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CONCILIAZIONE OBBLIGATORIA IN SANITÀ.

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TAGETE -ARCHIVES OF LEGAL MEDICINE AND DENTISTRY

TAGETE 4-2011 Year XVII ISSN 2035 – 1046

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CONCILIAZIONE OBBLIGATORIA IN SANITÀ.

CONSIDERAZIONI

M. L. Ruffini

*

Il tema dei modi alternativi di soluzione di controversie relative alla responsabilità medica è affrontato prendendo in esame due esperienze giuridiche straniere: quella francese e quella argentina. Diverse tra loro, queste esperienze, che presentano alcuni punti di contatto con la realtà italiana, appaiono, la prima, più articolata e in parte almeno ancora in itinere, la seconda, risolutamente consolidata.

In Francia esiste innanzitutto un modo alternativo di risoluzione delle controversie, legislativamente introdotto nel 2002, che non trova riscontro nel diritto italiano, ma che va considerato in quanto specificamente previsto per la soluzione di vertenze originate da incidenti medici. Si tratta di una procedura non obbligatoria e gratuita di composizione amichevole (règlement amiable) che, ove utilmente esperita, prevede l’intervento di Commissioni regionali di conciliazione e di indennizzo (CRCI) – composte, tra l’altro, da un magistrato che presiede, da rappresentanti dei pazienti, degli istituti di cura, delle professioni mediche e delle imprese di assicurazione – che emettono pareri sulle cause, l’estensione del danno e il regime di indennizzo applicabile. A questi pareri fa seguito di regola, da parte del soggetto che è tenuto a corrispondere l’indennizzo, un’offerta che, ove accettata dal danneggiato, dà luogo a una transazione e preclude

* Professore Ordinario di Sistemi Giuridici Comparati - Università di Milano

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ogni azione di fronte all’autorità giudiziaria. Questa procedura, che la legge ha previsto solo per incidenti di particolare gravità (su 3.000 domande in media presentate annualmente alle Commissioni regionali, soltanto la metà circa ottiene parere favorevole per l’indennizzo) sembra adatta soprattutto ai casi di danni prodottisi nell’ambito dell’attività di istituti di cura. Mentre per lesioni conseguenti all’esercizio della professione medica a livello individuale si profila, tra gli altri, un nuovo modo alternativo, non obbligatorio, di risoluzione delle controversie relative a diritti disponibili, la cui disciplina entrerà in vigore nel settembre 2011. Si tratta della c.d. convention de procèdure participative”. Fondata su un accordo tra le parti – redatto per iscritto a pena di nullità – di operare insieme e secondo buona fede per una soluzione amichevole della controversia, questa procedura, il cui esperimento rende irricevibile qualunque ricorso al giudice, si caratterizza per il ruolo di primo piano svolto dagli avvocati che assistono le parti durante tutta la durata della procedura medesima. Nel caso che questa si concluda con un accordo, le parti possono chiederne l’omologazione da parte del giudice per fargli acquistare la stessa forza di una sentenza; in mancanza di accordo, la controversia può essere portata direttamente di fronte al giudice, essendo le parti dispensate, per il fatto di essere ricorse alla procedura in esame, dall’esperimento di una conciliazione o di una previa mediazione eventualmente previste per legge.

Ora, tenuto conto che in Italia è stata recentemente presentata alla Camera una proposta di legge che recepisce la convention participative e la sua disciplina, la suddetta dispensa potrebbe diventare di particolare interesse. E ciò, per il significato che da noi una siffatta dispensa assumerebbe in rapporto all’effettivo impiego di quello strumento configurato dal legislatore italiano come obbligatorio per un ampio ambito di controversie che è costituito dalla mediazione di cui al d. lgs. 28/2010. Ma di interesse, quanto alla legge francese in oggetto, è anche, in assenza di ogni esperienza applicativa della stessa, il suo processo formativo. In effetti, dai lavori preparatori sembrano emergere delle anticipazioni circa un dibattito che potrebbe sorgere anche da

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noi in materia, ad esempio, di incidenza o meno dell’assistenza legale obbligatoria sui costi della nuova procedura, come anche sulla durata e quindi sui costi dell’eventuale processo conseguente al mancato raggiungimento di un accordo.

Se lo scenario francese appare almeno in parte abbastanza fluido (non è stata finora emanata in Francia la legge di trasposizione della direttiva europea del 2008 in materia di mediazione), in quello argentino spicca un modello, di applicazione generale in materia di diritti disponibili, che da tempo ha superato la fase sperimentale. Si tratta della c.d. mediación previa introdotta a livello nazionale fin dal 1995 e quindi istituita nel 2010 in via definitiva sempre a livello nazionale, oltre che, in tempi diversi, nelle varie Provincie argentine. Questo modello si avvicina alla mediazione recentemente introdotta in Italia per il suo carattere obbligatorio, mentre se ne discosta per l’importante ruolo spettante agli avvocati, essendo prevista per le parti l’assistenza legale obbligatoria (il mediatore, inoltre, è un avvocato, con un’ulteriore formazione in materia di mediazione). Di applicazione corrente, l’istituto della mediazione obbligatoria è stato sperimentato con successo (secondo le statistiche, nell’arco di dodici anni, solo il 35%

delle procedure di mediazione instaurate è sfociato in azioni giudiziarie) anche grazie alla favorevole accoglienza ottenuta presso la stessa magistratura. Tra le critiche provenienti invece da parte dell’avvocatura (e pure dalla dottrina), da segnalare appare quella – prospettata, come è noto, anche in Italia – secondo cui l’obbligatorietà della mediazione urterebbe contro il diritto di accesso alla giustizia. Ma il tentativo di far dichiarare incostituzionale, fra l’altro su questa base, la prima legge nazionale argentina sulla mediazione obbligatoria non ha trovato accoglimento presso la Corte Suprema di Giustizia della Nazione latino-americana.

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