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Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti fra giudice e arbitro: sollevata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819ter co. 2 cpc - Judicium

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MICHELE FORNACIARI

Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche nei rapporti fra giudice e arbitro: solleva- ta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 819ter2 cpc

SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La manifesta incostituzionalità dell’art. 819ter2 cpc. – 3. Due precisazioni: rapporti giudice-arbitro e competenza; conservazione degli effetti dell’atto introduttivo e sistema delle vie parallele. – 4. I termi- ni dell’incostituzionalità. – 5. Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo e arbitrato irrituale. – 6. Il problema del- la rilevanza della questione di costituzionalità.

1. Introduzione

Eh sì, il Tribunale di Catania ha proprio ragione. Ben può anzi dirsi, con riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 819ter2 cpc, che non tanto di non manifesta infonda- tezza si tratta, quanto piuttosto, in positivo, di manifesta fondatezza, e ciò proprio sulla base dei due precedenti invocati, vale a dire, da un lato l’ammissione dell’arbitro a sollevare questioni di costitu- zionalità1, dall’altro l’estensione ai rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo del prin- cipio di conservazione degli effetti dell’atto introduttivo, previsto dal codice per l’incompetenza2.

Su tale base, l’incostituzionalità della norma, più che una possibilità, rappresenta in effetti una conseguenza pressoché obbligata. Infatti: riconosciuto per un verso che il processo arbitrale, in

1 Com’è noto, tale ammissione, frutto dell’intervento della Corte Costituzionale (sentenza 28 novembre 2001 n. 376, citata in motivazione; vedila ad es. in Foro it. 2002, I, 1648, con osservazione di R.ROMBOLI, Giur. it. 2002, 689, con nota di G.CANALE, Anche gli arbitri rituali possono sollevare la questione di legittimità costituzionale di una norma, Giust. civ. 2001, I, 2883, con nota di R.VACCARELLA, Il coraggio della concretezza in una storica decisione della Cor- te costituzionale, Riv. dir. proc. 2002, 351, con nota di E.F.RICCI, La «funzione giudicante» degli arbitri e l’efficacia del lodo (un grand arrêt della Corte costituzionale), Riv. arb. 2001, 657, con nota di A.BRIGUGLIO, Merito e metodo nella pronuncia della Consulta che ammette gli arbitri rituali alla rimessione pregiudiziale costituzionale, Corriere giur. 2002, 1009, con nota di M.FORNACIARI, Arbitrato come giudizio a quo: prospettive di una possibile ulteriore evo- luzione), è stata poi implicitamente recepita dal legislatore con l’art. 819bis cpc, nel testo risultante a seguito del d. lgs.

40/2006.

2 Com’è parimenti noto, tale estensione, frutto del duplice, pressoché contemporaneo, intervento, delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 22 febbraio 2007 n. 4109, citata in motivazione; vedila ad es. in Foro it. 2007, I, 1010, con nota di R.ORIANI, E’ possibile la «translatio iudicii» nei rapporti tra giudice ordinario e giudice speciale: divergenze e consonanze tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, Giur. it. 2007, 2253, con osservazione di D.TURRONI, Dirit- to proc. amm. 2007, 796, con nota di G.SIGISMONDI, Difetto di giurisdizione e translatio iudicii) e della Corte Costitu- zionale (sentenza 12 marzo 2007 n. 77, anch’essa citata in motivazione; vedila ad es. in Foro it. 2007, I, 1010, con nota di R.ORIANI, Op. cit., Giur. it. 2007, 2253, con osservazione cit. di D.TURRONI, Giust. civ. 2007, I, 553, Diritto proc.

amm. 2007, 796, con nota di G.SIGISMONDI, Op. cit.), è stata poi espressamente recepita dal legislatore prima con l’art.

59 della l. 69/2009 e poi con l’art. 11 del d.lgs. 104/2010

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quanto “previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria”, “non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie”3; esteso per altro verso anche al passaggio da una giurisdizione all’altra il principio della conservazione degli effetti dell’atto introduttivo;

molto semplicemente non si vede per quale ragione altrettanto non dovrebbe valere nei rapporti fra giudice e arbitro.

Ciononostante, difficilmente, credo, l’incostituzionalità in questione potrà, almeno in quest’occasione, essere dichiarata. Non meno evidente della sua sussistenza è infatti, a quanto mi pare, la sua irrilevanza per il giudizio a quo.

Ma andiamo con ordine.

2. La manifesta incostituzionalità dell’art. 819ter2 cpc

Per quanto concerne la fondatezza della questione di costituzionalità, essa è invero talmente manifesta che, paradossalmente, risulta perfino difficile illustrarla.

In sostanza, il punto è quello per il quale, una volta che, con l’esportazione del principio ai rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo, è stato infranto il limite per il quale la con- servazione degli effetti dell’atto introduttivo operava solo all’interno del medesimo canale giurisdi- zionale, è evidente che ciò deve valere in generale. Non solo cioè fra giudice ordinario e giudice amministrativo, ma con riferimento a qualunque altra possibile alternativa, e dunque anche laddove entri in gioco l’arbitrato. In contrario, occorrerebbe infatti dimostrare che questo presenta caratteri- stiche tali da rendere il rapporto fra giudice (ordinario o amministrativo) e arbitro differente (n.b.:

rilevantemente differente, vale a dire con riferimento ad un qualche profilo effettivamente e concre- tamente significativo ai fini in discorso) rispetto a quello fra giudice ordinario e giudice amministra- tivo (in realtà, la questione sarebbe, più a monte, quella circa l’esistenza di un’effettiva, rilevante, differenza fra il passaggio interno al medesimo canale giurisdizionale e quello esterno; tale questio- ne è stata però già risolta, nel senso dell’inesistenza di tale differenza, nell’estendere ai rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo il principio della conservazione degli effetti dell’atto in-

3 Così C. Cost. 28 novembre 2001 n. 376, cit.

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troduttivo; allo stato, il problema relativo all’arbitrato risulta dunque semplificato, nei termini appe- na riferiti).

Tale dimostrazione (quella circa l’esistenza di una differenza fra il rapporto giudice-arbitro rispetto e quello giudice ordinario-giudice amministrativo) non pare però possibile. In particolare, non rileva, ritengo di poter affermare, il fatto che l’arbitrato non rappresenti esercizio della giurisdi- zione. In relazione al tema in esame, ciò che conta, come giustamente rimarcato nell’ordinanza ed a suo tempo affermato dalla Corte Costituzionale4, è la fungibilità del giudizio arbitrale rispetto a quello davanti al giudice statale. Il fatto cioè che esso rappresenti una via equivalente a quest’ultimo; un canale alternativo alla giustizia statuale, con caratteristiche ed effetti sostanzial- mente analoghi.

Alla luce di tale fungibilità, non risponderebbe dunque ad alcuna comprensibile ratio distin- guere a seconda che in questione siano due canali entrambi giurisdizionali oppure uno giurisdizio- nale ed uno privato, ammettendo la conservazione degli effetti dell’atto introduttivo nel primo caso ed escludendola invece nel secondo.

3. Due precisazioni: rapporti giudice-arbitro e competenza; conservazione degli effetti dell’atto introduttivo e sistema delle vie parallele

La piena e convinta adesione alla tesi dell’incostituzionalità dell’art. 819ter cpc non signifi- ca peraltro che il commento dell’ordinanza in esame, per quanto concerne il merito del problema (a prescindere cioè dalla questione circa la rilevanza della questione), sia destinato ad arrestarsi qui.

Per un verso l’ordinanza contiene infatti due affermazioni di dubbia correttezza e potenzial- mente fuorvianti, in relazione alle quali si rendono dunque necessarie altrettante precisazioni. Per altro verso occorre poi soffermarsi sui più esatti termini dell’incostituzionalità, vale in sostanza a dire sul tenore di quella che dovrebbe essere la pronuncia della Corte Costituzionale (a seguito dell’ordinanza in esame oppure – come appare più probabile5 – di una rinnovata sollevazione della questione in altra, più pertinente, sede). In ultimo, non si può infine fare a meno di interrogarsi in merito all’estensibilità o meno del principio della conservazione degli effetti dell’atto introduttivo anche all’arbitrato irrituale.

4 C. Cost. 28 novembre 2001 n. 376, cit.

5 V. il § 6 testo e nota 15.

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Iniziando dal primo punto, in questione sono, come detto, due affermazioni. La prima, sia pure meramente incidentale, è quella secondo la quale l’inapplicabilità dell’art. 50 cpc, sancita dall’art. 891ter2 cpc, sarebbe “espressione del sistema delle vie parallele”, adottato dal legislatore per quanto concerne i rapporti fra giudizio davanti al giudice statale e arbitrato. La seconda, più de- cisa e sulla quale l’ordinanza fa del resto leva per avvalorare la tesi sostenuta, è quella secondo la quale, anche alla luce della riforma dell’arbitrato operata nel 2006, e segnatamente proprio del teno- re dell’art. 819ter cpc, i suddetti rapporti sarebbero da ricondurre nell’ambito della competenza.

Né la prima né la seconda di tali affermazioni, come detto, appaiono corrette.

Quanto in particolare alla seconda, essa si scontra infatti con il dato, emergente dall’intero ordinamento, per il quale per competenza si intende la ripartizione del potere giurisdizionale interno ad un dato apparato giurisdizionale (giudici ordinari, giudici amministrativi, ecc.). Posto che gli ar- bitri, integrino o meno un giurisdizione, di certo sono estranei all’amministrazione statale della giu- stizia, non c’è dunque dubbio che il riferimento alla competenza, utilizzato dalla legge per quanto concerne i rapporti con i giudici, è erroneo6.

Ciò detto, va peraltro chiarito che questo non inficia in alcun modo la fondatezza della que- stione di costituzionalità sollevata. Questa si regge infatti benissimo sulla base di quanto sopra illu- strato, a prescindere dalla riconducibilità alla competenza dei rapporti fra giudice e arbitro.

Quanto poi alla prima affermazione – vale a dire quella secondo la quale l’inapplicabilità dell’art. 50 cpc sarebbe “espressione del sistema delle vie parallele” – essa contiene in effetti un fondo di verità, nel senso che la non conservazione degli effetti dell’atto introduttivo concorre ad integrare il quadro di reciproca estraneità dei due canali in questione (quello giurisdizionale e quello arbitrale). Nondimeno, le due cose non sono in realtà necessariamente implicate. La reciproca e- straneità fra giudizio statuale ed arbitrato di per sé non esclude infatti che, in caso di passaggio dall’uno all’altro gli effetti dell’atto introduttivo si conservino. Ciò è del resto dimostrato dal fatto che anche nei rapporti fra il giudizio davanti al giudice ordinario e quello davanti al giudice ammi- nistrativo non si dà litispendenza/continenza/connessione e nondimeno, a seguito degli interventi prima della Cassazione e della Corte Costituzionale, e poi del legislatore, sopra ricordati7, sono fatti salvi gli effetti dell’atto introduttivo.

6 In tal senso v. ad es. B.CAPPONI, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A.BRIGUGLIO e B.CAP- PONI, III, 2, Arbitrato, Padova 2009, 873 ss.; M.FORNACIARI, Natura – di rito o di merito – della questione circa l’attribuzione di una controversia ai giudici statali oppure agli arbitri, in Corr. giur. 2003, 465 s.; C.PUNZI, Disegno sistematico dell’arbitrato, I2, Padova 2012, 197 s. e 204 s.

7 § 1 testo e note 1 e 2.

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Più precisamente, tre, possibilmente concorrenti, sono gli aspetti coinvolti nella problemati- ca in discorso: per un verso l’applicabilità degli istituti di soluzione preventiva del conflitto, o co- munque volti alla realizzazione del simultaneus processus, appena richiamati (litispenden- za/continenza/connessione); per altro verso la vincolatività delle pronunce sulla spettanza della cau- sa all’uno oppure all’altro canale emesse all’interno di uno di questi; per altro verso ancora la con- servazione degli effetti dell’atto introduttivo in caso di passaggio da un canale all’altro. Di tali tre aspetti, quello dal quale, propriamente parlando, effettivamente dipende la riscontrabilità o meno di un sistema di vie parallele è evidentemente il primo. Non applicandosi gli istituti in questione, può darsi infatti la contemporanea, autonoma, pendenza di due processi sul medesimo oggetto, o su og- getti compenetrati o connessi, e possibilmente la pronuncia di due autonome decisioni di merito, che è ciò che connota il suddetto sistema di vie parallele.

Non, sia chiaro, che la cosa possieda, di per sé, un significato particolare. La questione è an- zi, da un certo punto di vista, meramente terminologica, ben potendosi convenzionalmente ritenere la presenza di un sistema di vie parallele solo in presenza di tutti e tre gli aspetti in discorso. Quello che conta è però avere chiaro che questi non sono indissolubilmente legati, sì che la presenza dell’uno implichi necessariamente anche quella degli altri due. Al contrario, ben può darsi che, pur non applicandosi gli istituti della litispendenza/continenza/connessione, le pronunce sulla spettanza della causa siano vincolanti (questo è precisamente ciò che accade nei rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo). Così come può ulteriormente darsi che, pur non esistendo tale vincolo, si dia nondimeno la conservazione degli effetti dell’atto introduttivo.

In questione sono cioè tre aspetti, possibilmente concorrenti, ma distinti fra loro e tali dun- que che le relative problematiche non risultano necessariamente implicate. E’ conseguentemente importante – da qui la necessità di soffermarsi sull’affermazione, pur incidentale, contenuta nell’ordinanza – non solo, ciò che è ovvio, evitare di sovrapporre o, peggio, di confondere fra loro tali aspetti, ma anche semplicemente di istituire fra essi, magari inavvertitamente, collegamenti au- tomatici.

Tutto questo fermo poi restando, com’è ovvio, il giudizio più o meno favorevole sulle varie opzioni, vuoi isolatamente considerate, vuoi nella loro combinazione, ed impregiudicati, per quanto in particolare concerne l’art. 819ter cpc, i numerosi problemi ingenerati dall’insipiente formulazio- ne della norma, ad un tempo lacunosa e contraddittoria8.

8 Su tali problemi v. ad esempio M.BOVE, in M.BOVE-C.CECCHELLA, Il nuovo processo civile, Milano 2006, 78 ss.; B.

CAPPONI, in Commentario, cit., 873 ss.; C.PUNZI, Op. cit., 192 ss.; F.P.LUISO, Rapporti fra arbitro e giudice, in Riv.

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4. I termini dell’incostituzionalità

Passando al secondo dei punti di cui sopra, vale a dire quello relativo ai termini dell’incostituzionalità, questa, per come sollevata, concerne l’art. 819ter2 cpc, “nella parte in cui prevede che non si applichi l’art. 50 c.p.c. nei rapporti tra arbitrato e processo”. Tale indicazione, per quanto indubbiamente indotta dal tenore della norma, che esclude appunto l’applicabilità, fra gli altri, dell’art. 50 cpc, non mi pare tuttavia del tutto esatta.

Essa da un lato sottende infatti l’idea che l’incostituzionalità deriverebbe dalla mancata ap- plicabilità dell’art. 50 cpc tout court, dall’altro implica che, una volta dichiarata, ne discenderebbe l’applicazione in toto di tale norma. Questo è però per un verso ultroneo, per l’altro impossibile.

Per comprendere il senso di tali affermazioni, occorre considerare che l’art. 50 cpc prevede la continuazione del processo, e dunque, implicitamente, la conservazione degli effetti dell’atto in- troduttivo, in caso di riassunzione del processo entro un dato termine (recentemente ridotto a tre mesi).

Ben si comprende dunque, mi pare, per quale ragione l’applicazione tout court di tale norma risulterebbe innanzitutto ultronea. Il problema, dal quale origina la questione di costituzionalità, non consiste infatti nella mancata previsione della riassunzione anche nei rapporti fra giudice e arbitro, ma, più semplicemente, nella mancata conservazione degli effetti dell’atto introduttivo; dopodiché il fatto che il passaggio da una sede all’altra avvenga tramite riassunzione oppure tramite riproposi- zione della domanda è un aspetto tecnico che non incide sulla tutela delle parti e che deve dunque rimanere fuori dall’intervento della Corte Costituzionale.

Ma non solo. Come detto, l’applicazione in toto dell’art. 50 cpc risulterebbe in realtà più in radice impossibile ed anche questo risulta, mi pare, agevolmente comprensibile. Il punto è infatti che, a differenza di quanto accade per il passaggio interno alla giurisdizione ordinaria o a quella amministrativa, l’ordinamento non contempla alcuna disciplina della riassunzione per i passaggi e- sterni. L’unico modo di reiterare la richiesta di tutela, in tali casi, non può dunque essere se non la riproposizione della domanda, nei modi e con le forme richieste dal rito applicabile davanti al sog- getto (giudice o arbitro) adito in seconda battuta. Non per nulla, del resto, precisamente in tali ter-

arb. 2005, 773 ss.; G.F.RICCI, in Arbitrato, commentario diretto da F.CARPI2, Bologna 2008, 500 ss.; G.VERDE, Line- amenti di diritto dell’arbitrato3, Torino 2010, 22 ss.

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mini è stato disciplinato, dai citati9 artt. 59 l. 69/2009 e 11 d. lgs. 104/2010, il passaggio dal giudice ordinario al giudice amministrativo e viceversa.

Differentemente da come la questione è stata sollevata – e viceversa in linea con l’intervento operato a suo tempo a proposito dei rapporti fra giudice ordinario e giudice amministrativo10 – ri- tengo dunque che la declaratoria di incostituzionalità dovrebbe concernere non già la mancata ap- plicabilità tout court dell’art. 50 cpc, bensì, la mancata previsione della conservazione degli effetti dell’atto introduttivo, laddove la domanda venga riproposta nel termine indicato da tale norma.

Questo è però in definitiva irrilevante. Proprio alla luce dell’impossibilità, della quale si è appena detto, quand’anche infatti la Corte Costituzionale dovesse pronunciarsi nei medesimi termi- ni dell’ordinanza di rimessione, in questione non potrebbe comunque mai essere la riassunzione del processo, dovendo viceversa giocoforza trattarsi della riproposizione della domanda.

5. Conservazione degli effetti dell’atto introduttivo e arbitrato irrituale

Chiarito questo e venendo al terzo dei punti precedentemente indicati, vale a dire quello re- lativo all’estensibilità o meno del principio della conservazione degli effetti dell’atto introduttivo all’arbitrato irrituale, si tratta indubbiamente della questione più delicata e disputabile.

In verità, ad una prima impressione anche a questo proposito il discorso sembrerebbe, quan- tomeno nei suoi termini essenziali, abbastanza semplice; nel senso che tutto sembrerebbe dipendere da come si intenda l’arbitrato irrituale11: laddove si ritenga che anche questo dia luogo ad un accer- tamento, configurandosi dunque come un fenomeno omogeneo all’arbitrato rituale (e pertanto, quantomeno ai fini del problema in esame, al giudizio statuale)12, è evidente che anche qui dovreb- be valere la conservazione degli effetti dell’atto introduttivo; laddove viceversa si ritenga che esso

9 Note 1 e 2.

10 Cfr. Corte Cost. 12 marzo 2007 n. 77, cit.

11 A scanso di equivoci è bene precisare che, parlando di semplicità, s’intende far riferimento esclusivamente a ciò che nella presente sede più specificamente rileva, vale a dire le ricadute dell’inquadramento dell’arbitrato sul problema della conservazione o meno degli effetti dell’atto introduttivo. Tutt’altro discorso vale poi, com’è ovvio, per quanto concerne tale inquadramento, che, in quanto problema preliminare, esula però dallo specifico tema qui in esame.

12 Questa a mio avviso la soluzione corretta (v. in proposito M. FORNACIARI, Lineamenti di una teoria generale dell’accertamento giuridico, Torino 2002, 324 ss.; ID., Arbitrato come giudizio a quo, cit., 1018; ID., Natura – di rito o di merito – della questione, cit., 469). In tal senso C.PUNZI, Disegno sistematico, cit., 217 ss.; B.SASSANI, L’arbitrato a modalità irrituale, in Riv. arb. 2007, 28 ss.; G.TOTA, in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di A.

BRIGUGLIO e B.CAPPONI, III, 2, Arbitrato, Padova 2009, 562.

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abbia natura innovativa, distinguendosi dunque nettamente dall’arbitrato rituale (e pertanto dal giu- dizio statuale)13, la conservazione degli effetti dovrebbe viceversa essere esclusa.

Per quanto in particolare concerne tale seconda ipotesi (quanto alla prima, non mi pare vi sia necessità di dimostrazioni), che le cose stiano effettivamente nel senso indicato sembrerebbe di- scendere da ciò, che in tale ottica la richiesta che viene rivolta all’arbitro ha un contenuto differente rispetto a quella che viene rivolta al giudice: mentre a quest’ultimo viene chiesto l’accertamento di un diritto, al primo viene invece chiesta la sua costituzione. Proprio in ciò consiste infatti, nell’ottica in discorso, la convenzione di arbitrato: nell’eliminazione del diritto in ipotesi scaturente dalla fattispecie sostanziale (quel diritto cioè, del quale, in assenza di convenzione, si chiederebbe l’accertamento al giudice) e nella richiesta all’arbitro di costituirne uno nuovo, trovante il proprio titolo esclusivamente nella sua pronuncia (in tale ottica, il giudice, ove riscontri la presenza di una convenzione di arbitrato, rigetta senz’altro la domanda nel merito: la situazione originaria, quand’anche in ipotesi esistente, è comunque venuta meno a seguito della convenzione e la nuova insorgerà solo a seguito dell’arbitrato). Data tale diversità, la possibilità di una conservazione di ef- fetti sembrerebbe dunque esclusa per definizione.

A meglio riflettere, qualche dubbio in proposito tuttavia insorge.

Pur essendo indubitabile che, nell’ottica dell’innovatività dell’arbitrato, la situazione sog- gettiva della parte deriva dalla pronuncia dell’arbitro, ciò non toglie infatti che tale pronuncia non è arbitraria. In particolare, non lo è in caso di arbitrato di diritto. In tal caso, essa rimane strettamente legata alla verifica circa la sussistenza o meno di quella certa fattispecie, ai cui effetti diretti le parti hanno bensì rinunciato, convenendo di rivolgersi all’arbitro, ma che nondimeno rimane determinan- te per il contenuto della pronuncia.

Schematizzando, la situazione è cioè la seguente: data una fattispecie del tipo a + b + c = x, le parti, convenendo di rivolgersi all’arbitro estinguono x e chiedono all’arbitro che, ove riscontri la presenza di a, b e c, costituisca il diritto y; diritto peraltro del tutto analogo ad x, salva solo la diver- sa fattispecie costitutiva, rappresentata non direttamente da a + b + c, bensì dalla pronuncia dell’arbitro. In questione sono dunque da un lato uno schema fatto  effetto, dall’altro uno schema fatto  pronuncia costitutiva  effetto14. A seconda che la controversia rientri o meno nella con-

13 In tal senso M.BOVE, Note in tema di arbitrato libero, in Riv. dir. proc. 1999, in part. 731 e ID., Art. 808 ter, in Nuo- ve leggi civ. comm. 2007, in part. 1187, e in La nuova disciplina dell’arbitrato. Commentario agli artt. 806-840 c.p.c.

Aggiornato alla legge 18 giugno 2009, n. 69, a cura di S.MENCHINI, Padova 2010, in part. 78.

14 Per una più completa illustrazione dei vari modelli di produzione di effetti giuridici si rinvia a M.FORNACIARI, Situa- zioni potestative, tutela costitutiva, giudicato, Torino 1999, 191 ss.

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venzione di arbitrato opererà, rispettivamente, il secondo oppure il primo schema. Ciò non toglie però che tanto in un caso quanto nell’altro la pronuncia finale, dichiarativa in un caso, costitutiva nell’altro, dipende comunque dall’esistenza di a, b e c.

Alla luce di tale circostanza, siamo allora così sicuri che la differenza fra le due fattispecie, e dunque fra il contenuto della domanda nei due casi, sia realmente rilevante agli specifici fini della conservazione degli effetti dell’atto introduttivo? Il quadro che, in concreto, si presenta è infatti questo: tizio vuole che venga riconosciuto che, essendosi verificati a, b e c, egli ha un diritto con un certo contenuto; a seconda che operi o meno la convenzione di arbitrato, in questione sarà l’accertamento di tale diritto (in caso di inoperatività) oppure la sua costituzione (in caso di operati- vità); tale differenza dipende però appunto solo dall’operatività o meno della convenzione di arbi- trato e pertanto dal fatto che, per ottenere ciò che vuole, la parte debba percorrere l’una o l’altra via, rivolgendosi al giudice oppure all’arbitro. Nella prospettiva per la quale, in generale, l’errore in tale scelta, e dunque la necessità di trasferire la propria richiesta da una sede all’altra, non travolge gli effetti dell’atto introduttivo, ha senso che questo non valga in ragione di una differenza di contenuto di tale richiesta, che dipende esclusivamente dalla sede nella quale questa viene proposta? Detto più chiaramente: se la ratio della salvezza degli effetti dell’atto introduttivo consiste nel ritenere che ciò che conta è la manifestazione di volontà di chiedere tutela, a prescindere dall’errore commesso nella scelta del canale di tutela attivato, in nome di cosa dovrebbe ritenersi che tale ratio non operi lad- dove la domanda abbia bensì un contenuto differente nelle due sedi, ma tale differenza dipenda solo dal diverso meccanismo di produzione dell’effetto nelle due prospettive e non anche da una reale diversità del risultato perseguito?

Laddove, come personalmente inclino a ritenere, tale interrogativo sia destinato a ricevere risposta negativa (nel senso cioè che non esistono validi motivi per ritenere che la ratio della sal- vezza degli effetti dell’atto introduttivo debba ritenersi in questo caso inoperante), ecco allora che, anche per l’arbitrato irrituale, la richiesta di tutela dovrebbe conservare effetti in ogni caso, quale che sia l’opzione in merito alla natura, accertativa oppure innovativa, dell’istituto.

6. Il problema della rilevanza della questione di costituzionalità

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Tutto quanto precede rischia peraltro di rimanere, quantomeno per il momento, meramente teorico, in quanto, come anticipato, la questione sollevata, pur fondatissima, risulta purtroppo irrile- vante per il giudizio a quo.

La cosa è invero abbastanza evidente. Perché una questione di legittimità costituzionale sia rilevante occorre infatti che essa investa una norma, della quale il giudice dovrebbe fare applicazio- ne. Nel caso di specie questo però non si verifica. Ai fini del rigetto in rito, in ragione dell’esistenza della convenzione arbitrale, l’art. 819ter2 cpc e la conseguente inapplicabilità dell’art. 50 stesso co- dice non vengono infatti in alcun modo in considerazione. Certo, la mancata salvezza degli effetti della domanda implicherà la decadenza dell’attrice dal potere di impugnare la delibera. Questo è pe- rò un problema che dovrà essere affrontato non in sede giudiziale, bensì davanti all’arbitro, una vol- ta che, respinta la domanda da parte del giudice, la domanda verrà riproposta davanti a lui. E’ infatti a tal punto che, in applicazione dell’art. 819ter2 cpc, dovrà dichiararsi la decadenza e che dunque diventerà rilevante la legittimità costituzionale o meno di tale norma.

Salvo che la Corte Costituzionale scelga di chiudere un occhio sul punto, il problema è dun- que destinato a rimanere.

Il danno è peraltro di poco conto e si traduce in sostanza solo in un ritardo. Si tratterà infatti semplicemente di attendere che, riproposta la domanda davanti all’arbitro, questi sollevi di nuovo la questione. Né, all’uopo, si richiederà, da parte di tale soggetto, uno sforzo particolare: l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale è già pronta e con “copia” e “incolla” il darle nuova veste è questione di minuti15.

15 In alternativa, la questione potrebbe ovviamente essere sollevata anche dal giudice statale, laddove, in una vicenda speculare rispetto a quella qui presa in considerazione, fosse l’arbitro a ritenere la causa non di propria spettanza.

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