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L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente: note a prima lettura del D.L. del 27 giugno 2015 n. 83 - Judicium

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G.VALLONE

L’impignorabilità di stipendi e pensioni versati su conto corrente:

note a prima lettura del D.L. del 27 giugno 2015 n. 83

Il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 20151, l’ultimo - in ordine di tempo - ad incidere sul processo esecutivo, all’art. 13 lett. l) e m) riforma, in maniera incisiva, gli articoli 545 e 546 c.p.c., stabilendo un nuovo assetto dei limiti alla pignorabilità degli emolumenti dovuti a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative a un rapporto di lavoro o - già da tempo equiparate alla prime - percepite a titolo di pensione o altri assegni di quiescenza.

Invero, l’art. 545 c.p.c. subì una modifica legislativa solo all’inizio dell’entrata in vigore del codice, con il D. Lgs. C.P.S. del 10 dicembre 1947 n. 1548 che, sostituendo l’originario terzo comma con gli attuali terzo, quarto e quinto comma, ha delineato l’odierna la disciplina dell’impignorabilità relativa dei crediti percepiti a titolo di indennità connesse a rapporti di lavoro e a licenziamento, stabilendone la pignorabilità solo per i crediti alimentari nella misura autorizzata dal presidente del Tribunale, e, al quarto comma, la pignorabilità nella misura di un quinto per i crediti da Tributi dovuti a Stato, Provincie e Comuni, e nella stessa misura per ogni altro credito, mentre, per il simultaneo concorso delle cause di cui ai commi precedenti, fino a un massimo della metà dei crediti sottoposti a pignoramento.

La disciplina dell’impignorabilità delle somme dovute in connessione a rapporto di lavoro da Stato e altri enti pubblici, è regolata invece dagli articoli 1 - 4 del D.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, che sostanzialmente stabilivano l’impignorabilità delle suddette somme, salvo che si trattasse di crediti alimentari, di crediti vantati dagli stessi enti pubblici nei confronti del proprio dipendente e in connessione al rapporto di lavoro, e per Tributi dovuti allo Stato, alle Provincie e ai Comuni.

A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, con una serie di pronunce la Corte Costituzionale ha sostanzialmente esteso la pignorabilità dei crediti dovuti dagli enti pubblici di cui al D.P.R.

180 a titolo di stipendio, salario, pensione e tutte le indennità comunque connesse al rapporto di lavoro - compresa l’indennità di buonuscita e l’assegno vitalizio - per ogni

                                                                                                                         

1 Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.147 del 27 giugno 2015  

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credito vantato nei confronti del dipendente, nella misura stabilita dal quarto comma dell’art.

545 c.p.c2.

Grazie agli interventi della Corte, dunque, i crediti vantati da dipendenti pubblici sono stati equiparati a quelli vantati da titolari di rapporti di lavoro intrattenuti con privati.

Successivamente, con la sentenza n. 468 del 22 novembre 2002, la Corte Costituzionale ha stabilito che le pensioni, le indennità che ne tengano luogo e gli assegni sono pignorabili fino alla concorrenza di un quinto, valutato al netto di ritenute, per tributi dovuti allo Stato, alle province e ai comuni, facenti carico, fino dalla loro origine, al pensionato, mentre con la successiva sentenza n. 506 del 4 dicembre 2002 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art. 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale), nella parte in cui esclude la pignorabilità per ogni credito dell’intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall’INPS, anziché prevederne l’impignorabilità della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

L’art. 11 comma 10 del D. Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 ha equiparato, infine, le prestazioni pensionistiche integrative e complementari a quelle dovute dall’ente pubblico di previdenza, sancendone la pignorabilità nei limiti sopra indicati, ma solo dopo l’erogazione in capitale, mai dell’accantonamento.

Dunque, rimangono oggi soggetti al regime di impignorabilità assoluta quei crediti indicati dal comma 2° dell’art. 545 c.p.c., ossia i sussidi di grazia e di sostentamento a persone comprese nell’elenco dei poveri, nonché le indennità dovute per causa di malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o di beneficienza.

In questa cornice normativa, in tempi relativamente recenti si è cominciato a porre il problema del pignoramento delle somme depositate presso un conto corrente, quando in esso vengano accreditati gli emolumenti che soggiacciono alla disciplina di impignorabilità prevista dall’art. 345 c.p.c.

                                                                                                                         

2  Sentenze 31 marzo 1987 n. 89, 26 luglio 1988 n. 878, 20 luglio 1990 n. 340, 19 marzo 1993 n. 99, 4 luglio 1997 n. 225 e 15 marzo 1996 n. 72.  

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La questione si è fatta, da un punto si vista non solo squisitamente giuridico ma anche pratico, sempre più stringente e bisognosa di una soluzione con l’entrata in vigore dell’art.

12 comma 2 del Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 (c.d. Decreto salva Italia), convertito con la Legge n. 214 del 22 dicembre 2011, che ha previsto l’obbligatorietà della rimessa in conto corrente di stipendi e pensioni superiori a mille euro3.

Ed infatti, se tecnicamente il transito della trattamento previdenziale o dello stipendio - come di ogni altro emolumento in dipendenza della prestazione di attività lavorativa - nel conto corrente fa perdere a questi la loro connotazione giuridica (che deriva dalla loro origine), entrando a far parte per confusione del rapporto debitorio della banca verso il correntista, non possono applicarsi i limiti alla pignorabilità previsti dall’art. 545 c.p.c. che si riferiscono al pignoramento all’origine presso l’ente di previdenza o il datore di lavoro.

Con la prevista generale obbligatorietà dell’accredito in conto corrente, non essendo più una scelta opzionale del lavoratore o del pensionato, gli emolumenti superiori ai mille euro perdono ipso iure le garanzie previste dall’art. 545 c.p.c. la cui ratio, è facile intuirlo, è quella di assicurare comunque al debitore il minimo vitale, contemperando - allo stesso tempo - il diritto del creditore sul patrimonio del debitore, giacché l’impignorabilità dei trattamenti previdenziali e retributivi non è assoluta ma soltanto relativa.

In brevissimo tempo, è stata sollevata questione di legittimità costituzionale della sopracitata norma.

Nello specifico, a fronte di un pignoramento presso terzi del conto corrente sul quale vengono accreditati gli emolumenti retributivi o previdenziali, senza le limitazioni di cui all’art. 545 c.p.c., il debitore pignorato propone opposizione all’esecuzione, deducendo, appunto, l’impignorabilità relativa delle suddette rimesse in conto corrente e sollecitando il giudice dell’esecuzione a sollevare questione di legittimità costituzionale.

È quanto è accaduto innanzi al Tribunale di Lecce - sez. distaccata di Galatina, che con l’Ordinanza del 12.02.2014 ha sollevato innanzi alla Corte la questione di legittimità

                                                                                                                         

3“lo stipendio, la pensione, i compensi comunque corrisposti dalle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dai loro enti, in via continuativa a prestatori d'opera e ogni altro tipo di emolumento a chiunque destinato, di importo superiore a mille euro, debbono essere erogati con strumenti di pagamento elettronici bancari o postali, ivi comprese le carte di pagamento prepagate e le carte di cui all'articolo 4 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Il limite di importo di cui al periodo precedente può essere modificato con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze”  

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costituzionale dell’art. 12 comma 2 del Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con la Legge n. 214 del 22 dicembre 2011, per violazione degli artt. 38 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede che siano fatte salve le limitazioni alla pignorabilità previste dall’art. 545 c.p.c.

La pignorabilità integrale dei conti correnti dove vengono - per legge - addebitati tutti gli emolumenti retributivi e previdenziali, violerebbe, infatti, l’art. 38 Cost. che sancisce il diritto dei cittadini in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione ad aver assicurata la corresponsione di un minimum vitale4, di cui i titolari verrebbero privati con la pignorabilità senza limiti dei conti correnti di appoggio.

Si è pure profilata la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto si configurerebbe una disparità di trattamento di identiche categorie di debitori escussi, in ragione di una scelta opzionale del creditore pignorante a seconda che questi decida di pignorare l’emolumento alla fonte presso il datore di lavoro o l’ente previdenziale erogatore, o presso il conto corrente, una volta avvenuto l’accredito delle somme.

Con la sentenza n. 85 del 20 maggio 2015, la Corte Costituzionale, con una pronuncia di inammissibilità “esortativa”, dichiarava inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice dell’esecuzione di Lecce, ritenendo tuttavia l’esistenza di un vulnus nella tutela del pensionato e nella garanzia delle condizioni minime per il sostentamento, esortando al contempo il legislatore a dare tempestiva soluzione al problema.

Quanto al percorso seguito dal Giudice delle leggi, ripercorrendo il filone fatto proprio anche dalla Cassazione (da ultimo, Cass., sez. lavoro, sent. 9 ottobre 2012 n. 17178), è stato ritenuto che, una volta transitate su un conto corrente postale o bancario, e dunque una volta acquisite dal titolare ed entrate a far parte del suo patrimonio, le somme devolute a qualsiasi titolo si confondono giuridicamente con quest’ultimo, e pertanto non sono nel concreto applicabili le limitazioni alla pignorabilità previste dall’art. 545 c.p.c. e le altre leggi speciali.

Per quanto riguarda nello specifico il pignoramento del conto corrente, ciò che viene in realtà pignorato non è più il credito dell’ente previdenziale o del datore di lavoro nei

                                                                                                                         

4 La Corte Costituzionale con le sentenze n. 444/2005, n. 256/2006 e n. 183/2009 aveva già escluso dalla pignorabilità quella parte del trattamento economico corrispondente al minimo vitale  

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confronti del pensionato o del lavoratore, bensì il credito - costituito dalle poste attive nel conto corrente - della banca nei confronti del correntista.

Alla luce di queste premesse, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale, poiché il giudice remittente sarebbe incorso in errore nell’individuazione della norma censurata, in quanto la questione avrebbe dovuto proporsi nei confronti delle norme che regolano il rapporto di conto corrente, nella parte in cui non prevedono limiti al generale principio di responsabilità patrimoniale sancito dall’art. 2740 del codice civile.

È, infatti, il credito per il saldo di conto corrente, nonostante sia alimentato da rimesse pensionistiche, a non godere - allo stato della legislazione - dell’impignorabilità relativa prevista invece per i crediti vantati direttamente nei confronti dell’istituto di previdenza.

La risoluzione del problema è però riservata alla discrezionalità del legislatore, che, con la sentenza in esame, viene invitato a provvedere nel più breve tempo possibile.

Effettivamente, con il decreto 83/2005, nell’esercizio delle funzioni legislative in via d’urgenza, l’Esecutivo ha prontamente accolto l’invito della Corte Costituzionale.

All’art. 13 lettera l) si legge: “l) all'articolo 545 sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge.

Le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto e settimo comma, nonché dalle speciali disposizioni di legge.

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Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo in violazione dei divieti e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace. L'inefficacia è rilevata dal giudice anche d'ufficio.»”.

Si nota subito che il preesistente testo dell’art. 545 c.p.c. non è stato modificato, in quanto è stata operata l’aggiunta di ulteriori 3 commi.

Con il primo comma aggiunto, si risolve una questione che da tempo era stata sottoposta all’attenzione della giurisprudenza, ossia la quantificazione del cosiddetto minimum vitale impignorabile5.

In assenza di parametri legislativi, sostanzialmente la scelta veniva operata di volta in volta da Giudice dell’esecuzione, il quale era libero nel valutare - caso per caso - quale somma sottrarre al pignoramento al fine di garantire al soggetto pignorato condizioni di vita seppur minime, ma umane. Generalmente, si faceva riferimento all’ammontare della c.d. pensione minima, il cui importo viene stabilito periodicamente con circolare dall’INPS.

Da ultimo, Cassazione, Sezione Terza, sentenza 26 agosto 2014 n. 18225 aveva stabilito che

“in assenza di parametri normativi specifici ed analitici idonei a consentire la determinazione del c.d. minimo vitale, ben può il giudice dell’Esecuzione, in considerazione degli elementi del caso concreto (e non dovendo far riferimento all'importo di trattamento minimo di pensione indicato dallo stesso erogatore), pervenire all'importo maggiormente adeguato a soddisfare la detta esigenza di assicurare, comunque, al pensionato sufficienti ed adeguati mezzi di vita”.

Il nuovo settimo comma dell’art. 545 c.p.c. stabilisce, quindi, una volta per tutte, l’importo minimo assolutamente impignorabile, che coincide con l’importo dell’assegno sociale6 indicato dall’INPS, aumentato della metà, ponendo fine alla discussa discrezionalità del giudice dell’esecuzione. La parte del trattamento pensionistico che eccede il suddetto importo sarà pignorabile con i limiti previsti dai commi precedenti, dunque nei limiti di un quinto e fino alla metà quando concorrono altri pignoramenti per cause di alimenti.

Il comma successivo introduce limiti al pignoramento delle somme dovute a titolo di                                                                                                                          

5 Sancito dalla Corte Costituzionale con la già citata sentenza n. 506/2002  

6  Per l’anno 2015, la misura massima dell’assegno è pari a 448,52 euro.  

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stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza quando queste vengano accreditate su conto corrente bancario o postale intestato al debitore.

Per gli emolumenti accreditati anteriormente al pignoramento, è previsto un regime di impignorabilità assoluta fino alla concorrenza dell’importo equivalente a tre volte l’assegno sociale, mentre gli accreditamenti successivi al pignoramento saranno pignorabili nei limiti di cui ai precedenti commi terzo, quarto, quinto e settimo.

Dal tenore della disposizione sembrerebbe che i limiti alla pignorabilità siano applicabili a tutti i conti correnti dove avvengono gli accrediti dei trattamenti pensionistici e retributivi, indipendentemente dal fatto che su questi confluiscano anche altri redditi.

Infatti, la norma si premura di garantire che, all’atto del pignoramento, il lavoratore o il pensionato non si ritrovino senza alcun reddito, dal momento che la fonte principale di sostentamento è mensilmente depositata nel conto corrente direttamente dall’ente erogatore e che gli effetti del pignoramento nei confronti del terzo decorrono dalla notifica dei esso.

Sostanzialmente, la somma oggi impignorabile ex lege garantisce il minimum vitale al debitore fintantoché non riceva il prossimo accredito dello stipendio o della pensione.

Il resto del saldo positivo, invece, sarà pignorabile per intero, perché, in aderenza ai principi sanciti dalla giurisprudenza sia di legittimità che costituzionale, con l’accreditamento e la confusione le suddette somme entrano a far parte di un rapporto diverso che non è più quello tra datore di lavoro/ente di previdenza e lavoratore/pensionato ma tra istituto di credito e correntista.

Del resto, un’ulteriore limitazione alla pignorabilità sul residuo sarebbe incorsa in censure di incostituzionalità per violazione - quantomeno - dell’art. 3 Cost., sulla base parametro dell’art. 2740 c.c.

Gli accreditamenti successivi alla notifica del pignoramento saranno soggetti al vincolo - comunque per la parte eccedente l’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà - con le limitazioni previste dai commi precedenti, e dunque nella misura di un quinto, fino alla concorrenza della metà se tra più crediti ne concorrono anche di natura alimentare o nei

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limiti previsti dalle leggi speciali.

Successivamente ad ogni accredito mensile, spetterà, dunque, al terzo pignorato effettuare lo scorporo della quota pignorabile da accantonare da quella impignorabile che dovrà rimanere a disposizione del correntista, tenendo conto anche di quanto stabilito dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c.

Con quest’ultima disposizione, si è, invero, posto rimedio ad una prassi per lo più costante presso i tribunali - ma di dubbia legittimità - di ritenere vincolato non solo il saldo attivo su conto corrente al momento della notifica del pignoramento, ma anche gli eventuali successivi accrediti, fino alla concorrenza dell’importo precettato.

Gli ultimi due nuovi commi dell’art. 545 c.p.c. si occupano del regime dell’impignorabilità.

È prevista addirittura la sanzione dell’inefficacia del pignoramento eseguito sulle somme dichiarate impignorabili dai precedenti commi. L’inefficacia è parziale, ed è riferita solo alla quota parte del credito sottoposto ai vincoli di impignorabilità (chiaramente, l’inefficacia sarà assoluta nel caso in cui le somme presenti su conto corrente o gli ulteriori accrediti rientrino nel minimum vitale come individuato della legge).

La suddetta inefficacia è inoltre rilevabile dal giudice anche d’ufficio.

Con questa disposizione si deroga al generale regime dell’eccezione di impignorabilità che, com’è noto, trattandosi di impignorabilità processuale - ossia non riferibile alla particolare natura giuridica del bene pignorato (i.e. beni demaniali) - può essere eccepita solo dal debitore con l’opposizione ex art. 615 comma 2° c.p.c.7, che è lo strumento processuale che la legge destina proprio a questo scopo.

Ciò significa che, pignorate somme di denaro rientranti nelle categorie o in misura eccedente i limiti previsti dall’art. 545 c.p.c., il debitore non sarà costretto a proporre l’opposizione all’esecuzione al fine di far valere l’impignorabilità e, qualora il giudice non dovesse dichiararla d’ufficio per una mera svista, lo stesso potrà eccepirla in via informale, onde eccitarne la rilevazione.

Il suddetto regime di impignorabilità “rafforzata” sembrerebbe esteso a tutte le ipotesi di                                                                                                                          

7  Sul punto, in particolare, G.MONTELEONE, Manuale di diritto processuale civile, vol. II, 2012, pp. 176 ss.  

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impignorabilità previste dall’art. 545 c.p.c. e non solo alle ipotesi di pignoramento di saldo attivo in conto corrente: la legge fa riferimento, infatti al “pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo” e non alle somme “di cui al precedente comma”

Del resto, se il suddetto regime di eccezione dell’impignorabilità fosse riferito solo agli emolumenti accreditati in conto corrente, si determinerebbe una disparità di trattamento quanto meno rispetto al pignoramento degli stessi emolumenti pignorati alla fonte: se il creditore pignora direttamente presso l’ente erogatore o presso il datore di lavoro la pensione o lo stipendio per intero e non nella misura prevista dal “vecchio” art. 545 c.p.c., il debitore sarà in questo caso costretto a proporre opposizione all’esecuzione è per far valere l’impignorabilità relativa, non essendo rilevabile d’ufficio.

Alla lettera m) dello stesso articolo, viene operata pure una modifica dell’art. 546 c.p.c., con riferimento agli obblighi del terzo nel caso in cui si versi in una delle ipotesi di impignorabilità introdotte nell’art. 545 c.p.c. dalla precedente lettera l): “m) all'articolo 546, primo comma, e' aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore di somme a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione, o di assegni di quiescenza, gli obblighi del terzo pignorato non operano, quando l'accredito ha luogo in data anteriore al pignoramento, per un importo pari al triplo dell'assegno sociale; quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, gli obblighi del terzo pignorato operano nei limiti previsti dall'articolo 545 e dalle speciali disposizioni di legge.”.

Quando viene pignorato un conto corrente presso l’istituto di credito, sul quale vengono accreditati stipendio, salario o pensione ed emolumenti assimilati, il terzo non ha l’obbligo di accantonamento né è soggetto all’ingiunzione dell’ufficiale giudiziario contenuta nel pignoramento.

Nello specifico, il terzo non dovrà procedere a vincolare le somme quando, all’atto del pignoramento, si ritrovi sul conto corrente del debitore pignorato un saldo attivo pari o inferiore al triplo dell’assegno sociale, mentre, per gli accrediti contemporanei o successivi alla notifica del pignoramento, quando rientrino nei limiti di cui ai “vecchi” commi dell’art.

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545 c.p.c.

La previsione ha senso in considerazione del fatto che, all’atto della predisposizione del pignoramento, individuato l’istituto di credito, il creditore non sa se il conto corrente detenuto dal debitore presso il terzo sia destinatario dell’accredito degli emolumenti di natura previdenziale o assistenziale, né conosce l’importo di questi, ovvero se vi confluiscano anche altri accrediti.

In tal modo, si scongiura l’apposizione del vincolo di indisponibilità su quel reddito che costituisce minimum vitale, che comunque sarebbe soltanto provvisorio, almeno fino all’udienza fissata dal creditore per l’assegnazione davanti al Giudice dell’Esecuzione, il quale, nell’esercizio del potere di cui al nuovo ultimo comma dell’art. 545 c.p.c., dichiarerebbe l’inefficacia del pignoramento e ordinerebbe lo svincolo delle somme.

Invero, lo stesso effetto si sarebbe ottenuto mediante l’obbligo di inserimento nell’atto di pignoramento, a pena di nullità dello stesso, del riferimento alle limitazioni di cui all’art.

545 c.p.c. comma ottavo8.

La previsione di devolvere direttamente al terzo pignorato la valutazione relativa all’apposizione del vincolo pignoratizio sulla base dei limiti alla pignorabilità sanciti dalla legge è positiva perché, se da un lato evita ulteriori formalità a pena di nullità cui dovrà adempiere il procuratore del creditore nella predisposizione del pignoramento presso terzi - favorendo il ricorso all’opposizione ex art. 617 c.p.c. in caso di dimenticanza -, dall’altro evita situazioni di possibile svantaggio del debitore, che dovrebbe eventualmente attendere l’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione per ottenere l’ordine di svincolo delle somme, posto che, pur proponendo l’opposizione ex art. 615 comma 2° c.p.c., con il provvedimento di sospensione dell’esecuzione - reso inaudita altera parte o a conclusione della fase camerale - può solo essere inibita l’assegnazione ma non essere ordinato lo svicolo delle somme, che potrà ottenersi in caso di accoglimento dell’opposizione a seguito del giudizio a cognizione piena.

                                                                                                                         

8   Tecnica fin troppo spesso utilizzata ultimamente dal legislatore: si pensi, in questo stesso decreto, alla previsione della lettera a) dell’art. 13, riguardante , l’art. 480 c.p.c.  

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