parte I, Capo IV, § 39). Tale sistema fu poi incorporato nella successiva rielaborazione del Codice austriaco del 1852: cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., pp. 39-41. Il te- sto del Codice penale universale austriaco può essere letto in Codice penale univer- sale austriaco (1803), Ristampa anastatica, con scritti di AA.VV. raccolti da S.

VINCIGUERRA, Padova, 2001.

12 Il codice bavarese del 1813, sull’elaborazione del quale non poco peso ebbe l’opera di Anselm von Feuerbach, “scusava” da ogni pena i minori di otto anni, poiché insuscettibili di imputazione della condotta penalmente rilevante sulla ba- se di un rechtswidriger Vorsatz o per colpa (artt. 119 e 120). La giovane età del reo riconosciuto imputabile, poi, costituiva una circostanza attenuante di consistenza maggiore laddove questi avesse età compresa tra gli otto ed i dodici anni (art. 98),

(22)

sco del 1871

13

, dal primo codice penale spagnolo, promulgato nel 1822

14

, dal codice portoghese del 1852

15

e dai codici dell’Italia preu-

di carattere più contenuto nel caso in cui si trattasse di un infrasedicenne (art. 99);

in ogni caso il minore di sedici anni era esonerato dalla pena di morte, dai lavori forzati e dalla reclusione a tempo indeterminato. La traduzione italiana del libro primo del codice bavarese del 1813 può leggersi in Dir. pen. XXI secolo, 2009, n. 2, p. 383 ss. Diverso fu lo spirito che animò il Codice per il Regno di Baviera del 1861, decisamente ispirato al modello francese: la nuova codificazione non prevedeva l’infanzia penale, ma subordinava la punibilità dei minori di sedici anni al presup- posto del discernimento della Strafbarkeit del fatto compiuto (art. 76). Analoga- mente alla disciplina disposta dal Code pénal ed in linea con la codificazione che lo aveva preceduto, l’infrasedicenne ritenuto “imputabile” soggiaceva comunque ad un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello ordinariamente prescritto, che, fra l’altro, lo garantiva dalla pena di morte e dalla reclusione a vita (Art. 77).

Dalla pena capitale era altresì preservato l’ultrasedicenne ancora in età minore (art. 82).

13 Lo Reichstrafgesetzbuch del 1871 includeva la giovane età del reo tra le cause di esclusione o mitigazione della pena criminale: in particolare, il § 55 escludeva la perseguibilità penale dei minori di dodici anni, pur ammettendo la possibilità di sottoporli alle opportune misure di miglioramento e sorveglianza previste dai Landesgesetze; la punibilità dei minori di età compresa tra i dodici ed i diciotto anni era invece subordinata alla sussistenza della Einsicht necessaria per ricono- scere la Strafbarkeit della propria azione, che, se carente, comportava il proscio- glimento dell’imputato e la sua rimessione alla famiglia di appartenenza o il suo collocamento in una Erziehungs- oder Besserungsanstalt (§ 56). Anche la codifica- zione tedesca riservava al minore “imputabile” un trattamento sanzionatorio me- no severo, preservandolo, fra l’altro, dalla pena di morte e dalla detenzione a vita (§ 57).

14 L’art. 23 del Código Penal del 1822 sanciva l’assoluta irresponsabilità penale del minore di sette anni, subordinando di contro la punibilità del minore di età compresa tra i sette ed i diciassette anni alla prova del discernimento e della ma- licia. Al pari delle codificazioni coeve, anche la codificazione spagnola mitigava il trattamento sanzionatorio del minore ritenuto responsabile (art. 25), sottraendo- lo comunque, oltre alla pena capitale, alle sanzioni più rigorose, fra le quali il lavo- ro perpetuo, i lavori forzati, la deportazione, l’infamia o l’esilio. Non può peraltro trascurarsi come la giovane età del reo e la sua insufficiente istruzione fossero men- zionate fra le circostanze attenuanti (art. 107): cfr. M.D.SERRANOTÁRRAGA, Legi- slación penal de menores en España. Antecedentes históricos, in AA.VV, Derecho pe- nal juvenil, a cura di C. Vázquez González, M.D. Serrano Tárraga, Madrid, 2005, p.

187 s.

15 Tale codificazione considerava non imputabili i fanciulli di età inferiore ai sette anni, mentre subordinava all’accertamento del discernimento la punibilità dei minori di età compresa tra i sette ed i quattordici anni. Ancora una volta, no- nostante la constatazione del discernimento, il giovane reo andava incontro ad un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello ordinariamente prescritto dal legislatore: cfr. C.VÁZQUEZGONZÁLEZ, Derecho juvenil europeo, Madrid, 2005, p. 301 s., cui si rinvia altresì per una sintesi degli sviluppi della legislazione porto- ghese in materia penale minorile.

(23)

nitaria

16

, con l’eccezione del Codice penale del Regno di Sardegna del

16 Il Codice per lo Regno delle Due Sicilie, del 1819, disponeva l’impunità per il minore di nove anni (art. 64); per i soggetti di età compresa tra i nove ed i quat- tordici anni, invece, la punibilità era subordinata all’accertamento del discerni- mento, ma la pena era in ogni caso più mite rispetto a quella prevista per gli adul- ti: significativa, in proposito, la sostituzione della pena capitale, della pena perpe- tua e «del quarto e del terzo grado de’ ferri» con la reclusione da espiarsi nella ca- sa di correzione (art. 65). Peraltro l’assenza di discernimento, nel caso di misfatto o delitto, comportava l’affidamento dei minori ai parenti con l’obbligo di riedu- carli o l’invio in luogo pubblico «da stabilirsi dal Governo, per esservi ritenuti ed educati» per un periodo comunque non eccedente il conseguimento della maggio- re età (art. 64). Più mite era poi il trattamento del soggetto di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, che, fra l’altro, poteva subire la pena capitale solo se responsabile di parricidio e sempre che avesse compiuto i sedici anni (art. 66).

Per il testo del Codice per lo Regno delle Due Sicilie vedi Codice per lo Regno delle Due Sicilie (1819), Parte seconda, Leggi penali, (Ristampa anastatica), Padova, 1996.

Per una breve sintesi delle origini, della struttura e dei contenuti del codice napo- letano del 1819, v. A.M.STILE, Il codice penale del 1819 per lo Regno delle Due Sici- lie, in AA.VV, Diritto penale dell’Ottocento, I codici preunitari e il codice Zanardelli, Studi coordinati da S. Vinciguerra, Padova, 1993, p. 183 ss.

Il Codice penale pel Granducato di Toscana del 1853, ispirato in larga misura al Codice penale del Granducato di Baden del 1845, stabilì una più elevata soglia di impunità, fissando nel compimento del dodicesimo anno d’età il momento a par- tire dal quale il minore avrebbe potuto essere punito. Al di sotto dei dodici anni gli illeciti penali erano considerati appartenenti «alla disciplina domestica» e al più, nei casi di maggiore gravità, rimessi ai provvedimenti delle autorità di polizia amministrativa (art. 36). Nel biennio compreso tra i dodici ed quattordici anni di età, invece, la punibilità era subordinata all’accertamento del discernimento (art.

37): in assenza di tale elemento il minore andava assolto, ma veniva ordinato che i parenti vigilassero sulla sua condotta; nei casi più gravi, però, ne era disposto il collocamento in una casa di correzione per un periodo non eccedente i tre anni (art. 37, § 2). Laddove, viceversa, l’accertamento del discernimento avesse avuto esito positivo, le conseguenze sanzionatorie sarebbero state più miti (art. 37, § 3).

Peraltro, secondo quanto disposto dall’art. 13, § 1 del Regolamento di polizia puni- tiva pel Granducato di Toscana del 1853, la pena non avrebbe potuto eccedere il terzo di quella che sarebbe stata inferta al maggiore. Anche il Codice penale pel Granducato di Toscana prevedeva un’ulteriore fascia d’età compresa tra i quattor- dici ed i diciotto anni in cui, pur non essendo possibile escludere il discernimen- to per ragioni di età, era prescritto un trattamento sanzionatorio meno severo ri- spetto a quello previsto per gli adulti (art. 38), con le ulteriori limitazioni sancite per effetto della disciplina del già citato Regolamento di polizia punitiva, che al- l’art. 13, § 2, stabiliva l’impossibilità di infliggere una pena inferiore al terzo o su- periore ai due terzi di quella che sarebbe stata inferta al maggiorenne. Erano in ogni caso escluse tanto la pena di morte quanto l’ergastolo. Sia il testo del Codice penale toscano, sia quello del Regolamento di polizia punitiva, possono essere letti in Codice penale pel Granducato di Toscana (1853), Ristampa anastatica, Padova, 1995.

Il Codice penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla del 1820 sanciva nel compimento del decimo anno d’età il momento a partire dal quale il minore era

(24)

1839 e della successiva codificazione degli Stati Sardi del 1859, for-

punibile (art. 62): più precisamente, se il minore di età compresa tra i dieci ed i quindici anni aveva agito senza discernimento, era assolto e consegnato ai suoi parenti, ma, ad «arbitrio del tribunale», poteva essere rinchiuso in una casa di correzione per un periodo compreso tra i tre mesi ed i cinque anni (art. 64); lad- dove, invece, l’infraquindicenne avesse agito con discernimento, veniva punito, ma in modo più mite rispetto a quanto previsto per i soggetti di età maggiore. In tal caso, infatti, la pena non solo veniva ridotta sotto il profilo temporale, ma ve- niva eseguita nella forma del collocamento nella casa di correzione (artt. 65 e 66).

Infine, i minori di età compresa tra i quindici ed i diciotto anni erano puniti più gravemente degli infraquindicenni che avessero agito con discernimento, ma me- no severamente rispetto agli adulti (art. 67). Anche questa codificazione escludeva in ogni caso i minorenni dalla pena capitale, ed erano parimenti esclusi i lavori forzati a vita. Per il testo di questo codice vedi Codice penale per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla (1820), (Ristampa anastatica), Padova, 1991. Sulla genesi e sulle caratteristiche del codice penale parmense v., altresì, A.CADOPPI, Il codice pe- nale parmense del 1820, in AA.VV., Diritto penale dell’Ottocento, cit., p. 196 ss.

Non molto dissimile era la disciplina disposta dal Codice criminale per gli Stati Estensi del 1855, che prevedeva però un’ulteriore fascia concernente i giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventuno anni: era infatti sancita la non imputabili- tà criminale per i minori di dieci anni (art. 57); per converso i soggetti di età com- presa tra i quattordici ed i diciotto anni non erano esentati da pena, ma venivano sanzionati meno gravemente rispetto a quanto previsto per gli adulti; ed un trat- tamento punitivo meno severo era sancito anche per i giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventuno anni; la punibilità dei minori degli anni quattordici e mag- giori degli anni dieci, invece, era subordinata all’accertamento del discernimento, il cui esito positivo comportava l’applicazione di una pena più mite rispetto a quella prevista per i soggetti appartenenti alla fascia superiore d’età. Al minore in- fraquattordicenne che avesse agito senza discernimento, viceversa, non poteva es- sere applicata alcuna pena; tuttavia i giudici ordinavano che questi venisse «con- segnato a’ suoi parenti facendo loro promettere di bene educarlo e di invigilare sulla sua condotta»; laddove lo avessero richiesto le circostanze, poi, era in facol- tà dei giudici ordinare che il minore fosse «custodito in una delle Case di corre- zione per un tempo maggiore o minore secondo la età di lui, e la natura del delitto», senza che però il provvedimento potesse continuare a trovare applicazione dopo il compimento del diciottesimo anno di età: cfr. G. PACE, Il discernimento dei fan- ciulli, cit., p. 91. Per un’efficace sintesi sulle origini del codice criminale estense e sulle sue principali caratteristiche, v. A.MARTINI, Il codice criminale estense del 1855, in AA.VV., Diritto penale dell’Ottocento, cit., p. 300 ss.

Anche il Regolamento penale Gregoriano del 1832 individuava nel compimento del decimo anno l’età punibile, prevedendo comunque un trattamento sanziona- torio più mite per i soggetti ultradecenni ma non ancora maggiorenni. L’art. 27 di tale codificazione, infatti, stabiliva la pena applicabile al minore in ragione dell’ap- partenenza di quest’ultimo ad una delle tre fasce in cui era scandita la minore età:

il minore di età compresa tra i dieci ed i quindici anni poteva essere punito con la detenzione da due mesi a tre anni; il giovane ultraquindicenne, ma minore di di- ciotto anni, era invece punito con la «detenzione temporanea minore di due gradi rispetto alla pena dovuta al delitto»; infine, laddove il reo avesse compiuto i di- ciotto anni ma non ancora i venti, era punito con «pena minore di un grado». Degna di nota è la differenziazione, anche in questa codificazione, delle modalità esecu-

(25)

temente influenzati dal modello francese

17

.

La necessità di riconoscere un’infanzia penale fu avvertita in mo- do così pregnante nell’Italia della seconda metà del XIX secolo, che la materia della punibilità dei minori costituì uno dei punti controversi che ostacolarono l’unificazione penale sotto l’egida del codice sardo

tive della sanzione, essendo espressamente previsto che la pena venisse espiata nel- la «Casa Correzionale» fino ai venti anni, compiuti i quali il reo veniva trasferito «in un luogo di detenzione fino alla totale espiazione» (art. 28). Il testo del Regola- mento penale Gregoriano può leggersi in I regolamenti penali di Papa Gregorio XVI per lo Stato Pontificio (1832), Ristampa anastatica, con scritti di AA.VV. raccolti da S.VINCIGUERRA, Padova, 2000. Sulla riconduzione della minore età allo «sche- ma eterogeneo delle cause di esclusione o di attenuazione della responsabilità pe- nale» nel Regolamento penale gregoriano, v. L.FIORAVANTI, Il Regolamento penale gregoriano, in AA.VV., Diritto penale dell’Ottocento, cit., p. 290.

17 Il Codice penale del Regno di Sardegna del 1839, al pari dei codici francesi, non prevedeva una soglia di età al di sotto della quale fosse disposta incondizio- natamente la non punibilità del minore: era infatti stabilito che l’infraquattordi- cenne venisse esentato da pena solo laddove fosse accertato che avesse agito sen- za discernimento; in caso «di crimine o di delitto», però, il minore era «consegna- to a’ suoi parenti, facendo loro passare sottomissione di bene educarlo, e di invi- gilare sulla sua condotta sotto pena dei danni». Tuttavia, laddove lo avessero ri- chiesto le circostanze, poteva essere ordinato che il minore venisse «custodito nel- l’ergastolo per un tempo maggiore o minore secondo l’età di lui e la natura del rea- to», senza che però tale periodo potesse eccedere il compimento del diciottesimo anno d’età dell’imputato (art. 93). L’ergastolo consisteva in una «casa di correzio- ne» al pari di quella in cui veniva scontata la pena del carcere, ma separata da que- st’ultima «e specialmente destinata pei delinquenti di tenera età o di tenue discer- nimento» (art. 28). Nessuna esenzione da pena era prevista, invece, per il minore degli anni quattordici che avesse agito con discernimento; tuttavia il trattamento sanzionatorio era più mite rispetto a quello degli adulti. Altrettanto dicasi per il soggetto di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni, per il quale la giovane età non poteva incidere sull’an della pena ma solo sulla sua specie e durata. L’età inferiore ai diciotto anni garantiva i minori dall’inflizione della pena capitale. Per i giovani di età compresa tra i diciotto ed i ventuno anni, infine, era prevista la

«diminuzione di un solo grado» delle pene ordinarie, con l’eccezione di alcuni gra- vi crimini tra cui il parricidio (art. 96). Per il testo del Codice sardo del 1839 si veda Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna (1839), (Ristampa anastatica), Padova, 1993.

Del tutto simile era la disciplina prevista dagli artt. 87 a 91 del Codice penale per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna del 1859.

Fra le codificazioni europee influenzate dal modello francese possono altresì menzionarsi, oltre il codice bavarese del 1861 cit. in nota 12, il codice penale per gli Stati prussiani del 1851 ed il codice belga del 1867: entrambi subordinavano la pu- nibilità dell’infrasedicenne alla constatazione del discernimento del reo (§ 42 codice prussiano e art. 72 codice belga) e mitigavano il relativo trattamento sanzionatorio in caso di esito positivo dell’accertamento (§ 43 codice prussiano e artt. 73 a 75 co- dice belga), precludendo, fra l’altro, la possibilità di infliggere la pena capitale o la detenzione a vita.

(26)

del 1859, decisamente più arretrato sul piano delle garanzie penali minorili

18

: unificazione che si ebbe solo nel 1889 con il codice Zanar- delli

19

. Il codice del 1889, di stampo indubbiamente liberale

20

, risolse definitivamente la controversia sull’opportunità di un’infanzia pena- le, sancendo nel compimento del nono anno il momento a partire dal quale il minore avrebbe potuto essere punito

21

. Venne inoltre in- dividuata un fascia d’età, compresa tra i nove ed i quattordici anni, in cui il trattamento sanzionatorio del minore, comunque più bene- volo di quello disposto per gli adulti, era subordinato alla sussisten- za del discernimento del reo al momento del fatto

22

. Dal quattordice-

18 Cfr. G. PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 97.

19 Dalla proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta nel 1861, fino alla promul- gazione del codice Zanardelli, coesistettero in Italia ben tre distinte codificazioni penali: nonostante l’unificazione avesse determinato l’estensione a tutti i territori annessi del codice penale sardo del 1859, in Toscana continuò ad avere vigore il codice granducale del 1853; mentre nell’ex Regno delle Due Sicilie il codice sardo entrò in vigore con le modificazioni introdotte per le province napoletane da un decreto luogotenenziale del 1861, tra le quali spiccava la previsione di un’età di im- punibilità estesa fino ai nove anni, analogamente a quanto disposto dall’abrogato codice borbonico del 1819 (v. supra, nota 16): cfr. G. PACE, Il discernimento dei fan- ciulli, cit., p. 98. Per una breve sintesi delle ragioni che sconsigliarono la completa unificazione penale dell’Italia nei primi anni del Regno, cfr. T.PADOVANI, Diritto pe- nale, 10ª ed., Milano, 2012, p. 6.

20 Significative sono l’abolizione della pena di morte, l’introduzione di misure sostitutive delle pene detentive di breve durata – quali la riprensione giudiziale, gli arresti domiciliari, la prestazione di opera in lavori di pubblica utilità – e la previ- sione della liberazione condizionale per le pene detentive di media e lunga durata:

cfr. T.PADOVANI, Diritto penale, cit., p. 6.

21 L’art. 53 del codice Zanardelli, dopo aver disposto l’impossibilità di “proce- dere” contro il minore di nove anni, prevedeva al secondo comma che, qualora il fatto commesso fosse previsto dalla legge come delitto punito con «l’ergastolo o la reclusione, ovvero la detenzione non inferiore ad un anno, il presidente del tribu- nale civile, sulla richiesta del pubblico ministero», potesse ordinare «con provve- dimento revocabile» che il minore fosse «rinchiuso in un istituto di educazione e di correzione», per un periodo non eccedente la maggiore età; era anche prevista la possibilità di «ingiungere ai genitori», o a coloro che avessero l’«obbligo di provvedere all’educazione del minore, di vigilare sulla condotta di lui, sotto pena, in caso d’inosservanza» ed ove il minore avesse commesso un delitto qualsiasi,

«di un’ammenda sino a lire duemila».

22 V. art. 54 del codice Zanardelli, ai sensi del quale, fra l’altro, le misure previ- ste per il minore di nove anni (v. nota precedente) potevano trovare applicazione anche nei riguardi dell’infraquattordicenne che avesse agito senza discernimento, sempre che il fatto commesso rientrasse fra quelli indicati. La disposizione appe- na citata prevedeva altresì una differenziazione del trattamento penitenziario per il minore di quattordici anni al momento del fatto e infradiciottenne al momento della condanna, che avesse agito con discernimento, poiché questi doveva sconta-

(27)

simo anno fino al ventunesimo, momento in cui fu fissato il raggiun- gimento della maggiore età penale, nessuna rilevanza aveva la mino- re età ai fini dell’esclusione dell’imputabilità del reo; tuttavia il trat- tamento punitivo era in misura maggiore o minore più mite di quello previsto per gli adulti a seconda che il giovane fosse infra o ultradi- ciottenne

23

.

2. I primi tentativi di specializzazione del giudice per i minori

Il dilagare della delinquenza giovanile, che all’esordio del XX secolo iniziò ad assumere dimensioni allarmanti

24

, portò ad una nuova con- siderazione della disciplina penale minorile, soprattutto con riferimen- to alla necessità di una sua specializzazione. Erano gli anni dell’avven- to del positivismo criminologico, che non poca incidenza ebbe sull’ela- borazione del sistema sanzionatorio destinato a caratterizzare la succes- siva codificazione del 1930. Il minore deviante, ritenuto determinato al male ed alla delinquenza, è visto come soggetto socialmente pericoloso.

Viene individuata una molteplicità di fattori e di componenti in grado di spingere il giovane al delitto ed alla vita criminale: non solo i tra- scorsi familiari, come l’alcoolismo e la delinquenza dei genitori, sono ritenuti in grado di incidere sulla devianza del minore attraverso la tra- smissione ereditaria, ma anche le condizioni di indigenza, l’emargina- zione sociale e le carenze morali dovute alla educazione insufficiente o del tutto assente vengono individuate come cause della devianza

25

.

re la pena restrittiva della libertà personale in una casa di correzione. In ogni ca- so era preclusa la possibilità di applicargli «l’interdizione dai pubblici ufficii e la sottoposizione alla vigilanza speciale dell’Autorità di pubblica sicurezza».

23 V., rispettivamente, l’art. 55 e l’art. 56 del codice Zanardelli. Anche per i mi- nori di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni era prevista una differen- ziazione del trattamento penitenziario, sia pure rimessa alla discrezionalità del giudice: qualora il minore non avesse ancora compiuto i diciotto anni al momen- to della condanna, questi poteva ordinare che la pena restrittiva della libertà per- sonale fosse scontata in una casa di correzione. Inoltre, ancora una volta era pre- clusa la possibilità di applicare «l’interdizione dai pubblici ufficii e la sottoposi- zione alla vigilanza speciale dell’Autorità di pubblica sicurezza» ai minori infradi- ciottenni al momento della condanna.

24 Cfr. S.LARIZZA, Il diritto penale dei minori. Evoluzione e rischi di involuzione, Padova, 2005, p. 11 e, in particolare, nota 21.

25 Cfr., fra gli altri, L.ORDINE, Cause della delinquenza dei minorenni. Il giudice per l’infanzia, in Riv. pen., 1910, p. 98 ss.

(28)

Proprio il riconoscimento del radicamento della criminalità mi- norile in un complesso contesto di fattori sociali indusse l’allora mi- nistro guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando ad emanare, nel 1908, una circolare indirizzata agli operatori giudiziari e volta all’adozione di alcune misure che, nell’attesa di una nuova e più articolata disci- plina della materia minorile, avrebbero costituito un primo ausilio per contrastare l’emergenza in atto. Non solo si sollecitavano i tribu- nali in cui vi fosse più di un giudice istruttore addetto ai processi pe- nali a “specializzarne” uno per i procedimenti contro i minori, ma si raccomandava che le cause penali contro imputati minorenni fosse- ro trattate «tutte e sempre» dai medesimi giudici, in modo da creare una sorta di competenza in materia minorile

26

. Si assiste dunque, per la prima volta, ad un tentativo di specializzazione del giudice per i minori, sia pure sul piano induttivo della prassi. Le carenze di organi- co ostacolarono il buon successo della circolare Orlando, mentre ve- niva avviato il progetto di un Codice dei minorenni destinato a non avere seguito

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.

26 Fra le altre indicazioni, vi era l’invito volto agli inquirenti a svolgere partico- lari indagini su elementi quali, ad es., la famiglia del minore, l’ambiente di vita di questi e le compagnie frequentate, in modo da conoscere la personalità del delin- quente ed individuare le cause che lo avevano spinto al delitto; tali acquisizioni avrebbero messo il giudice in condizione di valutare la responsabilità del minore e di determinare in concreto la pena da applicare. Inoltre si prescriveva di evitare l’assistenza di bambini ed adolescenti ai dibattimenti penali onde sottrarli ad even- tuali effetti criminogeni. Infine si raccomandava la collaborazione dei magistrati con le Società di Patronato al fine non solo di recuperare i giovani delinquenti, ma di prevenirne la devianza. Sul punto, cfr. I. BAVIERA,Diritto minorile, vol. I, cit., p. 172 s.; D.IZZO, Il trattamento dei minorenni delinquenti dalla circolare Orlando al Progetto Ferri (1908-1921), in Rass. Studi penit., 1957, p. 145 ss.; M. PISANI, Il tribu- nale per i minorenni in Italia (genesi e sviluppi normativi), in Indice pen., 1972, p. 232 ss. Le Società di Patronato sorsero spontaneamente con lo scopo di aiutare i minori a non incorrere nella revoca del beneficio della condanna condizionale. Tale istituto, introdotto dalla l. 26 giugno 1904, n. 267 (c.d. legge Ronchetti), aveva una maggiore operatività per i minori, le donne e gli ultrasettantenni, essendo esteso ad un anno il limite di pena, ordinariamente fissato in sei mesi, entro il quale il benefi- cio poteva trovare applicazione per tali soggetti: cfr. G.PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 155 s.; M.PISANI, Il tribunale per i minorenni, cit., p. 232 s. Sulla di- sciplina dell’istituto della condanna condizionale, antesignano dell’attuale sospen- sione condizionale della pena, v. A.L. VERGINE, voce Sospensione condizionale della pena, in Dig. disc. pen., vol. XIII, Torino, 1997, p. 447 s. Il testo della circolare Or- lando può essere letto in Riv. pen., 1908, p. 692 ss.

27 Il Progetto, che prese nome dal presidente della commissione incaricata, il senatore Oronzo Quarta, fu avviato nel 1912, ma non fu mai presentato alle Ca- mere legislative. Esso, pur prevedendo l’istituzione di un magistrato circondariale (in ogni sede di Tribunale) con apposita competenza per i processi contro gli in-

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Nel primo dopoguerra, la questione minorile tornò ad interessare il dibattito penalistico ed ancora una volta con riguardo ai profili so- stanziali della disciplina: si lavorava al nuovo codice penale, che ebbe una prima concretizzazione nel Progetto Ferri, poi accantonato per le vicende politiche che negli anni successivi portarono all’instaurazio- ne del regime fascista. Come è noto, questo Progetto costituì il tenta- tivo di applicazione politico-legislativa delle elaborazioni maturate in seno alla Scuola Positiva; elaborazioni che non potevano non trovare nella materia minorile un’occasione privilegiata di attuazione dei prin- cipi sviluppati sui temi della responsabilità, della pericolosità del reo e delle relative conseguenze sanzionatorie. Il “tipo” di delinquente di- viene determinante anche ai fini della partizione della disciplina al- l’interno del codice: prova ne è l’inserimento delle norme concernenti i minori in un apposito capo, il sesto (Dei delinquenti minorenni), com- preso nel Titolo (secondo) del Delinquente

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. Naturalmente, l’indivi- duazione di fattori sociali alle origini della delinquenza minorile sol- lecitava precise prese di posizione sul tipo di trattamento sanzionato- rio da riservare al minore e, prima ancora, sulla stessa opportunità di un intervento penale avverso il giovane autore di reato, vittima del- l’abbandono morale e materiale dell’infanzia

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. Viene dunque esaltato

frasedicenni, lasciava al magistrato dei minorenni la facoltà di rimetterli al giudi- ce ordinario, laddove si fosse trattato di imputati di età compresa tra i quattordici ed i sedici anni. La competenza della giurisdizione minorile, fra l’altro, era limita- ta ai reati più lievi. Cfr.I.BAVIERA,Diritto minorile, vol. I, cit., p. 174 ss.; cfr. anche G.PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 156 s. e letteratura ivi citata. Alcuni passi della Relazione che accompagnava il Progetto Quarta possono essere letti in G.NOVELLI, Note illustrative del regio decreto 20 luglio 1934, XII, n. 1404 su l’isti- tuzione e funzionamento del Tribunale per i minorenni, in Riv. dir. penit., 1934, p.

805 ss., nota 1.

28 Assai proficua risulta la lettura delle disposizioni del Progetto dedicate ai de- linquenti minorenni (art. 34-38), per le quali si rinvia a G.PACE, Il discernimento dei fanciulli, cit., p. 159 s., nota 55. Il testo integrale del Progetto preliminare di codice penale italiano per i delitti può leggersi in E.FERRI, Principii di diritto cri- minale. Delinquente e delitto nella scienza, legislazione, giurisprudenza in ordine al Codice penale vigente – Progetto 1921 – Progetto 1927, Torino, 1928, p. 602 ss.

29 Come può leggersi nella Relazione con cui Enrico Ferri illustrava il Proget- to, l’articolato distingueva «le diverse categorie di minorenni delinquenti secondo la loro personalità più o meno pericolosa e correggibile. I limiti di età e la diversa gravità del delitto commesso» concorrevano «naturalmente per questa distinzione come criteri complementari». I delinquenti minorenni venivano quindi classifica- ti in: 1) non moralmente abbandonati; 2) moralmente abbandonati; 3) moralmen- te pervertiti; 4) con tendenza persistente al delitto; 5) infermi di mente. La parte della Relazione che accompagnava il Progetto Ferri relativa ai delinquenti mino- renni può leggersi altresì in G.NOVELLI, Note illustrative del regio decreto 20 luglio 1934, cit., p. 808 ss., nota 1.

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