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Pubblicato il 01/10/2021

N. 06583/2021REG.PROV.COLL.

N. 07392/2017 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7392 del 2017, proposto da Comune di Sabaudia, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato Salvatore Mileto, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pietro Da Cortona, n. 8;

contro

San Lorenzo S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ilaria Colombo, Marco Di Lullo, Massimo Lauro, Mario Sanino, Silvio Aurilio, con domicilio eletto presso lo studio Mario Sanino in Roma, viale Parioli, n. 180;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima) n. 112/2017, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di San Lorenzo S.r.l.;

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Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 settembre 2021 il Cons.

Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Salvatore Mileto e Mario Sanino.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio, sezione staccata di Latina, l’odierno appellato invocava l’annullamento del provvedimento del Comune di Sabaudia n. 324 del 15 febbraio 2016 di sospensione nonché immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di divisione dei suoli ai sensi dell'art. 30 c. 7 d.P.R.

380/2001; di annullamento del permesso di costruire n. 213/2015.

2. Il primo giudice accoglieva il ricorso, rilevando che il provvedimento di annullamento in autotutela, oltre che privo di motivazione circa l’interesse pubblico ed attuale anche in relazione al tempo trascorso e all’affidamento dei privati, fosse anche in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa, tenuto conto della deliberazione consiliare n. 42/04 interpretativa delle disposizioni di Piano.

3. Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello il Comune di Sabaudia, che ne lamenta l’erroneità per le seguenti ragioni: a) il giudizio penale conclusosi con la sentenza della Cassazione penale n. 3212/2015, avrebbe accertato il materiale contrasto tra il genuino ed originale contenuto del PRG di Sabaudia e le attività di “rettifica” poste in essere, nel 2004, dall’Arch. Ranieri;

b) non sarebbe corretto ritenere che il contenuto del PRG di Sabaudia vigente nel 2005, quando venne rilasciato il permesso di costruire per cui è causa, non si ricavasse soltanto dai relativi atti originari, quali legislativamente tipizzati; ma anche da una serie di

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atti “interpretativi” successivi, e cioè le delibere del Consiglio comunale nn. “50/82” (che è in realtà la n. 63/82) e 42/04; nonché la nota 02.12.2010 del Dirigente del Settore Urbanistico. Ciò in quanto si tratta di atti mai approvati dalla Regione, quindi, privi di capacità modificativa, aventi al più portata interpretativa, quindi nel caso della Delibera n. 63/1982, quest’ultima non sarebbe potuta andare oltre gli standards di edificabilità delle particelle così già destinate dal PRG, escluse, pertanto, le particelle per cui oggi è causa. In relazione a quest’ultima, peraltro, dovrebbe rilevarsi che la stessa sarebbe risultata superata sin dal 1989 quando, con Delibera dello stesso Consiglio comunale n. 171, furono approvate rettifiche grafiche che conservavano alla p.lla n. 50 la sua originaria destinazione a verde pubblico/viabilità. Mentre nel caso della Delibera n. 42/2004, si sarebbe trattato di un’interpretazione sbagliata, perché indotta in errore dalle false “rettifiche” dell’Arch.

Ranieri. In ogni caso non sarebbe stato necessario provvedere ad un loro annullamento in autotutela. Infine, non si sarebbe potuto riconoscere alcuna efficacia alla nota del dirigente del Settore Urbanistico del 2 febbraio 2010. Ancora sarebbe irrilevante sostenere che il Piano di recupero del 2004 non avrebbe potuto comportare una variante al PRG, dal momento che l’inedificabilità dei suoli sarebbe da ascrivere proprio a quest’ultimo; c) nella fattispecie in esame ci troveremmo di fronte ad una attività totalmente vincolata, quantomeno nell’an dell’annullamento in autotutela, in quanto conseguente ad un giudicato penale cui la P.A.

avrebbe il dovere di conformarsi, ai sensi della legge n. 2248/1865.

Quanto all’obbligo di motivazione sarebbe sufficiente rilevare la contrarietà del provvedimento favorevole del privato con la disciplina urbanistica. In ogni caso dovrebbe farsi applicazione del comma 2 bis dell’art. 21 nonies, l. 241/1990, non potendosi dubitare

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che gli atti e provvedimenti oggi annullati in via di autotutela dal Comune di Sabaudia sarebbero stati emanati su presupposti falsi ed erronei (la piena edificabilità dell’area in base al PRG) che, in seguito, sarebbero stati riconosciuti tali con sentenza del Giudice penale divenuta irrevocabile. Il detto giudicato avrebbe anche condizionato l’amministrazione quanto alla tempistica del suo agire.

Né potrebbe vantarsi un legittimo affidamento a fronte delle false attestazioni che avrebbero indotto in errore l’amministrazione; d) in forza di quanto emerso in sede penale sarebbe del tutto non appropriato affermare che l’amministrazione avrebbe agito in contrasto con i principi di correttezza e buona fede a cui deve essere improntata l’azione amministrativa.

4. Costituitasi in giudizio l’originaria ricorrente eccepisce l’inammissibilità dell’appello per non avere l’appellante contestato la sentenza di prime cure nella parte in cui affermerebbe che il contenzioso in sede penale si è concluso con la formula "perché il fatto non sussiste" e nella parte in affermerebbe che il Comune avrebbe dato conto alla Procura della Repubblica di Latina della correttezza del permesso. Nel merito sostiene l’infondatezza dei motivi di appello in quanto: I) la sentenza penale non potrebbe scomporsi tra le varie parti in causa e quindi la acclarata insussistenza del fatto non potrebbe giovare al Comune di Sabaudia; II) le regole urbanistiche non sarebbero contrastanti con il permesso di costruire, né sarebbe stata fatta corretta applicazione dell’art. 21 nonies l. 241/1990; III) non sarebbe corretto quanto affermato dall’amministrazione comunale in relazione all’obbligo di conformazione al giudicato penale né in relazione al comma 2 bis dell’art. 21 nonies l. 241/1990; IV) l’amministrazione comunale non avrebbe in alcun modo espresso le ragioni a sostegno della propria attività. Vengono inoltre riproposte le censure assorbite dal primo

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giudice: a) i dirigenti comunali che hanno adottato i provvedimenti impugnati non sarebbero competenti ad annullare le delibere consiliari che ne rappresentano il presupposto; b) il provvedimento di autotutela si fonderebbe sull’affermata invalidità ed improduttività di effetti dell’autorizzazione paesaggistica rilasciato dalla Regione; ciò sull’assunto (implicito) che esso abbia alla sua base una falsa rappresentazione della realtà. Tuttavia l’unico soggetto deputato ad effettuare una valutazione dell’autorizzazione sarebbe la stessa Amministrazione che la ha rilasciata e certamente gli organi comunali non avrebbero il potere né di annullare né di disapplicare tale atto; c) al momento del rilascio del permesso di costruire l’area in questione sarebbe stata edificabile in base alle previsioni di Piano Regolatore Generale come integrate dall’osservazione 268 esaminata dalla Commissione Urbanistica con verbale n. 17 del 22.6.1973. Infatti, alla luce delle delibere del Consiglio Comunale n. 63 del 3.6.1982 e n. 42 dell’8.9.2004 il P.R.G.

avrebbe previsto che le particelle catastali, foglio 100 mappali 115, 213, 214, 60 e 1062 ricadevano in “zona residenziale 1B” con indice di edificabilità 1,5 mc/mq. Inoltre, le destinazioni a “viabilità” e a verde pubblico e a verde privato sarebbero decadute perché inattuate nei successivi cinque anni dall’approvazione dello strumento urbanistico. Con la mancata approvazione del P.P.E. del Centro Urbano in variante al P.R.G. e la decadenza delle norme di salvaguardia, il terreno in questione sarebbe divenuto nuovamente edificabile secondo il P.R.G.. Con riguardo all’asserita vigenza delle norme di salvaguardia del Piano di Recupero Urbano adottato con la deliberazione n. 22 del 5.5.2004 occorrerebbe considerare che lo stesso era stato adottato ai sensi della procedura prevista dalla L.R.

2.7.1987 n. 36. Tale Legge prevedrebbe, quale presupposto per l’applicazione della procedura di approvazione semplificata, che non

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vi sia alcuna variante al Piano Regolatore Generale. Di qui l’invalidità e l’inefficacia delle prescrizioni del suddetto piano di recupero urbano di cui alla deliberazione di C.C. n. 22 del 5.4.2004 perché, in variante al Piano Regolatore Generale. Non ricorrerebbero, infine, i presupposti per affermare la presenta di una lottizzazione abusiva materiale.

5. Con memoria in vista dell’odierna udienza entrambe le parti insistono nelle proprie conclusioni.

6. Preliminarmente, occorre respingere l’eccezione di inammissibilità spiegata, dal momento che la mancata contestazione, ivi paventata, non riguarda capi autonomi della sentenza in grado di sorreggerne la motivazione, ma meri elementi di fatto utilizzati nel corpo motivo della stessa. L’appello, al contrario, contesta in modo globale tutti i capi della sentenza prospettando in fatto e in diritto una rappresentazione difforme da quella posta a base della pronuncia impugnata.

7. Prima di passare all’esame del merito delle censure proposte con l’odierno gravame, è necessario ricostruire il quadro fattuale della vicenda de qua.

7.1. In data 14 dicembre 2004 la Sig.ra Roviello Angelina e la Soc.

Lorenzo s.r.l. presentavano istanza di permesso di costruire per la realizzazione di un compendio immobiliare plurifamiliare. In data 28 gennaio 2005 veniva rilasciata autorizzazione paesaggistica ex art.

146, d.lgs. 42/2004 e in data 7 marzo 2005 veniva rilasciato il titolo edilizio, che in data quattro maggio 2005 veniva volturato dalla Sig.ra Roviello a favore della Soc. Lorenzo s.r.l. I lavori venivano terminati nel 2006 e nel 2013 veniva rilasciato il certificato di agibilità. La menzionata vicenda edilizia diveniva oggetto di un giudizio penale che portava all’adozione della sentenza del Tribunale di Latina n. 99/2011 della Corte d’Appello di Roma n.

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3103/2012 e della Corte di Cassazione, III Sezione penale, n.

3212/2015. Le contestazioni oggetto delle dette pronunce riguardavano Roviello Angelina, in veste di proprietaria dei lotti Gianneschi Maria Domenica e Criscuoli Alfredo, in qualità di amministratori della Soc. Lorenzo s.r.l. cessionaria dei lotti, alla quale veniva volturato il permesso di costruire, Gurgone Carlo, in qualità di responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Sabaudia, Ranieri Italo, in qualità di tecnico incaricato dal Comune di Sabaudia, Lo Noce Mario in veste di tecnico responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Sabaudia. Agli stessi a diverso titolo venivano complessivamente contestati i reati di abuso d’ufficio, falso e violazione edilizia in concorso. Il giudizio si concludeva con l’assoluzione degli imputati Gianneschi Maria Domenica, Criscuoli Alfredo e Ranieri Italo perché il fatto non sussiste in relazione alla contestazione per abuso d’ufficio e falso, e per gli ultimi due per non aver commesso il fatto per il reato di violazione edilizia. Sempre la Corte d’Appello di Roma dichiarava non doversi procedere nei confronti di Gianneschi Maria Domenica per il reato di violazione edilizia per intervenuta prescrizione.

La pronuncia della Suprema Corte di Cassazione adita dalla sola Gianneschi Maria Domenica respingeva il ricorso di quest’ultima, attestando la logicità e correttezza della valutazione operata dalla Corte d’Appello di Roma nel ritenere concretizzato il reato edilizio.

Secondo il giudice nomofilattico il permesso di costruire n.

213/2005 doveva ritenersi illegittimo, perché in contrasto, rispetto alla part. 50, con le previsioni del PRU, ancora vigenti al momento del rilascio, e del PRG, stante l’assenza di vocazione edificatoria della predetta particella, diversamente destinata a verde pubblico e viabilità. La illegittimità del titolo abilitativo è derivata e indotta dalla illegittima rettifica della Tavola 5, realizzata dall’Architetto Ranieri

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nel 2004, a seguito e in funzione della richiesta di certificato di destinazione urbanistica. Chiosava la Corte come non fosse condivisibile la tesi difensiva secondo la quale la riconosciuta insussistenza dei reati di abuso d’ufficio e falsa avrebbe dovuto comportare automaticamente il venir meno della violazione edilizia.

Pertanto, veniva esclusa la possibilità di procedere ad un’ampia pronuncia assolutoria, risultando corretta la dichiarazione di estinzione per intervenuta prescrizione.

In data 15 febbraio 2016 veniva adottato il provvedimento oggetto di impugnazione all’esito di contraddittorio con le parti interessate e dell’istruttoria ivi richiamata.

8. L’appello è fondato e merita di essere accolto.

8.1. Quanto alla rilevanza del giudicato penale deve rammentarsi che l’efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., vale a dire quando all’esito del dibattimento è stata raggiunta la prova positiva dell’insussistenza dei fatti o della loro non attribuibilità all’imputato.

Questa Sezione, infatti, a più riprese (cfr. da ultimo, Cons. St., Sez.

VI, 15 febbraio 2021, n. 1350) ha affermato che: “Nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola, almeno tendenziale, è quella dell'autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all'art. 654 c.p.p. secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all'amministrazione per l'accertamento dei fatti rilevanti nell'attività di vigilanza edilizia e urbanistica. Né la sentenza penale di assoluzione può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando il Comune non si sia costituito parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell'accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso

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subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo civile. Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l'accertamento dei "fatti materiali" e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l'autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile.” Nella fattispecie, al contrario, il giudicato penale è nel senso dell’impossibilità di affermare la piena assoluzione della Sig.ra Roviello in ragione della logicità e correttezza della valutazione operata dalla Corte d’Appello in relazione all’illegittimità del permesso di costruire. Sotto questo profilo è evidente che la qualificazione “illegittima” del provvedimento non vincola l’odierno giudicante, che, però, può trarre argomento dal fatto accertato dalla sentenza della Suprema Corte secondo la quale il rilascio del permesso di costruire è derivata e indotta dalla rettifica della Tavola 5, realizzata dall’Architetto Ranieri nel 2004, a seguito e in funzione della richiesta di certificato di destinazione urbanistica. Dall’esame della documentazione in atti emerge che l’Arch. Ranieri, su incarico dell’amministrazione comunale, attestava che, in base ai vigenti strumenti urbanistici comunali (PRG approvato nel 1977), tutte le particelle poi edificate dalla S. Lorenzo erano edificabili; e su questa base procedeva ad una “rettifica” grafica della Tavola 5 allegata al PRG comunale.

8.2. La contrarietà del permesso di costruire alla disciplina urbanistica ratione temporis vigente non può essere messa in dubbio per le seguenti ragioni. Innanzitutto, spetta al piano regolatore secondo i principi generali la divisione in zone del territorio comunale e la indicazione delle aree destinate ad uso pubblico. Le scelte effettuate dalla pubblica amministrazione in

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concomitanza con l'adozione di uno strumento urbanistico, comprese le scelte riguardanti la classificazione dei suoli, sono sorrette da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamenti di merito sottratti al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità: in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, l'amministrazione ha la più ampia discrezionalità nell'individuare le scelte ritenute idonee per disciplinare l'uso del proprio territorio, valutando gli interessi in gioco e il fine pubblico, senza che sia necessaria l'ostensione di motivazione specifica, in relazione alle singole scelte urbanistiche. Il procedimento di formazione del piano regolatore ha carattere complesso e si caratterizza per l’intervento dell’amministrazione comunale responsabile dell’adozione del piano e dell’amministrazione regionale responsabile della sua approvazione. Ne consegue che l’amministrazione comunale non può introdurre autonomamente modifiche al piano se non attraverso il procedimento tipizzato della variante, che prevede il coinvolgimento dell’amministrazione regionale. Tanto premesso è evidente che il potere di interpretazione delle norme di piano da parte dell’amministrazione comunale non può in alcun caso introdurre alcuna modifica sostanziale al piano stesso, potendosi unicamente limitare a chiarire la portata delle disposizioni ivi contenute. La destinazione a verde pubblico del terreno di cui al foglio 100, particella n. 50 si evince in modo evidente dall’analisi del piano regolatore adottato con delibera del Consiglio comunale del 2 gennaio 1972, dal contenuto delle osservazioni presentate dai Sig.ri Cardinali Sergio, Cardiali Franco e Veglianti Angelo, dalla delibera regionale n. 3729 del 2 agosto 1977 di accoglimento delle dette osservazioni e conseguente approvazione delle modifiche ivi indicate al piano regolatore comunale, dalla delibera n. 171 del 21

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novembre 1989, dalla circostanza che piano di recupero adottato con delibera n. 22 del 5 aprile 2004 non rappresentava variante al piano regolatore generale. Da ciò deriva che la delibera n. 42 dell’8 settembre 2004, motivata sulla scorta della relazione dell’Architetto Ranieri, con la quale si prende atto delle correzioni alla tavola 5 del piano regolatore viene qualificata come zona edificabile la particella n. 50 non ha alcuna valenza interpretativa, ma un’effettiva portata modificativa del piano regolatore, ma non essendo stato seguito il procedimento di variante non ha di fatto alcun effetto giuridico. Ne consegue che il provvedimento impugnato non doveva in alcun modo essere preceduto dal previo annullamento della delibera n.

63/1982, quest’ultima peraltro già superata dalla delibera n.

171/1989, della delibera n. 42/2004, in quanto priva di efficacia giuridica sulla disciplina di piano, men che meno dalla nota del dirigente del Settore Urbanistico del 2 febbraio 2010, privo di qualsivoglia competenza rispetto alla modifica del piano regolatore.

8.3. Né può utilmente predicarsi il carattere edificabile della particella in questione per essere scaduti i vincoli de quibus, dal momento che le destinazioni ivi imposte dal piano regolatore non comportano l'imposizione di un vincolo espropriativo, ma solo conformativo, conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico per definire i caratteri generali dell'edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale, ponendo limiti non ablatori in funzione dell'interesse pubblico generale, aventi ad oggetto destinazioni realizzabili anche dall'iniziativa privata, in regime di economia di mercato.

8.4. Quanto, infine, alla legittimità dell’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione comunale, deve rilevarsi che ai sensi del comma 2 bis dell’art. 21 nonies, l. 241/1990, ratione temporis vigente: “I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla

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base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi di cui al comma 1…”.

Nella fattispecie si è sopra riportato il passo motivazionale della pronuncia della Corte di Cassazione che attesta come la illegittimità del titolo abilitativo è derivata e indotta dalla illegittima rettifica della Tavola 5, realizzata dall’Architetto Ranieri nel 2004. Pertanto, il limite del termine dei diciotto mesi non può essere utilmente opposto all’amministrazione comunale che ha, comunque, provveduto entro il termine di diciotto mesi dalla pubblicazione della sentenza del giudice nomofilattico.

I presupposti dell'esercizio del potere di annullamento d'ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall'originaria illegittimità del provvedimento, dall'interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari. L'esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione. Nella fattispecie l’amministrazione ha svolto un’ampia e approfondita istruttoria,

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avviando un dialogo procedimentale con gli interessati ed evidenziando le plurime ragioni di interesse pubblico a sostegno dell’intervento in autotutela, derivanti non solo dalla contrarietà del titolo edilizio con la disciplina urbanistica, ma anche con i vincoli paesaggistico-ambientali e del Parco Nazionale del Circeo.

Pertanto, l’esercizio del potere di autotutela in questione risulta non inficiato dai vizi rappresentati in prime cure ed espressione del legittimo potere discrezionale dell’amministrazione comunale rispetto al quale non può riscontrarsi un valido affidamento in forza di quanto emerso dalle sopra citate vicende penali.

8.5. L’amministrazione comunale, in definitiva, all’indomani della citata pronuncia della Corte di Cassazione ha correttamente esercitato il proprio potere di autotutela, prendendo spunto da quanto emerso in sede penale e dando luogo ad un procedimento rispettoso dei limiti di legge.

9, L’appello in esame deve, quindi, essere accolto, non risultando in alcun modo meritevoli di accoglimento i motivi riproposti in seconde cure, la cui infondatezza è chiaramente evincibile dalla ricostruzione in fatto e in diritto sopra enunciata. Le spese possono essere compensate in ragione della particolare complessità in fatto e in diritto delle questioni sopra esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma dell’impugnata sentenza respinge il ricorso di primo grado.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2021 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente Vincenzo Lopilato, Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore Alessandro Maggio, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere  

 

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Luigi Massimiliano Tarantino Sergio De Felice  

       

IL SEGRETARIO

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