mercoledì, 11 luglio 2012
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Il paradosso europeo
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Sono questi giorni cruciali per il continente europeo: la tenuta dell’Euro, la riforma della governance economica, il futuro della Grecia e dei Paesi più deboli, il nodo delle riforme istituzionali sono punti cardine per ridisegnare e rilanciare l’Europa in crisi. Oggi i ministri delle Finanze dell’Eurozona torneranno a riunirsi per mettere a punto nel dettaglio i meccanismi di intervento del fondo salva Stati. L’European Stability Mechanism potrà così intervenire a favore di quei Paesi, tra cui l’Italia, che necessitino di un aiuto per ridurre il costo del debito pubblico.
Tuttavia, come mostrato anche dall’elevato differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi, la mera risposta tecnica ai problemi del nostro continente non appare più sufficiente.
La crescita di tendenze estremiste che trovano nutrimento nella persistente crisi economica e il deficit di rappresentanza democratica sono sfide ormai ineludibili per la leadership politica europea. Sulle ragioni profonde e le possibili soluzioni della crisi Aspen Institute Italia ha recentemente organizzato a Roma un incontro dal titolo “Il paradosso europeo”, che ha visto la partecipazione di Marta Dassù, Giuliano Amato, Enrico Letta, Giulio Tremonti, Cesare Romiti e Giancarlo Aragona.
Nel dibattito è emerso che la crisi attuale è senza precedenti in Europa, investendo la vita di milioni di persone che perdono il lavoro e non sanno se e quando potranno riacquistarlo. Il perdurare della crisi e l’emergere degli egoismi nazionali assottigliano giorno dopo giorno il numero di chi ancora crede in una risoluzione positiva del problema. Se si guarda indietro nella storia, solo dieci anni fa l’Unione Europea era vista come il prototipo della governance futura globale, a metà strada tra realtà federale e cooperazione rafforzata fra Stati. E oggi, pur essendo una delle regioni più ricche del pianeta e con fondamentali economici
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complessivamente solidi, appare come il grande malato del mondo, soprattutto per la sua incapacità di assumere decisioni politiche tempestive e condivise.
Di fronte a questa situazione, i leader europei sono alla ricerca di un piccolo compromesso.
Come in passato, oggi si tenta di indurre una maggiore unione politica creando nuove
istituzioni. Così si spera che l’European Stability Mechanism e la vigilanza bancaria accentrata in seno alla Banca Centrale Europea possano andare in questa direzione. Ma la recente storia europea dovrebbe insegnare che non è questa l’unica strada da percorrere, e non solo perché gli spread si mantengono elevati. Infatti non sempre creare nuove istituzioni comporta
maggiore unità. Prendiamo ad esempio la carica recentemente istituita di Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione Europea, al momento tenuta dalla baronessa inglese Catherine Ashton.
Si è trattato di un mezzo fallimento, anche per la volontà politica di Francia e Regno Unito di conservare i vecchi privilegi e, in particolare, il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza Onu. Allo stesso modo è dunque inutile pretendere dall’Esm quell’uniformità degli spread che solo una soluzione politica alla crisi può dare. O si va verso un’integrazione politica o la garanzia “joint and several” tra Stati europei non è credibile. Ma per far questo occorre innanzitutto raggiungere una visione unitaria e condivisa sulle ragioni profonde della crisi e superare tre stereotipi: primo, che la Germania non voglia contribuire con ulteriori fondi alla soluzione del problema; secondo, che la Francia non voglia cedere pezzi di sovranità; terzo, che l’Italia sia un Paese inaffidabile.
Alcuni ritengono dunque che la crisi possa cominciare ad essere vinta quando ognuno dei tre principali Stati europei sarà stato in grado di cedere qualcosa, di andare oltre i menzionati cliché. In questo senso fanno ben sperare le recenti prese di posizione della Merkel, che ha più volte ribadito che per la Germania salvare l’Euro è l’opzione migliore anche se questo può voler dire una maggiore integrazione politica. E anche le recenti affermazioni di Hollande
sull’importanza della crescita economica hanno un discreto peso, così come gli sforzi italiani di modernizzare l’economia. Tuttavia, per salvare la moneta unica quale bene comune, occorre tornare a scaldare i cuori degli Europei.
E ciò potrà che avvenire solo con il rafforzamento delle istituzioni democratiche dell’Unione.
Altrimenti, come ha affermato da Giuliano Amato, “se le regole o gli interventi da realizzare sono stabiliti da un’autorità la cui legittimità democratica è bassa, allora i destinatari delle misure restrittive metteranno in secondo piano il bene comune e si appelleranno al proprio Parlamento o agli altri organi rappresentativi che loro hanno eletto”. Non potendo dunque aspettarci che il cittadino europeo accetti un’imposizione da un Presidente che non sia anche il suo, se non vogliamo che in Europa dilaghino estremismi e populismi, con gli spettri
conseguenti, occorre al più presto rendere più democratiche le istituzioni europee. Solo così si potrà scoprire che è vero quello che oggi appare come il paradosso europeo ovvero che la crisi dell’Europa non è economico finanziaria ma politico culturale. Di conseguenza le risposte non possono essere unicamente economico finanziarie ma devono essere soprattutto politiche.
Alfonso Siano
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