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La politica di potenza fascista

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688 Rassegna bibliografica

che più ristretto perché la società politica è esi­

gua e asfittica, arena di pallide imitazioni degli scontri passati. O forse anche perché in questa sorta di microcosmo un solo terreno — quello

assai poco frequentato della socializzazione — avrebbe potuto prestarsi allo studio della dialet­

tica tra i moderati e gli estremisti.

Luigi Canapini

La politica di potenza fascista

MacGregor Knox

La politica estera fascista rimane nel comples­

so mal compresa. L’opera mastodontica di Ren­

zo De Felice è alla base dell’ortodossia vigente sulle finalità e sui metodi di Mussolini nella po­

litica intemazionale, poggia su fondamenta la­

bili sia sotto il profilo documentario sia sotto quello interpretativo (sulla questione ci permet­

tiamo di rimandare, fra i tanti contributi critici, a MacGregor Knox, The Fascist Regime, Its Fo- reign Policy and Its Wars: An “Anti-Anti-Fa- scist” Orthodoxyl, “Contemporary European History”, 1995, 4/3, pp. 347-365). Tuttavia l’i­

stinto del gregge ha finora dominato — facen­

do del lavoro di De Felice persino un “monu­

mento al duce” multimediale su CD-ROM nel recente spettacolo pubblicistico inscenato da

“Panorama”. Un coro di discepoli e di imitato­

ri ha poi riecheggiato le tesi del maestro sul ca­

rattere essenzialmente opportunista e tenden­

zialmente pacifica della politica estera fascista.

Manca tuttora un lavoro di sintesi che potrebbe sia rettificare le bizzarrie, gli errori e le omis­

sioni di De Felice, sia offrire un quadro concet­

tuale convincente della parabola di un regime che nacque, con sete di vendetta, dalla prima guerra mondiale e perì tanto indecorosamente nella seconda.

Quale sarebbero i requisiti di una storia at­

tendibile della politica estera fascista? Dovreb­

be fondarsi su uno studio accurato delle fonti italiane, inclusi gli archivi del ministero degli Affari Esteri e delle tre forze armate — queste ultime inspiegabilmente trascurate, malgrado il ruolo dominante della guerra nella politica fa­

scista, da De Felice per il periodo prima del 1940.

Dovrebbe anche utilizzare le fonti, anche archi­

vistiche, diplomatiche e militari delle altre po­

tenze, in particolare quelle della Germania (an- ch’esse trascurate da De Felice, benché i collo­

qui di Mussolini con gli alleati teutonici restino essenziali per capire le sua politica). Dovrebbe estendersi a tutta la parabola del regime, per as­

sicurare la completezza documentaria e analiti­

ca; non è casuale che la “cesura” del 1989-1991 abbia contribuito tanto alla comprensione di quell’altra e molto più duratura dittatura impe­

riale, lo “successful fascism” (espressione fa­

mosa, o infamous, a seconda dei punti di vista, di Susan Sontag) deH’Unione sovietica. E do­

vrebbe esprimere una visione e un’interpreta­

zione d’insieme coerente con la documentazio­

ne e capace di spiegare la radicalizzazione pro­

gressiva del regime e della sua politica estera.

Un tale lavoro — simile allo studio magi­

strale di Gerhard Weinberg sulla politica estera nazista (The Foreign Policy of Hitler’s Ger- many, 2 voi., Chicago, Chicago University Press, 1970-1980) ma relativo a un periodo no­

tevolmente superiore—richiederebbe, sulla ba­

se degli studi attualmente disponibili, uno sfor­

zo anche maggiore di quello più che trentenna­

le di De Felice. Malgrado contribuiti settoriali di alto livello (si ricordi in particolare, per la sua ricostruzione accurata basata su ricerche d’ar­

chivio, il libro tuttora valido di Giampiero Ca­

rocci, La politica estera dell’Italia fascista 1925-1928 Bari, Laterza, 1969), gravi lacune determinano l’impossibilità di una sintesi fon­

data su uno spessore documentario uniforme.

Mancano, per fare qualche esempio non fra i

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meno importanti, studi adeguati sull’incidenza dei servizi informativi sulla politica estera del duce, sull’intreccio tra la politica militare e la pianificazione delle forze armate e la politica estera, e sulle fondamenta ideologiche e pro­

grammatiche della politica di potenza del ditta­

tore. A questo proposito, lo studio recente di Fortunato Minniti, Fino alla guerra. Strategie e conflitto nella politica di potenza di Mussoli­

ni 1923-1940 (Napoli, Edizioni Scientifiche Ita­

liane, 2000, recensito in “Italiacontemporanea”, giugno 2000, n. 219, pp. 281-292), malgrado al­

cuni punti pregevoli, è menomato da un’ade­

renza tenace e acritica alla “vulgata” defelicia- na, e da un’utilizzazione non sempre convin­

cente dell’apparato concettuale della “strategie analysis” contemporanea. Resta peraltro sem­

pre esemplare lo studio settoriale di Giorgio Ro- chat su Militari e politici nella preparazione della campagna d’Etiopia, Milano, Franco An­

geli, 1971, mentre il taglio interpretativo del la­

voro spesso utile di Emilio Gentile su Le origi­

ni dell’ideologia fascista (Roma-Bari, Laterza, 1975) non permette una considerazione ade­

guata dell’intreccio fra ideologia e politica este­

ra; per l’inizio degli anni venti, è sempre im­

portante lo studio di Giorgio Rumi, Alle origi­

ni della politica estera fascista (Bari, Laterza, 1968). Manca però un’ analisi del ventennio stes­

so, a parte lo schizzo (a base però di fonti spes­

so nuove) di chi scrive, Il fascismo e la politi­

ca estera, in Richard J. B. Bosworth e Sergio Romano (a cura di), La politica estera italiana (Bologna, Il Mulino, 1991).

Inoltre troppi degli studi esistenti prendono come punto di partenza, e di arrivo, sia lo steri­

le indirizzo tecnico e legalistico della “storia dei trattati e politica intemazionale” sia gli assunti di De Felice sull’asserito desiderio di Mussoli­

ni di giungere ad “accordi generali” con la Gran Bretagna o la Francia, e sulla presunta incom­

patibilità del processo di totalitarizzazione del regime con una politica estera di ‘“grande pre­

senza’ intemationale”(Renzo De Febee, Mus­

solini il duce, II, Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981, p. 155).

Il titolo del recente studio di Enzo Collotti, Fascismo e politica di potenza. Politica estera 1922-1939 (Firenze, La Nuova Italia, 2000, pp.

494, lire 55.000, euro 28,41, secondo volume della collana “Storia d’Italia nel secolo vente­

simo” dell’Insmli), scritto con la collaborazio­

ne di due esperti di rilievo della politica colo­

niale e balcanica, Nicola Labanca e Teodoro Sa­

la, promette molto. Come si misurerebbe con i requisiti sopraenunciati?

Dal punto di vista della novità sotto il profilo documentario, il lavoro non amplia di molto le nostre conoscenze, essendo stato concepito co­

me sintesi degli studi esistenti e fondato soprat­

tutto sui Documenti diplomatici italiani e sulle altri fonti pubblicate italiane. La documentazio­

ne militare, che rimane in gran parte inedita, com­

pare soltanto di rado (con l’eccezione significa­

tiva del verbale del 1927 contenente l’ordine fon­

damentale di Mussolini per la preparazione del­

la guerra contro la Jugoslavia: si veda Lucio Ce- va, 1927. Una riunione fra Mussolini e i vertici militari, “Il Politico”, 1985 , n. 2, pp. 329-337;

ora consultabile nell’importante volume curato da Antonello Biagini e Alessandro Gionfrida, Lo Stato Maggiore Generale tra le due guerre (ver­

bali delle riunioni presiedute da Badoglio dal 1925 al 1937), Roma, Stato Maggiore dell’E- sercito, Ufficio Storico, 1997). Anche la docu­

mentazione delle altre potenze è utilizzata spo­

radicamente, cosa particolarmente sorprendente nel caso tedesco, dati gli studi pregevoli di Col­

lotti sulle vicende tedesche, e soprattutto data l’importanza ai fini della comprensione della po­

litica fascista dei documenti tedeschi pubblicati e dei fondi (reperibili anche su microfilm) del- VAuswartiges Amt e dell’alto comando e delle forze armate tedesche. Anche la documentazio­

ne italiana presenta qualche lacuna di rilievo:

l’assenza dei diari manoscritti del 1929-1932 di Dino Grandi, reperibili su microfilm dalla bi­

blioteca della Georgetown University di Wa­

shington, D.C., priva l’autore di un’arma essen­

ziale per confutare le tesi insostenibili di De Fe­

bee sull’asserito “reabsmo” del duce. E la deci­

sione dei curatori della collana di trattare la “guer­

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690 Rassegna bibliografica

ra fascista” in un volume a parte, benché sensa­

ta e necessaria dato lo spessore della materia sul 1940-1943, ha l’effetto di interrompere la storia della politica di potenza di Mussolini a pochi pas­

si dal suo punto culminante.

Questi rilievi non devono però mettere in om­

bra i pregi del libro, che sono cospicui. Sia re­

legante formato (comune anche agli altri volu­

mi della collana), sia lo stile asciutto e scorre­

vole e l’organizzazione chiara costituisono un invito alla lettura difficile da rifiutare. La “nota storiografica-bibliografica” offre inoltre uno strumento accurato e ampio per orientarsi nella letteratura di lingua italiana sulla politica este­

ra e coloniale del ventennio. Ma è soprattutto rimpianto interpretativo la novità maggiore e la ragione del successo dell’opera.

Gli autori insistono sul “primato dell’ideolo­

gia” come spiegazione essenziale della politica estera fascista: la prevalenza assoluta di un in­

dirizzo bellicista e colonialista è ricondotta, giu­

stamente, alla figura troppo sovente ignorata o fraintesa di Alfredo Oriani (p. 5). Non l’avver­

sione a una nuova guerra in Europa tanto cara a De Felice, né l’asserita ambizione di divenire il

“peso determinante” della politica europea e di mediare fra una Germania risorta e le potenze occidentali, ma al contrario l’espansione e al li­

mite la guerra europea: “Attraverso aggiusta­

menti tattici e mediazioni di varia natura, passi falsi e contraddizioni, Mussolini e il fascismo rimasero sostanzialmente fedeli alla politica di affermazione di grande potenza mediterranea e di espansione coloniale” (p. 20). Ideologia fa­

scista e politica estera non furono due cose di­

stinte e separate. Sia nel campo coloniale — do­

ve il regime creò volutamente dagli anni venti le aspettative poi parzialmente sopite dall’im­

presa etiopica — sia nella penetrazione fascista fra le comunità italiane all ’ estero (alla quale Col­

lotti dedica un capitolo ricco di interesse), sia nella “grande politica” europea che portò al­

l’ultima guerra fascista, l’ideologia dominò la politica, determinando il distacco sempre mag­

giore dalle potenze occidentali e l’alleanza sem­

pre più esclusiva con la Germania nazista. L’in­

contro con Berlino “non fu casuale”, ma detta­

to dagli obiettivi della politica fascista (p. 35).

Quella politica non fu soltanto una trovata di Mussolini, sebbene il duce, come conferma Col­

lotti, abbia giocato fin dal 1922 un ruolo decisi­

vo. Salvatore Contarmi — lui stesso un colo­

nialista convinto -— potè ritardare soltanto di po­

co, grazie al passo falso mussoliniano della ten­

tata annessione di Corfù nel 1923 e alla crisi Matteotti, l’affermazione della vera politica estera fascista, anelante freneticamente all’e­

spansione violenta lungo entrambi le direttrici maestre della politica estera prefascista, l’Afri­

ca e i Balcani. Collotti e Labanca, nel suo capi­

tolo sul colonialismo fascista fino al 1934, sot­

tolineano pure il ruolo importante dei diploma­

tici nelle origini dell’impresa etiopica. Anche Grandi (di cui si rileva la “notevole dose di ipo­

crisia”) figura a giusto titolo come ideologo — dell’illusoria politica del peso determinante;

Collotti descrive con finezza il suo gioco delle parti con Mussolini nel 1931-1932 (pp. 22-23, 65-66). E di Galeazzo Ciano, l’autore rileva giu­

stamente la subalternità alle “grandi linee della politica tracciata da Mussolini”, anche mentre spingeva il dittatore ad avventurarsi nell’impre­

sa di Spagna, nell’ annessione dell’ Albania e nel- l’attacco alla Grecia. Né bastarono i tardivi ri­

sentimenti antitedeschi del genero a dare so­

stanza a una politica alternativa a quella di Mus­

solini, dato che a Ciano mancavano “la capacità e la statura per essere se stesso” (p. 25).

L’opera distingue inevitabilmente due fasi nella politica estera fascista: una “politica di at­

tesa” fino alla grande crisi e una “politica di of­

fesa” dal 1933 in poi. Nella fase di “attesa” Col­

lotti e i suoi collaboratori scorgono non l’iner­

zia, quanto meno il “good behaviour” vagheg­

giato dalla governante inglese, ma una politica offensiva diretta contro la Jugoslavia, facente perno sul protettorato assicurato nel 1926-1927 sull’Albania, e sulla violenza dei terroristi ma­

cedoni e croati. Rientrava in questa fase di pre­

sunta moderazione anche la repressione defini­

tiva della resistenza araba in Cirenaica median­

te una politica della quale Labanca sottolinea il

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Rassegna bibliografica 691

carattere estremista e genocida rispetto alle po­

litiche coloniali contemporanee delle altre po­

tenze (il capitolo di Labanca contiene inoltre un inquadramento storiografico e concettuale illu­

minante dei problemi suscitati dalla politica co­

loniale fascista, in una fase così poco studiata).

Per seguire fino in fondo una politica di ag­

gressione in Europa l’Italia era e restò troppo debole. L’“attesa” potè tramutarsi in “offesa”

soltanto grazie all’arrivo di un alleato potentis­

simo, e deciso a distruggere l’assetto intema­

zionale. L’imperialismo impunito del Giappone in Manciuria (citato allegramente da Mussolini nel 1932 a uno dei suoi collaboratori diploma­

tici come esempio da seguire) contava già qual­

cosa. Ma il fattore determinante fu la riappari­

zione della Germania come grande potenza. E qui, forse, Collotti sottovaluta l’accanimento con cui Mussolini proseguì il suo cammino verso l’alleanza teutonica anche prima del 1936-1937.

Il dittatore, parlando ai suoi più stretti collabo­

ratori, svalutò in anticipo il suo Patto a Quattro, definendo la consultazione fra le grandi poten­

ze una semplice “formula” per “addormentare”

la democrazia (si veda Pompeo Aloisi, Journal (25 juillet 1932 - 14 juin 1936), Parigi, Plon, 1957, pp. 45-46 (3 gennaio 1933); non si tratta­

va evidentemente di un tentativo di “mediazio­

ne”. Non è poi affatto chiaro che Mussolini te­

messe VAnschluss in sé, nonostante le temute ri­

percussioni dell’avvenimento sul suo prestigio interno, che dettarono la dura presa di posizio­

ne al Brennero dopo l’assassinio da parte dei na­

zisti di Dollfuss nel 1934 (si veda la notizia del marzo 1933 — proveniente da Grandi, dopo es­

ser stato relegato a Londra — secondo la quale per assicurarsi un rapporto strettissimo con Ber­

lino, Mussolini era “pronto non solo ad accetta­

re VAnschluss ma anche a sollevare la questio­

ne sulla ribalta intemazionale”: Skirmunt a Beck, 9 marzo 1936, in Josef Lipski, Diplomai in Berlin, New York, Columbia University Press, 1968, pp. 60-61). Non è poi provato che le ma­

novre del duce del gennaio 1936 — l’invito tra­

mite l’ambasciatore tedesco a rendere l’Austria

“in termini pratici un satellite” (parole signifi­

cativamente non citate direttamente da De Feli­

ce) — né le espressioni forti rivolte a un altro emissario di Hitler sulla “comunità di destino”

fra le due dittature (rapporto di Roland Strunk sulla sua udienza da Mussolini del 17 gennaio 1936, in Robert H. Whealey, Mussolini ’s Ideo­

logica! Diplomacy, “Journal of Modem Hi- story”, 1967, pp. 432-37: documento noto da molti anni, ma passato completamente sotto si­

lenzio da De Felice) fossero meno impegnative che le assicurazioni con cui il duce tentò di pla­

care le ansie sul conto dell’Austria del suo sot­

tosegretario agli Esteri, Fulvio Suvich (E. Col­

lotti, Fascismo e politica di potenza, cit., pp.

301-304) E anche dopo non fu affatto “singola­

re” (p. 341) che neH’invemo 1937-1938 Mus­

solini e Ciano si astenessero da qualsiasi gesto in favore dell’indipendenza austriaca. I giochi erano ormai fatti da due anni.

L’analisi di Collotti dell’“intesa impossibile”

con la Gran Bretagna nel 1937-1938 dimostra (al contrario delle tesi di De Felice e della sua scuola) l’impressionante mancanza d’impegno dell’Italia fascista nelle sue relazioni con le de­

mocrazie. L’“accordo di Pasqua” del 1938 con la Gran Bretagna entrò in vigore — per scelta dell’Italia, che preferiva proseguire la sua guer­

ra in Spagna con i bombardamenti terroristici delle città — soltanto nel novembre. La conse­

guente visita di Chamberlain e Halifax a Roma del gennaio 1939 fu — ancora per scelta dell’I­

talia — un’occasione triste e inconcludente;

Mussolini per giunta pensava da tempo di vio­

lare il patto con Londra annettendo l’Albania. E con la Francia, come Collotti mette bene in evi­

denza, Mussolini e Ciano rifiutarono qualsiasi accordo, imprecando contro “l’ebreo Blum” e scavando un fosso incolmabile alla fine del no­

vembre 1938 con l’aperta rivendicazione da par­

te della Camera dei fasci e delle corporazioni di territori francesi anche metropolitani.

Sull’altro versante della politica fascista, Co- lotti descrive con finezza l’“opzione prioritaria, anche se non ancora esclusiva, a favore della Germania nazista” (p. 360). Su questa strada, Mussolini visitò la Germania nel settembre

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1937, ospitò il Fiihrer a Roma nel maggio 1938, inaugurò la persecuzione degli ebrei e si allineò con il Terzo Reich senza via d’uscita nella crisi cecoslovacca, auspicando ingenuamente una guerra da cui Mussolini stesso aspettava la com­

pleta vittoria dell’asse. Collotti rileva giusta­

mente l’assurdità delle tesi di De Felice sulla pretesa “mediazione” di Mussolini a Monaco (e si può sempre leggere fra le righe del diario di Ciano che il dittatore sentiva come Hitler — e logicamente anche l’Italia — non potessero ri­

fiutare la proposta di conferenza di Chamber- lain, non perché il duce preferiva la pace, ma perché era impossibile addossarsi la responsa­

bilità del conflitto). Se Hitler avesse invece te­

nuto duro, l’Italia avrebbe potuto difficilmente evitare una guerra in cui la preponderanza me­

diterranea anglofrancese l’avrebbe schiacciata.

Il successo di Monaco insegnò al dittatore sol­

tanto che bisognava stringere l’alleanza milita­

re italotedesca con l’obiettivo dichiarato — nel­

le parole di Mussolini a Ribbentrop — di “cam­

biare la carta geografica del mondo” (p. 427).

L’ostacolo maggiore restava l’avversione del­

l’opinione pubblica italiana, che non era una scu­

sa di comodo inventata per procrastinare il pat­

to, ma un fattore (come testimoniano le tante

“informative” sopravvissute fra le carte della Se­

greteria particolare del duce) di cui Mussolini teneva sempre il massimo conto. La funzione preminente del dissidio creato con la Francia fu infatti di rendere un tale patto accettabile. E mal­

grado la mancanza di riguardo dimostrata da Hi­

tler nel marzo 1939 fagocitando i resti della Ce­

coslovacchia senza previa consultazione con Ro­

ma, la risposta di Mussolini, dopo qualche bre­

ve tentennamento, fu di accelerare 1’“operazio­

ne Albania”, bruciando la sua rimanente credi­

bilità a Londra.

Collotti constata la mancanza di un vero ne­

goziato sulle condizioni dell’alleanza — e for­

se non coglie fino a qual punto il patto, benché

redatto a Berlino, fu offensivo e automatico an­

che per volontà italiana-, nell’ottobre 1938 Mus­

solini l’aveva reclamato esplicitamente. I tenta­

tivi italiani, dopo la conclusione del patto, di pro­

crastinare la guerra “inevitable” per tre anni in vista di un’impreparazione militare italiana or­

mai percepibile anche da Mussolini, e di stabi­

lire con precisione il bottino che spetterebbe al­

le due parti, sono descritti con maestria. E l’a­

nalisi della crisi finale del luglio-agosto 1939, dalle “stupefacenti” promesse italiane di com­

battere all’umiliazione finale della non bellige­

ranza, è un modello di chiarezza.

Dal frastuono ideologico e dalla coreografia militare delle visite dei dittatori nel 1937-1938, alla conclusione affrettata dell’ alleanza nel mag­

gio 1939 e alla guerra che distrusse il regime corre un filo rosso così definito da Collotti:

“Mussolini, nelle oscillazioni dei suoi compor­

tamenti, finì per assecondare sempre i tedeschi perché i suoi sogni di gloria e di grandezza di­

pendevano interamente dal successo delle loro armi” (p. 455). Forse 1’“interamente” è eccessi­

vo, almeno rispetto alle intenzioni di Mussoli­

ni: i suoi sforzi frenetici nel 1940 — e anche do­

po — per costringere generali e ammiragli a combattere mostrano che non aveva affatto ri­

nunciato a un’affermazione autonoma del fa­

scismo nell’“esame comparativo” della guerra.

Ma Collotti ha colto bene la logica ferrea della politica estera fascista: soltanto la Germania di Hitler possedeva la forza per rompere gli equi­

libri europei e mondiali e aprire la via a con­

quiste italiane che avrebbero permesso, fra l’al­

tro, la fascistizzazione integrale della società ita­

liana e l’eliminazione dell’ingombrante monar­

chia. Con l’aiuto di Hitler, Mussolini a diffe­

renza di Ciano trovò fino al 1943 — con danno infinito dell’Italia e dell’Europa — “la capacità e la statura per essere se stesso”.

MacGregor Knox

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