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CONCILIAZIONE OBBLIGATORIA IN SANITÀ.

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CONCILIAZIONE OBBLIGATORIA IN SANITÀ.

CONSIDERAZIONI

F. Pelosi

*

RATIO

Lo scopo del d.lgs. 28/10 è duplice:

 Da un lato si è inteso dettare una disciplina unitaria rispetto alle forme di mediazione già presenti, disciplinate da leggi settoriali dallo stesso legislatore (in ambito bancario, societario, telecomunicazione ecc.)

 Dall’altro, il decreto legislativo persegue lo scopo di promuovere forme di risoluzione delle controversie alternative a quella giudiziale sulla falsariga degli adr di origine anglosassone.

La scelta del legislatore, peraltro, si muove in un’ottica non (solo) di offerta di un nuovo servizio ai cittadini, ma persegue un altro evidente scopo: ridurre il carico dei Tribunali civili.

Ciò è evidente dall’analisi delle norme che seguono: non solo, infatti, la mediazione è obbligatoria, ma diverse norme “puniscono” chi “non prende sul serio” la mediazione o non partecipando (impedendo così la possibile conciliazione) oppure rifiutando una proposta poi confermata nel giudizio successivamente instaurato.

* Magistrato, Tribunale La Spezia

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LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA (ART. 5)

Il previo svolgimento della procedura di conciliazione opera come condizione di procedibilità del giudizio civile nelle materie di cui all’art. 5. Si tratta di un’elencazione tassativa. Tra queste figura anche la responsabilità medica. Il legislatore ha scelto questo settore in quanto si tratta di una materia che trae origine da rapporti conflittuali rispetto ai quali è particolarmente più fertile il terreno della composizione stragiudiziale della lite.

Si evidenzia la contraddittorietà di una simile ratio: se il rapporto è conflittuale, a maggior ragione la composizione stragiudiziale della lite risulta estremamente difficile e, quindi, può tradursi in una perdita di tempo.

Si discute se il tentativo obbligatorio di conciliazione sia necessario anche per la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, oppure per l’ipotesi di chiamata di terzo o ancora per l’ipotesi in cui vi siano più contraddittori, come nel caso di litisconsorzio necessario.

Può, infatti, capitare che chi viene citato in giudizio formuli a sua volta una domanda, oppure si pensi all’ipotesi in cui il paziente lamenti un errore medico e chieda il risarcimento del danno nei confronti del medico curante.

Viene svolta la mediazione che, però, non porta alla conciliazione delle parti.

Il paziente allora cita in giudizio il medico curante, il quale, davanti al Giudice chiama in giudizio la propria compagnia assicuratrice e un collega che lo ha assistito.

In questo caso dovrà essere ripetuta la mediazione coinvolgendo i soggetti che non hanno partecipato al primo intervento del mediatore, con la conseguenza che il

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Sul punto, si sono confrontati due orientamenti.

Alcuni escludono la necessità di esperire la mediazione, sul presupposto che una conclusione opposta dilata notevolmente i tempi del processo ponendosi in contrasto con la ragionevole durata del processo stesso. Potrebbe, infatti, determinarsi una pluralità di stop and go del processo.

Altri, invece, sostengono che non c’è ragione di differenziare la posizione dell’attore rispetto a quella delle altre parti e che la norma parla di condizione di procedibilità della domanda e non del processo: ne discende che ogni domanda introdotta nel giudizio è procedibile solo se viene previamente esperito il procedimento di mediazione. Inoltre, potrebbe non porsi un problema di ragionevole durata del processo, in quanto la mediazione potrebbe portare alla conciliazione.

Considerazioni analoghe valgono per la domanda riconvenzionale.

CONSEGUENZE DEL MANCATO PREVIO SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE

Il mancato esperimento del procedimento di mediazione comporta l’improcedibilità dell’azione proposta che, quindi, difetta di un presupposto processuale. Il Giudice, quindi, non sospende il giudizio, che però, non può andare avanti; il decreto legislativo prevede, quindi, che questi fissi un termine non superiore a 15 gg per esperire il tentativo di mediazione e poi rinvii alla successiva udienza che verrà fissata alla presumibile conclusione del procedimento di mediazione che non può avere una durata

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superiore a 4 mesi (come si desume dall’art. 6) e quindi, fisserà l'udienza a non prima di 4 mesi e 15 gg.

Che succede se fissato il termine di 15 gg per la presentazione dell’istanza di mediazione questa non viene proposta? Nulla viene detto dal legislatore; tuttavia un’interpretazione sistematica porta a ritenere che il processo dovrà arrestarsi con una sentenza che accerti l’improcedibilità del giudizio che non potrà, quindi, arrivare ad una pronuncia di merito. E’ vero che il termine di 15 gg. non è indicato come perentorio.

Tuttavia, l’alternativa sarebbe quella di concedere un nuovo rinvio; il rischio è che, ove nessuna parte si attivi, ci si esponga al rischio di un’infinita serie di rinvii in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo che gode di tutela costituzionale.

L’improcedibilità deve essere eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio non oltre la prima udienza ex art. 183 c.p.c. Dopo non potrà più essere rilevata, neppure in sede di impugnazione. Al più, si è sostenuto, il Giudice di appello potrebbe invitare le parti alla mediazione ex art. 5 co 2. Prima udienza è non quella temporale ma, nel caso di rinvio, quella in cui si esauriscono le attività proprie dell’udienza ex art. 183 c.p.c.

PROBLEMI DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE

La previsione di una condizione di procedibilità obbligatoria da parte dell'art 5 non sembra porsi in contrasto con l’art 24 Cost.: infatti, la Corte costituzionale in diverse occasioni ha sostenuto che l’art 24 Cost è compatibile con la previsione di obbligatori tentativi di conciliazione in quanto questi non pregiudichino l’accesso alla tutela giurisdizionale ma si limitino a differire la relativa azione (Corte Cost. 51/09; 436/06;

276/00, 233/96; 56/95, 360/94, 40/93, 82/92, 15/91, 470/90 234/74, 97/73).

Anche la Corte di Giustizia europea ha riconosciuto la legittimità della previsione di un tentativo di conciliazione precisando che nel caso di introduzione di una procedura di

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dei ricorsi giurisdizionali, occorre che essa sia compatibile con il diritto a una tutela giurisdizionale effettiva. A tal fine, occorre che le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell'Unione non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (principio di effettività (Corte Giustizia Ce in Guida al diritto 14/10, pag. 16 e ss.). Diverso sarebbe, invece, il caso in cui vi fosse un differimento sine die. Nessun contrasto neppure con l’art 3 Cost ove si consideri la ragionevolezza della previsione in esame che comunque contiene entro convenienti limiti di tempo la durata dell’esperimento del tentativo di conciliazione e che consente di accedere alla tutela cautelare.

E’ stato, invece, sostenuto che sarebbe incostituzionale la scelta del legislatore di prevedere degli oneri economici obbligatori come condizione per potere avere accesso ad una tutela giudiziaria (pagamento delle indennità ai mediatori ed ai collaboratori), poiché l’art. 24 cost. esclude che l’accesso al giudice possa essere subordinato al pagamento di una somma di denaro. Gli unici oneri economici che possono essere imposto, quindi, sono il contributo unificato o comunque quegli esborsi razionalmente collegati alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo di assicurare al processo uno svolgimento meglio conforme alla sua funzione (Corte Cost. 114/04).

MANCATA PARTECIPAZIONE ALLA MEDIAZIONE (ART. 8)

Va ricordato che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento possono essere dedotti argomenti di prova a sfavore dell’assente.

La conseguenza appare eccessiva: è principio ripetutamente affermato che la mancata partecipazione al processo non comporta conseguenze sul piano probatorio a carico di

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colui che decide di non costituirsi innanzi al Giudice. Da ciò si deduce che il legislatore considera più grave la mancata partecipazione alla mediazione rispetto alla mancata partecipazione al processo. Una scelta difficilmente giustificabile sul piano della razionalità giuridica. A ciò deve aggiungersi che la norma si pone in contrasto con l’art 116 c.p.c. che, invece, dà rilievo unicamente ai comportamenti processuali delle parte per trarne argomenti di prova. La norma, inoltre, pone problemi di legittimità costituzionale, per difetto di delega ex art. 77 Cost. non essendo stata prevista nella legge delega. Cosa si intende per argomento di prova?

Si tratta di una categoria i cui confini ed i cui effetti non sono ben definiti. In generale, si tratta di un elemento che il Giudice deve considerare ai fini della decisione, purchè adeguatamente supportato da altri elementi di prova, mentre dovrebbe escludersi che questo da solo sia sufficiente a fondare l’impianto motivazionale della sentenza (Cass.

10650/08; in senso contrario, tuttavia, si veda Cass. 10268/02). Il Giudice, quindi, non può dar torto alla parte che non ha partecipato alla mediazione fondando la sua decisione solo ed esclusivamente su tale assenza. Tale circostanza, invece, potrà essere rilevata purché supportata da altri elementi.

LA DISCIPLINA DELLE SPESE DI LITE (ART. 13)

Bisogna fare 2 premesse.

Una volta pronunciata la sentenza, il Giudice deve anche decidere chi dovrà sostenere le spese legali patite. La regola generale è che queste devono essere addossate integralmente a carico della parte soccombente, salvo in casi eccezionali la compensazione delle stesse (artt. 91 e ss. c.p.c.). Per esemplificare possiamo dire che la regola, quindi, è che chi perde paga non solo le spese del proprio avvocato, ma anche quelle della parte vincitrice.

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L’altra premessa da fare è che qualora le parti non si concilino nell’ambito del procedimento di mediazione, il mediatore può formulare una proposta. A questo punto, le parti sono libere di accettarla o meno. Se la rifiutano, tuttavia, rischiano le conseguenze (anzi vere e proprie sanzioni) di cui all’art 13 che prevede una deroga al principio della soccombenza. Questo prende in considerazione 2 ipotesi.

1) il provvedimento che conclude il giudizio (sentenza, ordinanza ex art. 186 quater, ordinanza ex art. 702bis ) riproduce nel suo contenuto la proposta del conciliatore rifiutata: il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice dopo la proposta rifiutata e la condanna a) al pagamento delle spese sostenute dalla controparte dopo la proposta b) spese della mediazione (a prescindere dal fatto che siano precedenti alla proposta) c) versamento di una somma allo stato di importo pari al contributo unificato dovuto. Si tratta come emerge dalla relazione illustrativa di una vera e propria sanzione processuale. Tuttavia è difficile ritenere che chi abbia rifiutato una proposta conciliativa commetta addirittura un illecito tale da giustificare appunto una simile sanzione d) è possibile una condanna ex 96 c.p.c. Quanto al riferimento all’art 96 c.p.c. la norma è stata ritenuto applicabile dalla giurisprudenza solo nel caso di soccombenza totale. In questo caso, invece, sembrerebbe potersi applicare alla parte che, all’esito del giudizio risulta addirittura vittoriosa. Un’altra interpretazione propone, invece, di riferire l’art 96 c.p.c. alla parte soccombente. La norma, quindi, prevederebbe che la parte soccombente possa essere condannata ex art. 96 c.p.c. Ma così interpretata la norma non avrebbe alcun senso e sarebbe inutile, senza considerare la contraddizione tra la possibilità di condannare la parte soccombente ex art. 96 c.p.c., fermo restando, per il resto, il regime delle spese a lei favorevole. Il Giudice, nel decidere sulle spese esercita comunque un potere non vincolato, come sembra dedursi dalla previsione di un limitato potere di compensare le spese di lite che peraltro opera in questo caso a favore della parte soccombente. L’art 13 prevede una disciplina più

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rigorosa rispetto a quanto previsto dall’art. 91 c.p.c. che disciplina il rifiuto di una proposta conciliativa fatta dal Giudice in udienza.

2) nel caso di mancata perfetta coincidenza tra il contenuto della sentenza e quello della proposta può escludere la ripetizione delle spese per lo svolgimento della mediazione solo però per gravi ed eccezionali ragioni (art. 13).

Dalle norme sopra richiamate, comunque si evince che anche le spese della mediazione possono essere recuperate con una pronuncia del Giudice ad opera della parte che vince la causa senza aver rifiutato alcuna proposta.

Si è sostenuto che l’art 13 si pone in contrasto con l’art 24 Cost in quanto da un lato impone l’accordo, tanto da prevedere una sanzione a carico di chi lo rifiuta ed addossa a chi vince le spese di lite, mentre il diritto della parte vincitrice di recuperare le spese di lite gode di tutela costituzionale (Corte Cost. 303/86).

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