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N. 4/2020 PARTE I DOTTRINA

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IL RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI SOSTENUTE DAGLI AMMINISTRATORI E DAI DIPENDENTI DEGLI ENTI LOCALI NEI GIUDIZI CIVILI E PENALI:

ASPETTI GIUSCONTABILI E RIFLESSI COSTITUZIONALI

di Fedor Melatti

Abstract: Il contributo affronta il tema del rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori e dai dipendenti degli enti locali nei giudizi civili e penali, approfondendo gli aspetti relativi all’ambito di applicazione soggettiva ed oggettiva delle disposizioni normative e contrattuali vigenti in materia, nonché questioni di applicabilità temporale della disposizione di cui all’art. 86, c. 5, del Tuel, alla luce della modifica normativa del 2015. Sono altresì analizzati i pareri resi in materia dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, le implicazioni in termini di riparto di giurisdizione e di tutela dei diritti fondamentali del vincolo di bilancio inserito nell’art. 86 del Tuel.

The paper focuses on the reimbursement of legal expenses incurred by administrators and employees of local authorities in civil and criminal proceedings, examining the aspects relating to the subjective and objective scope of the legislative and contractual provisions in force on the subject, as well as issues of applicability timing of the provision of art. 86, paragraph 5, of the Tuel (Consolidated Law for Local Authorities), following the 2015 regulatory change. The opinions issued on the matter by the Regional Audit Chambers are also analyzed, as well as the implications in terms of jurisdiction division and protection of fundamental rights of the budget constraint included in the art. 86 of the Tuel.

Il tema del rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori e dai dipendenti degli enti locali nei procedimenti di responsabilità civile e penale (1), oltre ad avere per tali enti un indubbio rilievo a livello di pratica amministrativa, pone una serie di questioni a livello giuridico e contabile di rilevante interesse, poiché, come si cercherà di dimostrare, l’attività ermeneutica esercitata dalla giurisprudenza ha in più occasioni cercato di porre rimedio, per come possibile, ad una serie di interventi normativi del legislatore che possono apparire disomogenei e di conseguenza dare adito a numerosi dubbi interpretativi.

La materia risulta disciplinata dalla (risalente) contrattazione collettiva e dalla normativa di rango primario: si tratta dell’art. 28 (2) del c.c.n.l. per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 14 settembre 2000 (rubricato “Patrocinio legale”), dell’art. 12 (3) del c.c.n.l. dell’area della dirigenza del comparto delle regioni e delle autonomie locali del 12 febbraio 2002 (rubricato “Patrocinio legale”) e dell’art. 86, c. 5 (4), secondo periodo, del d.lgs.

(1) Esula dal presente scritto la trattazione del tema del rimborso delle spese locali sostenute dai dipendenti dello Stato, di cui all’art.

18 del d.l. n. 67/1997, convertito dalla l. n. 135/1997. Non è altresì ricompreso nella trattazione il tema della liquidazione, a carico dell’am- ministrazione di appartenenza, dell’ammontare dei diritti e degli onorari spettanti alla difesa, all’esito della sentenza che esclude definiti- vamente la responsabilità amministrativa per accertata insussistenza del danno, ovvero della violazione di obblighi di servizio, del nesso di causalità, del dolo o della colpa grave, ai sensi dell’art. 31, c. 2, del codice di giustizia contabile, di cui al d.lgs. n. 174/2016. Sul tema si segnala la recente sent. n. 189/2020 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18, c. 1, della l. prov. Trento n. 3/1999 (il quale ha riconosciuto il rimborso delle spese sostenute dai dipendenti provinciali per la difesa “nelle fasi preliminari di giudizi civili, penali e contabili”, nonché “nei casi in cui è stata disposta l’archiviazione”), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 81, 97, c. 1, 103, c. 2, 117, c. 2, lett. l), e 119, c. 1, Cost., da Corte conti, Sez. reg. Trentino-Alto Adige; relativamente all’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 103, c. 2, Cost., la Consulta afferma che “deve essere distinto il rapporto che ha per oggetto il giudizio di responsabilità contabile da quello che si instaura fra l’incolpato, poi assolto o prosciolto, e l’amministrazione di appartenenza, relativamente al rimborso delle spese per la difesa”.

(2) L’art. 28 del c.c.n.l. 14 settembre 2000 prevede che “l’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espleta- mento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio. La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art.

43, comma 1”. Fino al 2012 la materia era disciplinata con identica formulazione dall’art. 67 del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268, recante

“Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale, per il triennio 1985-1987, relativo al comparto del personale degli enti locali”, abrogato dall’art. 62, c. 1, e dalla tabella A allegata al d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla l. 4 aprile 2012, n. 35.

(3) L’art. 12 del c.c.n.l. 12 febbraio 2002 è formulato in termini assolutamente coincidenti rispetto al citato art. 28 del c.c.n.l. 14 settembre 2000.

(4) L’art. 86, c. 5, del Tuel dispone che “gli enti locali di cui all’articolo 2 del presente testo unico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato. Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei

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n. 267/2000 (rubricato “Oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi e disposizioni fiscali e assicurative”), come sostituito dall’art. 7-bis, c. 1, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 125.

La prima questione di rilievo concerne l’ambito di applicabilità soggettiva dell’art. 28 del c.c.n.l. 2000 e dell’art. 12 del c.c.n.l. 2002, da un lato, e dell’art. 86, c. 5, del Tuel, dall’altro: come si evince dal tenore letterale di tali disposizioni, le previsioni della contrattazione collettiva si applicano al personale del comparto ed ai dirigenti delle regioni e delle autonomie locali, mentre la disposizione del Tuel menziona espressamente i soli “amministratori locali” (5).

La posizione della giurisprudenza non è stata tuttavia fin da subito univoca, considerato anche che fino al 2015 la questione della rimborsabilità delle spese locali sostenute dagli amministratori locali non risultava disciplinata a livello normativo (6).

Si è ritenuto pertanto che la disciplina di cui all’art. 28 del c.c.n.l. 2000 rispondesse all’esigenza di evitare che un dipendente di un ente pubblico, chiamato ingiustamente a rispondere di presunte attività illecite nell’espletamento dei compiti d’ufficio, dovesse sopportare il peso economico del processo; da tale premessa è conseguita l’affermazione di un principio generalissimo e fondamentale dell’ordinamento, secondo il quale le conseguenze economiche dei comportamenti adottati da chi agisce per curare un interesse altrui devono essere poste a carico del titolare dell’interesse medesimo. Ne consegue l’estensione della disciplina di cui all’art. 28 del c.c.n.l. 2000 anche agli amministratori pubblici, secondo i principi dell’analogia legis, ex art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, essendosi in presenza di una lacuna normativa (7).

A tale orientamento si è contrapposta la posizione di altra parte della giurisprudenza, contraria alla rimborsabilità delle spese legali agli amministratori ex art. 28 del c.c.n.l. 2000, fondata sull’eccezionalità della previsione contrattuale, non suscettibile di estensione analogica, e sull’inapplicabilità dell’art. 1720 c.c. (in tal senso è la giurisprudenza recente della Cassazione: v. Cass. n. 10052/2008, n. 12645/2010 e n. 25690/2011, ed anche quella amministrativa: cfr. Cons.

Stato n. 2242/2000) (8).

parametri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nel caso di conclusione del procedi- mento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti:

a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato;

b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;

c) assenza di dolo o colpa grave”.

(5) Si rileva incidentalmente che l’art. 86, c. 5, del Tuel si riferisce agli “enti locali di cui all’articolo 2 del presente testo unico” (i comuni, le province, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni di comuni, nonché ai sensi dell’art. 2, c.

3, salvo diverse disposizioni, consorzi cui partecipano enti locali, con esclusione di quelli che gestiscono attività aventi rilevanza economica ed imprenditoriale e, ove previsto dallo statuto, dei consorzi per la gestione dei servizi sociali), con esclusione pertanto degli amministratori delle regioni.

(6) Così si esprimeva pertanto la Sezione regionale di controllo per la Lombardia con parere n. 86/2012, ex art. 7, c. 8, della l. n.

131/2003: “tale disciplina risponde all’esigenza di evitare che un dipendente di un ente pubblico, chiamato ingiustamente a rispondere di presunte attività illecite nell’espletamento dei compiti d’ufficio, debba sopportare il peso economico del processo. Essa costituisce l’espressione di un principio generalissimo e fondamentale dell’ordinamento, più volte riconosciuto tale dalla giurisprudenza, dovendo le conseguenze economiche dei comportamenti adottati da chi agisce per curare un interesse altrui essere poste a carico del titolare dell’in- teresse medesimo.

Proprio tale ratio giustifica l’estensione della disciplina anche agli amministratori pubblici, estensione che, in presenza di un’evidente lacuna normativa, non può che avvenire secondo i principi dell’analogia legis.

È nota alla Sezione, invero, l’esistenza in materia di contrastanti orientamenti: uno contrario alla rimborsabilità delle spese legali agli amministratori, fondato sull’eccezionalità della previsione contrattuale, non suscettibile di estensione analogica, e sull’inapplicabilità dell’articolo 1720 c.c. (in tal senso è la giurisprudenza recente della Cassazione, vedi Cass. n. 10052/2010, n. 12645/2010 e n. 25690/2011, ed anche quella amministrativa, spesso non correttamente citata, vedi Cons. St. n. 2242/2000); uno favorevole, sostenuto dalla consolidata giurisprudenza contabile (da ultimo, vedi Corte dei Conti, Sez. II Appello, n. 522/2010), favorevole a tale estensione al fine di evitare un’ingiustificata disparità di trattamento e fondato sull’analogia legis tramite il richiamo all’articolo 1720 c.c. (ma si veda anche l’art.

2031 c.c. che impone al dominus di far propri gli effetti della gestione dell’affare compiuta dal gestor e di rimborsargli le spese necessarie o utili).

A fronte di tale divergenza di opinioni, la Sezione ritiene di aderire alla tesi favorevole alla rimborsabilità delle spese legali anche in favore degli amministratori pubblici: appare, infatti, coerente alla ratio della normativa ma anche ad un evidente canone di ragionevolezza ed equità assicurare che i soggetti che agiscono nell’interesse pubblico siano adeguatamente tutelati qualora ingiustamente coinvolti in procedimenti penali per fatti connessi all’adempimento del mandato”.

(7) V. anche Corte conti, Sez. II centr. app., n. 522/2010, secondo cui «dovrà, anzitutto, ammettersi che il rimborso delle spese di patrocinio legale dei dipendenti pubblici per fatti connessi all’espletamento dei compiti di ufficio, in quanto espressione del su individuato principio generale, come tale di immediata precettività, non può essere circoscritto ad alcuni soggetti ed escluso per altri (ad es. gli

“amministratori” pubblici)».

(8) In terminis, cfr. Corte conti, Sez. contr. reg. Umbria, n. 21/2014, secondo cui “dagli orientamenti che emergono dalle pronunce rese finora, invece, ciò che sembra doversi escludere è che l’ente, nella soluzione delle problematiche connesse al rimborso delle spese legali per i giudizi penali, possa estendere agli amministratori le norme applicabili ai soli dipendenti pubblici, come l’art. 28 del c.c.n.l.

14 settembre 2000, relativo al personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali. La Corte costituzionale, a tal riguardo, ha già ritenuto conformi a canoni di giustificatezza e ragionevolezza l’adozione di norme applicabili solo ai dipendenti pubblici e non anche agli amministratori (v. sent. 197/2000, in rapporto alle disposizioni dell’art. 59 della l.r. della Sicilia n. 145/1980)”.

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Da ultimo tale orientamento è stato confermato dalla Cassazione, con ord. n. 6745/2019, nella quale si è escluso che possa ricavarsi un principio generale di rimborso delle spese legali a favore dei funzionari pubblici per i procedimenti relativi agli atti compiuti nell’esercizio di funzioni, servizio, incarico.

Il discrimine è stato rinvenuto nella specifica diversità delle posizioni rivestite dal dipendente pubblico (che intrattiene con l’amministrazione in cui è organicamente inserito un rapporto di lavoro subordinato) e dal titolare di carica elettiva, assimilato al funzionario onorario, che svolge l’incarico affidatogli in piena discrezionalità e senza vincolo di mandato con l’ente politico presso il quale è stato eletto (9).

Secondo la Cassazione, “le norme di legge che riconoscono tale diritto al rimborso debbono pertanto ritenersi speciali ed appaiono ragionevolmente giustificate dalla esigenza di disciplinare in modo diverso situazioni giuridicamente differenti”, per cui si conferma l’orientamento secondo il quale “non appare per vero pertinente il richiamo all’analogia, che risulta correttamente evocabile quando emerga un vuoto normativo nell’ordinamento, vuoto che nella specie non è configurabile, atteso che il legislatore si è limitato a dettare una diversa disciplina per due situazioni non identiche fra loro, e la detta diversità non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell’ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all’ente) del loro operato (Cass., Sez. I, n. 12645 del 24 maggio 2010; Sez. III, n. 20193 del 25 settembre 2014)” (10).

La seconda questione di rilievo concerne i presupposti oggettivi di applicabilità delle previsioni contrattuali e normative in esame.

Come puntualmente ricostruito nel citato parere n. 86/2012 reso dalla Sezione regionale di controllo Lombardia, l’art. 28 del c.c.n.l. 2000 per il personale del comparto e l’art. 12 del c.c.n.l. 2002 per i dirigenti (come già previsto con identica formulazione dal previgente art. 67 del d.p.r. 13 maggio 1987, n. 268) individuano quattro condizioni legittimanti il rimborso:

1) si deve trattare di “fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio” (11);

2) non si deve versare in una situazione di conflitto di interessi tra ente locale e dipendente (12);

(9) In quest’ultimo caso non si rinvengono gli elementi caratterizzanti l’impiego pubblico (1. la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali, che, si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico-discrezionale; 2. l’inserimento strutturale del dipendente nell’apparato organizzativo della p.a., rispetto all’inserimento meramente funzionale del funzionario onorario; 3. lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego, che si contrappone ad una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall’atto di conferimento dell’inca- rico e dalla natura dello stesso; 4. il carattere retributivo – perché inserito in un rapporto sinallagmatico – del compenso percepito dal pubblico dipendente, rispetto al carattere indennitario rivestito dal compenso percepito dal funzionario onorario; 5. la durata tendenzial- mente indeterminata del rapporto di pubblico impiego a fronte della normale temporaneità dell’incarico onorario (cfr. Cass., S.U., 9 marzo 2007, n. 5398; Sez. lav., 1 dicembre 2011, n. 25690; Sez. III, 25 settembre 2014, n. 20193).

(10) Cfr. anche Cass., Sez. I, n. 5264/2015, secondo cui “il diritto al rimborso delle spese legali relative ai giudizi di responsabilità civile, penale o amministrativa a carico di dipendenti di amministrazioni statali o di enti locali per fatti connessi all’espletamento del servizio o comunque all’assolvimento di obblighi istituzionali, conclusi con l’accertamento dell’esclusione della loro responsabilità, non compete all’assessore comunale, né al consigliere comunale o al sindaco, non essendo configurabile tra costoro (i quali operano nell’am- ministrazione pubblica ad altro titolo) e l’ente un rapporto di lavoro dipendente, non potendo estendersi nei loro confronti la tutela prevista per i dipendenti, né trovare applicazione la disciplina privatistica in tema di mandato”.

(11) Cfr. Cons. Stato n. 4448/2015, secondo cui “il giudizio di responsabilità si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali, solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’at- tività svolta in diretta connessione con i fini dell’ente e, come tale, ad esso imputabile.

La finalità della normativa di settore è l’esigenza di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio (e dunque di consentire lo svolgimento sereno delle funzioni e dei servizi pubblici) e tenere indenni i soggetti delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei propri compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’amministrazione di appartenenza (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 25 novembre 2003, parere n. 332/2003).

In sostanza, il fatto oggetto del giudizio deve essere compiuto nell’esercizio delle attribuzioni o delle mansioni affidate al dipendente e deve esservi un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non ponendo in essere quella determinata condotta”.

(12) Cfr. Cass., Sez. lav., ord. n. 18256/2018, secondo cui «l’assunzione diretta della difesa del dipendente è imposta all’ente locale solo nei casi in cui, non essendo ipotizzabile un conflitto di interessi, attraverso la difesa del dipendente incolpato, il datore di lavoro pubblico agisca anche “a tutela dei propri diritti ed interessi” (In tal senso Cass. 31 ottobre 2017, n. 25976).

Le Sezioni unite hanno sul punto sottolineato che “la mancanza di una situazione di conflitto di interesse costituisce presupposto perché sorga la garanzia in esame e quindi rileva, nel merito, al fine della sussistenza o meno del diritto al rimborso. Se – secondo questa disciplina applicabile all’epoca del rapporto di impiego – c’era conflitto di interesse con l’ente locale datore di lavoro, non sorgeva proprio il diritto del dipendente a che l’amministrazione si facesse carico delle spese della difesa nel procedimento penale. Pertanto, se l’accusa era quella di aver commesso un reato che vedeva l’ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorgeva affatto e non già sorgeva solo nel momento in cui il dipendente fosse stato, in ipotesi assolto dall’accusa” (Cass., S.U., 4 giugno 2007 n. 13048).

Nella fattispecie in esame, la costituzione di parte civile del ricorrente nel procedimento penale […] postula l’esistenza di un conflitto di interessi».

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3) deve sussistere il gradimento dell’ente sulla scelta del difensore (13);

4) il procedimento deve essersi concluso con una sentenza definitiva di assoluzione con formula piena, nella quale sia stabilita l’insussistenza dell’elemento psicologico del dolo e della colpa grave (14).

Le condizioni che legittimano il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori degli enti locali ex art.

86, c. 5, del Tuel sono non perfettamente coincidenti con quelle appena menzionate, trattandosi delle seguenti:

1) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato;

2) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti;

3) assenza di dolo o colpa grave;

4) conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione;

5) assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;

6) rispetto del limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all’art. 13, c. 6, l. 31 dicembre 2012, n. 247.

La disciplina posta dall’art. 86, c. 5, del Tuel è dunque analoga a quella prevista dall’art. 28 del c.c.n.l. 2000 e dall’art. 12 del c.c.n.l. 2002 solo relativamente ai primi tre punti, mentre se ne discosta con riferimento ai restanti. In particolare il presupposto del “comune gradimento” è sostituito dal criterio del rispetto del limite massimo dei parametri forensi; sono inoltre previsti il rimborso nel caso di archiviazione, nonché la necessità che non siano previsti nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica (15).

Tale differente regolamentazione, come chiarito dalla Corte costituzionale con sent. n. 197/2000, non pone tuttavia problemi in termini di violazione del principio di uguaglianza, poiché il rapporto che lega i dipendenti (comparto e dirigenti) e gli amministratori all’ente è qualitativamente differente, essendo caratterizzato solo nel primo caso dal vincolo di subordinazione: nella citata sentenza si legge infatti che: “deve invece osservarsi che, per una corretta impostazione del giudizio costituzionale di eguaglianza, occorre aver presenti tutti gli elementi giuridicamente rilevanti delle fattispecie poste a raffronto e verificare se essi siano riconducibili ad una ratio unitaria. Solo nel caso in cui una siffatta verifica dia esito positivo sarebbe infatti possibile censurare come discriminatoria la scelta diversificatrice del legislatore”.

Sul punto, la Corte costituzionale nella citata sentenza afferma con chiarezza che “vi è sicuramente un profilo rilevante che, nell’ambito dell’organizzazione dell’ente di appartenenza, investe la posizione del dipendente e non anche quella dell’amministratore: il rapporto di subordinazione. Mettere le proprie energie lavorative a disposizione del datore di lavoro, assumere quest’ultimo, oltre all’obbligo della retribuzione, i rischi e i corrispondenti oneri di protezione per tutto ciò che viene fatto dal lavoratore nello svolgimento della prestazione oggetto del rapporto, sono i

(13) Cfr. App. L’Aquila 26 ottobre 2013, secondo cui «gli artt. 16 del d.p.r. n. 191 del 1979 e 67 del d.p.r. n. 268 del 1987 (che disciplinano la materia ratione temporis, ad onta della loro successiva abrogazione, ad opera della l. n. 35 del 2012) non prevedono affatto che il rimborso delle spese legali sia subordinato ad una richiesta preventiva, da parte (del dipendente o) dell’amministratore; né tanto- meno subordinano il rimborso al fatto che il difensore venga scelto di concerto con l’amministrazione.

Un’interpretazione costituzionalmente orientata (nel senso di non pregiudicare il diritto ad una difesa tecnica piena ed effettiva, diritto che a sua volta sottende quello alla scelta d’un difensore in cui la parte riponga completa fiducia) impone di ritenere che il riferimento contenuto nella norma, al “legale di comune gradimento”, debba essere interpretato nel senso che la scelta d’un difensore che sia di gradimento anche dell’ente pone il (dipendente e) l’amministratore al riparo da ogni contestazione circa la misura degli onorari poi richiesti e pagati al professionista.

Ciò perché l’ente, in base alle proprie disponibilità di bilancio, potrà prendere accordi col difensore circa la misura dei suoi compensi ed, eventualmente, concordare tempi e modi per il loro pagamento; ma una volta che la scelta sia caduta su di un difensore di comune gradimento, l’ente non potrà opporre (al dipendente o) all’amministratore che quei compensi sono eccessivi, e sarà tenuto a rimborsarli.

Viceversa, se l’amministratore e l’ente non trovino un accordo sulla scelta del difensore, tale evenienza esporrà il primo al rischio di vedersi contestata la misura del compenso, specialmente se vengano richiesti importi superiori rispetto a quelli previsti dalle tabelle professionali.

Con la conseguenza che (il dipendente e) l’amministratore potrebbe vedersi rimborsata una somma inferiore a quella che ha versato al proprio difensore».

(14) In ordine a quest’ultimo requisito, va evidenziata la previsione del c. 2 dell’art. 28 del c.c.n.l. citato: “In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio”. Si rinvia a quanto affermato in Corte conti, Sez. giur. reg. Abruzzo, n. 129/2005, secondo cui «l’articolo 67 del d.p.r. n. 268/1987 contiene una formula più favorevole nei confronti del dipendente o amministratore locale, laddove prevede che l’amministrazione non recuperi le spese non solo nel caso in cui lo stesso ha dimostrato di non aver agito per dolo o colpa grave, ma anche nel caso in cui non ci sia condanna che invece affermi che tale dolo o colpa grave ci sono stati (le conseguenze in un caso come quello dell’assoluzione per estinzione del reato sono evidenti).

Questo indubbio favore nei confronti del dipendente o dell’amministratore dell’ente locale, giustifica, nel caso di un procedimento civile o penale che coinvolga i medesimi in relazione a fatti commessi nell’esercizio delle loro funzioni, un preventivo ruolo attivo dell’am- ministrazione, evitando che l’intervento ex post si risolva in un’attività di rimborso quasi a piè di lista. In proposito non può non ricordarsi che l’articolo 18 della legge 21.5.1997, n. 135 prevede per i dipendenti statali il rimborso solo a seguito di sentenza “che escluda la loro responsabilità” (una formula che induce a ritenere non consentito il rimborso nell’ipotesi di assoluzione per estinzione del reato), e comunque, per quanto concerne l’entità del rimborso, solo “nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”».

(15) V. infra.

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tratti che caratterizzano il lavoro dipendente; tratti immediatamente percepibili allorché ci si riferisca alle qualifiche funzionali meno elevate, ma che non vengono meno quando, come nel caso degli alti funzionari o dei dirigenti, il lavoro richieda prestazioni professionali che, per qualità, comportino livelli di autonomia decisionale e poteri di gestione anche prossimi a quelli dell’amministratore. Si tratta sempre di conferire all’ente di appartenenza le proprie energie lavorative, ciò che non avviene per gli amministratori, la cui immedesimazione organica con l’ente si basa su un rapporto, variamente configurato in dottrina, ma che comunque non è di lavoro subordinato”.

Ulteriore profilo che merita di essere analizzato relativamente all’art. 86, c. 5, del Tuel è quello che concerne l’ambito temporale di applicazione della normativa introdotta, come detto, dall’art. 7-bis, c. 1, del d.l. 19 giugno 2015, n. 78, convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 125.

Tale questione risulta essere stata recentemente scrutinata dalla già citata ordinanza della Cassazione n. 6745/2019, nella quale si legge che “in assenza di espressa previsione di retroattività, non desumibile dal testo legislativo, trova applicazione il principio generale di efficacia della legge nel tempo, sicché l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la norma non poteva operare che per l’avvenire, quindi alle fattispecie di rimborso insorte successivamente alla entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2015, art. 7-bis conv. in l. n. 125 del 2015 è conforme a diritto e va esente dal vizio denunciato”.

L’ordinanza della Cassazione, nell’evidenziare che l’art. 86, c. 5, del Tuel, come modificato nel 2015, non ha efficacia retroattiva, collega l’applicazione della norma in esame alle “fattispecie di rimborso insorte successivamente alla entrata in vigore del d.l. n. 78 del 2015, art. 7-bis conv. in l. n. 125 del 2015”, ovvero alle richieste di rimborso effettuate successivamente al 15 agosto 2015. È tuttavia opportuno evidenziare che l’art. 86, c. 5, del Tuel menziona espressamente la “conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione”, omettendo il riferimento alla “richiesta di rimborso”, per cui a chi scrive appare preferibile considerare la conclusione del procedimento quale “dies a quo” rilevante ai fini dell’applicabilità temporale della norma in esame.

Venendo agli aspetti che riguardano più direttamente l’attività e le funzioni della Corte dei conti, occorre in primo luogo premettere che la fattispecie del rimborso delle spese legali non può costituire oggetto dei pareri emanati dalle sezioni regionali di controllo ai sensi della l. n. 131/2003, come chiarito dalla Sezione delle autonomie con delib. n.

5/2006: si è infatti affermato che “se è vero […] che ad ogni provvedimento amministrativo può seguire una fase contabile, attinente all’amministrazione di entrate e spese ed alle connesse scritture di bilancio, è anche vero che la disciplina contabile si riferisce solo a tale fase discendente, distinta da quella sostanziale, antecedente, del procedimento amministrativo, non disciplinata da normativa di carattere contabilistico”.

Tale indirizzo interpretativo è stato successivamente confermato dalla stessa Sezione delle autonomie con delib. 19 febbraio 2014, n. 3/Qmig, ai cui criteri di orientamento le sezioni regionali hanno l’obbligo di conformarsi (16) ai sensi dell’art. 6, c. 4, del d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, convertito dalla l. 7 dicembre 2012, n. 213.

Tale pronuncia, sulla questione di massima sollevata dalla Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo con la delib.

n. 55/2013 (avente ad oggetto proprio l’art. 28 del c.c.n.l. regioni ed autonomie locali del 14 settembre 2000), ha dichiarato inammissibile il quesito concernente la rimborsabilità delle spese legali sostenute da un amministratore, assolto in sede penale con la formula “perché il fatto non sussiste”, in quanto riferito a questione estranea alla materia di contabilità pubblica, nei sensi di cui all’art. 7, c. 8, della l. n. 131/2003.

Ciò non ha tuttavia impedito alle sezioni regionali di emanare pareri ex art. 7, c. 8, della l. n. 131/2003 relativamente all’inciso “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, presente nell’art. 86, c. 5, secondo periodo, del Tuel, poiché la richiesta di parere ha ad oggetto un dubbio interpretativo direttamente afferente le modalità contabili di costruzione del bilancio dell’ente, dubbio che è necessario risolvere poiché è suscettibile di avere riflessi sulla sana gestione finanziaria dell’ente locale (17).

La questione è stata affrontata dapprima dalla Sezione regionale di controllo per la Lombardia, la quale nella delib.

n. 470/2015 ha affermato che l’interpretazione letterale dell’inciso “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” induce a ritenere che “il legislatore del 2015 abbia inteso introdurre un vincolo finalizzato ad evitare che il riconoscimento del rimborso delle spese legali anche agli amministratori possa determinare un incremento generale delle spese afferenti alla finanza pubblica nel suo complesso”; a tal fine la sezione ritiene che il più idoneo parametro di riferimento sia costituito dall’aggregato “spese di funzionamento” (18), in quanto, da un lato, “comprensivo delle spese afferenti al mandato degli amministratori ma, dall’altro lato, non così ampio da ricomprendere anche le uscite destinate a soddisfare le finalità pubbliche il cui perseguimento è demandato all’amministrazione”.

La Sezione lombarda ritiene dunque che non siano consentiti l’introduzione o l’aumento della spesa per la voce in esame allorquando la stessa determinerebbe un innalzamento delle spese relative all’organizzazione e al funzionamento

(16) Cfr. Corte conti, Sez. contr. reg. Veneto, nn. 136/2019 e 35/2020; in tale ultima pronuncia si è efficacemente specificato, con riferimento al tema della “paura della firma”, che “gli amministratori del bilancio comunale, laddove agiscano in buona fede con scelte conformi ai canoni professionali del bonus pater familias, non possono trarre alcuna ragione né di timore né di inibizione al compimento di atti di gestione, che siano fondati sulla ragionevole ricostruzione del quadro normativo e sull’analitica ricostruzione istruttoria dei profili circostanziali rilevanti all’esercizio della discrezionalità, coperta dalla riserva d’amministrazione ex art. 97 Cost.”.

(17) In terminis, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Lazio, n. 58/2018.

(18) In terminis, v. Corte conti, Sez. contr. reg. Piemonte, n. 145/2016; Sez. contr. reg. Umbria, n. 59/2018.

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complessivamente sostenute dall’ente locale rispetto a quanto risulta nel rendiconto relativo al precedente esercizio, essendo invece possibili eventuali compensazioni interne.

Tale impostazione, secondo la Sezione regionale di controllo per la Lombardia, risulta altresì «in linea con la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, che considera rispettosi dell’autonomia di spesa di regioni ed enti locali i soli vincoli alle politiche di bilancio da cui sia possibile desumere un limite complessivo, “lasciando agli enti stessi ampia libertà di allocazione fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (Corte costituzionale n. 139/2012)» (19).

Successivamente la Sezione regionale di controllo per la Basilicata ha precisato, con delib. n. 37/2016, che “la disposizione di legge in esame non stabilisce che gli amministratori dell’ente locale hanno senz’altro il diritto di pretendere che le spese legali da essi sopportate, pur quando ne ricorrono le condizioni, siano comunque e interamente poste a carico del bilancio dell’ente e, in definitiva, della collettività amministrata (sia pure entro il limite di cui al decreto n. 247/2012)”, essendosi il legislatore preoccupato di “comporre il conflitto tra l’interesse proprio degli amministratori – di assicurare a se stessi il rimborso delle spese legali eventualmente sostenute per vicende giudiziarie legate al mandato – e l’interesse della collettività all’uso delle risorse finanziarie per altre e diverse spese. Tale conflitto si supera, appunto, imponendo il rigoroso rispetto degli equilibri al momento della costruzione del bilancio di previsione e limitando la spesa nei limiti quantitativi della previsione approvata”.

Da tale impostazione deriva che la mancata previsione iniziale o l’insufficiente stanziamento non possono essere superati riconoscendo il debito fuori bilancio (20), né è consentito apportare variazioni allo stanziamento senza prima aver rigorosamente accertato il mantenimento degli equilibri; del pari, non è consentito impegnare le somme iscritte se non sono garantite le entrate a copertura.

È interessante infine considerare che la locuzione “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” è stata oggetto di una recente ordinanza delle Sezioni unite della Cassazione (ord. n. 3887/2020), con riferimento tuttavia ad un diversa prospettiva, ovvero in relazione al riparto di giurisdizione in materia di rimborso delle spese legali sostenute da un amministratore locale ex art. 86, c. 5, del Tuel.

In tale ordinanza la Suprema Corte ha statuito che la circostanza che tale rimborso sia ammissibile, ai sensi della citata disposizione, “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, non è suscettibile “di incidere sulla posizione soggettiva dell’amministratore locale, degradandola a interesse legittimo, trattandosi di previsione di ordine contabile, dovuta alla necessità di rispettare l’equilibrio di bilancio, che non assegna all’ente territoriale potestà discrezionali nei confronti del suo amministratore”; trattandosi di un diritto soggettivo, pertanto, la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario.

Tale decisione della Suprema Corte pone di conseguenza un’ulteriore problematica: una volta affermato che di diritto si tratta, sia pure ai fini della statuizione concernente il riparto di giurisdizione, è possibile che lo stesso sia condizionato da un vincolo di bilancio, quale quello posto dall’art. 86 del Tuel?

Per rispondere a questa domanda è di ausilio ricorrere a quanto affermato nella recente nota sentenza della Corte costituzionale n. 275/2016 (21), secondo la quale i diritti fondamentali non possono essere riconosciuti nei limiti delle disponibilità finanziarie determinate dalle annuali leggi di bilancio (22); a contrario, dunque, si può ritenere che un diritto non fondamentale, quale quello in esame, inerente al rimborso delle spese legali, può essere soggetto a vincoli di finanza pubblica, e quindi essere riconosciuto solo a condizione che non ricorrano nuovi o maggiori oneri per la stessa, conformemente al citato indirizzo della Corte dei conti (23).

* * *

(19) È opportuno considerare che in Corte cost. n. 139/2012 si legge che «la previsione contenuta nel comma 20 dell’art. 6 [del D.L.

78/2010], inoltre, nello stabilire che le disposizioni di tale articolo “non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pub- blica”, va intesa nel senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali».

(20) Sulla tematica dei debiti fuori bilancio, v. W. Giulietti, Disciplina contabile e obbligazioni pecuniarie della pubblica amministra- zione: i debiti fuori bilancio, in Dir. economia, 2016, 347.

(21) Su Corte cost. n. 275/2016, v. A. Apostoli, I diritti fondamentali “visti” da vicino dal giudice amministrativo. Una annotazione a

“caldo” della sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, in <www.forumcostituzionale.it>, 30 gennaio 2017; E. Furno, Pareggio di bilancio e diritti sociali: la ridefinizione dei confini nella recente giurisprudenza costituzionale in tema di diritto all’istruzione dei disabili, in <www.giurcost.org>, 16 marzo 2017; L. Madau, È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equi- librio di questo a condizionarne la doverosa erogazione, in <www.osservatorioaic.it>, 17 marzo 2017; A. Longo, Una concezione del bilancio costituzionalmente orientata: prime riflessioni sulla sentenza della Corte costituzionale n. 275 del 2016, in <www.federalismi.it>, 15 maggio 2017; R. Cabazzi, Diritti incomprimibili degli studenti con disabilità ed equilibrio di bilancio nella finanza locale secondo la sent. della Corte costituzionale n. 275/2016, in Regioni, 2017, 593; L. Ardizzone, R. Di Maria, La tutela dei diritti fondamentali ed il

“totem” della programmazione: il bilanciamento (possibile) fra equilibrio economico-finanziario e prestazioni sociali (brevi riflessioni a margine di Corte cost., sent. 275/2016), in Diritti regionali, 2017, 173.

(22) Cfr. Corte cost. n. 275/2016, cit., in cui si afferma che “non può neppure essere condivisa in tale contesto la difesa formulata dalla regione secondo cui ogni diritto, anche quelli incomprimibili della fattispecie in esame, debbano essere sempre e comunque assog- gettati ad un vaglio di sostenibilità nel quadro complessivo delle risorse disponibili […] È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione”.

(23) V. A. Fonzi, L’obbligo di copertura finanziaria e l’equilibrio di bilancio. La prevalenza dell’interesse finanziario nelle leggi regionali-proclama, in <www.dirittifondamentali.it>, 3 febbraio 2020.

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