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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani

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Academic year: 2022

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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani Il generale e il particolare

Nicola Labanca

Il 30 agosto2008 ilpresidente del Consiglio della Repubblica italiana, cavalierSilvio Berlusconi, e il qa‘id della Grande Giamahiria Araba Libica Popo­ lare Socialista, colonnello Gheddafi,hanno firmato un Trattato di amicizia,partenariatoe cooperazio­ ne. L’eventohafatto il giro del mondo.Sitratta di un accordo che vuole porrefine al contenzioso ita- lo-libicosulpassato coloniale. Poiché il documen­

to ha anche importantiaspettieconomici epolitici, la dimensione culturale ha una suaautonomiaeun suopeso?Ilsaggio parte dalla considerazione che levento ha avuto una suainusuale risonanza inter­

nazionale,anche se è difficilmente comprensibile senza tenere conto delleimplicazioni di politica nazionale su ambeduei versanti, e in ogni casosu quello italiano. Analizza quindi la versione resa di­

sponibile dellaccordo esi chiede se, in un testo che si pone l’obiettivo disuperareil passatocolo­

niale, l’Italia vi ammetta esplicitamente lasuape­

santezza o se inveceabbia preferito lavia della ge­ nericità.Ataleproposito, brevemente, sulla base della letteratura disponibile, ilsaggio enumerai principali attidelpassatocolonialeperiquali siè parlato di crimini, anchese suggerisce che, discu­ tendodel colonialismo, non convenga soffermarsi solo su eventidrammatici ma straordinari, cosa che farebbe perdere di vista— arrestandosiai soli atti inumani o genocidi—la pesantezza della dimen­ sionequotidiana deldominio coloniale.Assumere compiutamenteilpassatocoloniale aiuterebbe pe­

raltrogli italiani della Repubblicaasuperare una fase caratterizzata da un triplice silenzio, cherap­

presenta una macchia postcoloniale. Il saggiosi chiudecon unavalutazione positiva del trattato, soprattutto per lospazio apertoche esso inaugura:

la valutazionerimaneperòcondizionata all’espli- citazionedella volontà di ambedue leparti—e so­ prattutto di quellaitaliana — anon rimanerenel generico ma a intraprendere la strada dello studio e del ricordo, e dell’ammissione, di una storiaco­

munque conclusa.

On August 30th, 2008 thè Prime Minister of thèI- talian Republic, Mr.Silvio Berlusconi, andthè qa’id ofthèGreat Libyan Arab PopularSocialist Jamahiriya, Col. Kaddafi, signed a Treaty of Friendship, Partnership andCooperation. The eventgained worldwide attention. lt is an agree­

ment tending to put an end to thè contention on thè colonial past between Italy andLibya. Since this protocol involvesimportant economie and politicai aspeets, what is thè specific weight and character of its culturalcontent? The A. stresses thèpoint of thè unusual worldwideecho, yet reminding that such eventcan be hardlyassessedwithout taking indue consideration its politicai implications at national level on both sides, and on thè Italian one in any case. He examines thè version oftheac- cords released to thèpublic and wonders whether, in a textmeant to getover colonialpast, Italy ad- mittedovertly her guilt or rather optedfor a gener- ic culpability. Onthis matter, drawing onthè avail- able literature, he briefly enumerates thè main deeds of Italy ’scolonial past in Libya for which ac- cusations ofcrime havebeen worded,butsuggests that, speaking ofcolonialism, itis perhapsbetter to avoid insistingonly onsingle tragicbutextraordi- nary events, such asinhumanacts orgenocides, while riskingto lose sight ofthe daily burdenof colonialdomination. A globalassumption ofre- sponsibility withregard totheir colonial past would help today’s Italians get over a historical phasemarked by a triple silencewhich amounts to a downright post-colonial blame.The essayends with a positive judgement on thè Treaty, mainly on account of thè fresh ground it breaks:this judge­ ment ishowever conditioned bythè willingness of bothparties,especially thè Italians,inquitting generalities andfindingthè way ofstudy,memory andadmission ofan altogether closed story.

‘Italiacontemporanea”, giugno 2008,n. 251

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Il 30 agosto 2008 il presidente del Consiglio della Repubblica italiana, cavalier Silvio Berlusconi, e il qa ‘id della Grande Giamahiria Araba Libica Po­

polare Socialista, colonnello Mu’ammar al Qa- dhdhafi (Gheddafi), sono convenuti per firmare un Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione.

Poiché l’accordo è stato presentato da ambe­

due le parti contraenti come un testo che mirava a chiudere lo storico contenzioso postcoloniale ita- io-libico, e anche grazie a un efficiente lancio giornalistico (che solo fra qualche tempo gli stori­

ci sapranno se accreditare a Roma o a Tripoli), l’evento ha fatto immediatamente il giro del mon­

do. Le maggiori agenzie intemazionali (Associa­

ted Press, Reuters, ecc.) hanno rimbalzato la noti­

zia. Quotidiani statunitensi, britannici, francesi, tedeschi, spagnoli, ecc. — in genere piuttosto avari di copertura sui fatti italiani — hanno ripor­

tato la notizia. Fatto significativo, la notizia sem­

bra essersi diffusa su giornali del Terzo mondo1.

In un mondo sempre più virtuale, persino la Wikipedia anglosassone ha aperto una pagina sull’evento: Italy will give Libya US$5 billion as compensation far occupation2.

La notizia dell’entità dell’impegno economi­

co italiano, in venti anni, e dell’assenso italiano circa la costruzione di un’autostrada a riparazio­

ne dei trent’anni di dominio coloniale ha schiac­

ciato presso l’opinione pubblica ogni altra forma e dimensione dell’accordo, quale quella culturale su cui invece vogliamo qui attrarre l’attenzione.

Per la verità, al momento in cui scriviamo, il documento deve ancora ricevere la necessaria ratifica da parte del Parlamento italiano: solo al­

lora, a rigore, esso vincolerà le due parti. Ma, dando per scontato che la ratifica verrà, e quindi ammettendo che quel documento si avvii a dive­

nire un atto di rilevanza storica, non è inutile os­

servarlo più da vicino e metterlo in relazione a quanto gli storici sanno a proposito del passato coloniale italiano e dei suoi cosiddetti crimini3.

Interesse internazionale, politica nazionale

L’ampio interesse intemazionale verso il tratta­

to è facilmente spiegato e va al di là della storia nazionale italiana o libica.

Il presente saggiocostituisce il testo, riveduto e ampliato, dell’interventoalconvegnointemazionaleMemoria e rimozio­ ne.I crimini di guerra del Giappone e dell'Italia”, Gabinetto G.P.Viesseux,Firenze,24-25 settembre2007.

1Cfr., soltanto per avereuna prima ideadelledimensioni dellaricezionedellevento,per il mondo occidentale:

; .

co.uk/tol/news/world/africa/article4648600.ece; ;http://www.

guardian.co.uk/world/2008/aug/31/italy.libya;

; 2OO8/O83O/breaking28.htm;http://

;

; http://www.

Story.html?id=abce48ab-52a4-4406-88f4-a8a85312318e.

http://www.iht.com/articles/reuters/2008/08/30/africa/OUKWD-UK-LIBYA-ITALY.phphttp://www.timesonline http://news.bbc.co.Uk/l/hi/world/europe/7589557.stm

http://www.france24.com/en/20080830-berlusconi-colonial-rule-com- pensation-gaddafi-italy-libya http://www.irishtimes.com/newspaper/breaking/

www.washingtontimes.com/news/2008/aug/31/pact-with-libya-aims-at-curbing-illegals/ http://www.chicagotribu- ne.com/news/nationworld/chi-christinespolar,0,5068632.storygallery canada.com/calgaryherald/news/

Perl’Asia: http://www2.chinadaily.com.cn/world/2008-08/31/content_6984218.htm;http://www.chinapost.com.tw/

intemational/africa/2008/08/31/172569/Libya%E2%80%99s-Gadhafi.htm.

Per il mondo arabosi veda:http://news.egypt.com/en/200809013780/news/world/italy-libya-deal-seals-past.htm, http://www.kuwaittimes.net/read_news.php?newsid=MTM0NjI5MTY4;http://www.alarab.co.uk/Previouspages/

North%20Africa%20Times/2008/08/01-08/NAT020108.pdf; http://www.zawya.com/Story.cfm/sidv51 n40-1TS04/

Libya%20s%20African%20Investments%20Gather%20Pace/; http://www.shariahfinancewatch.org/blog/category/

italy/;http://english.aljazeera.net/news/africa/2008/08/2008830102422596259.html (tutticonsultati il 31 ottobre 2008). Ma, ripetiamo, si tratta di unamera selezione orientativa.

2 Cfr. (consulta­

to il 31 ottobre 2008).

http://en.wikinews.org/wiki/Italy_will_give_Libya_USS5_biIlion_as_compensation_for_occupation

3 In generale, cfr. Giorgio Rochat, Il colonialismoitaliano. Documenti, Torino, Loescher, 1973;Jean-Louis Miege, Limperialismo coloniale italiano dal 1870ai giorni nostri,Milano, Rizzoli, 1976 (ed.orig. Paris, 1968); soprattutto Angelo DelBoca, Gli italiani inAfrica Orientale, 4voi., Roma-Bari, Laterza,1976-1984; Id.,GliitalianiinLibia, 2 voi..Roma-Bari, Laterza,1986-1988;e ora NicolaLabanca, Oltremare. Storia dell’espansione colonialeitaliana, Bologna,IlMulino, 2002 (ried. 2007).

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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani 229

Passata l’ondata di fiducia nazionalistica de­

gli anni sessanta e settanta, i paesi africani e asiatici, resisi indipendenti nei decenni prece­

denti con movimenti o guerre di decolonizza­

zione, si erano ritrovati in grandi difficoltà, po­

litiche ed economiche. La perdita di consenso popolare dei governi nazionalisti si era sposata con la crisi economica e il mancato apprezza­

mento delle materie prime esportate da quei paesi4. Per uscire dalla crisi strutturale, non po­

chi governi nazionalisti hanno ripreso a preme­

re, o hanno accelerato, il tasto delle antiche ri­

vendicazioni contro le vecchie potehze colo­

niali: sono così nate o tornate a moltiplicarsi le richieste di compensazione, specifiche o gene­

riche, per il passato coloniale. Tale movimento intemazionale si è sposato, abbastanza casual­

mente, con lo stato degli studi sul colonialismo nei vari paesi europei che erano stati potenze coloniali. Tali studi, fra anni ottanta e novanta e poi oggi nel primo decennio del XXI secolo, hanno ripreso a crescere e a svilupparsi. La crescita ha avuto, nelle diverse forme assunte nei vari casi nazionali, in genere ragioni legate alla dinamica degli studi: ma è certo che l’in­

crementarsi, negli stessi anni, delle migrazioni internazionali verso l’Europa dal Sud (e dal- l’Est) del mondo ha ulteriormente influenzato e stimolato il progresso postcoloniale degli stu­

di sul passato coloniale. Proprio di fronte a tali imponenti migrazioni, la stessa più generale opinione pubblica europea ha ripreso interesse verso il passato coloniale, ora ricercando in quel passato le radici e i possibili antidoti nei

4 In generale,cfr.ancora AnnaMariaGentili, Il leonee il cacciatore.Storia dell’Africa sub-sahariana, Roma, La Nuova Italia scientifica, 1995.

5 Cfr. BertrandG.Ramcharan,Contemporary Human Rights Ideas, London, Routledge, 2008.

6Cfr. Charles Maier, Overcoming thè Past?Narrativeand Negotiation, Rememberingand Reparation. Issues at thè InterfaceofHistory and thè Law, in John Torpey (a cura di), PoliticsandthèPast. OnRepairing Historical Injustices, Lanham, Md.-Boulder, Colo, Rowman&Littlefield, 2003, p. 195.

7 Cfr. Rhoda Howard-Hassmann, Moral Integrity and Reparationsfor Africa, inJ.Torpey (a cura di),Politicsandthè Past, cit.,p. 194.

8 Cfr. John Torpey, Introduction. Politics and thè Past, inId. (a cura di),PoliticsandthèPast,cit., p.14.

9 Cfr. Ralph Wilde, Colonialism Redux? Territorial Administration by International Organizations, Colonial Echoes, and thè Legitimacy oftheInternational”,inAidan Hehir, NeilRobinson(acuradi), State-building. Theory and Practice,London, Routledge, 2007, p.30.

confronti di un presente che appare poco deci­

frabile, ora invece rivendicando nostalgica­

mente quei tempi (ormai tramontati) di incon­

trastato potere europeo “bianco” sui “neri” e sui “gialli”.

Se queste appaiono, nel Terzo mondo e in Europa, le principali ragioni strutturali e gene­

rali, studiosi e analisti che si sono occupati in particolare del tema delle compensazioni colo­

niali non hanno mancato di elencarne altre. È stato così sostenuto che la crescita delle richie­

ste di reparations sia da collegarsi all’esperien­

za pionieristica della Truth Reconciliation Commission sudafricana5 (la quale però non aveva tale competenza) o al protagonismo di alcuni capi di Stato africani, anche dittatoriali.

Più solidamente, si è osservato che esse si sono diffuse assieme al maturare della consapevo­

lezza delle atrocità del passato coloniale6, al parallelo (eppur contraddittorio) radicarsi delle idee di diritti umani (dalla Commission for Hu­

man Rights dell’Onu alle ufficiali prese di po­

sizione dell’organizzazione deH’Unità africa­

na, all’importantissima, per quanto oggi di­

menticata, conferenza di Durban7) e invece al­

lo svilupparsi delle più viete politiche iden­

titarie8. Si è anche affermato che questa è stata, se non una risposta, quanto meno una reazione al ristabilirsi e diffondersi di nuovi poteri occi­

dentali, di tipo coloniale-territoriale, nelle aree di crisi del Terzo mondo9.

In un’atmosfera così carica di interessi, è evidente che le rinnovate richieste di compen­

sazioni provenienti all’Europa dal Sud del

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mondo abbiano qualcosa di strutturale e gene­

rale, e non nazionale o episodico e casuale.

È quindi facilmente comprensibile come, presso le cancellerie delle potenze ex coloniali europee e più in generale laddove si decide la politica intemazionale, la scelta italiana (e libi­

ca) di giungere a un accordo formale circa il passato coloniale abbia sollevato stupore e for­

se sorpresa. Da un lato infatti sta un atteggia­

mento politico-diplomatico europeo che, pur nelle sue varie articolazioni, ha sostanzialmen­

te teso a scoraggiare e rifiutare il riconosci­

mento di responsabilità storiche relative al pas­

sato coloniale, anche quando questo sia stato particolarmente lungo (Portogallo, Spagna, ecc.) o abbia conosciuto momenti di particola­

re asprezza (Gran Bretagna, Francia, Belgio, ecc.). Dall’altro lato, invece, si sarebbe deli­

neata l’improvvisa decisione italiana di andare a un riconoscimento di proprie responsabilità coloniali e alla compensazione economica di esse, relativamente quanto meno alla Libia.

L’accordo ha probabilmente sorprèso anche gli studiosi internazionali,.che hanno per lungo

tempo ignorato, e continuano spesso a ignora­

re, le vicende del colonialismo italiano10.

10 Cfr., peresempioproprio su questo tema, ilrecente Mark Gibney (a cura di), The Age ofApology. Facingup to thè Past, Philadelphia, University of PennsylvaniaPress,2008,incui sono raccolti, fra gli altri, RhodaE.Howard-Hass- mann, Mark Gibney, Introduction. Apologiesand thè West-, Carlos A. Parodi, State Apologies under U.S. Hegemony, Paul Kerstens,“Delìver Usfrom Originai Sin”. Belgian Apologiesto Rwanda andthèCongo', LéonardJamfa, Ger- many Faces ColonialHistory in Namibia: a Very Ambiguous“IAmSorry"; Rhoda E. Howard-Hassmann, Anthony P.Lombardo, Words RequireAction.African Elite OpinionaboutApologies from thè West"', Peter Baehr,Colonial- ism, Slavery, and thè Slave Trade.A Dutch Perspective',Elizabeth S. Dahl, Is Japan Facing Its Past? The Caseof Japanand Its Neighbours: ma, come si vede,niente sul casoitaliano...

11 Cfr. JonElster (acura di), RetributionandReparation in thè Transitionto Democracy, Cambridge,Cambridge University Press, 2006;RhodaE.Howard-Hassmann,con AnthonyP. Lombardo, Reparations to Africa, Philadel­

phia, PA, University of Pennsylvania Press, 2008; Elazar Barkan, The Guilt ofNations. RestitutionandNegotiating Historical Injustices,New York, Norton, 2000; Sidney L. Harring, The Herero Demandfor Reparations from Ger- many. The Hundred Year OldLegacy ofa Colonial Wzrin thè Politics ofNamibia, in Maxdu Plessis,Stephen Peté (a cura di), Repairing thèPast? International PerspectivesonReparationsfor Gross HumanRights Abuses, Antwerpen, Intersent, 2007.

12 Cfr.JonMiller,Rahul Kumar (a curadi), Reparations. Interdisciplinary Inquiries,Oxford,Oxford University Press, 2007. Non siamoperò riusciti a vederelopuscolodiJan Grofe, TheProspectsof Success forthèHereroLaw- suit against thè Deutsche Bank forCrimes CommittedDuring GermanColonial Times,Windhoek, Namibia - Kon- rad-Adenauer-Stiftung, Namibia Institutefor Democracy, 2004,eil volume diJeremy Sarkin, Colonial Genocide and Reparations Claimsin thè21s‘ Century. The Socio-legal Context ofClaims under International Law bythèHereroa- gainstGermanyforGenocide in Namibia,1904-1908, Westport, Conn.,Praeger Security International, 2008.

13 Cfr. Jon Elster, Conclusion, in Id.(acura di), Retribution and Reparation, cit., p. 320.

14 Cfr. C.Maier, Overcoming thè Past?, cit., p. 295.

Si tratta in generale di operazioni assai diffi­

cili11. Anzi, proprio dalla difficoltà che tali ri­

chieste siano accolte parte la bibliografia oggi disponibile12. Il primo fattore è quello cronolo­

gico, del tempo intercorso dagli eventi: rispetto agli altri eventi che hanno sollecitato altre ri­

chieste di compensazione, come quelle per la Soluzione finale, “quando il distacco temporale è ancora più lontano la connessione fra sofferen­

ze individuali e richieste individuali si allenta inevitabilmente”13. Ciò non toglie che, anche per il più lontano o atroce passato coloniale, si riaffaccino quelle re-words di cui ha parlato Charles Maier in un intervento, breve e generale ma denso di riflessioni, di qualche anno fa: la ri­

chiesta di compensazione (reparation) si colle­

ga così all’apertura di processi (retribution), di ricordo (remembering), di accumulazione di te­

stimonianze (recording) e alla fine di riconcilia­

zione (reconciliation)14. Si tratta quindi di ope­

razioni, e di un processo, di grande complessità, che è anche difficile concettualizzare. Uno fra i

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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani 231

molti tentativi vede il rapporto fra compensazio­

ni, giustizia di transizione (transitional justicé), politica delle scuse (apologies) e conoscenza storica come una serie di insiemi concentrici:

immaginandoli ognuno più piccolo (e più im­

mediato e facile) del successivo, in una succes­

sione quindi dal minore al maggiore, starebbero la giustizia di transizione, le richieste di com­

pensazioni, la richiesta e l’offerta di scuse, sino all’insieme più grande, e più difficile, della co­

noscenza storica (una communicative history che comprenderebbe memory, memorials e ap­

punto historical consciousness)15. L’attivazione di processi così complessi, tanto in generale quanto relativamente al particolare passato colo­

niale, è stato osservato, appare tanto più difficile oggi, “in un’età di richieste concorrenti, di storie multiple e di percezioni plurali”16.

15 Cfr.J. Torpey,Introduction. Politics andthè Past,cit., p.6.

16 Jeffrey K. Olick, The Politics of Regret. Collettive Memory andHistoricalResponsibility in thèAge ofAtrocity, NewYork,Routledge,2007,p.21.

17II periodo è troppo recente, e il tema troppo specifico, perché abbia potuto trovare spazio nelle recenti opere gene­

ralisulla storiadell’Italiarepubblicana. Si vedanoperò in generale Paul Ginsborg, StoriadItalia dal dopoguerra a oggi. Società e politica1943-1988, Torino,Einaudi, 1989, e Id., L'Italia deltempo presente, Famiglia, società civile, Stato, 1980-1996, Torino, Einaudi,1998, nonchéSimona Colarizi,Storiapolitica della Repubblica. Partiti, movimen­

ti eistituzioni 1943-2006, Roma-Bari, Laterza,2007, che devea una precedente Ead..Storia dei partiti nell’Italia re­

pubblicana,Roma-Bari,Laterza, 1994.Direcentesi vedalatracciadisegnata da AndreaDiMichele, Storia dell'Ita­

lia repubblicana 1948-2008,Milano, Garzanti, 2008.

18Cfr. Nicola Labanca, Ilpassato coloniale come storia contemporanea, prefazione alla seconda edizionedi Angelo Del Boca,I gas di Mussolini. Il fascismo e la guerradEtiopia, con contributi di Giorgio Rochat,FerdinandoPedria- li e Roberto Gentilli,Roma,Editori Riuniti, 2007(laed. 1996), pp.7-26.

19 II testo può ritrovarsi in varie pubblicazioni. Lo abbiamo tratto, a dimostrazione anchedel fatto che gli storici più critici nonsono prevenuti, dal sito dell’Associazione italianirimpatriati dalla Libia: http://www.airl.it/accorditratta- ti2.php, e confrontato con quello presentesul sito dell’Azienda libico italiana:http://www.aIi.com.ly/M_13- Italian.htm. Cfr. anche però l’ufficiale http://www.esteri.it/MAE/IT/Politica_Estera /Aree_ Geografiche/

Mediterr_MO/Rapporti+bilaterali+Paesi+del+Maghreb/Libia.htm(tutti consultati il 31 ottobre2008).Peruna nota, altempo,cfr. Nicola Labanca,Solo politica? Considerazioni su contenzioso post-coloniale e decolonizzazione, a par­

tire daalcuni studi recenti, “Studipiacentini”,1998, n. 22, pp. 163-178.

20 Cfr. Marco Nese, Accordo invista tra Italia e Libia.D’Alema:"Giusto ammettere lecolpe", “Corriere della sera”, 30ottobre 2007; Maurizio Caprara, Risarcimenti italianialla Libia. D’Alema: accordo quasifatto, “Corriere della se-

Tutto ciò, vero in generale, aumenta in diffi­

coltà nella particolare situazione italiana17, che già al semplice livello politico si presenta assai più complessa di quanto sembri a prima vista a livello intemazionale.

Infatti, la scelta di riconoscere la responsabili­

tà della pesantezza di alcune pagine del passato coloniale accreditata, o addebitata, dalla stampa

intemazionale al governo Berlusconi, aveva avu­

to, a livello di politica estera della Repubblica italiana, ben altri precedenti. Quanto meno è ne­

cessario18 ritornare al 24 novembre 1997 quando l’allora presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro ricordava le vittime del colonialismo in una manifestazione pubblica ad Addis Abeba.

Due anni più tardi, il 1° dicembre 1999,l’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema di­

chiarava come “negativa” la pagina coloniale delle relazioni italo-libiche. Nello specifico, era stato il primo governo di Romano Prodi, con Lamberto Dini agli Esteri, a siglare con Tripoli un importante Comunicato congiunto che avreb­

be dovuto rimettere su una strada nuova i rappor­

ti, politici ma anche culturali, fra i due paesi19.

Ed è noto, infine, che era stato lo stesso governo precedente a quello oggi in carica, guidato da Romano Prodi con agli Esteri di nuovo D’Ale­

ma, ad aver negoziato l’avvio delle discussioni diplomatiche che poi, sotto rincalzare delle ri­

chieste libiche, hanno condotto al Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 30 ago­

sto 2008. Era sembrato anzi, o si voleva far sem­

brare, che già nell’autunno 2007 la firma del do­

cumento fosse imminente20.

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Fatto sta che quel comunicato iniziava con parole non leggere: diplomaticamente faceva riferimento a “le relazioni tra i due popoli di Italia e di Libia, [a]i profondi e forti legami, le cui radici risalgono a secoli di contatti, di attivi­

tà commerciali, di storia comune”. Ma non ta­

ceva, anzi esplicitamente dichiarava, che “la colonizzazione italiana ha cagionato delle ferite ancora ricordate da molti libici”. E non leggera era l’affermazione che seguiva: “l’Italia invita la Libia a superare il passato, un passato che la Libia invita l’Italia a non ripetere in futuro”, laddove era l’ex potenza coloniale, per prima, a chiedere alla vecchia colonia ora indipendente la disponibilità a “superare il passato”. Come se non bastasse, il quarto comma del comunicato proseguiva:

Il Governo italiano esprimeil proprio rammarico per lesofferenze arrecate al popolo libico aseguito della colonizzazione italiana e si adopererà perrimuoverne per quanto possibilegli effetti, per superare edimen­

ticare ilpassato,avviareuna nuova era diamichevoli e costruttive relazioni traidue popoli.

Quanto delle affermazioni così impegnative del Comunicato congiunto (siglato da un go­

verno di centrosinistra) è stato recepito e svi­

luppato nel trattato (firmato da un governo di centrodestra)?

Questo, ripetiamo, a condizione di cercare qualcosa di culturale al di là dell’autostrada21.

Il Trattato di amicizia, partenariato e coope­

razione

Non è possibile qui, né interessa, discutere le origini e le ragioni del documento siglato il 30

agosto 2008. Esse sono assai complesse e, ad avviso di chi scrive, mirano a soddisfare inte­

ressi privati di ambedue i contraenti. Le moti­

vazioni di politica interna sono in tal senso im­

portanti. Da parte libica, l’aver spinto l’Italia ad ammettere le proprie responsabilità coloniali è un punto che potrebbe rafforzare il regime poli­

tico del colonnello Gheddafi, che nel 1970 ave­

va espulso gli ultimi italiani residenti in Libia e che aveva proclamato il 7 ottobre “giorno della vendetta” (oggi il 30 agosto diventerebbe inve­

ce Giornata dell’amicizia italo-libica). Da parte italiana, l’aver chiuso il contenzioso con la Li­

bia potrebbe essere preso a vanto di un governo alla ricerca di un qualsiasi risultato di prestigio in politica estera. Molto importanti sono soprat­

tutto gli aspetti economici: da parte italiana il trattato potrebbe portare, se non un’espansione, quanto meno una conferma dello spazio occu­

pato in Libia dalle grandi aziende italiane, a partire da quelle operanti nel settore del petrolio e delle fonti d’energia. Queste aziende, con la progressiva apertura dell’economia libica, pote­

vano temere di essere sopravanzate da altre concorrenti di altri paesi22. Da parte libica, gli aspetti economici sembrano diversamente rile­

vanti, anche se non inesistenti, e forse meno le­

gati al testo del trattato rispetto alla realtà della vita economica: l’ingresso di capitale libico in un’Unicredit in affanno lo conferma23. Infine, da parte italiana, quanto meno a livello di opi­

nione pubblica e di elettorato, l’accordo con Tripoli sembra avere un non secondario rilievo ai fini di consolidare l’impegno libico a contra­

stare l’immigrazione clandestina africana verso l’Italia, appunto arrestando o riducendo drasti­

camente il numero di ‘barconi’ che dalle coste libiche salpano nottetempo per raggiungere le

ra”, 11 novembre2007;Rinviato in extremis rincontro Italia-Libia, “Il Sole 24ore”, 16 novembre 2007; F.Riz., Gheddafi,le rivendicazioni infinite. E Prodi promette:andrò in Libia,Il Messaggero, 10dicembre 2007. Ecfr. poi U.d.g., “Tripolirimpiange la collaborazione con il governo Prodi", “L’Unità”, 5maggio2008.

21 Cfr.peraltro Vincenzo Nigro, Libia,DAlema attaccaRisarcimenti molto generosi", “la Repubblica”,4settembre 2008.

22 Cfr. Eni e Libia, dimenticando Calderoli, “Il Foglio”, 14giugno 2008; Fabrizio Dragosei, Medvedev:Gazprom con Eni in Libia,Corriere della sera”, 22aprile 2008; Impregilo,520 milioni dalla Libia, “Il Sole 24 ore”, 8 luglio2008;

Il doppio bluffdi Gheddafi per riempire gli arsenali della Libia,“IlFoglio”,11 maggio 2008.

23 Cfr. EttoreLivin, Tutti gliuominidel Colonnello, “la Repubblica”, 27ottobre 2008, suppl. Affari &finanza.

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Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani 233

spiagge siciliane con il loro triste carico di uo­

mini, donne e bambini24.

24 Solo unacitazione, fra le molte possibili, perché quasi contemporanea alle ultimefasi diplomatiche della prepara­

zione del trattato:Fulvio Milone,Libia, affonda un barconecon ISOmigranti,La Stampa”, 17 giugno 2008.

25II testosi legge quindiin http://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/esteri/libia-italia/testo-accordo/testo-accordo.html (consultato il 31 ottobre 2008).

26 Cfr. http://www.esteri.it/MAE/IT/Stampa/Sala_Stampa/Comunicati/2008/10/20081023_FrattiniItaliaLibia (con­

sultato il31 ottobre 2008).

27 Cfr. AngeloDelBoca, Gheddafi.Una sfida dal deserto, Roma-Bari,Laterza,1998,p. 190,checitafonti libiche.

Né tanto meno siamo in grado di analizzare nel dettaglio il testo del trattato. La versione originale e ufficiale non è stata diffusa. Il 23 ot­

tobre 2008, il sito del quotidiano “la Repubbli­

ca” ha però pubblicato un “testo di lavoro” del­

lo strumento diplomatico25, testo di cui non è possibile accertare la corrispondenza al vero.

Alcuni errori di digitazione, alcuni brani so­

stanzialmente ripetuti, alcuni punti curiosi (un paragrafo si interrompe con una virgola: un er­

rore di stampa, con una virgola laddove doveva stare un punto fermo, o un brano ‘scivolato via’?) frenano lo studioso. Poiché però quel te­

sto non pare essere stato formalmente smentito dalla Farnesina è ragionevole ritenere che, se anche non forse quello definitivo e completo, esso potrebbe non essere del tutto lontano dal vero. Lo si deduce dal fatto che, essendo quella pubblicazione da ricollegarsi alle spinte della Libia per una rapida ratifica da parte italiana, il ministro degli Esteri Franco Frattini si è imme­

diatamente affrettato a rilasciare una dichiara­

zione in cui spiegava le formalità previste al­

l’uopo dall'Italia26.

Quand’anche si disponesse di documenta­

zione probante e sicura, però, questo non sa­

rebbe sufficiente. Ratifica a parte, molto del valore storico di questo trattato dipenderà da come esso verrà attuato. Non è infatti difficile leggere, nelle ragioni che hanno portato all’ac­

cordo di cui qui si parla, una certa insoddisfa­

zione da parte libica per come alle clausole esplicite e implicite del Comunicato congiunto del luglio 1998 (non) sia stato dato seguito. A ciò si aggiunga il fatto che l’andamento delle relazioni italo-libiche non dipende dalle volon­

tà di questi soli due attori bensì da quelle dei maggiori protagonisti della comunità intema­

zionale. Per esempio, se nelle relazioni bilate­

rali la sigla del trattato rappresenta sicuramente un capitolo assai importante, per la politica presente e futura della Libia un valore assai più importante della presenza di Berlusconi sulla

‘Quarta sponda’ ha avuto la visita davvero sto­

rica del segretario di Stato degli Stati Uniti d’America, Condoleeza Rice. Il fatto che la rappresentante di quella Washington che nel­

l’aprile 1986 aveva bombardato Tripoli, ucci­

dendo una figlia adottiva e ferendo la moglie e due altri figli di Gheddafi27, sia giunta e sia sta­

ta accolta in Libia con grande calore dimostra quanto il panorama politico intemazionale sia in movimento (questa visita ha rappresentato forse anche uno dei motivi che hanno sospinto Roma ad affrettare i tempi per la sigla del trat­

tato: era opportuno non farsi spiazzare del tut­

to, dopo che già in diverse occasioni Londra e Parigi avevano dimostrato di aver saputo strin­

gere relazioni particolari con Tripoli).

Tutto ciò premesso, secondo la versione og­

gi disponibile, il trattato si apre con un pream­

bolo che ne descrive gli scopi generali. Si arti­

cola in un Capo I di “Principi generali” (sette articoli), un Capo II sulla “Chiusura del capito­

lo del passato e dei contenziosi” (sei articoli), un Capo III per un “Nuovo partenariato bilate­

rale” (dieci articoli, incluso uno per le Disposi­

zioni finali).

Il Capo I parla di rispetto della legalità in­

ternazionale, uguaglianza sovrana fra i due paesi, non ricorso alla minaccia o all’impiego della forza, non ingerenza negli affari interni, soluzione pacifica delle controversie, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e

(8)

di dialogo e comprensione tra culture e civiltà.

Il Capo II dettaglia invece le contropartite, o le compensazioni, appunto per la “chiusura del capitolo del passato e dei contenziosi”. In par­

ticolare si parla di “progetti infrastrutturali di base”, a quanto pare una nuova “Balbia” dalla Tunisia all’Egitto, e di altre “iniziative specia­

li” (duecento unità abitative, borse di studio universitarie e postuniversitarie, programmi di cure presso istituti specializzati italiani a favo­

re di alcune vittime in Libia dello scoppio di mine, ripristino del pagamento di pensioni di guerra a eventuali titolari libici e ai loro eredi, restituzione alla Libia di manoscritti e reperti archeologici trasferiti in Italia in epoca colo­

niale), ma anche di visti ai cittadini italiani espulsi dalla Libia, di creazione di un “fondo sociale” bilaterale, di non meglio precisati

“crediti” reciproci relativi alle aziende. Il Ca­

po III definisce le modalità organizzative del­

l’attuazione del trattato. Vi si parla di un Co­

mitato di partenariato e del carattere periodico di consultazioni politiche nell’ambito delle re­

lazioni bilaterali. Si passa poi a norme d’indi­

rizzo relativamente alla cooperazione in ambi­

to scientifico, culturale, economico e indu­

striale, con particolare attenzione alla dimen­

sione dell’energia: importante è poi l’articolo relativo alla collaborazione nella lotta al terro­

rismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e soprattutto all’immigrazione clandestina, nonché quello sulla collaborazio­

ne nel settore della Difesa, della non prolifera­

zione e del disarmo.

Compensare in generale

Sulla base di questo testo, e pur limitandosi a esaminare solo il punto della collaborazione culturale e in particolare della “chiusura dei

conti con il passato coloniale”, alcune doman­

de sono inevitabili. Va tenuto conto che, se si escludono gli articoli del trattato di pace del 1947 e degli accordi del 1951 con la Libia e del 1956 con l’Etiopia28, a quanto si sa, i riferi­

menti contenuti nel recentissimo trattato italo- libico sono i primi in cui la Repubblica italiana prende su di sé — a più di sessantanni dalla sua fine — il carico storico delle responsabili­

tà nazionali per il periodo coloniale. Ma come lo fa? La discontinuità con la passata e reticen­

te memoria repubblicana del colonialismo è netta? Vi troviamo un’enumerazione dei crimi­

ni commessi dagli italiani — per quanto al tempo di altri regimi politici, liberale e fascista

— nelle colonie? Se così fosse, evidentemente, la discontinuità sarebbe totale.

28 Cfr. A.DelBoca, Gliitaliani in AfricaOrientale, cit.; Id.,Gli italiani in Libia, cit.;eN. Labanca,Oltremare, cit.

29 Cfr.Nicola Labanca, Una guerra per limpero. Memorie deicombattentidella campagnad’Etiopia 1935-36, Bolo­ gna, Il Mulino, 2005.

Questo perché, com’è noto, per lungo tempo gli italiani della Repubblica sono sembrati voler dimenticare le pagine coloniali del passato na­

zionale. In particolare, sino alla fine degli anni sessanta quasi non si parlava in Italia di crimini, massacri, genocidi connessi all’azione coloniale in Africa. Eppure, a differenza di altre potenze ex coloniali, fra quegli atti coloniali e la discus­

sione postcoloniale non c’era stata solo la deco­

lonizzazione, ma anche un radicale mutamento di regime. Se si esclude l’amministrazione fidu­

ciaria della Somalia, e solo dal 1952 al 1960, l’Italia repubblicana nata nel dopoguerra non era una potenza coloniale, come invece lo era­

no, in quegli stessi anni, altre potenze europee e lo erano stati l’Italia liberale e il regime fascista.

Perché quindi, più che un oblio, quel silenzio?

Da allora, a rompere quel silenzio — assieme alle periodiche richieste dalle ex colonie e al­

l’incessante lavorìo della memoria individuale di chi in colonia c’era stato davvero, a partire dai coloni e dai combattenti delle guerre d’Afri- ca29 — ci sono stati gli storici, a lungo purtrop­

po pochi studiosi, spesso operanti come singoli

(9)

Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani 235

individui30. Ora la situazione è più chiara e di­

sponiamo di un primo elenco di crimini e — per quanto non manchino le ricerche da farsi — co­

nosciamo almeno approssimativamente la di­

mensione di quei misfatti. Qualcosa è sempre possibile aggiungere: è recente, per esempio, una ricerca che ha documentato che il brutale attacco alla classe religiosa, e dirigente, del­

l’Etiopia, dopo l’attentato a Oraziani nel 1937, fu assai più grave di quanto già si sapesse31, e che forse alcuni episodi, noti in Africa a livello locale, lo sono assai meno in Italia32. Ma il qua­

dro generale è delineato.

30 Peruna documentazionee unaforte rivendicazionedel proprio ruolo, cfr. Angelo Del Boca, Un testimonescomo­

do, Domodossola,Grossi,2000,e adessoanche Id.,Ilmio novecento, Vicenza, Neri Pozza, 2008.

31 Cfr. lan L. Campbell, DegifeGabreTsadik,La repressione fascista in Etiopia: la ricostruzione del massacro di De- brà Libanòs,“Studi piacentini, 1997, n.21 ; lanL. Campbell, La repressione fascistain Etiopia: il massacro segreto diEngecha,Studi piacentini,1998-1999, n. 24-25.

32 Cfr. Matteo Dominioni, Lo sfascio dell'impero. Gli italiani in Etiopia (1936-1941), Roma-Bari,Laterza, 2008.

33 Sintesidell’interventodel presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, alla firma del Trattato di amicizia, partena- riato e cooperazionetraItaliae Libia: http://www.govemo.it/Presidente/Interventi/testo_int.asp?d=40139 (consultato il 31 ottobre 2008).

34Ibidem.

Torniamo però intanto al trattato. È ovvio che esso si interessi solo alla storia della Libia.

Ma cosa vi troviamo, di riferimenti al passato?

Sono questi riferimenti espliciti o impliciti, va­

ghi o chiari? Vista la caratteristica, concorde­

mente attribuitagli, della volontà di superare il passato, la chiarezza sarebbe un aspetto positi­

vo. Ma cosa è permesso dalle consuetudini del levigato linguaggio diplomatico? E cosa l’Ita­

lia, l’Italia di oggi, del governo di centrodestra di Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umber­

to Bossi, ha concesso che vi fosse scritto?

Le parole pronunziate dal presidente del Consiglio a corredo della sigla del trattato erano parse subito alquanto vaghe. Scalfaro, D’Ale- ma e Dini avevano detto molto di più, e di più specifico. A giudicare dai documenti disponibi­

li, Berlusconi era stato invece assai vago anche nel momento più solenne della richiesta di scu­

se, limitandosi solo a

Un ringraziamento affettuosoe cordiale al vostro Leaderchehavoluto fortissimamentearrivare afir­

marequestoaccordo. Accordo chegiungedopoquei momenti tragicie drammatici dell’occupazione ita­

liana delvostro Paese.

A nome del popoloitaliano, come capo del governo, mi sento in dovere di porgere lescuse e manifestare il nostrodolore per quelloche è accaduto tanti anni fa e che ha segnato molte delle vostre famiglie33.

Non c’era però alcuna indicazione precisa in queste scuse, che avrebbero dovuto e potuto in­

vece avere rilevanza storica, visto che prelude­

vano alla sigla di un trattato ‘definitivo’: vi si parlava appunto di “momenti tragici e dram­

matici” e di “quello che è accaduto tanti anni fa”, senza fornire riferimenti particolarmente scrupolosi. Era presentato in termini piuttosto vaghi - “un’amicizia che potesse rendere i no­

stri popoli più felici” - anche lo scopo del trat­

tato, là cui firma era motivata dalla “volontà di lasciare alle spalle tutto il passato e il suo dolo­

re, e di guardare al futuro con una collabora­

zione concreta in tutti i campi”. Gli intendi­

menti politici non erano più precisi: da una par­

te si presentava il trattato come “un riconosci­

mento completo e morale dei danni inflitti alla Libia dall’Italia durante l’epoca coloniale”; da un’altra parte si affermava genericamente:

Lascioavoi in questagiornata il mio cuore, felice, veramente felicediessere riuscito a mettereda parte tutto ciòchenon era amoree guardare versoilfuturo con quei sentimenti chesoli portano la felicità e il be­

nessere alluomo, che sono l’amicizia,lafratellanza e lamore34.

Se si confrontano le parole che il presidente del Consiglio avrebbe pronunziato in occasione di una sua precedente visita in Libia, a Sirte, il 27

(10)

236

giugno 200835, o durante il suo ancora più re­

cente incontro con il primo ministro libico, E1 Baghdadi Ali E1 Mahmudi, a Roma il 17 lu­

glio36, si osserverà come nei comunicati ufficia­

li non fosse presente alcun preciso riferimento al passato coloniale. Né parola vi ha fatto il mi­

nistro Frattini rispondendo alle osservazioni dei senatori il 2 ottobre 200837. È possibile quindi affermare che, con una certa differenza dalla coalizione di centrosinistra che l’aveva prece­

duta e che aveva avuto un ruolo di rilievo nel- l’avviare la trattativa diplomatica, la coalizione di centrodestra al governo nel momento in cui il trattato è stato realizzato ha teso a mantenere piuttosto nel vago la sostanza delle scuse italia­

ne, sulla base delle quali il passato coloniale delle relazioni italo-libiche avrebbe dovuto de­

finitivamente passare.

35 Cfr. http://www.govemo.it/Presidente/Comunicati/dettaglio.asp?d=39499 (consultato il 31 ottobre 2008).

36 Cfr. http://www.govemo.it/Presidente/Comunicati/dettaglio.asp?d=39688 (consultato il 31 ottobre 2008).

37Cfr. http://www.esteri.it/MAE/IT/Stanipa/Sala_Stampa/Rubriche/Parlamento/20081002_FrattiniTrattatoLibia (consultato il 31 ottobre2008).

38Cfr. Dimitri Buffa,Quei crediti dispersi inLibia,“L’Opinione”, 25 settembre 2008; GiulioAndreotti, Guai a ripen­

sare la Libia come un problemaasé, “Il Tempo”, 27settembre2008; Sandro Rogari, Libiarisarcita? Unprecedente,

“QN”, 5 settembre 2008.

39 Cfr.Francesco Cossiga,Lasoluzione? Importiamo docenti dalla Libia,Il Giornale”,24 ottobre 2008.

40 Cfr.Lo sviluppo dell’Italia passa per la Libia,Il Foglio”, 2 settembre 2008.

Varie possono essere state le ragioni di tanta insistita, e quindi non casuale, reticenza: non conoscenza della storia, o persino rigetto dei ri­

sultati della ricerca storica più aggiornata, im­

barazzo nei confronti della propria tradizionale base elettorale (che - dopo la visita di Gian­

franco Fini in Israele e nella sinagoga di Roma per la ricorrenza del 16 ottobre 1943 e dopo le sue affermazioni circa il razzismo fascista co­

me “male assoluto” - non è chiaro come avreb­

be digerito un’ulteriore revisione delle proprie più viete idee comuni, quale quella della fon­

damentale umanità del colonialismo italiano);

‘astuzia’ diplomatica nel non ammettere sino in fondo ciò che la controparte si attende per ri­

durre la portata delle sue richieste di contropar­

tita; semplice e generica riluttanza nazionalisti­

ca ad accettare le critiche allo stereotipo degli

“italiani brava gente”.

Peraltro, gli umori circolanti negli ambienti del centrodestra, a giudicare dalla stampa, sem­

bravano tutt’altro che compattamente favorevo­

li. Pur non tenendo conto dell’opposizione, data per scontata, degli ambienti degli italiani espul­

si dalla Libia nel 1970, l’annunzio della firma del trattato è stato infatti accolto in significative sedi del centrodestra con notevoli riserve38, se non con qualche dileggio39, temperate solo dal­

l’idea che esso avrebbe apportato buoni affari alle grandi e medie imprese italiane40.

Qualunque sia stato il mix di ragioni, è evi­

dente che, delle due parti contraenti, una, quella italiana, ha pubblicamente dato dimostrazione di voler evitare ogni riferimento specifico a quanto in passato era accaduto. Cosicché — quanto me­

no — l’Italia ha perso un’altra occasione per ri­

meditare pubblicamente e collettivamente una pagina del proprio passato nazionale.

Passando dalle parole al testo dello scritto, è quindi non sorprendente osservare che, da que­

sto punto di vista, anche il documento diploma­

tico si presenta piuttosto reticente. Quanto ciò sia responsabilità di un contraente o di un altro potrà svelarlo solo lo storico diplomatico quan­

do, fra qualche decennio, le carte saranno di­

sponibili. Certo è singolare che, in questo trat­

tato, sostantivi o aggettivi con radice “stor-”

compaiano solo in sintagmi e contesti generali, come “comune patrimonio storico e culturale”

e “legami storici ed umani”, ma nel senso della

“valorizzazione dei legami storici e [del]la con­

divisione dei comuni obiettivi di solidarietà tra

(11)

Compensazioni, passato coloniale, crimini italiani 237

i popoli”41. Gli accenni al “passato” sono pochi ma almeno più chiari, come quando si afferma di voler “chiudere definitivamente il doloroso

‘capitolo del passato’”,

41 Qui e in seguito sileggedahttp://www.repubblica.it/2008/05/sezioni/esteri/libia-italia/testo-accordo/testo-accor- do.html,cit.

42 Cfr. NicolaLabanca,“Lo stato degli studiitaliani sui campi di concentramento colonialiin Libia.Dai campi alla

‘politicadei campi’,relazioneal seminario “I campi di concentramento italianiinLibia. Una violenza coloniale” (Roma, 1° dicembre 2006);Id., “New Sources onFascisi ColonialCamps inCyrenaica1930-1933”, relazionea“Co- lonial Camps in thèHistory of ConcentrationCamps. International Workshop” (Siena, 20-21 ottobre 2008), ambedue in corsodi stampa.

43 Cfr. FrancescoSulpizi, Salaheddin Hasan Sury (a curadi), Primo Convegno su Gli esiliati libici nel periodo colo­ niale. 28-29 ottobre 2000,Isole Tremiti,Roma,Istituto italiano per l’Africa el’Oriente-Centro libico per gli studi sto­ rici, 2002; Francesco Sulpizi,SalaheddinHasan Sury (acura di), Secondoconvegno su Gli esiliati libici nel periodo coloniale.3-4novembre 2001, IsoleEgadi, Favignana, Roma, Istituto italianoper l’Africa el’Oriente-Centro libico per glistudi storici, 2003; Carla Ghezzi, Salaheddin Hasan Sury (a curadi), Terzo Convegno su Gli esiliatilibici nel periodo coloniale. 30-31 ottobre 2002, Isola di Ponza, Roma, Istituto italianoper l’Africa e l’Oriente-Centro libico per gli studi storici, 2004 [recte2005]; e, più importante di tutti, Salaheddin HasanSury,Giampaolo Malgeri (a cura di),Gli esiliati libici nel periodo coloniale,1911-1916.Raccolta documentaria, Roma,Istituto italiano per lAfrica e lOriente, 2005.

per ilquale l’Italia hagià espresso,nel Comunicato Congiunto del 1998, il proprio rammarico per lesof­

ferenze arrecate al popololibicoa seguito della colo­ nizzazione italiana, con la soluzionedi tutti i conten­ ziosi bilaterali e sottolineando lafermavolontàdico­

struire una nuova fase delle relazioni bilaterali, basa­ ta sul rispetto reciproco, la paridignità, lapiena col­

laborazione e suunrapporto pienamente paritario e bilanciato.

Come già ricordato, a tale chiusura è dedicato l’intero Capo II, il cui primo articolo però non si dedica a una rimeditazione sui trascorsi colo­

niali bensì all’indicazione dei “progetti infra­

strutturali di base” richiesti da Tripoli come ammissione delle colpe del colonialismo, cioè dell’autostrada che dovrebbe sostituire — a spese di Roma ma anche a vantaggio delle im­

prese italiane — la vecchia ‘Balbia’. In segui­

to, il termine passato ricorre solo con riferi­

mento ai “cittadini italiani espulsi nel passato dalla Libia”, cioè agli ultimi italiani cacciati da Gheddafi nel 1970, cui la Libia odierna conce­

derebbe di nuovo il visto d’ingresso. Il termine memoria non compare nel trattato.

Mancano dal documento anche riferimenti specifici ad alcuni degli episodi più noti, fra gli

storici, e più tragici del passato coloniale: non c’è, per esempio, menzione dei campi di con­

centramento in Cirenaica42. L’unico riferimen­

to specifico, non è chiaro se inserito per scelta o per inerzia (visto che su di esso già si era la­

vorato abbondantemente negli anni successivi al Comunicato congiunto43), riguarda “la reci­

proca volontà di continuare a collaborare nella ricerca, con modalità che saranno concordate tra le Parti, riguardante i cittadini libici allonta­

nati coercitivamente dalla Libia in epoca colo­

niale”: una serie di episodi certo importanti, ma che non hanno coinvolto direttamente che alcune migliaia di cittadini tripolitani e cirenai­

ci, a più riprese deportati nelle isole di confino italiane. A parte questo, nessun altro momento specifico della storia coloniale è stato esplicita­

mente menzionato nel testo del trattato.

Più generali sono invece le richieste di una collaborazione culturale in vari campi e in vari settori: per esempio, “L’assegnazione di borse di studio universitarie e post-universitarie per l’intero corso di studi a un contingente di cento studenti libici, da rinnovare al termine del cor­

so di studi a beneficio di altri studenti”, e poi

“altre iniziative a favore dei giovani libici nel settore della formazione universitaria e post­

universitaria”. Italia e Libia si ripromettono di intensificafre] la collaborazione nel campo della scienza e della tecnologia e realizza[re] programmi di

(12)

formazione e di specializzazione alivellopost-uni- versitario. Favoriscono atal finelosviluppodi rap­ porti tra le università e tra gli Istituti di ricerca e di Formazione deidue Paesi. Sviluppano ulteriormente lacollaborazionenelcampo sanitario e inquellodel­

laricerca medica, promuovendoirapporti tra enti ed organismi deidue Paesi.

Ciò che colpisce in questo elenco, però, è l’as­

senza di ogni menzione esplicita della ricerca storica, dello studio indipendente e critico del passato, della divulgazione dei suoi risultati. In un paio di passaggi il testo assume posizioni anche forti, come quando auspica “la restitu­

zione alla Libia di manoscritti e reperti archeo­

logici trasferiti in Italia da quei territori in epo­

ca coloniale” (un tema che ricorre tre volte, nella versione disponibile), per quanto la forza di tali affermazioni appaia dilazionata nel tem­

po e nello spazio, affidata com’è a un comples­

so sistema di comitati e commissioni da isti­

tuirsi. Non va trascurato poi che la formulazio­

ne dello stesso punto nel precedente Comuni­

cato congiunto del 1998 era ben più stringente:

L’Italia si impegna a restituire alla GranGiamahiria Araba LibicaPopolareSocialista, tutti i manoscritti, reperti, documenti,monumenti e oggetti archeologici trafugati inItalia, durantee dopo la colonizzazione italiana della Libia,secondo la Convenzione del- lUNESCO del 14 novembre 1970 suimportazione, esportazione e trasferimenti illeciti di beni culturali. I due Paesicollaboreranno per individuare talimano­

scritti, reperti, documenti,monumenti, pezziarcheo­

logicied oggetti edindicarne l’ubicazione.

Come che sia, è certo che sul terreno della ri­

cerca storica il documento appare stranamente silente.

A ciò si aggiunge che — e non pare che que­

sta sia la norma intemazionale nelle discussio­

ni diplomatiche relative alle richieste di com­

pensazione per il passato coloniale — ogni progresso relativo alla dimensione culturale (e, per quanto qui ci riguarda, storica) sembra es­

sere subordinato all’avvio di nuove relazioni a livello economico. Il trattato, in un punto, lo afferma esplicitamente; dopo aver dettagliato

le richieste economiche della Libia, recita in­

fatti:

La conclusione ed il buon andamento di tali intese [economiche] rappresentano le premesse per la crea­ zione di un fortepartenariatoitalo-libiconelsettore economico, commerciale,industriale e negli altri set­

tori [fracui quindi quelloculturale] ai fini della rea­

lizzazione degli obiettivi indicati in uno spiritodi lea­

le collaborazione, [corsividellautore]

Di nuovo, l’economia prima e la cultura (al cui interno, non nominata, la storia) poi.

Ciò non vuol dire, ovviamente, che la storia e la ricerca storica siano estromesse dal trattato:

sono rimaste implicite, generali, sottintese. For­

se uno spazio d’azione per chi sia interessato al­

la storia è incluso nel comma 1 dell’articolo 16 relativo alla cooperazione culturale, nel quale si legge: “Le due Parti approfondiscono i tradizio­

nali vincoli culturali e di amicizia che legano i due popoli ed incoraggiano i contatti diretti tra enti ed organismi culturali dei due Paesi”. Poi­

ché non mancano nei due paesi università ed enti che già da tempo si sono mossi nel senso di un impegno nella scrittura e riscrittura della sto­

ria della presenza italiana in Libia e del ruolo della Libia nel Mediterraneo, fra Africa ed Eu­

ropa, è forse da ritenersi che — se il trattato fos­

se applicato in tutti i suoi aspetti — qui essi po­

trebbero trovare un sostegno.

Ciò detto, rimane singolare che un trattato che si riprometteva di “chiudere definitivamente il doloroso ‘capitolo del passato’”, contenga so­

lo impliciti riferimenti alla ricerca storica e ri­

manga quindi stranamente silente sul passato coloniale. È probabile che tutto ciò e la sopra ri­

cordata genericità siano addebitabili al carattere di accordo-quadro che almeno da parte di Roma si è voluto dargli. Ma non è forse da ricollegarsi anche alla dimostrata volontà politica della parte italiana, come abbiamo visto, di tenere nel vago ogni precisa ammissione di responsabilità?

Se così fosse, almeno per quanto riguarda l’Italia, ciò non stupirebbe. Anzi, confermereb­

be un trend che già aveva caratterizzato la sto­

ria repubblicana rispetto al passato coloniale

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