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Subappalto: le ingerenze della Corte di Giustizia UE nella disciplina italiana

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Subappalto: le ingerenze della Corte di Giustizia UE nella disciplina italiana

11 Gennaio 2022 Chiara Albertini

Abstract

Il presente scritto si pone l’obiettivo di analizzare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto del “subappalto”. Infatti, a seguito di importantissime pronunce della CGUE, il legislatore italiano è intervenuto non senza ripercussioni sull’applicazione concreta del diritto creando, così, notevoli contrasti giurisprudenziali (sia nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità) aggrovigliando ulteriormente una materia già di per sé complessa ed articolata.

This work aims to analyze the regulatory and jurisprudential evolution of the institution of

"subcontracting". In fact, following very important rulings of the CJEU, the Italian legislator intervened, not without repercussions on the concrete application of the law, thus creating significant jurisprudential conflicts (both in the case law of merit and in that of legitimacy), further entangling a matter already in itself complex and articulated.

Premessa

In tema di appalti e lavori pubblici si è scritto e si scriverà ancora molto e questo è certamente dovuto al fatto che si tratta di un settore estremamente rilevante sul piano economico, nazionale ed europeo. Ma è proprio per questo motivo che è uno degli ambiti in cui si verificano, sempre più spesso, fenomeni di infiltrazione mafiosa e criminale.

La reazione dell’ordinamento a tale fenomeno è stata nel senso di adottare, nel tempo, normative sempre più stringenti e limitative nei confronti degli operatori economici.

In queste pagine, si rifletterà sulla evoluzione normativa del contratto di subappalto che, nella prassi, è uno strumento particolarmente utilizzato.

Un’evoluzione che non può prescindere dalla citazione di importanti pronunce dei giudici europei in ragione della competenza europea in questa materia: ingerenza, questa, che ha portato a repentine modifiche della disciplina nazionale, talvolta, provocando forti contrasti e dissapori.

L’istituto del subappalto: caratteri generali

«Appalto» e «subappalto» sono due contratti di origine romanistica: tuttavia, nel Codice civile del 1942 si trova menzionato solo il primo. Infatti l’art. 1655 c.c definisce il contratto di «appalto» come « il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione del rischio, il compimento di un’opera o un servizio a favore di un’altra parte (c.d

«committente», ndr) verso il corrispettivo in danaro».

In via interpretativa, per «subappalto», invece, si intende il contratto di appalto stipulato, previa

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autorizzazione del committente, da chi a sua volta sia appaltatore nei confronti del committente. Come anticipato, il legislatore del Codice civile non ha introdotto una vera e propria definizione di subappalto ma solo la precisazione che l’appaltatore non può dare in subappalto l’esecuzione dell’opera o del servizio senza l’autorizzazione del committente (art. 1656 c.c.).

Il subappalto è, per definizione, un contratto «derivato»: pertanto, come sostiene la dottrina maggioritaria, esso, traendo origine dal contratto principale, esiste validamente solo in presenza del consenso espresso dal committente alla delega per l’esecuzione parziale o totale dei lavori al subappaltatore che, dunque, rimane estraneo al rapporto originario tra appaltante e appaltatore.

Al pari dell’appalto, anche il subappalto è un contratto fondato sul c.d «pactum fiduciae», ovvero sulla fiducia reciproca committente - appaltatore: da un lato, la decisione di affidare i lavori ad un determinato soggetto (noto come «intuitus personae») è motivata dalla valutazione positiva delle sue capacità professionali e dell’organizzazione, e dall’altro, la scelta di accettare l’incarico è dettata da un’altrettanta positiva valutazione della solvibilità del committente.

Il contratto, proprio per queste specificità, deve essere stipulato per iscritto e contenere l’esplicita approvazione del committente alla delega dei lavori (e la percentuale), può contenere veti alla stipula di un subappalto o comunque clausole limitative (ad esempio, se un eventuale subappalto comportasse dei maggiori oneri a carico del committente). Il contratto di subappalto (eventualmente) concluso, di fatto, resta un contratto autonomo e distinto rispetto all’appalto originario, seppur legato indissolubilmente alle sue sorti. Oggetto del subappalto è, indicativamente, una percentuale dei lavori previsti nell’appalto iniziale che l’appaltatore sceglie di affidare ad una o più diverse imprese.

In funzione dell’oggetto, si può distinguere tra appalto «di opere» nel quale la materia è trasformata per la realizzazione di un nuovo bene e appalto «di servizi» ovvero consistente in una prestazione di fare che soddisfi la richiesta del committente.

Nel settore dei lavori pubblici. L’art. 105 Decreto Legislativo 50/2016

Il subappalto trova la sua massima esplicazione nel settore dei lavori pubblici. Talvolta, la complessità delle opere e dei lavori da realizzare comporta la necessità di lottizzare l’appalto o di ricorrere allo spezzettamento degli affidamenti a diverse imprese. La scelta è ardua per la PA: da un lato, si deve garantire il raggiungimento dello scopo collettivo alla realizzazione di un’opera secondo le regole e, dall’altro, è importante scegliere il migliore offerente sotto il profilo tecnico ed economico.

La disciplina del subappalto «pubblico» è contenuta nell’art. 105 del Decreto Legislativo 50/2016 che, come già ricordato, è l’atto di recepimento interno delle Direttive europee del 2014 in materia di appalti.

Nel testo della norma (versione originaria) si legge che «Il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. (…). Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l'eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture. (…)».

Il legislatore, nella versione originaria della disposizione, aveva imposto la soglia limite del 30%

dell’importo complessivo dell’appalto per rispondere a due esigenze: in primo luogo, tutelare l’interesse dell’Amministrazione all’immutabilità dell’affidatario (scelto sulla base delle caratteristiche professionali) e, dall’altro, quello di limitare (se non impedire) le occasioni di infiltrazioni criminali o mafiose.

Va segnalato che, rispetto alla normativa prevista nel vecchio Codice, la soglia limite del 30% è prevista

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per tutte le ipotesi di subappalto, indipendentemente dall’oggetto dello stesso.

Al co. 4 della stessa disposizione vengono individuate le condizioni necessarie per l’affidamento in subappalto: 1) la previa autorizzazione della stazione appaltante; 2) la mancata partecipazione dell’affidatario del subappalto alla procedura per l’affidamento dell’appalto; 3) la qualifica del subappaltatore nella relativa categoria; 4) l’indicazione all’atto dell’offerta da parte del concorrente delle lavorazioni, dei servizi, delle forniture o delle parti di essi che si intende subappaltare; 5) l’assenza in capo ai subappaltatori dei motivi di esclusione di cui all’art.80 Decreto Legislativo 50/2016.

Senonché, subito dopo l’adozione del Codice appalti, si sollevarono forti discussioni in relazione alla disciplina che era considerata troppo blanda e incapace di rispondere ai bisogni del settore in quel momento.

Nel 2017, sull’istituto in esame, è intervenuta anche ANAC che, con Parere n. 276 del 2017, ha ritenuto che il subappalto nei confronti di soggetti terzi, estranei alla compagine sociale dell’aggiudicatario, in assenza di manifestazione esplicita di volontà di ricorrere all’istituto, dunque senza preventiva autorizzazione della stazione appaltante, costituisce una palese violazione delle disposizioni codicistiche e un’elusione dei principi in materia di contratti pubblici. Segnatamente, si sostanzia la violazione del principio generale e di ordine pubblico di immodificabilità del contraente, dal quale discende il divieto di cessione del contratto di appalto a pena di nullità, di cui all’art. 105, co. 1 del Codice Appalti.

Una prima modifica alla norma si è fatta, nel 2017, con il Decreto Legislativo 56/2017 tramite il quale si voleva tentare di accrescere la legalità, la trasparenza, l’imparzialità, l’efficacia e l’efficienza nonché di contrastare la corruzione nell’azione amministrativa.

Ecco giunti ad una svolta. Nel 2019, un nuovo intervento normativo novella la disciplina: il Decreto c.d.

«sblocca-cantieri» (D.L 32 del 18 aprile 2019, convertito con la L. 55/2019), ha apportato ben 53 modifiche al Codice degli appalti al fine di rilanciare gli investimenti pubblici e di facilitare l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere pubbliche. Nell’ampio dibattito che ha preceduto l’adozione di questo decreto, larga parte della dottrina era a favore dell’abolizione completa della soglia del 30% al fine di garantire la massima partecipazione degli operatori economici (in particolare nell’ottica di favorire le piccole e medie imprese) e con l’obiettivo di armonizzare la disciplina nazionale con quella comunitaria.

Infine, recentemente, nuove modifiche alla disciplina del subappalto nell’ambito dei lavori pubblici sono state introdotte dal Decreto Semplificazioni, adottato nel 2021, che, più avanti nel testo, si avrà modo di analizzare brevemente.

Il DL 32/2019: Decreto Sblocca-Cantieri e le novità

Una delle prime novità introdotte dal DL 32/2019 è stata quello di innalzare la soglia massima al 50% del valore complessivo dell’appalto iniziale. In secondo luogo, quella di prevedere tale regime in via straordinaria e temporaneamente fino al 30 giugno 2020 (di fatto, successivamente esteso al 31 ottobre 2021). In verità, la soglia massima dal 50% è stata poi ridotta al 40%: la ratio legis sottostante era quella di sbloccare i cantieri di opere, lavori e servizi pubblici, rilanciare il settore degli investimenti e ravvicinare la normativa nazionale a quella europea che, come si avrà modo di constatare, non prevede alcun tipo di limite al ricorso al subappalto.

Senza pretese di completezza e seppur brevemente, è interessante ripercorrere quelle che sono state le principali modifiche introdotte dal decreto «sblocca-cantieri» nel 2019 con specifico riferimento all’istituto del subappalto.

In primo luogo la previsione di un nuovo limite massimo per il ricorso a questo strumento. Il limite previsto del 30% è stato innalzato fino al 50% (salvo poi adottare una linea intermedia stabilendo una

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soglia massima del 40% fino al 31 ottobre 2021). Si tratta di una scelta frutto del bilanciamento tra l’interesse nazionale di arginare il fenomeno delle infiltrazioni criminali e l’interesse comunitario al rispetto dei principi individuati nel TUE e TFUE.

In secondo luogo, l’obbligo di indicazione del subappalto nel bando di gara. Una previsione normativa di questo tipo è giustificata dall’esigenza di limitare, ancora una volta, il ricorso al subappalto alle sole ipotesi previste, caso per caso, dalla PA. Si tratta, comunque, di una disposizione che ha sollevato non poche perplessità soprattutto nell’ottica della conformità alle stesse disposizioni europee.

In terzo luogo: le modifiche apportate all’art. 105, co. 6 del Codice dei contratti pubblici e l’abolizione della c.d. «terna dei subappaltatori». Questo tema è stato oggetto di ampio dibattito a cui ha posto fine proprio ANAC che, con il Parere n. 1035 del 2018 ha precisato che l’indicazione della terna dei subappaltatori è obbligatoria solo «(…) qualora gli appalti di lavori, servizi e forniture siano di importo pari o superiore alle soglie di cui all’art. 35 o, indipendentemente dall’importo a base di gara, riguardino le attività maggiormente esposte a rischio di infiltrazione mafiosa (…)». La disposizione de qua è stata completamente abrogata eliminando, così, l’obbligo per le imprese di individuare, nella propria offerta, una terna di subappaltatori ai quali assegnare le opere in fase esecutiva (in caso di contratti sopra la soglia europea).

Infine, alcune modifiche sono state introdotte nella fase di esecuzione del contratto: con il decreto in esame, infatti, si è previsto che anche il subappaltatore abbia il diritto, previa richiesta formulata alla stazione appaltante, di ottenere il pagamento diretto delle prestazioni eseguite, fermo restando l'accertamento dell'inadempimento da parte dell'affidatario dell’appalto. In questo modo, dunque, non passando per tramite dell’appaltatore originario.

La reazione dell’Unione europea: la Corte di Giustizia UE e Commissione europea

La competenza dell’UE in materia di appalti ha, infatti, giustificato l’intervento della Commissione europea e della Corte di Giustizia europea.

Vi è da dire che, sin dal 2019, l’Unione Europea ha preso di mira la normativa nazionale sugli appalti e in più occasioni si è pronunciata in senso negativo.

In primis, è intervenuta la Commissione UE inviando una lettera di costituzione in mora dell’Italia, con la procedura di Infrazione n. 2018/2273 in cui è stato riconosciuto che «(…) nelle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE non vi sono disposizioni che consentano un siffatto limite obbligatorio (limite generalizzato al 30%, ndr) all’importo dei contratti pubblici che può essere subappaltato. Al contrario, le direttive si basano sul principio secondo cui occorre favorire una maggiore partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici, e il subappalto è uno dei modi in cui tale obiettivo può essere raggiunto». In tale ottica, l’art. 63, par. 2 della Direttiva 2014/24/UE permette alle PP.AA aggiudicatrici di limitare il diritto di ricorrere al subappalto solo ed esclusivamente in casi in cui una restrizione di questo tipo sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere.

La posizione della Commissione UE è stata successivamente confermata da alcune storiche pronunce dei giudici della CGUE la quale, ai sensi dell’art. 267 TFUE, si pronuncia in via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati (e delle altre fonti del diritto comunitario) al fine di assicurare, erga omnes, un’uniforme interpretazione ed applicazione del diritto europeo.

Tra le diverse pronunce della Corte di Giustizia, richiamate dalla Commissione, c’è la C-406/14 in cui la

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stessa Corte aveva già statuito che «(…) una clausola che impone limitazioni al ricorso a subappaltatori per una parte dell’appalto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale delle prestazioni di cui si tratta, è incompatibile con la direttiva 2004/18/CE». Più di recente, i giudici europei sono tornati sull’argomento: il Caso Vitali Spa (sent. 26/09/2019, causa C- 63/18) e il Caso Tedeschi S.r.l. (sent. 27/11/2019, causa C- 402/18).

Nel caso Tedeschi S.r.l., invece, la CGUE, oltre a confermare la propria posizione circa i limiti previsti nel Codice Appalti italiano, aggiunge una precisazione circa la relazione tra il limite del 30% ed il legittimo obiettivo del contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici. In particolare, si legge che «(…) anche supponendo che una restrizione quantitativa al ricorso al subappalto possa essere considerata idonea a contrastare siffatto fenomeno, una restrizione come quella oggetto del procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo»

sottolineando, così, l’eccessività del Codice dei contratti «(…) che limita al 30% la quota parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi».

Tanto nell’una, quanto nell’altra, la Corte ha sottolineato che le Direttive europee debbono essere interpretate sempre nel senso di ritenersi ostative alla previsione di limiti quantitativi, generali ed indeterminati, al subappalto ed ha sollecitato il Legislatore nazionale a prevedere misure meno restrittive, ma ugualmente idonee a perseguire l’esigenza di tutela della legalità e dell’ordine pubblico negli appalti.

La posizione della giurisprudenza nazionale

Sul piano nazionale la vexata quaestio è tutt’altro che risolta: i giudici, in fase di applicazione del diritto, si trovano nel mezzo di una complessità normativa generata dal susseguirsi di interventi normativi, novellatori di modifiche legislative appena precedenti, ed ulteriormente aggravata dalle diverse interpretazioni dei giudici europei che, per il principio di supremazia del diritto europeo su quello nazionale, devono necessariamente prevalere.

I primi giudici italiani ad affrontare la disciplina del subappalto dopo la pronuncia sul caso Vitali Spa, sono stati quelli del TAR Lecce con la sentenza n. 1938 del 2019 che, prima facie, solleva talune dubbiosità che rischiano di ingenerare ulteriore confusione tra gli addetti ai lavori. La fattispecie riguardava l’esclusione della ricorrente da una gara indetta dalla Direzione di Intendenza della Marina Militare di Brindisi, per l’affidamento del Servizio di analisi delle acque destinate al consumo umano a bordo delle Unità navali e dei galleggianti della Marina Militare nelle basi navali di Taranto e Brindisi. Esclusione fondata sulla invalidità del contratto di avvalimento stipulato dall’operatore economico per utilizzare i laboratori di prova dell’impresa ausiliaria accreditati conformemente alla norma europea. Ciò che rileva, ai fini della trattazione, è l’autonoma l’interpretazione che il giudice di merito ha fornito del caso Vitali Spa. Il Collegio ha, infatti, ha escluso che possa ritenersi ancora applicabile a priori il limite del 30% ed ha chiarito che deve essere valutato in concreto se il ricorso al subappalto pregiudichi effettivamente i principi di trasparenza, concorrenza e proporzionalità. Quindi, secondo questa interpretazione, si riabilita proprio quella restrizione quantitativa al ricorso al subappalto fortemente condannata dalla Corte di Giustizia europea.

Il dibattito è tutt’altro che sopito: il Consiglio di Stato, nella recente pronuncia n. 8101 del 2020 ha affermato, alla luce della giurisprudenza europea, che «(…) La norma del codice dei contratti pubblici che pone limiti al subappalto deve essere disapplicata in quanto incompatibile con l’ordinamento euro- unitario, come affermato dalla Corte di Giustizia dell’UE» legittimando, dunque, i giudici di merito

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all’automatica disapplicazione dell’articolo 105 Decreto Legislativo 50/2016 per contrasto con le normative europee.

Vi è da dire, però, che non tutta la giurisprudenza ha accettato uniformemente la posizione della Corte di Giustizia e del sopraccitato Consiglio di Stato. A tal proposito, è interessante analizzare la più recente giurisprudenza sul tema e, nello specifico, la pronuncia del TAR Roma n. 4183 del 2020.

Tralasciando i fatti di causa, va rilevato che la decisione adottata dai giudici di merito si pone in completa contrapposizione con quanto sopra esposto. Proprio con riferimento al limite del 30% (di cui alla versione originaria dell’art. 105 Codice appalti), il TAR ha ritenuto non rilevante il richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia UE del 26 settembre 2019, causa C-63/19 in cui i giudici europei avevano affermato che

«(…). La direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, come modificata dal regolamento delegato (UE) 2015/2170 della Commissione, del 24 novembre 2015, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita al 30 % la parte dell’appalto che l’offerente è autorizzato a subappaltare a terzi».

Secondo l’interpretazione avanzata dal TAR Roma, infatti, ciò che è stato censurato è, in modo specifico, il limite del 30% che, tuttavia, non esclude la possibilità di prevedere limiti superiori. Nella parte motiva di questa sentenza, la Corte ha evidenziato che «(…) il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo, che può giustificare una restrizione alle norme fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici (…)».

Di conseguenza, il TAR non esclude che il legislatore nazionale possa individuare comunque, al fine di evitare ostacoli al controllo dei soggetti aggiudicatari di appalti e subappalti, una soglia- limite proporzionata rispetto a tale obiettivo (TAR Roma, sent. n. 4183/2020).

I pareri di ANAC in materia di subappalto

In tema di lavori pubblici ed appalti rilevano, e in modo piuttosto importante, le Linee Guida ed i pareri emanati dall’Autorità Anticorruzione quale autorità indipendente preposta alla vigilanza sulle procedure di gara ad evidenza pubblica.

A seguito dell’adozione del DL 32/2019, ANAC si è limitata ad aggiornare le proprie linee guida, innalzando la soglia limite per il subappalto (nei bandi tipo) dal 30% al 40%. Nulla invece è stato detto in merito alle sentenze della Corte di Giustizia.

Solo in un secondo momento, l’Autorità Anticorruzione si è limitata ad auspicare l’intervento del legislatore italiano per provvedere ad una «urgente modifica della disciplina di riferimento affinché la normativa nazionale sia riportata in sintonia con i principi stabiliti dal legislatore e dal Giudice europeo».

La soluzione proposta da ANAC è la seguente: prevedere, in via generale, l’ammissibilità del subappalto senza limiti ma al contempo imporre, alla stazione appaltante, l’obbligo di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara (settore di riferimento, natura della prestazione, importo, esposizione al rischio di infiltrazioni criminali e mafiose, etc.).

A parere di chi scrive, in conclusione, è evidente la mancata presa di posizione del legislatore che, a fronte della situazione di totale incertezza normativa creatasi dopo le pronunce della Corte di Giustizia, si è limitato a prorogare pro tempore le disposizioni del Decreto Sblocca-Cantieri senza procedere ad una definitiva revisione della disciplina del subappalto.

Questa mancata, per così dire, «assunzione di responsabilità» finisce inevitabilmente per riflettersi sulle stazioni appaltanti e le Pubbliche Amministrazioni che, a questo punto, si trovano totalmente prive

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di ogni riferimento e che espongono il RUP a gravi e pesanti responsabilità. È stato già previsto che, nel futuro più prossimo, si assisterà ad un aumento esponenziale di ricorsi e, certamente, a ritardi nei procedimenti di affidamento ed esecuzione di opere pubbliche.

Quali strumenti a tutela delle PP.AA?

Il rischio per le stazioni appaltanti è duplice: da un lato, il pericolo di infiltrazioni mafiose e criminali nel sistema degli appalti. È infatti evidente che allentare i limiti al subappalto, come «imposto» dalla Corte di Giustizia, potrebbe (potenzialmente) produrre effetti diversi da quelli auspicati e rendere, di fatto, inefficaci tutti i meccanismi di verifica e controllo dei subappaltatori, creando pregiudizio soprattutto per le piccole e medie imprese.

Dall’altro c’è l’esposizione continua al rischio di contestazioni e ricorsi. Per ovviare a questo secondo problema, in verità, non sono poi molti gli strumenti che la PA ha a disposizione.

A parere di chi scrive, la stazione appaltante e il RUP potrebbero andare esenti da responsabilità indicando, nel bando di gara, esplicito richiamo alle sentenze del Giudice europeo sopra citate quale giustificazione della disapplicazione dell’art. 105, co. 2.

Alla luce di tutto quanto sopra analizzato, appare evidente la necessità di revisione dell’intera disciplina contenuta nel Codice degli appalti nell’ottica di armonizzarla con quella europea ma anche, e soprattutto, al fine di semplificarne l’applicabilità in fase di giudizio, scongiurando pronunce diametralmente opposte che rischiano solo di aggravare ulteriormente una situazione normativa già particolarmente complessa. Inoltre, una più chiara e semplice normativa andrebbe certamente a favore dei cittadini e di tutti gli operatori economici che si trovano ad operare nel territorio italiano.

RIFERIMENTI:

Codice civile;

Commissione UE, procedura di Infrazione n. 2018/2273;

Corte Giust., causa C-63/18 del 26/09/2019 (Caso Vitali SPA);

Corte Giust., causa C-402/18 del 27/11/2019 (Caso Tedeschi Srl);

Cons. St., sent. n. 8101/2020;

Direttive UE 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE;

DL 32/2019 (decreto Sblocca-cantieri);

Decreto Legislativo 56/2017

Decreto Legislativo 50/2016 (Codice degli appalti);

L. 55/2019 (legge di conversione del DL 32/2019);

TAR Roma, sent. n. 4183/2020.

LETTURE CONSIGLIATE: il subappalto nel Decreto Semplificazioni, in link.

TAG: appalto, Subappalto, appalti pubblici

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