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S Mirafiori: dalla grande impresa al sistema delle PMI (andata e ritorno?)

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delle PMI (andata e ritorno?)

Valentina Pacetti

S

pesso i processi di riqualificazione di aree industriali dismesse as-sumono rilievo prevalentemente dal punto di vista urbanistico, per il loro significato in termini di ridisegno degli spazi urbani e per la possibilità di progettare modalità di riconnessione tra il centro e le periferie nelle quali in genere i grandi spazi ex-industriali si trovano. Il caso di Mirafiori costituisce un’eccezione da questo punto di vista, non perché tali dimensioni non abbiano un peso (che è anzi rilevante sotto molti aspetti), ma perché il progetto di trasformazione aveva una dimensione prevalentemente e dichiaratamente «industriale», nel senso che poneva al centro dell’attenzione, in modo esplicito, il tema della reindustrializzazione dell’area in esame, indivi-duando nel sistema delle PMI la risorsa attorno alla quale ridisegnare il modello produttivo e di governance del territorio.

Il percorso che il progetto ha seguito dal momento del suo lancio ha visto un progressivo allontanamento dai temi della piccola e media impresa, in funzione di una rinnovata forza centripeta esercitata dalla grande impresa e della conco-mitante perdita di potere (e forse di interesse) da parte degli altri attori coinvolti, principalmente da parte del Comune di Torino, che ne era stato promotore. La narrazione delle diverse fasi che segnano il ridisegno del progetto di reindustria-lizzazione di Mirafiori può diventare quindi uno strumento per rileggere le stra-tegie di sviluppo del territorio.

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degli attori pubblici per la gestione e/o riqualificazione dell’area di Mirafiori, benché non isolato, costituisce per molti versi un modello originale anche nella comparazione internazionale (Moreau 2007; Negrelli e Pichierri 2010), soprat-tutto per il progetto che lo accompagna: al momento dell’acquisto delle aree, l’iniziativa è parte di un più ampio piano di reindustrializzazione che dovrebbe focalizzarsi sul consolidamento del tessuto produttivo torinese, e non soltanto sul riordino urbanistico.

Il caso di Mirafiori è importante anche dal punto di vista simbolico, per-ché lo stabilimento FIAT finisce per «condensare»1 l’identità di Torino come

Company Town (Bagnasco e Olmo 2008): il progetto di reindustrializzazione

rappresenta quindi una possibilità di rilancio della città attraverso i suoi punti di forza tradizionali, laddove le ipotesi di passaggio ad altra destinazione concretiz-zano in qualche modo l’ipotesi di una metamorfosi più radicale del sistema eco-nomico e sociale. Il declino della fabbrica e dell’area finiscono per rappresentare il declino di una città che non è più fordista senza riuscire ad essere qualcosa di nuovo, diverso, alternativo.

A più di dieci anni dall’accordo è possibile tentare un bilancio dell’iniziati-va, ma anche avanzare qualche ipotesi sul significato che l’evoluzione dei proget-ti sulle aree di Mirafiori può avere in termini di governance della città. Nei para-grafi che seguono, quindi, si ripercorre la storia dell’area in esame, per poi offrire un’interpretazione degli sviluppi più recenti del sistema produttivo locale.

1.

Aree dismesse e rivitalizzazione del sistema

pro-duttivo: un progetto originale tra riqualificazione

urbana e reindustrializzazione

Il caso della ristrutturazione delle aree dismesse di Mirafiori riveste un ruo-lo rilevante all’interno della storia recente di Torino e del Nord-Ovest italiano, perché lo stabilimento in esame occupa una posizione privilegiata all’interno della storia e dell’immaginario collettivo del nostro paese. Quella di Mirafiori fu la più grande fabbrica costruita in Italia, simbolo del compimento del

for-1 Il termine viene utilizzato in riferimento alla proposta di Bagnasco e Olmo, secondo i quali

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dismo quando ad esso si associavano idee di innovazione e progresso e non di obsolescenza organizzativa (Berta 1998). Mirafiori è il cuore pulsante di Torino come città fabbrica, il nucleo di un’identità industriale profondamente radicata, l’immagine che tutti conoscono, così chiara da lasciare in ombra un sistema pro-duttivo complesso ed estremamente ricco.

Il sistema economico locale piemontese è infatti innervato dalla presenza di un sostrato di piccole e medie imprese estremamente articolato e complesso, che alimenta la produzione industriale. L’evoluzione della produzione automobi-listica, in particolare, non può essere spiegata senza fare riferimento alle intense relazioni di fornitura e subfornitura che legano FIAT al territorio. In una delle analisi più felici (e citate), l’evoluzione che interessa il settore tra gli anni ’70 e ’90 è sintetizzata dal passaggio da «indotto» a «sistema» (Enrietti et al. 1991).

La crescita della produzione automobilistica si appoggia, a partire dagli anni ’70, sulla disponibilità di molti fornitori di materiali, parti e lavorazioni. In questa fase, Torino e la sua provincia si popolano di molte piccole e piccolis-sime imprese metalmeccaniche che funzionano come un polmone in grado di supportare la produzione di automobili attraverso contributi diversi, diversa-mente specializzati, spesso abbastanza semplici da non richiedere una crescita dimensionale rilevante. Imprese e micro-officine sorgono nei cortili dei palazzi e nelle periferie, in una sorta di distretto reso invisibile non solo dalle ridotte dimensioni delle aziende, ma anche dallo sguardo di osservatori (politici e acca-demici) troppo impegnati a cogliere l’avvento del modello della grande imprese che prometteva di modernizzare finalmente l’Italia.

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organizzare parti importanti della fornitura non avevano le risorse, economiche, di competenze e soprattutto organizzative, per farlo, essendo, a tutti gli effetti, delle piccole imprese. Al processo di selezione, FIAT dovette quindi affiancarne uno, meno ovvio, di «crescita guidata» dei fornitori. Attraverso questo progetto, ai fornitori vennero offerte informazioni, percorsi formativi, strumenti di inno-vazione e persino prestiti finalizzati all’introduzione di nuovi macchinari. La possibilità di disporre di un sistema di fornitura più articolato di quello descritto dalla precedente formula dell’indotto dell’auto è dunque talmente rilevante da suggerire all’azienda di mettere a disposizione delle imprese locali una serie di beni collettivi per la competitività ai quali esse, da sole, non avrebbero potuto accedere (Pacetti 2008).

L’evoluzione del sistema produttivo locale procede, quindi, da una situazio-ne in cui FIAT interagisce direttamente con oltre 1.300 fornitori ad un sistema costituito da una più articolata e complessa distribuzione di responsabilità tra pochi fornitori di primo livello (circa 300 secondo i dati elaborati da Enrietti, Ferrero e Lanzetti nel 1991). A questa cerchia più ristretta di fornitori è dunque affidata la responsabilità di coordinare le attività dei sub-fornitori, in modo tale da poter vendere alla casa madre non più parti e lavorazioni, ma più complessi sistemi capaci di essere consegnati sulle linee di montaggio just in time.

Le trasformazioni che abbiamo brevemente descritto lasciano emergere la connessione che ha strettamente legato FIAT al sistema di piccole e medie im-prese im-presenti sul territorio. Non dovrebbe stupire, quindi, che le diverse crisi attraversate dalla grande impresa fordista si siano ripercosse in modo evidente sulle altre aziende del settore.

In particolare, la crisi con la quale inizia questa analisi sembra sollecitare, da parte dei soggetti pubblici, la volontà di riprogettare il sistema di governance del territorio ponendo al centro il sistema di PMI che nelle politiche locali era fino a quel momento rimasto all’ombra della grande impresa. Anche per questo motivo, ripercorrere la storia di quel progetto p un modo efficace per rileggere il rapporto tra economia, politica e territorio torinesi.

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In relazione alle vicende che interessano Mirafiori attorno al 2005, tuttavia, entrambi i concetti assumono esclusivamente il valore di un confronto per dif-ferenza, vista la pressoché totale assenza di qualsiasi forma di «anticipazione», tanto strategica quanto operativa, messa in luce dalla ricerca.

Per quanto riguarda l’(assenza di) anticipazione strategica, i nostri interlo-cutori concordavano nel far risalire le origini nella crisi nelle strategie di espan-sione di FIAT sui mercati internazionali, strategie che FIAT aveva ritenuto di poter perseguire mantenendo intatta una logica fordista di produzione di massa, e investendo in un continuo aumento della capacità produttiva. Le evoluzioni dei mercati, dei consumi e dei modelli organizzativi avevano decretato il fallimento di quella strategia, che aveva lasciato l’azienda ampiamente sovradimensionata rispetto a quote di mercato sempre meno significative, assumendo la forma di un sostanziale e profondo errore di prospettiva.

Per quanto riguarda, invece, l’(assenza di) anticipazione operativa, bisogna ricordare che il tentativo di ripercorrere le iniziative messe in campo per fron-teggiare la crisi non lasciava emergere altro che un utilizzo piuttosto tradizionale di ammortizzatori sociali come cassa integrazione, prepensionamenti e mobili-tà. Prendeva forma in modo particolarmente netto l’assenza di qualsiasi forma di comunicazione interna, che la comparazione internazionale metteva a fuoco come uno degli strumenti privilegiati dell’anticipazione operativa. Quest’ultima dovrebbe procedere attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e delle organizza-zioni sindacali, in modo da pervenire ad una visione condivisa delle condiorganizza-zioni dell’azienda, delle sue prospettive, degli strumenti da mettere in campo. Stando ai risultati della nostra rilevazione, le informazioni all’interno di FIAT, a propo-sito dello stato dell’azienda e delle iniziative per fronteggiarlo, erano decisamen-te carenti, e i processi di informazione dei dipendenti e delle loro rappresentanze (che nel frattempo sono ulteriormente indebolite da una insanabile divisione tra le diverse sigle sindacali) totalmente assenti. Secondo fonti sindacali, quando nel 2002 i vertici aziendali presentarono a Palazzo Chigi un piano industriale che prevedeva 8.000 esuberi, fu attraverso quotidiani e telegiornali che i dipendenti di Mirafiori vennero a conoscenza del rischio di chiusura del loro stabilimento. Anche l’anticipazione operativa non trovava grande spazio all’interno delle stra-tegie di FIAT Auto.

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di parte delle aree industriali dismesse di Mirafiori, ma il progetto del quale gli enti locali si fanno promotori non si limita a riprogettare l’aspetto e la destina-zione di un pezzo di città: come dicevamo in introdudestina-zione, il progetto prevede un esplicito investimento nella reindustrializzazione delle aree, che dovranno essere dedicate a nuove attività produttive nel settore automobilistico, con par-ticolare attenzione ad un sistema di fornitura che raramente è stato oggetto di specifiche politiche industriali.

L’accordo per l’acquisto delle aree industriali di Mirafiori può essere assun-to come simbolo della conclusione della crisi FIAT che raggiunge il suo apice appunto nel 2005. La data di inizio di quella crisi si può convenzionalmente segnare nel 2000, quando FIAT sottoscrive un master agreement con General Motors che dovrebbe condurre verso alleanze o fusioni tra i due gruppi (Berta 2006). Il mercato è ormai da qualche anno caratterizzato da processi di con-centrazione che portano alla presenza di un numero sempre minore di gruppi industriali di dimensioni sempre maggiori. Le opzioni a disposizione delle im-prese che versano in condizioni più incerte sono l’acquisizione da parte di un gruppo, oppure la chiusura.

Il periodo che segue vede un elevatissimo turnover ai vertici dell’azienda, ennesimo sintomo dell’assenza di una visione strategica coerente di medio pe-riodo, soprattutto dopo la morte di Gianni e Umberto Agnelli (rispettivamente nel 2003 e nel 2004) che segna, almeno dal punto di vista simbolico, la fine della presenza della famiglia fondatrice e di un radicamento dei centri direzionali nel capoluogo piemontese dettato ancora dalla tradizione.

Nel 2002 viene presentato alle autorità nazionali un piano industriale che rende esplicita la situazione critica in cui versa l’azienda, prevedendo 8.000 esu-beri e la possibile chiusura dello stabilimento di Mirafiori. La notizia, accolta con profondo turbamento dai dipendenti, segna l’esplosione della crisi FIAT, ma anche l’apertura del dibattito pubblico sulle sorti di Mirafiori e sul futuro del rapporto tra la città e la fabbrica.

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in-dustriali e del sindacato (che viene definito, nel discorso inaugurale presso l’U-nione Industriale, come una «risorsa» del sistema italiano).

Nel frattempo, anche la città sembra prendere coscienza della situazione di profonda difficoltà in cui versa l’azienda, e nel mese di luglio FIM, FIOM, UILM e FISMIC organizzano le «24 ore per Mirafiori», una manifestazione volta a coinvolgere la cittadinanza e l’opinione pubblica, e a richiedere esplicitamente un intervento da parte degli attori pubblici per il salvataggio di Mirafiori. Si trat-ta senza dubbio di un’iniziativa prevalentemente simbolica, che però vale la pena ricordare per un paio di ragioni: si tratta del primo momento in cui i sindacati superano le divisioni che ancora si consumano all’interno della fabbrica e viene esplicitamente invocato qualche tipo di intervento da parte degli enti locali.

Nell’estate del 2005 Città di Torino, Regione Piemonte e, con una quota mi-noritaria, Provincia di Torino acquistano, per 70 milioni di euro, 300.000 metri quadri di aree industriali dismesse di FIAT Auto, collocate tra diversi stabili-menti di Mirafiori, ai quali si aggiungono gli spazi del Campo Volo di Collegno. Il comunicato stampa rilasciato da FIAT Auto il 30 luglio 2005 recita:

Gli Enti territoriali piemontesi (Regione Piemonte, Provincia di Torino e Città di Torino) e la FIAT hanno raggiunto un’intesa di principio per valorizzare l’area industriale di Mirafiori, sostenere l’indotto automobilistico e favorire la formazione del personale e le attività di ricerca e sviluppo tecnologico.

Non è un caso che le prime righe del comunicato stampa presentino l’in-tervento come uno strumento di «valorizzazione» dell’area e di «sostegno» all’indotto automobilistico: sono proprio questi gli obiettivi dell’importante in-vestimento sostenuto dagli attori pubblici locali. Il sostegno alle piccole e me-die imprese del settore auto viene declinato attraverso i temi della formazione professionale e delle attività di ricerca e sviluppo, come a sottolineare che l’idea di sviluppo che si vuole promuovere non è legata solo al mantenimento dell’oc-cupazione produttiva all’interno delle fabbriche, ma alla crescita delle attività ad alto contenuto di competenze e ad alta formazione come quelle di progettazione, di gestione e di innovazione.

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progetto innovativo, che si pone in linea con alcune esperienze internazionali di «parchi» di fornitura automotive (Sako 2005) nei quali le interazioni tra le im-prese beneficiano della prossimità fisica e della disponibilità di servizi dedicati.

Il fatto che si tratti di un intervento innovativo è confermato dalla costitu-zione di un’agenzia ad hoc: le agenzie costituiscono infatti uno degli strumenti privilegiati per l’implementazione di politiche innovative, in particolar modo a livello locale, e soprattutto quando tali politiche prevedono la collaborazio-ne tra soggetti pubblici e privati e/o tra soggetti pubblici attivi su diverse sca-le territoriali (Barbera e Pacetti 2009; Pacetti 2015; Pichierri 2002). Nel caso in esame, la costituzione di una nuova organizzazione è indispensabile per dare forma a un’iniziativa che prevede non solo la collaborazione tra attori pubblici e privati (FIAT ed enti locali), ma anche quella tra attori pubblici attivi su diverse scale territoriali (Regione, Provincia e Comune di Torino). Il 14 ottobre 2005, quindi, a pochi mesi dall’accordo, i soggetti firmatari danno vita a TNE (Torino Nuova Economia), un’agenzia che ha come missione «la riqualificazione e la valorizzazione delle aree acquisite da FIAT S.p.A. per la realizzazione del Polo Tecnologico di Mirafiori e del Campo Volo di Collegno», attraverso la bonifica, la riconversione e l’assegnazione dei lotti a imprese del sistema dell’auto. Alla nuova struttura vengono affidati i terreni e gli immobili acquistati, con il man-dato di dare vita a contesti in grado di accogliere, o meglio di attrarre, imprese con le caratteristiche sopra richiamate. FIAT detiene una quota di minoranza, pari al 10% delle azioni della nuova società.

L’uscita dello stabilimento di Mirafiori dalla crisi oggetto della nostra in-dagine può essere datata al 26 maggio del 2006, momento in cui viene inaugu-rata la nuova linea di montaggio della Grande Punto. Il modello, che nei piani dell’azienda doveva essere prodotto a Melfi, viene invece assegnato alla fabbrica torinese proprio in seguito all’accordo sulle aree, scongiurando, almeno per il momento, qualsiasi ipotesi di chiusura.

Per leggere le vicende brevemente richiamate possono essere utilizzate due prospettive ampiamente discusse in letteratura.

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all’interno di una competizione tra i territori che si fa sempre più serrata ed evidente. La competizione coinvolge altre regioni europee, come pure altre re-gioni italiane: il confronto con gli altri stabilimenti FIAT in Italia e all’estero è esplicito, ma non esaurisce il tema, perché la scelta di utilizzare la dotazione di TNE come fulcro di un nuovo distretto tecnologico mira a dotare il territorio di un vantaggio competitivo nuovo nei confronti anche di altre imprese del settore, che possono trovare nell’area metropolitana torinese una possibilità di insedia-mento favorevole.

La seconda prospettiva, di portata forse più generale, muove dalla consi-derazione che la crisi di cui ci siamo occupati non riguarda solo la fabbrica, ma anche la città. Una città che ha per molto tempo costruito il proprio sviluppo e la propria identità attorno ad una precisa vocazione industriale. A ridosso di quella nostra esperienza di ricerca, avevamo descritto il rapporto tra la città e la fabbrica a partire dal secondo dopoguerra attraverso i termini di «separatezza» e «dominio» (Pichierri e Pacetti, 2008). Il primo termine voleva indicare da un lato la separazione anche fisica della fabbrica, ben rappresentata da un muro perimetrale che non lasciava intravedere quasi nulla di quanto avveniva all’in-terno dei suoi confini; la «separatezza» si esprimeva però anche nella pretesa autonomia rispetto al contesto, nella possibilità di definire proprie regole all’in-terno, nella costruzione di «una città nella città». La distinzione tra le due sfere di influenza risultava spesso in qualche forma di «dominio» della fabbrica sulla città, nel senso che, mentre la città rinunciava a qualsiasi forma di influenza sulle strategie e sulle regole interne della fabbrica, quest’ultima indirizzava, più o meno consapevolmente, molte delle politiche dell’epoca: è sufficiente pensare ai flussi migratori e ai processi di urbanizzazione, ma anche a forme più sottili di influenza, come quelle che si esprimono nella sincronia tra i servizi pubblici (fasce orarie di autobus e tram, innanzitutto, ma anche turni di pulizia delle strade, ecc.) e i tempi della produzione, o l’accettazione della propria identità di

one company town, con quanto ne consegue in termini di politiche industriali,

ma non solo.

La crisi che abbiamo descritto può allora essere letta anche come un’op-portunità a portata dell’attore pubblico locale per modificare questa relazione e rinunciare definitivamente ad un ruolo subalterno nei confronti dell’azienda2.

2 In tale prospettiva, il 10% di azioni di TNE detenute di FIAT può assumere un significato

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La prima fase della ricerca si conclude con una lettura tendenzialmente po-sitiva della vicenda. Un cauto ottimismo è infatti alimentato dalla capacità stra-tegica degli enti locali e dall’insistenza dei vari soggetti coinvolti sui contenuti industriali del progetto, che sembra volersi collocare agli inizi di una nuova fase della governance locale, nella quale l’attenzione alle piccole e alle medie imprese promette di assumere maggiore centralità.

2.

Il Politecnico come traino di un processo difficile,

con molti attriti

Una seconda istantanea delle aree di Mirafiori può essere scattata nel 2011, in occasione dell’inaugurazione della nuova sede del Politecnico, che ha ristrut-turato e occupato la prima parte di quella che promette di diventare una vera e propria Cittadella della Mobilità, dedicata alle attività formative e di ricerca che ruotano attorno all’auto e fortemente internazionalizzata.

La nuova struttura è di grande interesse architettonico, anche se parte dell’impatto visivo è accentuata dal confronto con le strutture abbandonate con cui confina.

L’insediamento del Politecnico e l’attivazione presso la nuova sede dei corsi che ruotano attorno all’ingegneria dell’auto sono ampiamente coerenti con il progetto del 2005: si tratta senza dubbio di un tassello fondamentale nella co-struzione delle sinergie tra formazione, ricerca e produzione che davano senso all’investimento.

Il ruolo trainante immaginato per il Politecnico non sembra però trovare espressione in qualche tipo di agglomerazione industriale. Fatta eccezione per la sede universitaria in questione, le aree restano completamente inutilizzate. TNE è stata in grado di raccogliere un certo numero di «manifestazioni di interesse» da parte di piccole e medie imprese disponibili a prendere in considerazione l’ipotesi di trasferirsi entro i confini di Mirafiori, ma nessuna di queste si è tra-sformata in un concreto progetto di insediamento.

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dispo-nibilità condizionata dalla esistenza di incentivi, evidenziando quindi lo scarso interesse all’area in quanto tale» (p. 67).

Quali sono dunque i vincoli che hanno bloccato il progetto di reindustria-lizzazione dell’area di Mirafiori?

Gli amministratori di TNE manifestano in quel periodo un forte senso di impotenza, originato dal confronto con un mercato nazionale e soprattutto in-ternazionale caratterizzato da incentivi di tutt’altro genere. Le imprese del set-tore, soprattutto quelle di dimensioni minori, non sono disponibili pagare cifre elevate per i terreni o per gli stabili in oggetto, quando nel resto d’Europa gli spazi vengono offerti gratuitamente, o addirittura a fronte di incentivi di vario tipo. Sebbene sia già stata applicata una riduzione dei prezzi del 30%, le aree di Mirafiori non sono appetibili per le imprese3. Le aree dismesse tornano ad essere

(e ad essere percepite come) un problema da gestire più che una risorsa da attiva-re (Garruccio 2017; Pichierri e Pacetti 2016).

Un secondo elemento contribuisce a spiegare la situazione di stallo: l’accor-do del 2005 prevedeva che le aree vendute agli attori pubblici venissero liberate da FIAT in modo graduale, nel corso di un paio d’anni. L’utilizzo delle aree li-bere come parcheggi per i nuovi modelli da parte di FIAT, del tutto legittimo dal punto di vista formale, aveva fatto sì che le aree diventassero effettivamente disponibili solo nel 2008, ovvero a ridosso della crisi economico-finanziaria che avrebbe di lì a poco segnato una battuta d’arresto per l’economia mondiale.

3.

Gli sviluppi recenti: da un progetto ambizioso a

una pratica multiforme

Alla fine del 2015 la situazione è variegata e merita qualche riflessione, ma il fermento che sembra animare le aree ha iniziato a dissipare il senso di immobili-tà e pessimismo che aveva caratterizzato la fase precedente della ricerca.

I terreni che erano stati affidati a TNE sono divisi in tre settori: la «zona A», la «zona B» e la «zona C». Le evoluzioni del progetto di reindustrializzazione/ riqualificazione possono essere raccontate mettendo a fuoco le diverse aree, cia-scuna delle quali sembra essere interessata da prospettive differenti.

3 La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che TNE non può conferire i propri terreni

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La zona A, sulla quale si è insediato il Politecnico, rimane ancora in larga parte inutilizzata. La Cittadella della Mobilità viene definita dagli stessi operato-ri di TNE come un’«isola infelice», non solo per la sua collocazione all’interno di un’ampia area ancora non riqualificata, ma anche per l’assenza di servizi in grado di rendere la permanenza degli studenti più confortevole e meno estemporanea.

All’interno della zona A restano disponibili due spazi molto ampi: uno collocato al «vertice» esterno del comprensorio, e uno ancora integrato con gli stabilimenti produttivi FIAT e di fatto contiguo alla sezione riqualificata dal Politecnico.

A marzo del 2011 viene firmato, dagli stessi promotori dell’accordo del 2005 sulle aree, un secondo accordo di programma, con il quale si prende atto del completamento dei lavori relativi al Centro del Design, e di una manifestazione di interesse, per il primo dei lotti della zona A. L’interesse proviene da «raggrup-pamento di operatori economici privati» che intendono realizzare un comparto ASPI (un comparto di Attività Servizio a Persone e Imprese), in funzione di una modifica della destinazione d’uso introdotta nel 2007 proprio per consentire l’in-sediamento di attività di servizio a supporto dei vari progetti previsti per le aree. Per dare seguito a tale progetto, era necessario modificare ulteriormente la destinazione d’uso delle aree, in modo da prevedere un mix funzionale all’inter-no del quale la quota di commercio potesse assumere un peso maggiore.

L’ipotesi di cambio di destinazione d’uso attiva una serie di indagini am-bientali integrative sui terreni della zona A. Le criticità emerse impongono una sospensione dei lavori in attesa di un’opera di bonifica delle aree il cui costo viene valutato nell’ordine dei 6 milioni di euro. Secondo gli esperti, le condizioni inadeguate dei terreni sarebbero di responsabilità di FIAT, che li ha venduti a valori di mercato, garantendone l’adeguatezza. È a questo punto che FIAT decide di intentare un ricorso contro i firmatari dell’accordo di programma del 2011, per contestare la modifica della destinazione d’uso4. Il ricorso blocca qualsiasi

sviluppo delle attività e dei progetti relativi alle aree.

Con l’insediamento del nuovo consiglio d’amministrazione di TNE, nel 2012, si giunge ad un accordo transattivo che chiude la vicenda: FIAT si impe-gna a ritirare il ricorso, riconoscendo l’esistenza di un danno ambientale, e si fa carico dei costi di bonifica attraverso la cessione delle proprie quote in TNE5.

4 Secondo le motivazioni del ricorso, l’azienda contestava prevalentemente l’organizzazione

viabilistica prevista dal progetto, perché gli accessi all’area oggetto di riqualificazione erano posi-zionati accanto agli accessi utilizzati per lo scarico delle merci, e potevano provocare disagi alle attività industriali.

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Due anni dopo, alla fine del 2014, viene finalmente firmato un preliminare di vendita con alcuni dei soggetti che avevano avanzato la proposta dalla quale era stata originata la modifica all’accordo di programma. Alcuni dei promotori del progetto hanno nel frattempo rinunciato all’iniziativa, mentre altri parteci-pano ad una procedura di vendita dell’area indetta da TNE. Alla procedura par-tecipa Nova Coop , che si aggiudica il lotto. Nova Coop è interessata a realizzare un polo polifunzionale che comprende attività commerciali ma anche alcuni servizi necessari alla vivibilità dell’area.

Le vicende della zona A non si esauriscono, tuttavia, con il progetto di in-sediamento di Nova Coop , perché l’area è occupata in larga parte da un ampio capannone industriale, riconosciuto di grande interesse punto di vista architet-tonico, adiacente al Centro del Design. Tra la primavera e l’estate del 2015, TNE lancia un «concorso internazionale di idee» per raccogliere progetti rivolti ad una assegnazione temporanea degli spazi. Nella visione dell’amministratore de-legato di TNE, la destinazione transitoria non esclude l’ipotesi di aprire nuovi spazi per il divertimento e la vita notturna torinese, ipotizzando nuovi significati per la differenziazione funzionale delle aree.

Alla prima fase del concorso partecipano 48 cordate di architetti e professio-nisti, con altrettante proposte per «possibili e innovativi utilizzi temporanei per l’area della ex logistica FIAT sotto il maestoso capannone dell’ex Dai». I progetti dei finalisti vengono presentati alla città con una mostra allestita nell’ex capan-none, «accompagnata da un ricco programma di eventi che per una settimana ha portato i torinesi a scoprire un luogo fino ad oggi precluso» (Voci 2015). A partire dal 2015 il capannone ospita una serie di eventi e di feste che vanno dal-le mostre fotografiche (Photocontainer) ai festival enogastronomici (Festa della Birra, In vino veritas), dalle rassegne cinematografiche (NOW Summer Festival) fino alle sfilate della «Torino Fashion Week».

La seconda parte delle aree di pertinenza dell’agenzia, quella definita come «zona B», è occupata da edifici storici della vecchia FIAT, ai quali ci si riferisce come a «Ex FIAT Engineering», «Ex Centro Stile» ed «Ex Mercato Italia». Si trat-ta della porzione delle aree sulla quale sono strat-tati sviluppati i progetti più coerenti con le ipotesi originarie di TNE, con lotti dedicati all’insediamento di imprese.

TNE, all’inizio della propria attività, aveva previsto di vendere gli stabili in questione, che erano stati utilizzati fino al 2007 e si trovavano ancora in buo-ne condizioni. Vale la pena di ricordare che il progetto iniziale si rivolgeva alle imprese dell’indotto auto, con un esplicito riferimento ad imprese di

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sioni medio-piccole. I lotti previsti da TNE erano però destinati ad accogliere imprese di dimensioni medio-grandi, cosa che aveva sollecitato a suo tempo le perplessità delle associazioni di imprese minori. Oltre ad essere discutibile dal punto di vista delle opportunità per il sistema locale, la scelta di privilegiare le imprese di dimensioni maggiori può essere una delle cause dello scarso successo dell’operazione: stando ai dati raccolti da Enrietti, Lanzetti e Sanlorenzo (2007), le imprese più grandi erano quelle meno interessate ad un insediamento nel pe-rimetro di Mirafiori (ai tempi della ricerca, si dichiaravano «interessate» all’area di insediamento il 38,8% delle micro imprese, il 44,9 delle piccole e solo il 16,3% delle medie imprese).

Le sorti della zona B sembrano subire una svolta solo nel 2013, quando TNE riceve una proposta di acquisto da parte di un’azienda torinese che opera nel campo dell’automotive, con una posizione di punta nel settore della progetta-zione e dello sviluppo di componenti automobilistiche. Tecnocad Progetti, dopo un percorso non sempre fluido6, sottoscrive il contratto di vendita a luglio 2014,

investendo 3,4 milioni di euro per l’acquisto degli immobili, e altri 8 milioni per la loro ristrutturazione. La nuova sede viene inaugurata alla fine del 2017 sui 22.000 mq che avevano ospitato il Centro Stile FIAT.

Quello che l’azienda definisce come un «hub» prevede oggi cinque aree di progetto indipendenti l’una dall’altra, che consentono il rispetto di precise norme di sicurezza e di tutela delle informazioni indispensabili per un’azienda che interagisce oggi con 53 clienti distribuiti su 14 paesi. Nella nuova sede sono occupati 200 dipendenti Tecnocad, ma sono disponibili oltre 400 «workplace»: l’azienda mira infatti ad ospitare presso la nuova struttura anche personale delle aziende fornitrici, dando vita ad una sorta di cluster di piccole imprese ad alta tecnologia.

Il progetto mostra un’ampia coerenza con quanto previsto dal progetto ori-ginario sulle aree di Mirafiori, e può essere letto non solo come caso di successo dell’operato di TNE, ma come primo tassello di un piano di reindustrializzazio-ne che fatica a trovare una realizzazioreindustrializzazio-ne complessiva. L’entusiasmo per il suc-cesso dell’operazione è accompagnato infatti dalle preoccupazioni di Tecnocad, che, pur avendo deciso di «scommettere» su Mirafiori, sottolinea la volontà «di

6 Nel corso della ricerca, i rappresentanti dell’impresa sottolineavano che la prima

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esser parte di un progetto e non un avamposto nel deserto»7 e quindi la

speran-za che la riqualificazione dell’ex-Centro Stile non rimanga isolata all’interno di un’area per il resto in evidente stato di abbandono.

La terza parte delle aree, la cosiddetta «zona C», è costituita da un enorme piazzale asfaltato di 83.000 metri quadri, utilizzato in passato da FIAT come deposito temporaneo per la produzione. Sebbene il sito web di TNE sottolinei la possibilità di «individuare e definire “Lotti su Misura” in funzione delle esigenze delle aziende», la zona non presenta al momento neppure i servizi fondamenta-li come allacciamenti elettrici, fognari, ecc. Il progetto urbanistico dell’agenzia prevedeva la suddivisione dell’area in lotti più piccoli connessi da strade, par-cheggi e aree verdi attrezzate e dotate di piste ciclabili, con l’obiettivo di «attrarre le imprese, ovviamente, ma anche di tentare di riconnettere le aree con il tessuto urbano circostante».

Nel 2012 il progetto viene bloccato e la situazione rimane congelata, finché, nel corso del 2014, Centrale del Latte si dichiara interessata ad acquistare una porzione significativa della zona C. Il trasferimento a Mirafiori sembra interes-sante soprattutto dal punto di vista logistico e consentirebbe di realizzare uno stabilimento ex-novo, come nelle volontà dell’azienda. Nell’estate del 2017, però, dopo lunghe e infruttuose contrattazioni con la Città di Torino, il progetto viene definitivamente abbandonato.

4.

La grande impresa e il sistema produttivo locale.

Ancora alla ricerca di un equilibrio difficile

Lo stabilimento FIAT di Mirafiori incarna, al momento della sua inaugura-zione, l’entusiastica adesione al modello fordista come emblema di innovazione e modernità. La città ridisegnata attorno a quello stabilimento e a quel model-lo descrive per anni, nel bene e nel male, una simbiosi tra sistema produttivo e modello di governance che difficilmente si potrà replicare o riprodurre. Nei decenni successivi, la crisi della produzione fordista ripropone, ad intervalli più o meno regolari, la necessità di ridisegnare la città e il rapporto tra politica, eco-nomia e società a livello locale. Anche nelle fasi più recenti della storia di Torino, Mirafiori sembra offrire un osservatorio efficace sulle trasformazioni della città e del suo modello di governance, non solo per il conclamarsi della necessità di

7 Così si esprimono i vertici di Tecnocad Progetti nel corso di un’intervista raccolta da chi

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una nuova identità locale, ma anche per la compresenza di prospettive diverse. Una compresenza forse inevitabile ma non sempre priva di tensioni.

Nel tentativo di fare ordine nel complesso panorama della Torino postfor-dista, può essere utile il riferimento a diverse «agende per lo sviluppo». Uno dei contributi più noti a tale proposito suggerisce una la lettura del rapporto tra la politica e la città a Torino negli ultimi decenni a partire da tre immagini della città: la Torino policentrica, la Torino Politecnica e la Torino pirotecnica (Belligni e Ravazzi 2012). In un saggio meno noto di qualche anno prima (Baraggioli 2007) il percorso di sviluppo dalla città veniva allo stesso modo interpretato a partire da tre agende urbane, ma a quelle politecnica e policentrica veniva affiancata l’immagine di una Torino polisettoriale, legata alla differenziazione produttiva oltre che all’effetto propulsivo dell’evento olimpico, e descritta come «la città che investe su nuovi settori, nuovi asset per lo sviluppo» (p. 157). Quattro agende per lo sviluppo, dunque. Quattro diverse prospettive che in qualche modo compe-tono, o si sovrappongono, nel tentativo di indirizzare lo sviluppo urbanistico e socio-economico della città.

I progetti sulle aree di Mirafiori costituiscono senza dubbio un laboratorio e un osservatorio privilegiato per vedere le diverse «agende» in azione. Una pro-spettiva utile non solo per rileggere le vicende che abbiamo ripercorso, ma anche per metterle in relazione con le trasformazioni della governance locale.

Per cominciare, il progetto iniziale formulato per le aree di Mirafiori può essere facilmente interpretato come espressione di una prospettiva di svilup-po urbano imperniata sulla «valorizzazione dei settori scientifici, tecnologici e dell’informazione» (Belligni e Ravazzi, 2012, pp. 50-51), che vede nelle compe-tenze metalmeccaniche e nella tradizione industriale regionale un punto di for-za attorno al quale orientare le politiche e disegnare la città del futuro. L’idea di un polo tecnologico focalizzato sul settore dell’auto, capace di mettere a sistema le capacità formative e innovative del Politecnico con il potenziale del sistema di fornitura esprime in modo quasi emblematico un’agenda che suggerisce di

investire nelle competenze sedimentate in oltre un secolo di grande impresa […], nel settore della ricerca e dell’innovazione, e in particolare nel settore automotive, favorendo la nascita di economie di cluster capaci di portare investimenti a Torino, allargando il bacino dei clienti e dei fornitori (Baraggioli 2007, pag. 141).

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at-tività (il personale è costituito già oggi per oltre il 70% da ingegneri, e la quota promette di crescere nei prossimi mesi), ma anche per la possibilità di sviluppare progetti comuni: nella nuova sede, ad esempio, è disponibile maggiore spazio per la realizzazione di prototipi, e anche «un’area per il cosiddetto benchmarking, dove si smontano le automobili, che sarà molto interessante anche per gli studen-ti del Politecnico»8. Le attività di Tecnocad, già fortemente internazionalizzate,

sembrano presentare, inoltre, importanti possibilità di sviluppo in un’ottica di cluster, dal momento che prevedono una collaborazione sempre più stretta con altre aziende del territorio dedicate alle attività di progettazione e ingegneriz-zazione. Uno sviluppo coerente con la tradizione industriale locale, quindi, ma orientato ai segmenti a maggiore contenuto tecnologico e di conoscenze.

Le aree interessate da questo progetto, tuttavia, sono solo una piccola por-zione di quelle a disposipor-zione di TNE: 7.500 metri quadri della zona A, e uno dei tre lotti in cui è divisa la zona B (per altri 22.000 metri quadri). Sono que-sti, in effetti, i confini ai quali si è ridotto, almeno per il momento, un disegno di reindustrializzazione che non temeva, nel 2005, di dichiararsi focalizzato su un settore specifico dell’economia locale, e che anzi sembrava trarre da quella vocazione gran parte delle proprie potenzialità di realizzazione. Ancora più di-stante dalle vocazioni originarie pare l’attenzione dedicata alle piccole e medie imprese. In un certo senso, la «Torino politecnica» non riesce ad abbandonare la sua attenzione alle imprese maggiori, e anche quando le imprese in questione sono «medie», il modello di regolazione fatica a cambiare realmente prospetti-va. Sebbene Tecnocad Progetti non possa certo essere definita come una grande impresa, ad essa sembra essere delegata la capacità di attrarre e coordinare le imprese minori, grossomodo come a FIAT è stato tradizionalmente delegato il ruolo di coordinamento e supporto del sistema di fornitura locale (Pichierri e Pacetti 2007; Pacetti 2008). Il risultato è una sostanziale rinuncia ad un ridise-gno radicale della governance locale in chiave piccola e media impresa.

In secondo luogo, l’immagine di una città policentrica, capace di dare vita a diversi nuclei di vita urbana, emerge con chiarezza dai progetti relativi alle aree di TNE. La «futura piazza Mirafiori», che compare nei progetti dell’agenzia, è descritta come un nuovo «centro» per la città. Rimandiamo ad altri contributi l’analisi in chiave urbanistica di queste dinamiche9, e ci limitiamo, in questa

sede, a sottolineare la consapevolezza, da parte degli operatori dell’agenzia,

del-8 Intervista con l’amministratore delegato di Tecnocad Progetti, svolta a maggio del 2015

presso la sede di via delle Cacce, a Mirafiori.

9 Si vedano ad esempio il volume a cura di Armano et al. (2016), o il contributo di De Filippi e

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la necessità di «ricucire» Mirafiori ad un tessuto urbano dal quale il quartiere era rimasta storicamente separato. Questa ricucitura richiede naturalmente assi di collegamento infrastrutturale, ma anche servizi. Si colloca quindi in questa prospettiva il progetto di insediamento di Nova Coop, che prevede di offrire al quartiere non solo esercizi commerciali, ma servizi ristorativi e ricreativi che possano contribuire, al pari delle aree verdi e delle piste ciclabili che costellano i

rendering elaborati e proposti da TNE, a rendere l’area un luogo di vita della città

e non solo uno spazio di produzione.

Una retorica della «apertura» della fabbrica verso la città si è progressiva-mente diffusa negli ultimi anni, ed è stata in qualche modo condivisa da FIAT, che ama portare ad esempio, oltre alla «trasparenza» dell’ingresso principale degli Uffici su Corso Agnelli, anche l’apertura al pubblico del «Mirafiori Motor Village», uno spazio espositivo e commerciale per i modelli prodotti dall’azien-da, al quale sono stati affiancati anche spazi per incontri, mostre e conferenze e un punto ristoro. Non si tratta, a nostro avviso, di interventi in grado di scalfire la suddetta «separatezza», ma semmai di un progressivo retrocedere dei confini di una fabbrica che ha bisogno di spazi sempre meno estesi, sia per la contrazione delle quote di mercato, sia per la trasformazione dei processi produttivi.

Ad ogni modo, il percorso necessario per riconnettere davvero le aree di Mirafiori al resto della città sembra ancora lungo: le iniziative rimangono in gran parte a livello progettuale, e anche l’insediamento delle attività didattiche del politecnico si scontra con l’assenza dei servizi necessari per la vita universitaria.

Proseguendo nell’analisi, accanto all’idea di una città policentrica, si fa stra-da quella di una città capace di differenziarsi soprattutto stra-dal punto di vista della sua vocazione economico-produttiva: se per molti anni l’immagine di Torino è stata quella di una «città dell’auto», a partire dagli anni ’90 si fa strada l’idea di uno sviluppo capace di aprire nuove prospettive, moltiplicando le opportunità di sviluppo in direzioni diverse.

L’idea di Torino come città polisettoriale suggerisce di

ripensare la città al di fuori degli schemi che l’hanno contraddistinta negli ultimi cento anni, per […] scoprirne caratteri presenti, ma nel passato latenti, e su cui non si è mai investito seriamente, a partire dalla cultura, dal design, dal turismo culturale, dai grandi eventi internazionali (Baraggioli 2007, p. 158).

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e il supporto di imprese attive in comparti diversi della produzione e dei servizi. Fa parte di questo progetto anche l’esperienza dei Giochi Olimpici Invernali del 2006, che sono l’occasione per una trasformazione che non ha nulla a che vedere con la vocazione automobilistica o metalmeccanica del territorio, e che promette di attivare il rinnovamento e l’apertura delle risorse culturali e turistiche della città e del territorio circostante.

Si tratta, in un certo senso, di superare la percezione del «dominio», spesso implicito, esercitato dalla vocazione automobilistica sulla città in termini di im-magine e di identità, ma anche di politiche, di incentivi economici, di interventi formativi, eccetera. Torino è stata, e in parte è ancora, città dell’auto, ma sa e può essere anche altro: città della cultura, capitale del design, meta del turismo na-zionale e internana-zionale, sede di attività economiche che vanno dalle biotecnolo-gie alle eccellenze agroalimentari, dalle telecomunicazioni ai prodotti del lusso. Nel contesto di Mirafiori che stiamo osservando, la ricerca di differenzia-zione è visibile nell’assegnadifferenzia-zione di lotti ad attività variamente lontane da quelle originarie, a partire da quelle commerciali, fino a quelle di settori produttivi che nulla hanno a che vedere con la produzione di autoveicoli, come nel caso della Centrale del Latte. In fase di crisi prolungata del settore automotive, e visti i len-ti ritmi di ripresa delle atlen-tività nello stabilimento di Mirafiori, non è detto che una strategia di differenziazione non sia auspicabile ed efficace sul medio periodo. Resta tuttavia da rilevare che in questo caso le ipotizzate politiche di cluster a favo-re di un sistema di piccole e medie impfavo-rese diventano più difficili e meno efficaci. Naturalmente le esigenze di bilancio possono giocare un ruolo importante nella disponibilità di TNE ad affidare le aree a chiunque si dichiari interessato e capace di sostenere l’investimento. Dal momento che l’investimento ha immo-bilizzato risorse pubbliche per ormai un decennio, anche la volontà del mana-gement di riportare in attivo il bilancio appare del tutto legittima. Non bisogna tuttavia dimenticare che la necessità di sopravvivere può portare ad una sostan-ziale distorsione degli obiettivi del progetto, e ad un allontanamento dalle mete che inizialmente lo avevano alimentato, soprattutto in un momento in cui uno dei principali azionisti dichiara esplicitamente l’intenzione di liquidare TNE10.

Infine, per quanto possa apparire paradossale, a Mirafiori trova spazio anche la Torino «pirotecnica», che può essere letta come una specificazione in chiave culturale della diversificazione dell’identità economica urbana. La varietà degli eventi ospitati dagli spazi capannone dell’ex Dai ne offre un’interessante fotogra-fia. Uno degli aspetti più degni di nota è che, per quanto variegato possa apparire

10 Sono del maggio 2017 le prime dichiarazioni della sindaca Appendino a favore di una

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il panorama delle attività prodotte, l’idea di una riconversione in chiave loisir delle aree industriali non sembra del tutto casuale: nel corso delle interviste con-dotte nel 2015, l’amministratore delegato di TNE mostrava un esplicito interesse nei confronti dell’ipotesi di trasformare una porzione delle aree in un nuovo cen-tro per la movida torinese. Il concorso internazionale di idee cui abbiamo fatto cenno era rivolto proprio a questo aspetto meno atteso dell’utilizzo degli spazi11.

Tuttavia, il rincorrersi di destinazioni temporanee non sembra in grado, al mo-mento, di offrire una reale alternativa alla vocazione industriale di quel contesto.

5.

Conclusioni

Nella prima fase della vicenda che abbiamo raccontato, quella che si con-clude nel 2005 con l’acquisizione delle aree da parte degli enti locali, si possono rintracciare aspetti di coerenza con il modello di governance torinese degli anni ’90 e dei primi anni 2000 (Pacetti 2015; Pichierri 2002, 2006), soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra gli attori del territorio. La storia del processo decisionale che conduce all’intervento sulle aree è un esempio di politica loca-le concertata, nella qualoca-le sono coinvolti attori pubblici, attori privati, cittadini, università e associazioni di rappresentanza, e che mostra tutti i punti di forza e di debolezza di una modalità di «governance» che si è nel frattempo fortemente indebolita. Anche la storia di TNE può essere efficacemente letta in questa pro-spettiva, non solo per i contenuti del progetto, ma anche per l’utilizzo dello stru-mento dell’agenzia come modalità di implementazione di una politica complessa (Pichierri 2002; Pacetti 2015; Pichierri e Pacetti 2016).

Dopo oltre un decennio, l’area in esame appare interessata da progetti di-versi, che in qualche modo rendono difficile un giudizio univoco dell’intervento. Come abbiamo visto, nelle diverse zone gestite da TNE sono in corso, a diversi li-velli di concretizzazione, progetti che non confluiscono in modo esplicito in una visione organica dello sviluppo del quartiere e della città, ma che danno forma a possibilità e prospettive diverse: dalla città multicentrica a quella politecnica, dalla città multisettoriale a quella «pirotecnica». Quattro agende per lo sviluppo,

11 Inaspettatamente, l’amministratore delegato non nascondeva di vedere come espressione

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all’interno di un progetto di riqualificazione che comincia a prendere forma. La compresenza di prospettive diverse può essere un’opportunità come un rischio: si vanno delineando possibilità diverse, che aprono scenari interessanti sui quali la città può costruire un pezzo del proprio futuro; manca forse, d’altro canto, un punto di fuga complessivo, una prospettiva capace di dare unità e indirizzo ai passi che vengono man mano mossi.

Nella varietà delle strade percorse e tentate, colpisce la progressiva scom-parsa di un progetto centrato sulle piccole e medie imprese. L’originalità del progetto che aveva supportato l’investimento pubblico sulle aree di Mirafiori si basava in gran parte sulla sfida mossa al modello tradizionale di governance locale: al «dominio» e alla «separatezza» si sostituiva una capacità di visione e di contrattazione nuova. Il possibile allontanarsi del global player veniva affrontato mettendo in campo risorse capaci non solo di favorirne il radicamento, ma di alimentare lo sviluppo di un sistema industriale basato su un tessuto di imprese con potenzialità di crescita e innovazione. Il progetto del 2005 scommetteva, tra le altre cose, sulla capacità del sistema industriale di emanciparsi dal primo produttore locale, traendo benefici dalle risorse del territorio (prime fra tutte le competenze che ruotano attorno al Politecnico) e trasformandosi a propria volta in un fattore di competitività e di attrattività per altre imprese del settore. Il percorso di valorizzazione dell’area di Mirafiori sembra aver progressivamen-te perso di vista il suo obiettivo più originale. Non si tratta, purtroppo, di una sorpresa, ma piuttosto di una riconferma: la storia dell’industria piemontese, se letta dal punto di vista delle piccole e medie imprese innovative, è costellata da casi di enorme successo, spesso pressoché sconosciuti, e da incredibili occasioni mancate (Berta 2017). Il sistema che ruota attorno alla produzione auto, ma che si estende su settori adiacenti di grande impatto tecnologico, costituisce forse ancora una risorsa nascosta che può essere attivata per formulare un’agenda cre-dibile di sviluppo del territorio, ma c’è bisogno di un cambio di prospettiva che consenta di ricollocare queste imprese al centro del discorso sulla città.

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