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Taricco * Il dito della irretroattività sfavorevole e la luna della garanzia giurisdizionale: la posta in gioco dopo la sentenza Corte di Giustizia UE, N D C

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C

ONVEGNI

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ANIELE

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EGRI

Il dito della irretroattività sfavorevole e la luna della garanzia giurisdizionale:

la posta in gioco dopo la sentenza Corte di Giustizia UE, Taricco*

(Firenze) – Il dado è tratto. La sensazione è che questa volta sia giunto il momento della verità e convenga perciò esprimersi con estrema chiarezza. La posta in gioco è infatti altissima; addirittura vitale per quel poco che resta del- la legalità penale e processuale intese come argini ad un potere irrefrenabile del magistrato.

Il primo assalto, tentato un decennio addietro, si scontrò col rilievo che una direttiva comunitaria non può avere quale effetto, di per sé e indipendente- mente da una legge interna dello Stato membro adottata per la sua attuazione,

«di determinare o aggravare la responsabilità penale» di chi agisce in violazio- ne delle disposizioni dettate in quella fonte sopranazionale (Corte di Giusti- zia, Grande Sezione, 3 maggio 2005, Berlusconi e altri, cause C-387/02, C- 391/02, C-403/02).

L’ultimo tentativo è invece andato a segno. Col manifestare senza remore quale concezione della giustizia penale propugnino gli interpreti del diritto UE, l’odierna sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione, 8 settembre 2015, Taricco, causa C-105/14) rompe gli indugi e partorisce un monstrum la cui unica virtù è quella di costringerci a riflettere sui fondamenti del sistema, così sostanziale come anche processuale, per invocarne la salvaguardia presso l’estremo custode della Costituzione.

La prescrizione del reato come garanzia individuale.

Le proposizioni di cui diremo vanno confrontate con alcuni capisaldi rintrac- ciabili nelle pronunce della nostra Corte costituzionale, che conviene antici- pare. La prescrizione del reato vi è riconosciuta alla stregua di una garanzia individuale. Il radicamento dell’istituto nella logica della prevenzione genera- le, considerato l’affievolirsi «progressivo dell’interesse della comunità alla pu- nizione del comportamento penalmente illecito», si accompagna infatti all’esplicito riconoscimento, da parte del giudice delle leggi, di un autentico

«diritto all’oblio» a favore dei cittadini rispetto all’incombere o al concreto dispiegarsi della pretesa punitiva (sent. 45/2015).

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Tocca invero ad un principio riferito al processo lasciar emergere espressa- mente dalla Carta costituzionale il postulato generale degli ordinamenti libe- raldemocratici riguardo ai rapporti tra lo Stato e l’individuo sotto il profilo dei tempi dell’intervento penale: l’esigenza che la legge assicuri al processo una durata ragionevole si atteggia a limite della servitù di giustizia già in atto, stig- matizzando la sottoposizione dell’imputato per un tempo indefinito all’apparato della repressione. L’antecedente logico non può che esservi im- plicito, visto il bisogno di tutela dell’individuo da una non meno rilevante ser- vitus iustitiae potenziale. È in primo luogo il periodo dell’umana esistenza tra il fatto di reato e l’avvio dell’attività di perseguimento penale a richiedere pro- tezione dal ius puniendi che rischia presso di cadere in qualunque momento nella vita del singolo1, non solo tenendolo così perennemente sotto scacco, ma, poiché gli sfugge la catena d’impulso all’iniziativa penale, lasciandolo al- tresì sguarnito a distanza di tempo dall’episodio criminoso dei mezzi idonei a difendere la propria posizione iniziale di soggetto libero e presunto innocen- te.

Un chiaro aggancio della prescrizione alla garanzia sancita nell’art. 24, co. 2, Cost. proviene dalla stessa Corte costituzionale, là dove riconduce l’«interesse generale di non perseguire più i reati» al trascorrere di un lasso di tempo tale sia da attenuare l’allarme sociale, sia da rendere «più difficile l’acquisizione del materiale probatorio» e quindi «l’esercizio del diritto di difesa» (sent.

393/2006; sent. 78/2008). Delle molteplici giustificazioni date all’estinguersi della punibilità si accentua qui il profilo legato alle menomate condizioni in cui si trova chi non va considerato colpevole sino a condanna definitiva nel contrastare l’accertamento di responsabilità penale intrapreso o proseguito con ritardo dall’autorità. Negli equilibri del diritto costituzionale interno, il primato quanto alla modulazione del fattore temporale spetta perciò – occor- re ribadirlo ancora una volta – alla tutela dell’individuo, benché simile preva- lenza non sia assoluta.

Si tratta pur sempre di operare un bilanciamento con altri interessi di rilievo costituzionale, quali l’«efficienza» del processo e il «principio di effettività del diritto penale» (sent. 236/2011). Nondimeno ricade sullo Stato l’onere di or- ganizzare i tempi della giustizia in modo che i processi siano definiti prima del decorso dei termini prescrizionali. Tanto da rendere ragionevole che sia l’esercizio della potestà punitiva a sopportare il rischio derivante dalla loro abbreviazione in itinere ogni qual volta risulti possibile sveltire di conseguenza il ritmo dell’attività processuale nel tentativo non predestinato all’insuccesso

1 In tal senso, GIUNTA-MICHELETTI, Tempori cedere, Torino, 2003, 44 s.

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di concludere comunque l’accertamento penale; mentre limiti all’applicabilità retroattiva dei termini ridotti di prescrizione sono considerati legittimi se il grado di sviluppo ormai raggiunto dalla regiudicanda lascia poco o nessuno spazio a manovre acceleratorie capaci di salvaguardare i risultati acquisiti sotto il vigore della precedente disciplina2. …

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2 In base a questo argomento la Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione relativa alla norma transitoria (art. 10, co. 3, legge n. 251 del 2005) che sottraeva alla retroattività in mitius i processi ormai giunti in grado d’appello o pendenti davanti alla Corte di cassazione.

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