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che più ristretto perché la società politica è esi
gua e asfittica, arena di pallide imitazioni degli scontri passati. O forse anche perché in questa sorta di microcosmo un solo terreno — quello
assai poco frequentato della socializzazione — avrebbe potuto prestarsi allo studio della dialet
tica tra i moderati e gli estremisti.
Luigi Canapini
La politica di potenza fascista
MacGregor Knox
La politica estera fascista rimane nel comples
so mal compresa. L’opera mastodontica di Ren
zo De Felice è alla base dell’ortodossia vigente sulle finalità e sui metodi di Mussolini nella po
litica intemazionale, poggia su fondamenta la
bili sia sotto il profilo documentario sia sotto quello interpretativo (sulla questione ci permet
tiamo di rimandare, fra i tanti contributi critici, a MacGregor Knox, The Fascist Regime, Its Fo- reign Policy and Its Wars: An “Anti-Anti-Fa- scist” Orthodoxyl, “Contemporary European History”, 1995, 4/3, pp. 347-365). Tuttavia l’i
stinto del gregge ha finora dominato — facen
do del lavoro di De Felice persino un “monu
mento al duce” multimediale su CD-ROM nel recente spettacolo pubblicistico inscenato da
“Panorama”. Un coro di discepoli e di imitato
ri ha poi riecheggiato le tesi del maestro sul ca
rattere essenzialmente opportunista e tenden
zialmente pacifica della politica estera fascista.
Manca tuttora un lavoro di sintesi che potrebbe sia rettificare le bizzarrie, gli errori e le omis
sioni di De Felice, sia offrire un quadro concet
tuale convincente della parabola di un regime che nacque, con sete di vendetta, dalla prima guerra mondiale e perì tanto indecorosamente nella seconda.
Quale sarebbero i requisiti di una storia at
tendibile della politica estera fascista? Dovreb
be fondarsi su uno studio accurato delle fonti italiane, inclusi gli archivi del ministero degli Affari Esteri e delle tre forze armate — queste ultime inspiegabilmente trascurate, malgrado il ruolo dominante della guerra nella politica fa
scista, da De Felice per il periodo prima del 1940.
Dovrebbe anche utilizzare le fonti, anche archi
vistiche, diplomatiche e militari delle altre po
tenze, in particolare quelle della Germania (an- ch’esse trascurate da De Felice, benché i collo
qui di Mussolini con gli alleati teutonici restino essenziali per capire le sua politica). Dovrebbe estendersi a tutta la parabola del regime, per as
sicurare la completezza documentaria e analiti
ca; non è casuale che la “cesura” del 1989-1991 abbia contribuito tanto alla comprensione di quell’altra e molto più duratura dittatura impe
riale, lo “successful fascism” (espressione fa
mosa, o infamous, a seconda dei punti di vista, di Susan Sontag) deH’Unione sovietica. E do
vrebbe esprimere una visione e un’interpreta
zione d’insieme coerente con la documentazio
ne e capace di spiegare la radicalizzazione pro
gressiva del regime e della sua politica estera.
Un tale lavoro — simile allo studio magi
strale di Gerhard Weinberg sulla politica estera nazista (The Foreign Policy of Hitler’s Ger- many, 2 voi., Chicago, Chicago University Press, 1970-1980) ma relativo a un periodo no
tevolmente superiore—richiederebbe, sulla ba
se degli studi attualmente disponibili, uno sfor
zo anche maggiore di quello più che trentenna
le di De Felice. Malgrado contribuiti settoriali di alto livello (si ricordi in particolare, per la sua ricostruzione accurata basata su ricerche d’ar
chivio, il libro tuttora valido di Giampiero Ca
rocci, La politica estera dell’Italia fascista 1925-1928 Bari, Laterza, 1969), gravi lacune determinano l’impossibilità di una sintesi fon
data su uno spessore documentario uniforme.
Mancano, per fare qualche esempio non fra i
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meno importanti, studi adeguati sull’incidenza dei servizi informativi sulla politica estera del duce, sull’intreccio tra la politica militare e la pianificazione delle forze armate e la politica estera, e sulle fondamenta ideologiche e pro
grammatiche della politica di potenza del ditta
tore. A questo proposito, lo studio recente di Fortunato Minniti, Fino alla guerra. Strategie e conflitto nella politica di potenza di Mussoli
ni 1923-1940 (Napoli, Edizioni Scientifiche Ita
liane, 2000, recensito in “Italiacontemporanea”, giugno 2000, n. 219, pp. 281-292), malgrado al
cuni punti pregevoli, è menomato da un’ade
renza tenace e acritica alla “vulgata” defelicia- na, e da un’utilizzazione non sempre convin
cente dell’apparato concettuale della “strategie analysis” contemporanea. Resta peraltro sem
pre esemplare lo studio settoriale di Giorgio Ro- chat su Militari e politici nella preparazione della campagna d’Etiopia, Milano, Franco An
geli, 1971, mentre il taglio interpretativo del la
voro spesso utile di Emilio Gentile su Le origi
ni dell’ideologia fascista (Roma-Bari, Laterza, 1975) non permette una considerazione ade
guata dell’intreccio fra ideologia e politica este
ra; per l’inizio degli anni venti, è sempre im
portante lo studio di Giorgio Rumi, Alle origi
ni della politica estera fascista (Bari, Laterza, 1968). Manca però un’ analisi del ventennio stes
so, a parte lo schizzo (a base però di fonti spes
so nuove) di chi scrive, Il fascismo e la politi
ca estera, in Richard J. B. Bosworth e Sergio Romano (a cura di), La politica estera italiana (Bologna, Il Mulino, 1991).
Inoltre troppi degli studi esistenti prendono come punto di partenza, e di arrivo, sia lo steri
le indirizzo tecnico e legalistico della “storia dei trattati e politica intemazionale” sia gli assunti di De Felice sull’asserito desiderio di Mussoli
ni di giungere ad “accordi generali” con la Gran Bretagna o la Francia, e sulla presunta incom
patibilità del processo di totalitarizzazione del regime con una politica estera di ‘“grande pre
senza’ intemationale”(Renzo De Febee, Mus
solini il duce, II, Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981, p. 155).
Il titolo del recente studio di Enzo Collotti, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939 (Firenze, La Nuova Italia, 2000, pp.
494, lire 55.000, euro 28,41, secondo volume della collana “Storia d’Italia nel secolo vente
simo” dell’Insmli), scritto con la collaborazio
ne di due esperti di rilievo della politica colo
niale e balcanica, Nicola Labanca e Teodoro Sa
la, promette molto. Come si misurerebbe con i requisiti sopraenunciati?
Dal punto di vista della novità sotto il profilo documentario, il lavoro non amplia di molto le nostre conoscenze, essendo stato concepito co
me sintesi degli studi esistenti e fondato soprat
tutto sui Documenti diplomatici italiani e sulle altri fonti pubblicate italiane. La documentazio
ne militare, che rimane in gran parte inedita, com
pare soltanto di rado (con l’eccezione significa
tiva del verbale del 1927 contenente l’ordine fon
damentale di Mussolini per la preparazione del
la guerra contro la Jugoslavia: si veda Lucio Ce- va, 1927. Una riunione fra Mussolini e i vertici militari, “Il Politico”, 1985 , n. 2, pp. 329-337;
ora consultabile nell’importante volume curato da Antonello Biagini e Alessandro Gionfrida, Lo Stato Maggiore Generale tra le due guerre (ver
bali delle riunioni presiedute da Badoglio dal 1925 al 1937), Roma, Stato Maggiore dell’E- sercito, Ufficio Storico, 1997). Anche la docu
mentazione delle altre potenze è utilizzata spo
radicamente, cosa particolarmente sorprendente nel caso tedesco, dati gli studi pregevoli di Col
lotti sulle vicende tedesche, e soprattutto data l’importanza ai fini della comprensione della po
litica fascista dei documenti tedeschi pubblicati e dei fondi (reperibili anche su microfilm) del- VAuswartiges Amt e dell’alto comando e delle forze armate tedesche. Anche la documentazio
ne italiana presenta qualche lacuna di rilievo:
l’assenza dei diari manoscritti del 1929-1932 di Dino Grandi, reperibili su microfilm dalla bi
blioteca della Georgetown University di Wa
shington, D.C., priva l’autore di un’arma essen
ziale per confutare le tesi insostenibili di De Fe
bee sull’asserito “reabsmo” del duce. E la deci
sione dei curatori della collana di trattare la “guer
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ra fascista” in un volume a parte, benché sensa
ta e necessaria dato lo spessore della materia sul 1940-1943, ha l’effetto di interrompere la storia della politica di potenza di Mussolini a pochi pas
si dal suo punto culminante.
Questi rilievi non devono però mettere in om
bra i pregi del libro, che sono cospicui. Sia re
legante formato (comune anche agli altri volu
mi della collana), sia lo stile asciutto e scorre
vole e l’organizzazione chiara costituisono un invito alla lettura difficile da rifiutare. La “nota storiografica-bibliografica” offre inoltre uno strumento accurato e ampio per orientarsi nella letteratura di lingua italiana sulla politica este
ra e coloniale del ventennio. Ma è soprattutto rimpianto interpretativo la novità maggiore e la ragione del successo dell’opera.
Gli autori insistono sul “primato dell’ideolo
gia” come spiegazione essenziale della politica estera fascista: la prevalenza assoluta di un in
dirizzo bellicista e colonialista è ricondotta, giu
stamente, alla figura troppo sovente ignorata o fraintesa di Alfredo Oriani (p. 5). Non l’avver
sione a una nuova guerra in Europa tanto cara a De Felice, né l’asserita ambizione di divenire il
“peso determinante” della politica europea e di mediare fra una Germania risorta e le potenze occidentali, ma al contrario l’espansione e al li
mite la guerra europea: “Attraverso aggiusta
menti tattici e mediazioni di varia natura, passi falsi e contraddizioni, Mussolini e il fascismo rimasero sostanzialmente fedeli alla politica di affermazione di grande potenza mediterranea e di espansione coloniale” (p. 20). Ideologia fa
scista e politica estera non furono due cose di
stinte e separate. Sia nel campo coloniale — do
ve il regime creò volutamente dagli anni venti le aspettative poi parzialmente sopite dall’im
presa etiopica — sia nella penetrazione fascista fra le comunità italiane all ’ estero (alla quale Col
lotti dedica un capitolo ricco di interesse), sia nella “grande politica” europea che portò al
l’ultima guerra fascista, l’ideologia dominò la politica, determinando il distacco sempre mag
giore dalle potenze occidentali e l’alleanza sem
pre più esclusiva con la Germania nazista. L’in
contro con Berlino “non fu casuale”, ma detta
to dagli obiettivi della politica fascista (p. 35).
Quella politica non fu soltanto una trovata di Mussolini, sebbene il duce, come conferma Col
lotti, abbia giocato fin dal 1922 un ruolo decisi
vo. Salvatore Contarmi — lui stesso un colo
nialista convinto -— potè ritardare soltanto di po
co, grazie al passo falso mussoliniano della ten
tata annessione di Corfù nel 1923 e alla crisi Matteotti, l’affermazione della vera politica estera fascista, anelante freneticamente all’e
spansione violenta lungo entrambi le direttrici maestre della politica estera prefascista, l’Afri
ca e i Balcani. Collotti e Labanca, nel suo capi
tolo sul colonialismo fascista fino al 1934, sot
tolineano pure il ruolo importante dei diploma
tici nelle origini dell’impresa etiopica. Anche Grandi (di cui si rileva la “notevole dose di ipo
crisia”) figura a giusto titolo come ideologo — dell’illusoria politica del peso determinante;
Collotti descrive con finezza il suo gioco delle parti con Mussolini nel 1931-1932 (pp. 22-23, 65-66). E di Galeazzo Ciano, l’autore rileva giu
stamente la subalternità alle “grandi linee della politica tracciata da Mussolini”, anche mentre spingeva il dittatore ad avventurarsi nell’impre
sa di Spagna, nell’ annessione dell’ Albania e nel- l’attacco alla Grecia. Né bastarono i tardivi ri
sentimenti antitedeschi del genero a dare so
stanza a una politica alternativa a quella di Mus
solini, dato che a Ciano mancavano “la capacità e la statura per essere se stesso” (p. 25).
L’opera distingue inevitabilmente due fasi nella politica estera fascista: una “politica di at
tesa” fino alla grande crisi e una “politica di of
fesa” dal 1933 in poi. Nella fase di “attesa” Col
lotti e i suoi collaboratori scorgono non l’iner
zia, quanto meno il “good behaviour” vagheg
giato dalla governante inglese, ma una politica offensiva diretta contro la Jugoslavia, facente perno sul protettorato assicurato nel 1926-1927 sull’Albania, e sulla violenza dei terroristi ma
cedoni e croati. Rientrava in questa fase di pre
sunta moderazione anche la repressione defini
tiva della resistenza araba in Cirenaica median
te una politica della quale Labanca sottolinea il
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carattere estremista e genocida rispetto alle po
litiche coloniali contemporanee delle altre po
tenze (il capitolo di Labanca contiene inoltre un inquadramento storiografico e concettuale illu
minante dei problemi suscitati dalla politica co
loniale fascista, in una fase così poco studiata).
Per seguire fino in fondo una politica di ag
gressione in Europa l’Italia era e restò troppo debole. L’“attesa” potè tramutarsi in “offesa”
soltanto grazie all’arrivo di un alleato potentis
simo, e deciso a distruggere l’assetto intema
zionale. L’imperialismo impunito del Giappone in Manciuria (citato allegramente da Mussolini nel 1932 a uno dei suoi collaboratori diploma
tici come esempio da seguire) contava già qual
cosa. Ma il fattore determinante fu la riappari
zione della Germania come grande potenza. E qui, forse, Collotti sottovaluta l’accanimento con cui Mussolini proseguì il suo cammino verso l’alleanza teutonica anche prima del 1936-1937.
Il dittatore, parlando ai suoi più stretti collabo
ratori, svalutò in anticipo il suo Patto a Quattro, definendo la consultazione fra le grandi poten
ze una semplice “formula” per “addormentare”
la democrazia (si veda Pompeo Aloisi, Journal (25 juillet 1932 - 14 juin 1936), Parigi, Plon, 1957, pp. 45-46 (3 gennaio 1933); non si tratta
va evidentemente di un tentativo di “mediazio
ne”. Non è poi affatto chiaro che Mussolini te
messe VAnschluss in sé, nonostante le temute ri
percussioni dell’avvenimento sul suo prestigio interno, che dettarono la dura presa di posizio
ne al Brennero dopo l’assassinio da parte dei na
zisti di Dollfuss nel 1934 (si veda la notizia del marzo 1933 — proveniente da Grandi, dopo es
ser stato relegato a Londra — secondo la quale per assicurarsi un rapporto strettissimo con Ber
lino, Mussolini era “pronto non solo ad accetta
re VAnschluss ma anche a sollevare la questio
ne sulla ribalta intemazionale”: Skirmunt a Beck, 9 marzo 1936, in Josef Lipski, Diplomai in Berlin, New York, Columbia University Press, 1968, pp. 60-61). Non è poi provato che le ma
novre del duce del gennaio 1936 — l’invito tra
mite l’ambasciatore tedesco a rendere l’Austria
“in termini pratici un satellite” (parole signifi
cativamente non citate direttamente da De Feli
ce) — né le espressioni forti rivolte a un altro emissario di Hitler sulla “comunità di destino”
fra le due dittature (rapporto di Roland Strunk sulla sua udienza da Mussolini del 17 gennaio 1936, in Robert H. Whealey, Mussolini ’s Ideo
logica! Diplomacy, “Journal of Modem Hi- story”, 1967, pp. 432-37: documento noto da molti anni, ma passato completamente sotto si
lenzio da De Felice) fossero meno impegnative che le assicurazioni con cui il duce tentò di pla
care le ansie sul conto dell’Austria del suo sot
tosegretario agli Esteri, Fulvio Suvich (E. Col
lotti, Fascismo e politica di potenza, cit., pp.
301-304) E anche dopo non fu affatto “singola
re” (p. 341) che neH’invemo 1937-1938 Mus
solini e Ciano si astenessero da qualsiasi gesto in favore dell’indipendenza austriaca. I giochi erano ormai fatti da due anni.
L’analisi di Collotti dell’“intesa impossibile”
con la Gran Bretagna nel 1937-1938 dimostra (al contrario delle tesi di De Felice e della sua scuola) l’impressionante mancanza d’impegno dell’Italia fascista nelle sue relazioni con le de
mocrazie. L’“accordo di Pasqua” del 1938 con la Gran Bretagna entrò in vigore — per scelta dell’Italia, che preferiva proseguire la sua guer
ra in Spagna con i bombardamenti terroristici delle città — soltanto nel novembre. La conse
guente visita di Chamberlain e Halifax a Roma del gennaio 1939 fu — ancora per scelta dell’I
talia — un’occasione triste e inconcludente;
Mussolini per giunta pensava da tempo di vio
lare il patto con Londra annettendo l’Albania. E con la Francia, come Collotti mette bene in evi
denza, Mussolini e Ciano rifiutarono qualsiasi accordo, imprecando contro “l’ebreo Blum” e scavando un fosso incolmabile alla fine del no
vembre 1938 con l’aperta rivendicazione da par
te della Camera dei fasci e delle corporazioni di territori francesi anche metropolitani.
Sull’altro versante della politica fascista, Co- lotti descrive con finezza l’“opzione prioritaria, anche se non ancora esclusiva, a favore della Germania nazista” (p. 360). Su questa strada, Mussolini visitò la Germania nel settembre
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1937, ospitò il Fiihrer a Roma nel maggio 1938, inaugurò la persecuzione degli ebrei e si allineò con il Terzo Reich senza via d’uscita nella crisi cecoslovacca, auspicando ingenuamente una guerra da cui Mussolini stesso aspettava la com
pleta vittoria dell’asse. Collotti rileva giusta
mente l’assurdità delle tesi di De Felice sulla pretesa “mediazione” di Mussolini a Monaco (e si può sempre leggere fra le righe del diario di Ciano che il dittatore sentiva come Hitler — e logicamente anche l’Italia — non potessero ri
fiutare la proposta di conferenza di Chamber- lain, non perché il duce preferiva la pace, ma perché era impossibile addossarsi la responsa
bilità del conflitto). Se Hitler avesse invece te
nuto duro, l’Italia avrebbe potuto difficilmente evitare una guerra in cui la preponderanza me
diterranea anglofrancese l’avrebbe schiacciata.
Il successo di Monaco insegnò al dittatore sol
tanto che bisognava stringere l’alleanza milita
re italotedesca con l’obiettivo dichiarato — nel
le parole di Mussolini a Ribbentrop — di “cam
biare la carta geografica del mondo” (p. 427).
L’ostacolo maggiore restava l’avversione del
l’opinione pubblica italiana, che non era una scu
sa di comodo inventata per procrastinare il pat
to, ma un fattore (come testimoniano le tante
“informative” sopravvissute fra le carte della Se
greteria particolare del duce) di cui Mussolini teneva sempre il massimo conto. La funzione preminente del dissidio creato con la Francia fu infatti di rendere un tale patto accettabile. E mal
grado la mancanza di riguardo dimostrata da Hi
tler nel marzo 1939 fagocitando i resti della Ce
coslovacchia senza previa consultazione con Ro
ma, la risposta di Mussolini, dopo qualche bre
ve tentennamento, fu di accelerare 1’“operazio
ne Albania”, bruciando la sua rimanente credi
bilità a Londra.
Collotti constata la mancanza di un vero ne
goziato sulle condizioni dell’alleanza — e for
se non coglie fino a qual punto il patto, benché
redatto a Berlino, fu offensivo e automatico an
che per volontà italiana-, nell’ottobre 1938 Mus
solini l’aveva reclamato esplicitamente. I tenta
tivi italiani, dopo la conclusione del patto, di pro
crastinare la guerra “inevitable” per tre anni in vista di un’impreparazione militare italiana or
mai percepibile anche da Mussolini, e di stabi
lire con precisione il bottino che spetterebbe al
le due parti, sono descritti con maestria. E l’a
nalisi della crisi finale del luglio-agosto 1939, dalle “stupefacenti” promesse italiane di com
battere all’umiliazione finale della non bellige
ranza, è un modello di chiarezza.
Dal frastuono ideologico e dalla coreografia militare delle visite dei dittatori nel 1937-1938, alla conclusione affrettata dell’ alleanza nel mag
gio 1939 e alla guerra che distrusse il regime corre un filo rosso così definito da Collotti:
“Mussolini, nelle oscillazioni dei suoi compor
tamenti, finì per assecondare sempre i tedeschi perché i suoi sogni di gloria e di grandezza di
pendevano interamente dal successo delle loro armi” (p. 455). Forse 1’“interamente” è eccessi
vo, almeno rispetto alle intenzioni di Mussoli
ni: i suoi sforzi frenetici nel 1940 — e anche do
po — per costringere generali e ammiragli a combattere mostrano che non aveva affatto ri
nunciato a un’affermazione autonoma del fa
scismo nell’“esame comparativo” della guerra.
Ma Collotti ha colto bene la logica ferrea della politica estera fascista: soltanto la Germania di Hitler possedeva la forza per rompere gli equi
libri europei e mondiali e aprire la via a con
quiste italiane che avrebbero permesso, fra l’al
tro, la fascistizzazione integrale della società ita
liana e l’eliminazione dell’ingombrante monar
chia. Con l’aiuto di Hitler, Mussolini a diffe
renza di Ciano trovò fino al 1943 — con danno infinito dell’Italia e dell’Europa — “la capacità e la statura per essere se stesso”.
MacGregor Knox