La politica monetaria (com’è e com’è raccontata dai libri di testo). A Primier* Sergio Cesaratto
Nel Faust l’invenzione della carta-moneta è attribuita a Mefistofele. Freschi di stampa e del prodigio che li ha resi uguali all’oro, i biglietti del diavolo si spandono per il regno. Chi se ne impadronisce diventa ricco, e il buffone di corte dice «stasera stessa mi cullerò nel mio feudo»1. Ma anche nella vita ordinaria la moneta può essere creata dal nulla (per quanto non da chiunque). E con effetti non meno sconvolgenti. Al pari della moneta creata da Mefistofele, la moneta creata dalle banche internazionali2 attraversa il mondo come un vento impetuoso. Sconvolge modi di vivere e gerarchie sociali, alimenta speranze e premia le scommesse più ardite, genera un’onda di euforia che non di rado, ritirandosi, lascia dietro a sé macerie e desolazione.
Fernando Vianello, 2013, p. 18.
Traccia sommario
Secondo i libri di testo di macroeconomia più diffusi, la politica monetaria controlla il tasso di interesse attraverso le operazioni di mercato aperto. Questa visione appare legata alla nozione delle banche come intermediarie del risparmio. Diversa è l’illustrazione della politica monetaria che proviene dalle banche centrali e dagli economisti post-keynesiani. Tale visione muove dal concetto di moneta endogena. Nella primo capitolo esporremo la politica monetaria com’è; nel secondo com’è raccontata nei textbook e dove questi sbagliano. Nella terzo capitolo ci
occuperemo della teoria della preferenza della liquidità di Keynes, che (in questo caso) ispira la visione tradizionale, e, in una appendice, del rapporto fra Keynes e l’endogenità della moneta. A conclusione dei primi tre capitoli ci domanderemo quale sia la radice della perseveranza
nell’errore da parte di molti economisti convenzionali (questa appendice potrebbe diventare capitolo a sé). Gli ultimi due capitoli presentano delle estensioni. Il quarto capitolo estenderà la relazione fra endogenità della moneta e finanziamento degli investimenti, ormai ampiamente riconosciuta dagli economisti più avvertiti, alle altre componenti della domanda aggregata, approfondendo così il ponte con la macroeconomia “reale”. Infine, il quinto capitolo rivisiterà alla
* Com’è evidente, queste sono bozzo per un libro.
luce della teoria della moneta endogena la controversa questione del ruolo svolto da TARGET2, il sistema dei pagamenti europeo, nella crisi dell’Eurozona.
Introduzione
It is in this relatively unglamorous and often obscure corner of the financial markets that the ultimate source of the central banks’ power to influence economic activity resides. (Borio 1997, p. 14).
Nei libri di testo di macroeconomia la politica monetaria, che normalmente consiste nel controllo del tasso di interesse a breve termine, è più o meno raccontata così: quando la banca centrale intende diminuire il tasso di interesse essa offre moneta nel “mercato aperto” e acquista titoli; di conseguenza il prezzo dei titoli sale e il tasso di interesse scende. Viceversa, se essa intende determinare un aumento dei tassi nel mercato, essa venderà titoli drenando moneta. Questa visione appare legata alla nozione di sistema bancario come intermediario dei fondi prestabili: le banche intermediano il risparmio. In quanto segue confronteremo questa illustrazione della politica monetaria con quella che si deduce dagli addetti ai lavori, vale a dire operatori e ricercatori delle banche centrali. Tale visione non solo fa propria l’idea dell’”endogenità della moneta” sostenuta da tempo dagli economisti “eterodossi” (Kaldor 1970, Moore 1988), ma muove proprio da questo concetto. Con questo lavoro riteniamo di far cosa utile agli studenti e a molti colleghi che si trovano a insegnare Macroeconomia, ma che non sono specializzati in economia monetaria, e quindi finiscono col conformarsi alla “saggezza convenzionale” dei libri di testo. Ci riferiremo, soprattutto, all’attuazione della politica monetaria nell’Eurosistema attraverso confronti, laddove utile, con le altre banche centrali.
Nella primo capitolo esporremo la politica monetaria com’è, anche in relazione alle politiche monetarie adottate nella passata decade, in particolare dalla BCE. Nel secondo ritorneremo
criticamente sulla politica monetaria com’è raccontata nei textbook, e dove questi sbagliano. Nella terzo capitolo ci occuperemo della teoria della preferenza della liquidità di Keynes, che sebbene ispiri la visione tradizionale, trova un suo ruolo anche nella visione endogena della moneta; una appendice approfondisce al riguardo il rapporto fra Keynes e l’endogenità della moneta. Nelle conclusioni relative ai primi tre capitoli proveremo a spiegarci quale sia la radice della
perseveranza nell’errore da parte di molti economisti convenzionali. Gli ultimi due capitoli
presentano delle estensioni. Il quarto capitolo applicherà la relazione fra endogenità della moneta e finanziamento degli investimenti, ormai ampiamente riconosciuta dagli economisti più avvertiti,
alle altre componenti della domanda aggregata, approfondendo così il ponte con la
macroeconomia “reale”. Infine, il quinto capitolo rivisiterà alla luce della teoria della moneta endogena la controversa questione del ruolo svolto da TARGET2, il sistema dei pagamenti europeo, nella crisi dell’Eurozona.
Il volume sarà elementare per molti studenti e giovani economisti, ma è tanta la disinformazione che viene somministrata nei corsi di economia, che si deve spesso ricominciare dall’ABC.
Attualmente non solo non si impartiscono teorie alternative e la storia del pensiero è stata abolita - sì da rendere l’economista moderno il pesce rosso di cui narravo nell’introduzione alle Sei lezioni -, ma anche la teoria dominante è spesso insegnata in maniera disonesta e lacunosa – a
cominciare dal trascurare i problemi di misurazione del capitale. Come denunciava Joan Robinson è al primo anno di economia che lo studente sveglio pone domande imbarazzanti, ma prima che qualcuno gli abbia dato una risposta è già diventato professore e non si pone più domande scomode (anche per la propria carriera).
Primo capitolo La politica monetaria com’è 1. Ruolo creditizio delle banche e sistemi di pagamento
“’the payments system, rather than [the traditional focus on] reserve requirements, is the proper starting point for analysis’ of central bank operations” (Fullwiler 2008, p. 35)
L’analisi della politica monetaria (com’è) comincia necessariamente dall’analisi del ruolo delle banche e del funzionamento del sistema dei pagamenti interbancario. Si è sopra accennato al fatto che nella visione dei libri di testo il ruolo delle banche è di intermediare il risparmio, ovvero di raccogliere fondi dai risparmiatori e collocarli presso imprese o famiglie per finanziare,
rispettivamente, investimenti o consumi autonomi.1 Questa visione è spesso definita “loanable fund theory” (teoria dei fondi prestabili). In verità non è questo il modo in cui funziona il sistema bancario. Le banche, infatti, creano il credito ex nihilo attraverso mere scritture contabili, e dunque non intermediano i risparmi (se non in un senso ex post), come vedremo più avanti. 2
1 I consumi autonomi sono quelli finanziati dal credito al consumo (gli acquisti a rate, per intenderci, da ultimo finanziati dagli istituti bancari).
2 In verità nella parte terza vedremo che la teoria dei fondi prestabili, interpretata in maniera flessible, non esclude che le banche possano “creare” credito.
1.1. Gerarchia dei mezzi di pagamento
Ogni soggetto utilizza una moneta emessa da un ente di livello superiore. I privati utilizzano moneta bancaria (definita anche col termine di “depositi”) – ordinando alla banca commerciale di cui si è clienti di trasferire fondi dal proprio conto corrente a quelli di altri soggetti - o banconote emesse dalla banca centrale. In genere, nessuno si fiderebbe di essere pagato con moneta emessa da altri privati (una promessa di pagamento o pagherò) – anche se questo accade talvolta fra soggetti fra i quali v’è fiducia.3 Le banche effettuano i pagamenti fra di loro con moneta emessa dalla banca centrale. Infatti, come i privati detengono depositi in conto corrente presso le banche commerciali, queste ultime detengono depositi in conto corrente presso le rispettive banche centrali nazionali (BCN), detti “conti di riserva e regolamento”, dove è registrata la moneta elettronica emessa dalla banca centrale (le riserve). I pagamenti interbancari avvengono attraverso il trasferimento di riserve (v. la sezione successiva).4 Le banche centrali regolano i reciproci pagamenti con moneta internazionale, valute emesse da banche centrali particolarmente affidabili – quindi in dollari, euro, franchi svizzeri ecc., oppure al limite in metalli preziosi.
Ma professore, e le banche centrali all’interno dell’UME (Unione Economica e Monetaria Europea) come regolano i propri pagamenti?
Le BCN dell’UME si devono reciprocamente fidare, per cui regolano i trasferimenti dei fondi con delle promesse di pagamento denominate attività o passività TARGET2 (senza scadenza, peraltro, come si conviene in famiglia). Sui pagamenti internazionali e TARGET2 rimandiamo al cap. 5 di questo volume, od a Cesaratto (2017a) ed ai riferimenti bibliografici lì riportati.
1.2. Sistemi di pagamento
Quando si effettua un pagamento dalla banca A alla banca B, come un bonifico per esempio, o un pagamento con carta di credito, il denaro non è trasferito fra le banche da un furgone portavalori, bensì elettronicamente fra i rispettivi conti di riserva e regolamento presso la Banca d’Italia (che è
3 Per esempio, quando regaliamo un “buono libri”, doniamo un “pagherò” (una promessa di pagamento) emessa da una libreria con il quale quest’ultima s’impegna a consegnare libri al portatore del titolo. Se non lo facesse, ne perderebbe in reputazione.
4 Si osserverà che la banca centrale emette dunque due tipi di moneta: le banconote e le riserve – queste ultime utilizzate esclusivamente dalle banche commerciali. La somma di banconote e riserve è detta “base money” (o base monetaria), si veda anche la successiva nota 20. Una spiegazione delle ragioni per cui la moneta emessa dalla banca centrale siede in cima alla gerarchia monetaria è in un box nella sezione 1.5).
una “succursale” della BCE nell’ambito dell’Eurosistema). Il trasferimento del nostro denaro avviene cioè col trasferimento di “riserve” dal conto di riserva della banca A al conto di riserva della banca B (ovviamente questo passaggio non è richiesto se le due controparti hanno il proprio deposito presso il medesimo istituto bancario). Fra poco forniremo degli esempi. Nell’Eurosistema TARGET25 è la piattaforma elettronica che gestisce questi pagamenti (a cui sono associati anche alcuni Paese fuori della moneta unica).
Le banche devono dunque detenere “riserve” nel loro conto per poter effettuare i pagamenti per nostro conto. In alcuni sistemi v’è anche l’obbligo aggiuntivo, regolato dalla banca centrale, di detenere un ammontare di riserve commisurato all’ammontare dei depositi. Per esempio nell’UME v’è l’obbligo delle riserve obbligatorie, ma non nel Regno Unito. Vedremo come tale obbligo sia legato alla gestione della politica monetaria piuttosto che al sistema dei pagamenti.
La regolazione dei pagamenti interbancari attraverso la movimentazione delle riserve risponde al principio visto nella sezione 1.1, per cui il pagamento fra due soggetti avviene in una moneta emessa da un terzo soggetto a loro “superiore”: fra due soggetti privati il pagamento avviene con un trasferimento di depositi bancari o in banconote; fra due banche in moneta emessa dalla banca centrale, vale a dire con trasferimento di riserve che sono un mezzo di pagamento emesso dalla banca centrale e che circola fra i “conti di riserva e regolamento” delle banche commerciali (e in nessun senso finendo nei depositi bancari dei privati).
Un sistema dei pagamenti può funzionare secondo diversi principi (Pifferi e Porta, pp. 125-30).
In un sistema di regolamento bilaterale le banche tengono conti reciproci (bilaterali o di corrispondenza). Tale sistema comporta, tuttavia, un’inefficienza gestionale nel detenere tanti conti separati che aumenta all’aumentare del numero delle banche coinvolte. Nel più moderno sistema di regolamento multilaterale v’è un’unica istituzione che gestisce i pagamenti. Le singole banche detengono conti presso questa istituzione che può essere pubblica o privata. La banca centrale è però candidato naturale a gestire tale servizio in quanto tutela dell’efficienza e solidità del sistema bancario.
Per memoria:
clearing: calcolo posizioni nette (saldi creditori e debitori)
5 TARGET2 è l’acronimo per Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System.
settlement: regolazione delle posizioni
Esistono due modalità di organizzare il sistema di regolamento multilaterale (questo per il libro troppo pesante: mettere più in positivo: prima si usava B, poi con daylight si usa A).
A) col sistema di regolamento lordo l’istituto di regolamento esegue immediatamente gli ordini di pagamento, previa verifica che la banca ordinante abbia sufficientemente fondi sul proprio conto di riserva e regolamento. Lo svantaggio di questo sistema per la singola banca è che si deve tenere liquidità immobilizzata (nell’Eurosistema, ad esempio, i conti di regolamento hanno
remunerazione nulla almeno per la quota in eccesso delle riserve obbligatorie).
B) col sistema di regolamento netto o in compensazione i pagamenti (settlement) sono effettuati a fine giornata dopo averne effettuato una compensazione (clearing), sì da trasferire solo gli importi netti che risultano dalle reciproche posizioni debitorie/creditorie delle banche. Il vantaggio è di non tenere liquidità immobilizzata: per esempio una banca può effettuare pagamenti anche se non ha liquidità in qual momento nell’attesa che, durante il giorno, riceva liquidità da altre banche. Solo a fine giornata una banca necessita dei fondi per regolare il saldo dei pagamenti.
Col sistema B, tuttavia, c’è un rischio di tentazione peccaminosa (moral hazard) nel senso che una banca potrebbe avere l’aspettativa che la sera, al momento della regolazione dei pagamenti, pur non avendo fondi sufficienti, la banca centrale la copra creando comunque liquidità per evitare un rischio di blocco sistemico dei pagamenti (se la banca X manca di fondi per effettuare il pagamento netto alla banca Y, a sua volta questa mancherà di fondi per regolare il dovuto alla banca Z ecc.).
Col sistema A la banca centrale non rischia in quanto effettua solo pagamenti a fronte dei quali la banca ordinante abbia fondi sufficienti. Pur essendo il sistema A dunque preferibile, ciascuna banca può, tuttavia, dover attendere di ricevere pagamenti prima di poter per effettuare i propri, e ciò renderebbe lento il sistema (se la banca X attende dei pagamenti per effettuarne a favore della banca Y, a sua volta questa mancherà di fondi per effettuarne altri alla banca Z e via dicendo, ciò che viene definito gridlock). A questo si ovvia con alcuni accorgimenti (la cui natura
approfondiremo ulteriormente). Le banche possono “mobilitare” le riserve obbligatorie (dove queste esistono) per effettuare i pagamenti; esse non sono infatti vincolate all’obbligo della riserve momento per momento, ma solo come media su un determinato periodo. Una banca può effettuare pagamenti allo scoperto ottenendo un credito infra-giornaliero (daylight credit) dalla banca centrale senza costi né limiti purché garantito da titoli depositati presso l’Eurosistema (dunque la banca centrale si assume il rischio del pagamento, creando riserve temporanee che
devono infatti rientrare entro la giornata). Se a fine giornata la banca non rientra nello scoperto, la banca centrale lo trasforma automaticamente in una richiesta di finanziamento marginale
(marginal lending facility, si veda la sezione 2.2). Prima di questo, la banca può ricorrere al (normalmente) meno oneroso prestiti interbancario.
TARGET2 è dunque un sistema a regolamento lordo che svolge la funzione di clearing house. Tale regolamento lordo elimina il ritardo nella regolazione delle posizioni (settlement lag). Infatti, un ordine di pagamento dalla banca A alla banca B determina un addebito immediato sul conto di regolamento della banca A e un accredito sul conto della banca B. Come appena detto, la banca A può assicurarsi la disponibilità di fondi per la regolazione dei pagamenti: (a) mobilitando le riserve o (b) ottenendo uno scoperto infragiornaliero dalla banca centrale, purché garantito da adeguato collaterale.
Il box presenta un esempio semplificato senza e poi con daylight credit, mentre la lettura successiva riporta un’utile illustrazione del ruolo del prestito infra-giornaliero.
Cominciamo per semplicità col caso senza daylight credit. Paolo intende trasferire 100 euro dal suo conto a MPS a Francesca che ha il conto a Unicredit. Il pagamento è finalizzato dalla Banca d’Italia che trasferisce un corrispettivo di riserve da MPS a Unicredit (tavola 1). A questo punto Unicredit ha acquisito un nuovo deposito di 100 € e riserve per 100 €. Applicando il coefficiente di riserva obbligatoria, attualmente all’1% (dal gennaio 2011, in precedenza era del 2%), Unicredit ha un eccesso di riserve di 99 € (un euro le serve come riserva per il nuovo deposito).
Simmetricamente MPS ha perso un deposito per 100 € e riserve per 100 €, e ha dunque un difetto di riserve di 99 €. Normalmente le due banche si scambieranno le riserve nel mercato
interbancario, come mostrato nella tavola 1.6
6 E’ banale osservare come le riserve presenti nel sistema siano adeguate al complesso dei depositi, ma maldistribuite.
Tavola 1
Il caso con daylight credit è un pochino più complicato. Supponiamo che il MPS intenda eseguire un ordine di pagamento da Paolo a Francesca ma, per ipotesi di scuola, non abbia fondi sufficienti sul conto di riserva. Il sistema dei pagamenti gestito dalla banca centrale effettua comunque in automatico il pagamento accordando un prestito di riserve infra-giornaliero alla banca e accreditandole un corrispettivo di riserve, che vengono immediatamente girate a Unicredit.
Quest’ultima banca può così accreditare il conto di Francesca. Il MPS deve però rientrare dal prestito infra-giornaliero con la Banca d’Italia. Normalmente Unicredit presterà l’eccesso di riserve (99 €) a MPS. Si deve qui supporre che MPS abbia 1 € di riserve a disposizione nel conto di riserva e regolamento sì da poter restituire il prestito infra-giornaliero alla Banca d’Italia. Nel caso di mancata restituzione totale o parziale del credito infra-giornaliero, la Banca d’Italia avrebbe trasformato questo prestito in un “prestito marginale” (uno sportello di prestiti overnight a titolo oneroso su cui torneremo).
-100 R (MPS)
1° step +100 R
(Unicredit) +99 R
2° step (MPS)
-99 R (Unicredit)
-100 R -100 D +100 R +100 D
1° step (Paolo) (Francesca)
+99 R +99 -99 R
2° step (prestito +99
da Unicredit) (prestito a MPS
legenda: R riserve bancarie; D depositi bancari Banca d’Italia
MPS UNICREDIT
Lettura - Keister et al. (2008, pp. 46-7) della Federal Reserve di New York ben riassumono il ruolo dei prestiti infra-giornalieri nel sistema dei pagamenti (nostri grassetti).
The value of the payments made during the day in a central bank’s large-value payments system is typically far greater than the level of reserve balances held by banks overnight. (In the United States, for example, during the first quarter of 2008 the average daily value of transactions over the Fedwire Funds Service [il Sistema dei pagamenti gestito dalla Fed] was approximately 185 times the value of banks’ total balances on deposit at the Federal Reserve.) The discrepancy has widened in recent decades as most central banks have adopted a real-time gross settlement (RTGS) design for their large-value payments system, which requires substantially larger payment flows than earlier designs based on netting of payment values. As a result, banks’ overnight reserve holdings are too small to allow for the smooth functioning of the payments system during the day.
When reserves are scarce or costly during the day, banks must expend resources in carefully coordinating the timing of their payments. If banks delay sending payments to economize on scarce reserves, the risk of an operational failure or gridlock in the payments system tends to
1° step +100 (MPS) +100 R (MPS)
daylight credit
2° step -100 R (MPS)
+100 R (Unicredit)
3° step +99 R (MPS)
-99 R (Unicredit)
4° step -100 (MPS) -100 R (MPS)
daylight credit
1° step +100 R +100
daylight credit
2° step -100 R -100 D +100 R +100 D
(Paolo) (Francesca)
3° step +99 R +99 -99 R
(prestito +99
da Unicredit) (prestito
a MPS) 4° step -100 R -100
daylight loan
legenda: R riserve bancarie; D depositi bancari Tavola 2 Banca d’Italia
MPS UNICREDIT
increase. The combination of limited overnight reserve balances and the much larger daylight demand for reserves thus creates tension.
This tension has led to a common practice among central banks of supplying additional reserves to the banking system for a limited time during the day. These daylight reserves (also called daylight credit) are typically lent directly to banks. Many central banks provide daylight reserves against collateral at no cost to banks. The Federal Reserve currently supplies daylight credit to banks on an uncollateralized basis for a small fee. In providing daylight reserves, a central bank aims to allow banks to make their payments during the day smoothly and efficiently while limiting its own exposure to credit risk. Under normal circumstances, this process of expanding the supply of reserves during the day and shrinking it back overnight works well; banks make payments smoothly and the central bank implements its target interest rate. However, this balancing act is not without costs. Lending large quantities of reserves to banks each day exposes the central bank to credit risk. While requiring collateral for these loans mitigates credit risk, it is an imperfect solution. If collateral is costly for banks to hold or create, the requirement imposes real costs.
Moreover, collateralizing daylight loans simply moves the central bank’s claims ahead of the deposit insurance fund in the event of a bank failure, without necessarily reducing the overall risk of the consolidated public sector.
Routine daylight lending by the central bank may also create moral hazard problems, leading banks to hold too little liquidity and, perhaps, take on too much risk. In addition, such lending might make regulators more reluctant to close a financially troubled bank promptly, exacerbating the well known too-big-to-fail problem. Even if each of these costs is relatively small in normal times, their sum should be considered part of the tension generated by the link between money and monetary policy.
1.3. Come le banche creano credito
Le banche accordano mutui a imprenditori e famiglie attraverso l’accredito di un corrispondente deposito a loro favore. Quello che rileva per le banche è il merito di credito del mutuante. E’
importante osservare la scrittura contabile che la corresponsione di un mutuo dà luogo per la banca (tavola 3).
Tavola 3 Banca commerciale attività passività Prestito Deposito
Quando una banca crea un prestito (che si iscrive all’attivo) al contempo crea dunque un deposito (che si iscrive al passivo).7 Anche nei regimi monetari dove le banche sono obbligate a detenere riserve obbligatorie in quota dei depositi – ad esempio attualmente nell’Eurozona tale percentuale è dell’1% mentre la Bank of England non impone tale vincolo - esse non sono obbligate a rispettare l’obbligo di riserva momento per momento, ma in media sul “periodo di mantenimento” con riferimento all’ammontare di depositi detenuto nel periodo precedente. In sostanza la banca ha tutto il tempo per procacciarsi le riserve necessarie a coprire il nuovo credito/deposito, e lo potrà fare ricorrendo alle aste di riserve che sono, ad esempio, settimanali nell’UME.
L’obbligo di riserva va infatti osservato in media lungo un periodo corrente, detto periodo di mantenimento che è calcolato sulla base dei dati di bilancio della banca prima dell’inizio del periodo stesso (cioè sui depositi passati). “Fino al 23 gennaio 2004 il periodo di mantenimento della riserva obbligatoria aveva inizio il 24 di ciascun mese e termine il 23 del mese successivo. Dal 24 gennaio 2004 il periodo di mantenimento inizia nel giorno di regolamento dell’operazione di rifinanziamento principale immediatamente successiva alla riunione del Consiglio direttivo in cui si valuta l’orientamento della politica monetaria e termina nel giorno precedente la data del regolamento della corrispondente operazione successiva alla seguente riunione del Consiglio dedicata alla politica monetaria.” (Glossario BdI) Nel gennaio 2015 nell’Eurosistema il periodo di mantenimento è stato portato da quattro a sei settimane in linea col maggiore distanziamento delle riunioni del consiglio direttivo), e il livello delle riserve è calcolato sulla base dei dati di bilancio della banca prima dell’inizio del suddetto periodo. La coincidenza delle scadenze del periodo di mantenimento con le riunioni del consiglio direttivo è funzionale a non far cadere modifiche del tasso di interesse (decise dal consiglio) all’interno del periodo medesimo. Le banche manovrano infatti l’ammontare giornaliero di riserve anche in funzione del tasso interbancario che, come vedremo, è influenzato dal tasso obiettivo della
7 La letteratura in merito è ormai molto ampia, e da essa si può risalire a fonti precedenti; si vedano ad esempio: Jakab e Kumhof (2015); McLeay e R. Ryland (2014); Werner, R.A. (2016, 2014a, 2014b). Tenaci sostenitori delle banche come creatrici di credito sono stati gli economisti
“eterodossi”, primo fra tutti Niki Kaldor (1970), ma in maniera più organica Moore B.J. (1988) e Lavoie M. (1984; 2005); si veda Culham e King 2013 per un resoconto storico dell’avvento della moneta endogena. Tale abilità delle banche fu riconosciuta anche da un grande autore
marginalista, Knut Wicksell. Fra gli studiosi che operano nel mondo delle banche centrali, a Wicksell si rifanno Claudio Borio e Piti Disyatat che sottoscrivono l’idea dell’endogenità della moneta (per esempio Borio e Disyatat, 2011; Disyatat 2008), così come Ulrich Bindseil e Philipp J.
König (2013), Bindseil (2004, 2014). Su molti di questi autori torneremo nelle pagine che seguono.
banca centrale. La certezza di un medesimo tasso lungo il periodo di mantenimento dà al riguardo un margine di certezza alle banche.
Non è dunque necessario che le banche osservino l’obbligo su base giornaliera detenendo l’intero relativo importo nei rispettivi conti presso la banca centrale. Dal gennaio 2012 il coefficiente di riserva è stato portato dal 2% all’1%. In totale le riserve obbligatorie per l’insieme delle banche dell’area dell’euro agli inizi del 2016 erano dell’ordine di circa 113 miliardi di euro. Alla fine di ciascun periodo di mantenimento la banca centrale versa alle banche gli interessi sui depositi detenuti a titolo di riserva, applicando un tasso equivalente a quello sulle operazioni di rifinanziamento principali (v. sezione 2.2).
La banca centrale, dal suo canto, mirerà a fornire le riserve richieste dalle banche commerciali al fine di non creare problemi al sistema dei pagamenti (che ricordiamo si basa sullo scambio di riserve) e al funzionamento della politica monetaria (per le ragioni che vedremo più avanti). Il vincolo che la banca commerciale incontra nell’aprire un credito/deposito non risiede dunque nella mancanza di riserve (come nella teoria del moltiplicatore dei depositi, si veda la sezione 4.3) bensì nelle garanzie di solvibilità che il cliente debitore le offre.
Un credito limitato. L’idea della moneta endogena è dunque che le banche non “prestino i depositi”, ma viceversa esso “creino i depositi prestando”. Tuttavia questo non significa che le banche non desiderino ricevere dei depositi. Ciascuna banca, per esempio la banca A, attraverso una politica di prezzo particolarmente aggressiva, dunque abbassando i tassi attivi, potrebbe espandere l’ammontare di mutui immobiliari che concede. Tipicamente, tuttavia, solo una minima parte dei depositi che essa crea rimarranno presso di essa. L’acquirente di una abitazione, infatti, trasferirà il deposito (mutuo) ottenuto al venditore che, probabilmente, avrà il proprio conto corrente presso un’altra banca, per esempio la banca B. La banca A si potrà trovare a corto di riserve e dovrà a questo punto cercare di attrarre depositi da altre banche, offrendo una
remunerazione adeguata, o indebitarsi con le banche con eccesso di riserve, o rischiare di dover ricorrere al “prestito marginale” (marginal lending facility). La banca A potrebbe così rischiare di dover pagare tassi passivi – legati da ultimo al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento della banca centrale - superiori ai tassi attivi ottenuti sui mutui creati incorrendo dunque in
perdite. V’è dunque un limite all’ammontare di prestiti/depositi che la singola banca può creare conseguendo un profitto (la differenza fra tassi passivi e tassi attivi), dato il tasso di interesse di riferimento della banca centrale.
Un secondo limite all’ammontare di credito concedibile dalle banche risiede nel “capital
requirement” (rapporto di laverage fra attività e capitale proprio) che la regolamentazione impone alle banche.8 L’imposizione di tali requisiti è volta proprio a frenare i comportamenti azzardati appena descritti.
Una politica del credito molto aggressiva può incontrare altri limiti nel pericolo che venga meno la fiducia nella solvibilità della banca in seguito alla crescita dell’esposizione. A livello internazionale questo è particolarmente importante. L’espansione del credito immobiliare in alcuni Paesi europei
“periferici” negli anni pre-crisi si è per esempio tradotta in un aumento delle importazioni dai Paesi “core”. Questo vuol dire che le banche periferiche assistevano a una emorragia di depositi a favore delle banche “core”. La moneta unica sembrava, tuttavia, aver costituito, accanto a tassi di rifinanziamento particolarmente vantaggiosi, un humus favorevole alla disponibilità di prestiti della banche “core” alle banche “periferiche” (agivano in questa direzione, in particolare, la liberalizzazione dei movimenti di capitale e il venir meno del rischio di cambio nei rapporti fra debitori e creditori). Tutto questo ebbe luogo sino a quando, con l’esplosione della bolla
immobiliare, la fiducia degli investitori stranieri venne meno (per una narrazione introduttiva, si veda Cesaratto 2018, capitolo 2; Cesaratto 2016, capitolo 6; Cesaratto, 2015).
Lettura - McLeay et al. (2014, p. 5, grassetto nell’originale) spiegano i limiti all’ammontare di credito che una banca può creare in relazione ai depositi che è in grado di raccogliere:
Banks receive interest payments on their assets, such as loans, but they also generally have to pay interest on their liabilities, such as savings accounts. A bank’s business model relies on receiving a higher interest rate on the loans (or other assets) than the rate it pays out on its deposits (or other liabilities). Interest rates on both banks’ assets and liabilities depend on the policy rate set by the Bank of England, which acts as the ultimate constraint on money creation. The commercial bank uses the difference, or spread, between the expected return on their assets and liabilities to cover its operating costs and to make profits. In order to make extra loans, an individual bank will typically have to lower its loan rates relative to its competitors to induce households and companies to borrow more. And once it has made the loan it may well ‘lose’ the deposits it has created to those competing banks. Both of these factors affect the profitability of making a loan for an individual bank and influence how much borrowing takes place.
…
Banks therefore try to attract or retain additional liabilities to accompany their new loans. In practice other banks would also be making new loans and creating new deposits, so one way they can do this is to try and attract some of those newly created deposits. In a competitive banking
8 “The only direct constraint on bank lending is the amount of capital that it holds” (Dysiatat 2008, nota 23); “The main exogenous constraint on the expansion of credit is minimum capital
requirements.” (Borio e Dysiatat, 2009, p. 19).
sector, that may involve increasing the rate they offer to households on their savings accounts. By attracting new deposits, the bank can increase its lending without running down its reserves, ....
Alternatively, a bank can borrow from other banks or attract other forms of liabilities, at least temporarily. But whether through deposits or other liabilities, the bank would need to make sure it was attracting and retaining some kind of funds in order to keep expanding lending. And the cost of that needs to be measured against the interest the bank expects to earn on the loans it is making, which in turn depends on the level of Bank Rate set by the Bank of England. For example, if a bank continued to attract new borrowers and increase lending by reducing mortgage rates, and sought to attract new deposits by increasing the rates it was paying on its customers’ deposits, it might soon find it unprofitable to keep expanding its lending. Competition for loans and deposits, and the desire to make a profit, therefore limit money creation by banks.
Nella visione della moneta endogena, dato il tasso dell’interesse deciso dalla banca centrale, sarà dunque la domanda di credito da parte dell’economia che determinerà l’ammontare di riserve bancarie create dalla banca centrale. L’idea è spesso riassunta nella proposizione che: i prestiti creano i depositi, e questi creano le riserve.
In tempi normali, attraverso le operazioni di politica monetaria la banca centrale crea riserve a favore delle banche commerciali, nel caso della BCE attraverso le Operazioni di rifinanziamento principali (Main refinancing operations, MRO). La relativa scrittura contabile può essere
semplificata come nella tavola 4. A fronte dei depositi creati a favore dei clienti, che costituiscono una passività per la banca, questa si iscrive all’attivo i corrispettivi crediti concessi; a fronte delle riserve ottenute dalla banca centrale, che costituiscono un’attività, l’istituto di credito si iscrive nel passivo un prestito dalla banca centrale.
Tavola 4
Mostreremo più avanti come la banca centrale assecondi la domanda di riserve da parte delle banche.
1.4. Prestiti bancari, investimenti e risparmi
Professore, ma se sono le banche a finanziare gli investimenti, come mai in contabilità nazionale risulta l’identità contabile risparmi ≡ investimenti? Per capirlo facciamo un esempio ispirato da
Banca Commerciale Attività Passività Riserve c/o la BC Prestito da BC Prestiti alla Depositi della clientela clientela
Dalziel (1996) (tavola 5). In una economia chiusa senza pubblica amministrazione con una propensione marginale al consumo pari a c = 0,8 nel periodo 1 viene deciso un investimento di 100 unità di conto (uc) finanziato dalla creazione di un credito da parte di una banca che apre corrispondentemente un deposito (prima casella colonna 5). Lasciamo sviluppare l’usuale moltiplicatore keynesiano (si veda Cesaratto 2016, appendice capitolo 4): la produzione del bene capitale dà luogo a un reddito di 100 uc (prima casella colonna 2) che nel periodo 2 viene in parte speso per consumi e in parte risparmiato. La spesa per consumi dà luogo a un reddito di 80 uc a loro volta in parte spese e in parte risparmiate nel periodo 3, e così via. Come si vede il deposito iniziale sta progressivamente cambiando mano, ed è progressivamente in parte speso e in parte risparmiato. Per esempio, nel periodo 2 i 100 di reddito maturati nel periodo 1 sono in parte spesi per beni di consumo, per cui 80 “cambiano di mano”, e 20 sono risparmiati; nel complesso, tuttavia, il deposito rimane di 100. Il processo si arresta precisamente quando l’intero deposito consiste di risparmi.
Tavola 5
Dall’esempio si desume come ex post sia confermato quanto sostenuto in contabilità nazionale, ovvero che gli investimenti siano uguali ai risparmi maturati durante l’anno. Mentre è dunque giusto affermare che gli investimenti sono finanziati da creazione ex nihilo di credito bancario, è altrettanto corretto affermare che ex post investimenti e risparmi occorsi nell’economia siano per definizione identici. L’analisi di una economia monetaria sembra dunque avvalorare e rafforzare la relazione risparmi investimenti quale si desume dal moltiplicatore keynesiano, vale a dire che siano i secondi a generare i primi. 9
9 Le banche finanziano anche il credito al consumo e, secondo un punto di vista ultra-keynesiano, anche la spesa pubblica in disavanzo (v. più avanti il capitolo 4, e Cesaratto 2016, 2017a/b per
Moltiplicatore degli investimenti
Periodi I DY DC DS Deposito*
(1) (2) (3) (4) (5)
1 100 100 (100 = prestito)
2 80 80 20,0 100
3 64 64 16,0 100
4 51,2 51,2 12,8 100
5 40,9 40,9 10,2 100
… … … … …
Finale 500 400 100 100
Nota: * DY (reddito temporaneamente non speso) + DS = S
I risparmi seguono gli investimenti come un’ombra. L’esempio ci mostra qualcosa in più: in ciascun periodo (non solo nell’ultimo) vale sempre l’identità risparmi-investimenti (Dalziel 1996, p. 317). Nel primo periodo, ad esempio, appena il prestito è speso e 100 uc di produzione e reddito sono maturati, sin tanto che quest’ultimo reddito non è a sua volta speso esso è una sorta di “risparmio temporaneo” pari a 100 uc. Nel secondo periodo, 20 uc sono risparmiate, e 80 uc spese, generando 80 uc di produzione e di reddito. Ma anche queste 80 uc, fino a quando non sono spese, sono a loro volta “risparmio temporaneo” pari a 80 uc (che sommate alle 20 di risparmio permanente danno 100 uc di risparmio), e così via.
.
Al meglio delle mie conoscenze, gli economisti mainstream che più si sono avvicinati a queste conclusioni sono Borio e Dysiatat (2011, 2015, v. Cesaratto 2017b). I due autori sono molto chiari al riguardo:
“in a closed economy, or for the world as a whole, the only way to save in a given period is to produce something that is not consumed, i.e. to invest. Because saving and investment are the mirror image of each other, it is misleading to say that saving is needed to finance investment.
In ex post terms, being simply the outcome of various forms of expenditure, saving does not represent the constraint on how much agents are able to spend ex ante. The true constraint on expenditures is not saving, but financing. … And it is only once expenditures take place that income, investment, and hence saving, are generated” (B&D 2011 p. 7, last italics are mine).
Considerazioni molto belle di B&D su rapporto S/I 2015 (wp 525) pp. 8-12, includere in box.
1.5. A cosa servono le riserve I
Per le ragioni che mostreremo fra poco, la banca centrale asseconda sempre la richiesta di riserve che le banche esprimono, dato il tasso di interesse obiettivo fissato dalla medesima banca centrale.10 Per questo motivo la disponibilità di riserve non è di ostacolo per una banca nel creare credito a clienti meritevoli. Sono piuttosto di ostacolo, come s’è visto, la cautela nel generare credito
un’analisi in questa direzione). Va inoltre precisato che gli investimenti sono finanziati anche dalla smobilitazione di ricchezza mobiliare e immobiliare (v. più avanti il capitolo 4 e Cesaratto 2017b, pp. 6-7). Quando si sostiene che gli investimenti sono finanziati da “retained profits” si intende che risparmi accumulati sotto forma di ricchezza finanziaria vengono decumulati al pari di altri tipi di ricchezza mobiliare (questo andrà approfondito nel libro).
10 Questo tasso influenza i tassi praticati dalle banche nel concedere credito alla clientela. Ma dati i tassi praticati dalle banche, la quantità di credito determina i depositi e quindi le riserve (la
moneta della banca centrale). La liquidità creata dalla banca centrale è determinata “dal lato della domanda”, della domanda di credito.
in vista di una raccolta di fondi che non minino la profittabilità dell’attività creditizia e il rispetto del
“capital requirement”. Il ruolo delle riserve nella politica monetaria non è dunque quello di limitare l’espansione del credito (come nella teoria del moltiplicatore dei depositi bancari su cui torneremo), bensì un altro. Le riserve svolgono una funzione essenziale nel sistema dei pagamenti interbancario, e in questo senso sono una risorsa essenziale per le banche anche in assenza di riserve obbligatorie.
Questo consente alla banca centrale, in quanto monopolista nell’offerta di riserve, di fissarne le condizioni di offerta, e dunque il tasso di interesse a cui renderle disponibili. L’esistenza di una riserva obbligatoria non è tanto funzionale a un’ulteriore garanzia per i depositanti oltre le riserve libere – garanzia svolta dalla banca centrale come prestatrice di ultima istanza per le banche solvibili, dal capitale proprio e dalla regolamentazione - quanto di consentire un funzionamento più elastico della politica monetaria, come vedremo.
Ci siamo sinora occupati del sistema creditizio e non della politica monetaria ma, come cominciamo a intravedere, la spiegazione del funzionamento della politica monetaria dipende dalla spiegazione che ci diamo del funzionamento del sistema bancario. In sintesi: nella visione (corretta) la Banca centrale fornisce al sistema bancario la liquidità che questo richiede al tasso obiettivo da essa fissato – la quantità di moneta è endogena. Nella visione tradizionale, invece, la banca centrale fissa sia la liquidità fornita al sistema bancario che il suo prezzo, dettando così quantità e condizioni del credito – la moneta è esogena. Andiamo dunque alla politica monetaria.
Una moneta superiore. Un sistema dei pagamenti potrebbe funzionare in via teorica anche con moneta privata o attraverso sistemi di pagamento privati che in effetti esistono. Entra qui la tesi cartalista della superiorità gerarchica della moneta emessa dalla banca centrale in quanto essa è la sola accettata per il pagamento delle imposte (v. Wray…). Secondo questa tesi la regolazione ultima dei pagamenti (dei saldi finali per intenderci) non può quindi che essere fatta con moneta della banca centrale:
From the chartalist perspective (…), by not considering payments to/from the state as fundamental to the demand for reserve balances, [la constatazione di una gerarchia di mezzi di pagamento]
simply demonstrated that central bank liabilities sit at the top of the hierarchy of money (with which chartalists agree), not why this is so. According to chartalists, such analyses suffer from the logical fallacy of “infinite regress” since “what is missing is the process by which the unit of account is endowed with value” in the first place such that it would be used to settle payments (…). The response … to the concerns raised regarding e-money (chiarire) is that only reserve balances can settle the tax liabilities of banks and their customers, which is alone sufficient for a non-trivial demand for reserve balances to exist. Note that the chartalist response here does not rely on the state’s monopoly over the means of payment settlement; private means of final settlement have always existed and will continue to exist indefinitely, but the state’s money and its interest rate target will still “matter” since reserve balances settle tax liabilities. (Fullwiler 2008, pp. 36-37).
Da integrare meglio: Il governo ha (in genere) un suo conto di tesoreria presso la banca centrale. Le imposte sono pagate con un nostro ordine a una banca commerciale, e ciò conduce da ultimo a un trasferimento di riserve dal conto di riserva di questa banca al conto del Tesoro. Questo spiega perché moneta bancaria e banconote sono richieste: esse sono l’unico canale con cui pagare le imposte.
2. La politica monetaria in pratica
Oggi le idee sul funzionamento operativo della politica monetaria sono più chiare che solo pochi decenni fa. Leggendo Ulrich Bindseil (2004, 2014) si percepisce la faticosa evoluzione nella messa a punto della moderna visione, con notevoli passi indietro per gran parte dello scorso secolo rispetto al XIX° secolo, dovuti in particolare al prevalere della teoria quantitativa della moneta, del monetarismo, ma anche con delle responsabilità della teoria monetaria keynesiana (discusse nell’appendice del capitolo 3). Chapeau alla BCE che è stata allestita secondo una impostazione moderna - non ci riferisce qui all’obiettivo finale della stabilità dei prezzi, ahinoi monetarista: quella è una scelta politica, ma al funzionamento operativo della Banca.
2.1 Obiettivi finali e immediati, e strumenti operativi della politica monetaria
Unificando un po’ le diverse classificazioni, distinguiamo fra obiettivi finali, trasmissione, obiettivi operativi, strumenti operativi e strategia & decisioni di politica monetaria (monetary policy strategy and stance) della politica monetaria (Borio 1997, p. 1; Bindseil 2004, p. 9). Gli obiettivi finali possono includere inflazione, occupazione e crescita; questi sono obiettivi decisi dai politici nel definire i compiti della banca centrale.11 L’obiettivo operativo è la variabile economica che la banca centrale intende controllare da vicino; questo obiettivo guida le decisioni operative della banca centrale e comunica all’esterno l’orientamento di politica monetaria della banca centrale; c’è attualmente consenso che l’obiettivo operativo della banca centrale sia il tasso di interesse a breve termine nel mercato interbancario (ma in precedenza è stato l’ammontare di riserve bancarie).12 Gli strumenti operativi variano da una banca centrale all’altra, ma sono raggruppabili in tre voci (che
11 Generalmente i politici si rifaranno a qualche teoria economica nel presentare gli obiettivi prescelti come quelli più desiderabili per la comunità.
12 Quando nei libri di testo si legge della banca centrale che “decide la quantità di moneta” si intende che essa emette le riserve (e le banconote). Nella descrizione standard le riserve sono a loro volta l’architrave della determinazione dell’ammontare dei depositi, cioè di moneta bancaria, via il moltiplicatore dei depositi (v. avanti il capitolo 2).
approfondiremo più avanti): tassi sulle operazioni delle controparti, operazioni di mercato aperto e obbligo di riserva. Fra gli obiettivi operativi e gli obiettivi finali possiamo collocare la trasmissione della politica monetaria, i canali attraverso cui il target operativo influenza gli obiettivi finali. La determinazione del target operativo (per esempio un certo livello del tasso di interesse a breve termine), ma anche il modello con cui si analizza la trasmissione della politica monetaria sono guidati da strategia & decisioni di politica monetaria (naturalmente in vista degli obiettivi finali). In sintesi:
obiettivi finali trasmissione obiettivi operativi strumenti operativi strategia &
decisioni di politica monetaria
In questa sequenza, la politica monetaria (monetary macroeconomics) entra nell’ambito della strategia e decisioni di politica monetaria (che comprende la definizione del target operativo e del modello di trasmissione), mentre l’attuazione concreta della politica medesima (monetary policy implementation) entra nella definizione degli strumenti operativi. Bindseil (2014, p. 11) definisce
“separation principle” la divisione del lavoro fra la macroeconomica monetaria condotta dai
“white collars” negli uffici studi della banca centrale, e la sua implementazione effettiva nei mercati attraverso le operazioni di politica monetaria, svolta dai “blue collars” nei dipartimenti operativi. Come si è detto, gli obiettivi finali sono decisi dai politici – diceva Keynes ispirati
apertamente o più spesso inconsapevolmente dalla teoria di qualche economista defunto parecchi anni prima.
Retaggi monetaristi. Analisi economica e analisi monetaria sono i cosiddetti “two pillars of the ECB’s monetary policy strategy.” Nell’ambito della messa a punto della sua strategia, ufficialmente la BCE ha ancora come obiettivo intermedio (un concetto sempre meno utilizzato) l’andamento di M3 soggetto all’analisi monetaria.13 Nei fatti, tuttavia, l’analisi monetaria è subordinata all’analisi di un complesso di dati (analisi economica) volti a stabilire il grado di adeguatezza della politica monetaria all’obiettivo finale della stabilità dei prezzi:
In order to best serve its objective of maintaining price stability, the Governing Council regularly assesses the risks to price stability. Its approach to organising, evaluating and cross checking all information relevant for assessing the risks to price stability is based on two analytical
perspectives, referred to as the “two pillars”: the economic analysis and the monetary analysis.
They form the basis for the Governing Council’s monetary policy decisions… The comprehensive analysis of the risks to price stability is organized on the basis of two complementary perspectives on determining price developments. One perspective, referred to as the “economic analysis”, is aimed at assessing the short to medium-term determinants of price developments, with a focus on real activity and cost factors driving prices over those horizons. It takes account of the fact that
13 M3 è un “aggregato monetario” che comprende circolante, depositi bancari e titoli a breve.
short to medium-term price developments over those horizons are influenced largely by the interplay of supply and demand in the goods, services and factor markets. A second perspective, referred to as the “monetary analysis”, focuses on a medium to longer-term horizon. It exploits the long-run link between money and prices. The monetary analysis serves, in particular, as a means of cross-checking, from a medium to long-term perspective, the short to medium-term indications for monetary policy derived from the economic analysis. (ECB 2011, p. 69).
L’”analisi monetaria” è un evidente retaggio monetarista e/o della visione tradizionale “esogena”
dell’offerta di moneta. La sua inconsistenza teorica e pratica rende la presenza del secondo pilastro puramente formale (si veda De Grauwe 2016, pp. 250-55 per una breve discussione).
Alla luce dell’analisi storica, tuttavia, la macroecononomia convenzionale ha seriamente sbagliato nel definire l’obiettivo operativo e gli strumenti per perseguirlo (Bindseil 2004a, cap. 1, 2004b;
2014, pp. 43-50). Esempi ne sono l’obiettivo monetarista della quantità di moneta, il moltiplicatore dei depositi bancari quale canale di trasmissione, o la determinazione keynesiana del tasso di interesse, tutti concetti fondamentalmente fondati sull’esogenità dell’offerta di moneta. Come nota Bindseil, lungo una parentesi di decadi l’obiettivo operativo delle banche centrali (tranne la Bank of England) è stato costituito dalle riserve bancarie attraverso cui si pretendeva di
influenzare certi obiettivi intermedi, costituti da più ampi aggregati monetari; il retaggio di tale visione rimane nei libri di macroeconomia:
“Today, there is little debate, at least among central bankers, about what a central bank decision on monetary policy means: it means to set the level of short-term market interest rates that the central bank will aim at in its day-to-day operations during the period until the next meeting of the central bank’s decision-making body. Also before 1914, there was little doubt that central bank policy meant first of all control of short term interest rates (via the setting of the discount rate). In between, namely between around 1920 and the end of the 1980s, “reserve position doctrine” (RPD) dominated at least in the US, according to which a central bank should, via open market operation, steer some reserve concept, which would impact via the money multiplier on monetary aggregates and ultimate goals. While the Fed returned to an unambiguous steering of short term interest rates only in the 1990s, e.g. the Bank of England never adopted RPD. Still today, monetary economics textbooks contain many references to RPD concepts, as for example substantial space is devoted to the money multiplier or the Poole (1970) model, which pretends that the optimal choice between interest rates and monetary quantities as operational target would be an empirical question”.Bindseil (2004, p. 5)
Ça va sans dire che sia gli obiettivi finali che i canali di trasmissione, dunque la parte “a valle” della politica monetaria, sono oggetto di controversia all’interno dell’analisi macroeconomica standard – come per esempio l’importanza relativa della stabilità prezzi o della piena occupazione, o i canali attraverso cui il tasso di interesse influenza la domanda aggregata. Mentre l’esistenza di queste controversie politiche e teoriche è compensibile, più sorprendente è, invece, l’errore della macroeconomia monetaria convenzionale sulla parte più operativa della politica monetaria, la parte più “a monte”, identificazione e controllo dell’obiettivo operativo. Secondo Bindseil (2004a, p. 20-
29) questo va principalmente attribuito all’influenza della teoria quantitativa della moneta popolarizzata da Irving Fisher (1911), poi completata dalla “scoperta” del moltiplicatore dei depositi (Phillips 1920), concetti in fondo condivisi anche da Keynes e, naturalmente, da Milton Friedman.
Nelle pagine che seguono ci occuperemo di come la banca centrale controlla il proprio target operativo, ovvero il tasso di interesse a breve. Abbiamo visto come le riserve svolgano un ruolo essenziale nel sistema dei pagamenti e siano anche necessarie alle banche per assolvere agli obblighi di riserva (se vi sono), sebbene questo non vincoli l’ammontare di prestiti creati dagli istituti di credito. Il proprio ruolo di monopolista nella generazione di riserve bancarie pone la banca centrale nella posizione unica di poter fissarne il prezzo, un tasso a breve che diventa l’architrave di tutto il sistema dei tassi nell’economia (l’angolo oscuro di cui parla Claudio Borio nella citazione di apertura). Vediamo dunque in primo luogo attraverso quali canali (strumenti operativi) la banca centrale genera riserve.14 Questo ci imporrà anche di illustrare il bilancio della banca centrale (le riserve sono una passività per la banca centrale). Questo è importante anche perché mentre in
“tempi normali” la manovra del tasso di interesse a breve è l’obiettivo operativo principe della banca centrale (“interest rate policy”), in tempi di crisi, col tasso obiettivo già a zero, è il bilancio stesso della banca a diventare strumento di politica monetaria (“balance sheet policy”) (Borio e Disyatat 2009).
Parleremo così di tre tipi di politiche della banca centrale: interest rate policy, balance sheet policy, a cui si aggiunge la forward guidance (che è una interest rate policy di annuncio dei tassi a breve perseguiti nei periodi successivi sì da orientare le aspettative).
Affinché la lettrice cominci a intuire dove vogliamo andare a parare, anticipiamo qui il core della
“politica del tasso di interesse”: la banca centrale fissa un tasso di interesse a breve che, influenzando tutta la gamma dei tassi a più lungo termine, contribuisce a determinare, con dei lag temporali e con ampi margini di imprevedibilità, una data domanda di credito e di riserve da parte dell’economia; al tasso da lei prefissato, la banca centrale si impegna a fornire all’economia tutta la liquidità (riserve) richiesta, momento per momento. Come dicono gli economisti anglosassoni, la banca centrale è “price maker” e “quantity taker”, cioè fissa il prezzo (il tasso di interesse) e lascia al mercato decidere la quantità di liquidità che desidera.
14 Attraverso le proprie operazioni la banca centrale crea anche circolante, ma trascuriamo questo aspetto sino alla sezione 2.4.
L’effetto diretto dei tassi sulle decisioni di spesa è considerato l’elemento più importante della trasmissione della politica monetaria ma, accanto a quello, la “interest rate policy” segnala (anche vocalmente, vedremo) l’orientamento di quest’ultima, espansivo o restrittivo, influenzando così le aspettative circa l’orientamento futuro della politica medesima, il tasso di cambio, la fissazione di prezzi e salari (ECB 2011, pp. 60-61). La trasmissione della politica monetaria all’economia reale è considerato un processo lento. Quest’ultima è una considerazione di estremo rilievo per una corretta illustrazione della politica monetaria. E’ attraverso questa “lentezza” nella trasmissione che si evidenzia infatti il “decoupling” fra fissazione del tasso a breve ed eventuali variazioni dell’offerta di moneta.
Lettura – La BCE sulla trasmissione della politica monetaria
The process through which monetary policy decisions affect the economy in general, and the price level in particular, is known as the transmission mechanism of monetary policy. The transmission of monetary impulses to the real sector involves a number of different mechanisms and actions by economic agents at various stages of the process. As a result, monetary policy action usually takes a considerable time to affect price developments. Furthermore, the size and strength of the different effects can vary according to the state of the economy, which makes the precise impact difficult to estimate. Taken together, central banks typically see themselves confronted with long, variable and uncertain lags in the conduct of monetary policy.
The (long) chain of cause and effect linking monetary policy decisions with the price level starts with a change in the official interest rates set by the central bank on its own operations. In these operations, the central bank typically provides funds to banks (…). The banking system demands money issued by the central bank (known as “base money”) to meet the public demand for currency, to clear interbank balances and to meet the requirements for minimum reserves that must be deposited with the central bank. Given its monopoly over the creation of base money, the central bank can control the interest rates on its operations. Since the central bank thereby affects the funding cost of liquidity for banks, banks need to pass on these costs when lending to their customers (“interest rate channel”). (ECB 2011, pp. 58-59)
Lettura - L’obiettivo finale. Com’è noto, l’obiettivo finale della BCE è un tasso di inflazione sotto ma prossimo al 2%. Il retroterra teorico dell’obiettivo della stabilità dei prezzi è da rintracciarsi nella teoria dominante che reputa la politica monetaria inefficace nei riguardi di crescita e occupazione:
The neutrality of money is a widely accepted and empirically validated proposition in the economic profession. In the long run, i.e. after all adjustments in the economy have worked through, a change in the quantity of money in the economy (all other things being equal) will be reflected in a change in the general level of prices and will not induce permanent changes in real variables such as real output or employment. A change in the quantity of money in circulation ultimately represents a change in the unit of account (and thereby the general price level) which leaves all other variables unchanged. …The institutional framework is founded on the principle that the Eurosystem’s objective of maintaining price stability is of overriding importance. Since monetary policy can ultimately only influence the price level in the economy, price stability is the best contribution that a central bank can make to economic welfare and to the long-term growth prospects of the economy. By ensuring
lasting conditions of price stability, the central bank promotes a steady course of economic development over longer horizons, encourages capital formation, and hence contributes indirectly to income growth. Assigning monetary policy an objective for real income or employment would have been sub-optimal, since monetary policy has no scope for exerting any lasting influence on real variables in the short to medium term (ECB 2011, p. 55, 57-58).
Per una critica introduttiva si veda Cesaratto 2016, pp. 102-109 e più in generale i capitoli 2 e 3;
inoltre Pivetti (1996, 1998).
Qui inserire parte su regole politica monetaria (monetary, Taylor, inflation targeting ecc)
2.2 Gli strumenti di politica monetaria (con particolare riferimento alla “politica del tasso di interesse”)
La tavola 6, tratta dal ECB (2011) elenca le operazioni di politica monetaria della BCE. La prima suddivisione è fra operazioni di mercato aperto, effettuate su iniziativa della BCE, e “standing facilites” opportunamente denominate dalla Banca d’Italia “operazioni su iniziativa delle controparti”.
Fonte: ECB (2011)
Tavola 6
In luogo, tuttavia, di una pedissequa spiegazione delle voci della tavola (che si chiariranno strada facendo), andiamo al cuore dell’attuazione della politica monetaria intesa come “interest rate policy” e allo scopo limitiamoci per ora a considerare la triade Main refinancing operations (MRO,
“Operazioni di rifinanziamento principali”), Marginal lending facility (MLF, “Operazioni di rifinanziamento marginale”) e Deposit facility (DF, “Depositi overnight presso l’Eurosistema”) che è quella rilevante per spiegare la politica monetaria in condizioni “normali”. Le altre voci saranno considerate al momento opportuno.
Che passive queste OMA Un attimo professore: lei ci ha più volte detto che l’identificazione della politica monetaria con le operazioni di mercato aperto che fanno i libri di testo è sbagliata. Ora ce le ritroviamo in cima alle operazioni della BCE! Deve proprio chiarire. Ha ragione! Che la BCE effettui operazioni di mercato aperto è fuori discussione, e anche che lo fa per controllare il tasso di interesse. 15 La questione è che nella visione dei libri di testo le operazioni di mercato aperto sono operazioni attive della banca centrale, di sua iniziativa insomma. Conoscete la storia: quando la banca centrale vuole far diminuire il tasso di interesse acquista titoli ecc. Nella visone corretta le operazioni di mercato aperto sono operazioni passive: la banca centrale fissa il tasso obiettivo, il mercato decide la quantità desiderata di credito, dunque (lo sappiamo) di depositi e riserve. La banca centrale deve soddisfare qusta domanda di riserve sennò, per le ragioni che vedremo fra poco, fallirebbe nel far prevalere il tasso da lei desiderato. Vedremo che le operazioni di mercato aperto sono impiegate invece in maniera attiva nella balance sheet policy, ma lì l’obiettivo non è più il tasso di interesse a breve.
In tempi normali le Main refinancing operations sono lo strumento principale con cui la BCE crea riserve a favore delle banche commerciali. Sono operazioni pronti contro termine (repurchasing agreements) con scadenza settimanale in cui, in pratica, la BCE acquisisce titoli in garanzia della liquidità creata. Sono state svolte sotto forma di asta fino al 2008, e successivamente con
“assegnazione piena” (full allotment) a un tasso prefissato.16 Le aste sono svolte dalla BCE attraverso le banche centrali nazionali (BCN) che rappresentano dunque i suoi bracci operativi.
15 Le operazioni di mercato aperto assumo la forma nell’Eurosistema di acquisti pronto contro termine (Repos) e nel caso della Fed di acquisti in via definitiva (outright purchases).
16 Nelle aste a tasso variabile la banca centrale fronteggia una curva di domanda che associa quantità domandate di riserve e tassi. Essa sceglie dunque un tasso (definito marginale), e tutte le richieste a tassi superiori sono assegnate mentre quelle al tasso marginale sono assegnate pro- quota. Il vantaggio delle aste a tasso fisso è che offrono un segnale chiaro dell’orientamento della politica monetaria. Un problema di queste aste è che se non sono ad assegnazione piena, come accadeva prima della crisi, dato che l’offerta di riserve l’assegnazione è effettuata pro quota a seconda delle domande, le banche possono tendere a domandare in eccesso (overbid) o in difetto (underbid) delle reali necessità a seconda del tasso. Un altro svantaggio riguarda le operazioni di
Alla marginal lending facility possono ricorrere le banche che si trovino a corto di liquidità (riserve) ottenendo prestiti overnight dalla BCE (il prestito marginale è stato tradizionalmente definito discount window); alla deposit facility possono ricorrere le banche che si trovino con eccesso di liquidità (riserve) depositando l’eccesso di riserve - se l’eccesso di riserve è invece lasciato nel conto di riserva e regolamento esso non è, infatti, remunerato; la riserva obbligatoria è invece remunerata la tasso sulle Main refinancing operations.
Alcune puntualizzazioni. (i) Alla triade (MRO, MLF, DF) possiamo aggiungere le Longer term financing operations (LTRO, Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine) normalmente a tre mesi e volte fornire alle banche uno zoccolo di liquidità più stabile. Queste ultime operazioni si sono progressivamente estese per durata, sino a quattro anni, fra il 2008 e il 2014. (ii) In tempi normali, quando la BCE vuole ridurre l’offerta di liquidità mette semplicemente all’asta una quantità inferiore di liquidità. (iii) Per confronto, nel caso della Fed queste operazioni di mercato aperto non prendono la forma di Repos, ma di acquisti in via definitiva (outright purchases) nel cosiddetto “mercato dei fondi federali”. Gli acquisti “outright” sono contemplati nell’armamentario della BCE (tavola 6), ma non utilizzati nella gestione normale della “interest rate policy”. Chi legge ricorderà due operazioni della BCE al riguardo. La prima, l’OMT (Outright Market Transactions) attraverso cui la Banca nell’estate 2012 si rese disponibile a un sostegno illimitato ai titoli pubblici di paesi sotto attacco finanziario, purché accettassero misure fiscali restrittive imposte dalla Commissione Europea. La seconda operazione è il Quantitative Easing, l’acquisto di titoli di Stato (ma non solo) che la BCE intraprese nel marzo 2015 (sulle due vicende si veda Cesaratto 2016, cap 6). Riconsidereremo gli
“outright purchases” nell’ambito della “balance sheet policy”.
I due “sportelli” (standing facilities) costituiscono un vincolo alle oscillazioni del tasso di interesse (interbancario) a breve termine (Bindseil 2004, pp. 105-6). Infatti se il tasso di interesse nel mercato interbancario - il mercato dove gli istituti si scambiano le riserve - a cui le banche in difetto di riserve posso approvvigionarsi di riserve fosse superiore al tasso sulla marginal lending facility, esse ricorrerebbero a quest’ultima facendo scendere il tasso di mercato. Simmetricamente, se il tasso di mercato a cui le banche in eccesso di riserve possono collocare i fondi presso altri istituti fosse
rifinanziamento più a lungo termine Per definizione il tasso su queste operazioni rimane prefissato per un periodo che travalica la frequenza in cui la banca centrale prende le proprie decisioni sui tassi (per esempio se il direttivo della banca centrale si riunisce ogni sei settimane, un tasso su un rifinanziamento a tre mesi rimarrebbe invariato anche se nel frattempo la banca cambia il proprio orientamento). Nelle aste a tasso variabile, invece, le banche incorporano le aspettative circa il mutamento dei tassi nelle proprie domande… rivedere (si veda Bindseil 2014, pp. 89-93)