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Raffaella Nocera Procuratore legale, Foro di Napoli

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Academic year: 2022

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Raffaella Nocera

Procuratore legale, Foro di Napoli

IL DANNO BIOLOGICO TRA PASSATO E PRESENTE

Il danno biologico consiste nella lesione dell’integrità psicofisica, considerata quale bene a se stante, indipendentemente dalle ripercussioni patrimoniali e dalla capacità di produrre reddito della vittima.

Il concetto di danno biologico, frutto di laboriosa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale, (in dottrina si ricordi il significativo contributo di Renato Scognamiglio, in giurisprudenza, il coraggioso orientamento del Tribunale di Genova), scaturiva dall’interpretazione in chiave precettiva dell’art. 32 Cost., sostenuta strenuamente sia dalla Corte di Cassazione (in particolare, Cass., sez. unit. 21/5/1973, n. 796 in Foro it., 1974, I, 28), sia dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 12/7/1979, nn. 88 in Giust. civ., 1979, III, 121); tale interpretazione, presupponendo l’esistenza del diritto alla salute, quale fondamentale diritto dell’individuo, consentiva la piena applicabilità dell’art. 32 Cost. ai rapporti tra privati; di conseguenza, la lesione del diritto alla salute, determinava un atto illecito, passibile di risarcimento.

La risarcibilità del danno biologico veniva ribadita dalla Corte Costituzionale nella ben nota sentenza n. 184/1986 ove, tra l’altro, si ipotizzava l’appartenenza del danno biologico ad una sorta di “tertium genus”, distinto sia dall’area dei anno non patrimoniali che dall’area dei danno patrimoniali.

Anteriormente alla teorizzazione del danno biologico, la risarcibilità del danno era limitata solo al caso in cui l’illecito incidesse sulla capacità di produrre reddito da parte della vittima, nonché al caso in cui il danno fosse conseguenza di un reato, peraltro nei limiti previsti dall’art. 2059 c.c. In questo modo, si limitava la possibilità di risarcimento qualora la vittima del sinistro fosse un soggetto non percettore di reddito (casalinga), o non ancora percettore di reddito (minore, studente), o non più percettore di reddito (pensionato).

E’ assai dubbio se nell’ambito del danno biologico debbano comprendersi tutte le attività realizzatrici della persona, inclusi il danno estetico, alla vita di relazione, alla sfera sessuale, alla capacità lavorativa, il cd. “danno ai piaceri della vita” (secondo la stravagante terminologia di taluna giurisprudenza) nonché il danno da menomazione psichica. In verità il danno biologico racchiude tutti i molteplici aspetti in cui si estrinseca la personalità, e, in relazione ai diversi casi, la menomazione è suscettibile di incidere in misura maggiore o minore su una o più attività realizzatrici della persona. Laddove si propendesse per la sostanziale autonomia concettuale delle ipotesi di danno citate, sarebbe inevitabile il rischio di duplicazioni risarcitorie, paventato dalla stessa Corte Costituzionale nella sent. 184/1986.

Con riferimento al danno da menomazione psichica, è evidente che qualsiasi disturbo non inquadrabile nel “transitorio turbamento soggettivo” e quindi nel danno morale, è riconducibile al danno biologico, consistente appunto nella lesione della integrità somatopsichica. Pertanto, il medico legale sul quale incomba il compito della consulenza, dovrà precisare l’incidenza del danno psichico sulla valutazione del danno biologico, nonché indicare le conseguenze che il disturbo psichico ha prodotto sulla capacità lavorativa, sulla vita familiare e sociale, la possibilità di ottenere miglioramenti grazie alle terapie, il lasso di tempo intercorso tra la manifestazione del disturbo e la valutazione.

I metodi di liquidazione del danno biologico sono riconducibili a due scuole: la Scuola Pisana che tende a diversificare la valutazione da un caso all’altro, propone un metodo ispirato a criteri equitativi. La Scuola Genovese, sottolinea il fatto che la lesione può avere ripercussioni variabili da un individuo all’altro solo in ordine al danno morale e al danno patrimoniale, viceversa, la lesione

Tagete n. 1-1996 Ed. Acomep

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dell’integrità psicofisica in quanto tale, sarebbe uguale per tutti (con l’unica variante rappresentata dall’età).

Pertanto, la predetta scuola, propende per il metodo tabellare. Di recente, la Cassazione (Cass. n.

2009/1993), pur sottolineando l’insufficienza dei criteri di risarcimento ancorati al reddito pensionistico, ha proposto una valutazione ispirata a parametri uniformi ma flessibili ed aderenti al caso di specie. Non c’è dubbio che, qualora si propendesse per un criterio equitativo puro, ci si troverebbe di volta in volta di fronte ad un caso nuovo e alla necessità di inventare una regola diversa caso per caso.

Tagete n. 1-1996 Ed. Acomep

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