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IRRAGIONE LÊIRRAZIONALITAÊ DELLA RAGIONE. Storie d amore, d amicizia e di pensieri ricorrenti. Ovvero. Ovvero. di Nicola Ambrosi

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Academic year: 2022

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(2)

di

Nicola Ambrosi

Via Savioli 30, Bologna (BO), 40137.

338.2781486 eddi282@yahoo.it Ovvero

LÊIRRAZIONALITAÊ DELLA RAGIONE

Ovvero

Storie d’amore, d’amicizia e di pensieri

ricorrenti.

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Prefazione

In questo curioso gioco che è la vita esistono due “squadre” o categorie umane: l’uomo di ragione e l’uomo emozionale. La lotta tra ragione e sentimento è accanita all’interno dell’anima di ogni persona: uomo, donna o via di mezzo che sia.

Personalmente, questa situazione la vedo un po’ come quando, nei cartoni animati, c’è il gatto incerto se mangiare o no il suo bel topolino, catturato dopo tanti sforzi. Ad un certo punto ti appaiono l’angioletto-gatto, sulla spalla destra, ed il gatto- diavolo, sulla sinistra. Questi due cominciano a litigare tra loro parlando simultaneamente, creando quel bellissimo effetto di confusione che poi fa perdere la preda tanto ambita al gatto.

Più o meno questo capita anche all’uomo.

Questo libro parla di amori e d’amicizia, o meglio di amicizie perse per amore e di amori trovati attraverso un’amicizia.

Tutto ruota, come lo è sempre stato e sempre lo sarà, intorno a due polarità molto forti: l’emozione e la ragione. All’interno di questo testo potrete trovare personaggi il quale carattere li porta a comportarsi come se fossero automi, succubi di una realtà che li ha oramai inghiottiti. La ragione, in questo caso, ha il potere di annebbiare le menti creative, ma per opposto è un freno per quelle che rischiano di esserlo troppo.

Esistono altri personaggi, all’interno di questa storia, che per indole si lasciano trasportare fi n troppo dalle emozioni, e le vivono come fossero canne al vento, trasportati dal vento

degli istinti. In questo caso la ragione potrebbe essere utile per non impazzire, per rendere un po’ più conforme ed inserito il personaggio. Vedremo come questi personaggi un po’

strani, eccentrici, creativi, non avranno mai modo di adattarsi pienamente al contesto; nel momento in cui questo adattamento vi sembrerà compiuto, bisogna sempre fare caso a particolari che permettono di individuarne le sfumature, sfumature che a loro volta portano il personaggio in una sorta di irrealtà, quasi una surrealtà.

Un invito al lettore attento è, per l’appunto, quello di prestare attenzione ad ogni piccolo particolare. Ed anche se certi concetti o descrizioni sembrano inutili o già sentite, cercate di coglierne il signifi cato sotteso. Spesso le parole hanno più signifi cati di quelli che noi attribuiamo loro; sarebbe bene aumentare la nostra percezione attribuendo più signifi cati ad una sola data percezione.

I personaggi che propongo in questo libro sono una sapiente miscela tra persone realmente esistenti e mia immaginazione.

Ogni fi gura introdotta servirà a far capire come l’animo umano si muove, e come giochi un tiro alla fune tra queste due forze opposte che sono emozione e ragione. Le vicende narrate sono anch’esse una sapiente miscela tra vero e fi nzione: a voi l’arduo compito di discernere ciò che è vero da ciò che non lo è.

Buona lettura.

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1

Siamo a Carpese, un insignifi cante paesino disperso nelle campagne modenesi. Protagonista della narrazione è tale Giovanni Sagace: un contadinotto irriverente, stupido, di aspetto sgradevole;. non farà una gran bella fi ne. Come faccio a saperlo? Ma perché io ho già letto l’ultima pagina di questo libro, l’ho scritto io. Comunque…

- Io non sono d’accordo.

- Come?

- Non voglio fare una brutta fi ne.

- Giovà, o si fa così o non si fa nulla! Comunque fammi andare avanti con il racconto che ho da fare.

Dicevo: come tutti i santi giorni Giovanni si trova, fi nito il faticoso lavoro, con gli amici, al bar.

Affoga la sua disperazione nell’alcool, visto che alla sua veneranda età non ha ancora uno straccio di ragazza, ed in casa le cose non è che vadano proprio bene.

- No! Io non ci sto!

- Che c’è ancora…

- Non mi va bene così. Non voglio fare la fi gura dello sfi gato. Voglio essere un donnaiolo, fare feste mondane e…

- Smettila! Altrimenti te la faccio fare subito la brutta fi ne! Devi fare quello che dico! Il libro lo sto scrivendo io e tu sei il mio personaggio. Quando scriverai un libro tu, allora potrai farti fare quello che vuoi. Capito? Ora comando io e tu sei un personaggio comico-grottesco, devi essere sfi gato per far ridere.

- Allora me ne vado.

- Ma non puoi andartene! Sei il mio protagonista.

- Ma non voglio fare il protagonista di un libro dove faccio la fi gura del piffero! Voglio fare qualcosa di grande tipo… non so: l’avventuriero, il motociclista alla easy rider, il gigolò.

- Ma tu sei impazzito! Ma guarda te se ancora all’inizio del libro mi si devono ribellare i personaggi. Dai, non rompere e fammi andare avanti. Ehi, ma dove stai andando, parlo con te! Mi senti?! (Sbiiim! Si sente sbattere veemente una porta).

Siamo in una gioiosa e fertile cittadina di campagna chiamata Campese, nel bresciano. Protagonista di questa storia è tale Daniel, un ragazzo molto molto molto affascinante. Impareremo a conoscerlo tra poco. Ma ora vediamo cosa accade in questa benedetta cittadina.

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2

Il primo personaggio che incontriamo è Nancy. Nancy non è di Carpese però, vive in una piccola cittadella di campagna ad una ventina di chilometri da Carpese. Perché vi dico questo, non so. Effettivamente non è che questo sia rilevante per la trattazione. Ma andiamo avanti.

Fin da quando era piccina, Nancy era stata abituata ad avere tutto quello che desiderava. Forse perché il destino glielo concedeva, forse era suo padre a viziarla. Quando, però, non riusciva a perseguire il suo scopo, non faceva assolutamente nulla per cercare di cambiare il fato a lei avverso. Semplicemente si chiudeva nella sua cameretta, ed in sé stessa, piangendo e restando sola anche per ore, senza vedere nessuno. Da parte loro, i genitori di Nancy non facevano assolutamente nulla per rassicurarla, anzi. La rimproveravano per il suo comportamento immaturo ed infantile.

Molti di voi potrebbero interpretare il comportamento della piccola come carenza di carattere, oppure come una forma di timidezza. Io non penso siano questi i veri motivi del suo chiudersi in sé stessa. La ragion d’essere è posta nel profondo della sua anima. Visto però che a noi non è dato saperlo in questo istante, sarà meglio proseguire.

Man mano che la piccola cresceva, tutto nel suo comportamento era rimasto perfettamente uguale a quando era piccina: qualsiasi cosa di negativo le succedesse, qualsiasi cazzata, la metteva in crisi. Si chiudeva in sé stessa e non parlava con nessuno.

Diventata grandicella, si trovò un fi danzato. Nemmeno il fi danzato, però, riuscì a cambiare il comportamento di Nancy;

forse perché quest’ultimo si comporta esattamente come il

padre di lei. Nim, il fi danzato di Nancy, è caratterialmente opposto a lei; sono come i due poli magnetici della terra.

Tuttavia, l’effetto fi nale del comportamento di entrambi risulta molto simile, ad un occhio attento. Nim è un giovane che ha fatto della razionalità il suo unico maestro di vita. L’approccio razionale è per lui l’unico punto di vista. Tutti gli altri, dal suo punto di vista, dovrebbero essere cancellati completamente, in quanto fuorvianti ed inconcludenti.

Gli capita spesso di pronunciare frasi come: “ma sei proprio una bambina” oppure “ma cos’hai nella testa, niente!” oppure ancora “quando ti deciderai a crescere”. Inutile aggiungere che queste frasi sono rivolte alla sua dolce metà. Questo termine calza perfettamente perché, se unissimo le metà psicologiche dei nostri due personaggi, come due metà di una mela, ci troveremmo di fronte ad un essere perfetto, con la giusta miscela tra ragione e sentimento. Le due metà si compenserebbero a vicenda, creando il giusto equilibrio.

Il problema sta nel fatto che, anche se Nancy e Nim sono fi danzati e tra non molto si sposeranno, restano comunque due unità distinte, non riescono a mettere in comune le proprie rispettive doti: Nim per la troppa razionalità, Nancy per l’opposto. Non riescono a compensarsi a vicenda. Sono pronto a scommettere con voi che il loro rapporto non durerà a lungo, ma questo lo scopriremo più avanti, a racconto inoltrato.

Piuttosto, mi piacerebbe condividere con voi una piccola rifl essione sull’amore. Secondo me l’amore è come il legame delle particelle d’acqua, così forte eppure così istantaneo, tanto che in un secondo se ne compiono un numero enorme.

Così l’uomo può effettivamente provare un legame subitaneo nel momento in cui vede una bella donna ma, accorgersi che quando la vista della donna svanisce, svanisce anche quella sensazione di legame. Così, a mio parere, si continua fi no a che

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l’uomo trova in una donna non solo una goccia d’amore, bensì tutta l’acqua della terra. Solamente così può provare miliardi di legami al secondo con la sua compagna, senza sentire mai il bisogno di cercarli fuori dall’acqua; semplicemente non esiste altra acqua. Questo secondo me è l’amore.

3

Le luci si accendono e la folla comincia a battere le mani.

L’atmosfera è carica di tensione, ma questa tensione Nancy non la sente. E’ un concerto molto importante per lei, anche se non è il primo, e nemmeno il secondo, né il terzo... Nancy è una pianista. Le piace molto il blues, con quegli accordi armonici e vitali che sanno comunicarle grande carica emotiva ed energia, ma che possono anche portare una malinconia così straziante…

Nancy odia questa malinconia, dice che la fa invecchiare più alla svelta e non le lascia modo di vivere come vorrebbe.

Questo concerto è molto importante per lei, la sua pista di lancio verso il mondo al quale vuole a tutti i costi appartenere:

un futuro fatto di musica, il futuro che ha sempre sognato.

La sala è gremita di gente. Tra questo ronzio di persone che lei quasi non percepisce ci sono critici rinomati che possono portarla al successo. Tutti i suoi sogni sono racchiusi in quei fatidici 5’23’’ di note e scale che si devono mescolare alla perfezione per creare un’armonia che a lei non piace e che

solitamente la rende così triste e malinconica…

Ma deve farlo! Deve suonare a tutti i costi se vuole sentirsi veramente viva, se vuole realizzare i sogni inseguiti con tanto sforzo e passione.

Strana condizione questa: lei che aveva sempre tanto odiato Bach ed i suoi simili, che odiava ed ignorava quel genere che tanto si distaccava dalla sua concezione di musica, ora deve sforzarsi (per il suo futuro) di suonare alla perfezione una cosa che non le piace. Ce la farà?

3.1

Le prime cinque note le vennero soffocate, come se la musica che stava suonando a poco a poco la stesse uccidendo. Il pubblico era molto attento, forse troppo. Ora li sentiva, ora poteva quasi sentire la prima fi la alitarle sul collo, i critici parlare male di lei alle sue spalle. Vide come una creatura oscura e gigante sogghignare alle sue spalle, opprimerla. Aveva sempre suonato per se stessa, non per gli altri. La musica per lei era una specie di consolazione dai continui problemi quotidiani. Mentre suonava si astraeva completamente dalla realtà per crearsi un mondo tutto suo, abitato solamente da fantasie ed esperienze felici. Questo mondo se lo creava e plasmava sfi orando leggermente la tastiera del suo bel pianoforte a coda, e solo in quell’ambiente fatto di onde sonore si trovava veramente a proprio agio. Ora, in quel posto estraneo, con tutta quella

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gente, il mondo creato da lei stessa non le appartiene. Non si trova per niente a suo agio ascoltando quella cantilena senza ritmo, senza anima. Non riesce a capire perché tutta quella gente se ne stia impalata e muta ad ascoltare la musica del proprio funerale senza fare niente, senza tentare di ribellarsi e cercare di vivere. Questo pensiero la fa trasalire. Proprio in quel momento compie un’elegante steccata, comincia a singhiozzare, poi si alza in fretta dal pianoforte e comincia a correre verso l’uscita scappando letteralmente dal palco. In quel preciso istante capisce il vero signifi cato della musica, ciò che comporta suonare, la sua stessa vita. Da quel momento promette a se stessa che non avrebbe mai più suonato per gli altri ma per se stessa soltanto. La consola il fatto di sapere che forse nemmeno la metà dei critici presenti in sala fosse capace di spiaccicare due note su di un pianoforte. Eppure si sentivano così superiori quando la guardavano!

4

Mi è successo, proprio questa sera, di trovarmi al bar dove solitamente passo le mie serate (solitamente tutte le mie serate) a discutere con amici su di un fatto di cronaca. Un fatto alquanto strano rispetto alla nostra solita concezione di

“normale”; fatto che però sta diventando sempre più attuale, di moda, nella nostra società; superando la normale concezione di

“strano”. Una ragazza, oggi stesso, s’è tolta la vita lanciandosi dal balcone di camera sua a circa sette metri di dislivello dal terreno. Il movente di questa sua inspiegabile azione, dicono i giornali, è sconosciuto.

Lei: giovane benestante e di buona famiglia, senza grossi problemi in casa. Una bella ragazza, con degli amici ed un fi danzato. E’ a dir poco assurdo che una ragazza dopo soli venti anni della sua ancor giovane vita trovi morte in questo modo orrendo, e senza un apparente motivo. Molti hanno rispolverato l’ormai vecchia “è colpa della società, ormai non offre più opportunità di svago ai giovani, che perlopiù vedono seriamente minacciato il loro futuro”. Altri argomentano con l’altrettanto banale “ha sempre avuto dei problemi a socializzare, non aveva amici e questo l’ha portata ad un esaurimento”.

Pam, così si chiamava la giovane suicida, la conoscevo abbastanza bene. Non aveva mai avuto grossi problemi ed anzi, ultimamente la trovavo anche di buonumore.

Era la classica ragazza alla quale la vita aveva offerto tutto.

Non aveva mai potuto lamentarsi di niente. Ma allora perché è morta? Mi ripeto la domanda che già mi ero posto per Nancy rifl ettendo sulla sua vita, quando si chiudeva nella sua cameretta a piangere per ore: carenza di carattere o cosciente rinuncia? Pam aveva sempre avuto paura del sangue e delle cose macabre, non riesco ancora a capire dove abbia trovato la forza di buttarsi nel vuoto cadendo come un angelo che ha appena perso le ali, togliendosi la vita in un modo così doloroso e terribile.

Alla terza Ceres mi stancai di discutere di quell’argomento, presi il cappotto e me ne andai (anche per il fatto che io e Pam dovevamo sposarci in quell’estate del 1999, e più ci pensavo e più stavo male).

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Andai a fare una camminata in riva al fi ume per restare un po’

con me stesso e pensare al nulla. Mi sovvenne un pensiero che mi fece sorridere, passando nella mia testa come un lampo fulmineo: “Cosa fa l’arancia quando è stanca di fare la spesa?

Manda-rino”. Pensiero inutile che però mi alzò il morale dalle suole delle scarpe fi no alle caviglie.

Poi mi venne in mente un’altra cosa curiosa, questa volta più seria: Pam e la protagonista del mio libro si assomigliano molto caratterialmente. Si può affermare, con un po’ di cautela, che le due fi gure siano quasi sovrapponibili. Solamente una cosa sfasa nella sovrapposizione: Pam amava molto le musiche malinconiche: le conferivano sicurezza anche se, come Nancy, scoppiava a piangere tutte le volte che le ascoltava.

La differenza sta nel fatto che a Pam piaceva sentirsi triste, provava quasi una gioia nella liberazione del pianto mentre Nancy non le sopporta, come non sopporta la tristezza.

Da questo passo si può dedurre che l’irrazionalità ha molteplici sfumature, a differenza della ragione che (come vedremo) tende ad inglobare i suoi funzionari in un’unica, uguale faccia.

Si può così affermare attraverso il ragionamento appena fatto che l’irrazionalità predilige l’analisi pur utilizzando per se stessa un procedimento sintetico, mentre la ragione la sintesi attraverso l’analisi.

Qui si rischia di non capirci più un cazzo con questi ragionamenti inutili, meglio andare avanti con la narrazione.

5

Taglio e Janda si erano svegliati presto in quella tiepida mattina di inizio Ottobre, li aspettava un lungo ed intrepido viaggio.

Loro quasi non ci pensavano perché con la testa erano già a Forlì, al concerto che tra poche ore li avrebbe visti protagonisti del più grande pogo della stagione, il concerto dei NOFX.

Cominciarono a fare l’autostop un quarto d’ora prima delle sette (il treno partiva alle sette e vent’otto) muniti di zaini con lo stretto necessario per la giornata: panini al salame, un giubbotto in caso facesse freddo (erano in maniche corte nonostante la gelida temperatura di 7°C ), catene ed un bottiglione da un litro e mezzo di vino nero. I soldi che si portavano dietro non erano molti (cinquanta euro a testa), tuttavia suffi cienti per una giornata di sano divertimento all’insegna del punk.

Arrivati in stazione, dopo aver ricevuto un passaggio da un tossicodipendente con una malmessa 124 blu, che andava in stazione per comprarsi la sua dose mattutina, si apprestarono celermente a salire sul treno. Quello stava per partire e rischiavano di perderlo. Ma loro non ci facevano caso, ogni minuto che passava per loro era solo un minuto in meno che li separava dal concerto tanto sognato; non avevano altro in mente che perdersi nella massa frenetica ed ascoltare il loro gruppo preferito.

Taglio indossava la sua maglietta uffi ciale da concerti che non lavava mai (e che ora era ridotta ad una trentina di buchi di varia grandezza con un po’ di stoffa intorno), pantaloni speciali antistrappo ed anfi bi con punte d’acciaio inossidabile, per resistere anche al sudore dei suoi piedi famoso in tutto il suo piccolo paese.

Si sistemarono per bene in una carrozza poco affollata del

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treno e quasi all’istante caddero in un sonno profondo.

- Biglietti!

Non passò un minuto che un controllore dei più pignoli si presentò davanti ai nostri due eroi, non mancando di fare una smorfi a di indignazione per l’abbigliamento (e forse un po’

anche per l’odore emanato dai piedi del Taglio che si era levato le scarpe per stare più comodo).

- Biglietti!!!

- Ecco. – Janda, ancora assonnato, porse il suo biglietto al controllore.

- Grazie.

- Non poteva passare dopo visto che stavo dormendo, tenga e prego. – Il Taglio porse svogliatamente il biglietto accartocciato al controllore.

- Non è obliterato.

- Cosa vuol dire.

- Ma sei imbecille però. – Fece Janda.

- Sono costretto a farle una multa di 35 euro, sempre che lei non riesca a scendere alla prossima stazione ed obliterare il biglietto, cosa che io ritengo impossibile.

- Lo vedremo, questo lo vedremo.

- Allora passo di qui dopo la prossima fermata, e vedremo se sarà riuscito, vedremo.

Detto questo il controllore se ne andò con una risata a dir poco satanica, soddisfatto di aver provocato fastidio alla gente che meno sopporta: quegli ambigui giovani vestiti di stracci.

- Certo che potevi anche dirmela la storia del biglietto da obliterare.

- Certo che sei un gran bel defi ciente anche te, però. Ma non sei mai andato in treno?

- Si, ma sempre con i miei, e facevano tutto loro.

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Stefano, il secondo protagonista di questo romanzo, è l’incarnazione dell’assurdità. Tutto in lui è assurdo: la sua vita, i suoi capelli, le sue battute. Ogni tanto se ne esce fuori con delle storielle del tipo: “Un bimbo, correndo, cade, si sbuccia un ginocchio, e se lo mangia”. Come defi nire questa battuta se non assurda. Stupida? Idiota!? Potremmo andare avanti per ore.

Lui invece è tutt’altro che stupido. La sua intelligenza sta appunto nel dosare la stupidità; il problema è che non sempre gli riesce ed appare più stupido di quanto lo sia in realtà.

Ragazzo acuto, simpatico; certamente non si può defi nire un sentimentalone, un romantico. E’ uno di quei ragazzi poco romantici che ai nostri tempi non esistono più. A proposito, me ne viene in mente un’altra delle sue: “Non esistono più i giovani di una volta, ormai sono quasi tutti morti”.

Quando è solo a casa ama strimpellare la sua chitarra semi- distrutta (una leggenda afferma che abbia addirittura passato entrambe le guerre del novecento) componendo delle canzonette che possono risultare anche carine ed orecchiabili. I rapporti con l’altro sesso sono discreti, anche se non eccellenti.

La sua vita non la cambierebbe con quella di nessun altro, naviga troppo bene nella sua irrazionalità. Suo padre è morto quando lui frequentava la terza media e questo fatto rimescolò parecchio le carte della sua vita, le smazzò e le separò creando questo strano personaggio che è Stefano oggi. Al collo porta sempre un ciondolo con una scheggia della bara di suo padre, e nessuno ha mai capito il signifi cato latente di quel gesto.

Perché proprio quel simbolo e non un comunissimo ciondolo?

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perché non indossare un suo vestito ma un pezzo della sua bara, macabra risposta alla morte di una persona a lui cara? Oppure questo oggetto ha un signifi cato più grande, più profondo.

Quel piccolo pezzo di legno al quale lui è molto affezionato non è solo un ricordo come un altro, è la cosa più vicina a suo padre, una parte della sua vita nell’aldilà, un ponte emozionale e sentimentale verso una persona che ormai gli è lontana ma che ha signifi cato così tanto per lui. Un rapporto profondo.

7

A Nancy piace la sua vita?

Fin da piccola sognava di diventare una grande pianista. Come Herbie Hancock, il migliore di tutti per lei. Come suo padre.

E da suo padre non aveva ereditato solamente la passione per il pianoforte (suo padre non era pianista di mestiere né di fama). Per lei il padre era un modello di vita, una grande guida da seguire in qualsiasi momento. Qualsiasi problema le si presentasse innanzi si chiedeva se suo padre avrebbe fatto lo stesso per affrontarlo (affrontarlo per modo di dire, come ormai sappiamo bene). Questo rapporto di adorazione era però univoco, perché da parte del padre proprio tutta questa venerazione non c’era.

A dirla tutta forse non c’era nemmeno affetto da parte del padre, o se c’era era affermato in maniere veramente poco convenzionali. Quando Nancy aveva le sue solite crisi di

pianto, al padre dava sui nervi il comportamento infantile della fi glia e le gridava di smettere. Quando lei piangeva più forte era capace di tenerle il broncio anche per ore. Era la sua punizione. Esaminando a fondo questa situazione (come del resto è il compito da noi prefi sso) viene subito da chiedersi:

è più infantile il comportamento della piagnucolosa Nancy o dell’imbronciato padre? Ancora, il comportamento di Nancy è guidato da carenza di carattere, o da mancanza di maturità?

D’altra parte il padre non fa assolutamente nulla per rimediare agli atti della piccola ed anzi, con il suo comportamento distante li amplifi ca. Ma non solo al padre danno fastidio le lacrime di Nancy: vi ricordate? Massì, anche al suo ragazzo da fastidio vedere Nancy piangere e le urla sempre di smettere. Bell’aiuto dai due uomini più importanti della sua vita. Viene ora da chiedersi: e la madre? Che ruolo ha la madre in tutta questa storia? Semplice: nessuno e tutti. La povera madre di Nancy è morta durante il suo concepimento; così il suo ruolo attivo è nullo, ma passivamente gioca un ruolo molto importante (come la quinta asse in un poker: non esiste, ma se esistesse sarebbe estremamente importante).

Effettivamente la fi gura di Nim è simile a quella del padre.

Come quest’ultimo è un tipo posato e sempre ben vestito, distinto, preciso, ma soprattutto banchiere. Entrambi erano banchieri; cioè, Nim lo è ancora mentre il padre di Nancy ora è morto. Comunque sia resta il fatto che Nancy si sia fi danzata con una persona molto simile al padre ma molto diversa da com’è lei. Ditemi voi se questa non è altro che un’esasperata ricerca da parte di una persona irrazionale di un po’ di calma e pace, il raggiungimento di un po’ di equilibrio in una vita che di normale ha poco, soprattutto dopo la morte del padre. Io credo proprio che Nancy non si sia unita a Nim per amore (che parola forte!), bensì per ritrovare suo padre.

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Una volta, Nancy doveva avere 10 anni, lei e suo padre stavano passeggiando assieme lungo via d’Azelio in festa, era Natale e tutta la via era addobbata a festa, con tutte le lucine e le bande colorate, il chiasso ed i mendicanti. Trovatisi per caso di fronte ad un negozio di strumenti musicali (con degli speaker che diffondevano all’esterno un’avvolgente melodia di Eric Clapton ad una distanza di venti metri) lei disse:

- Che bella vetrina, papà, possiamo fermarci a guardarla?

- Niente affatto, signorina, ho fretta.

- Ma ho visto la Les Paul della Gibson che mi piace tanto…

- Questa è roba fatta per storditi che si rimbambiscono il cervello con le distorsioni e pensano sia tutto rose e fi ori. E adesso andiamo.

Lui la strattonò per il braccio ed a Nancy, tutt’un tratto, il mondo crollò tutto intorno. Lei amava e venerava suo padre, ma allo stesso tempo odiava le sue parole. E questo la metteva di fronte alla sua prima scelta importante di quella sua ancor giovane vita: seguire le parole del padre o seguire quello che la sua anima le suggeriva. Nancy non riuscì mai a scegliere.

8

Faceva abbastanza caldo in quel sabato di inizio Ottobre.

A Forlì, circa quattordici ore dopo, sarebbe iniziato il concerto dei NOFX.

Ma in piazza della loggia, a Brescia, si stava svolgendo un altro evento importante. La piazza era piena zeppa di gente venuta da tutta la provincia. Si creò un silenzio sacrale quando una fi gura alta con i capelli riccioli e lunghi (pettinati in modo molto strano) salì sul palco situato al centro della piazza.

Questo bizzarro individuo estrasse un foglietto stropicciato dalla tasca dei jeans, anch’essi stropicciati, e cominciò a parlare con tono imperioso, facendo rimbombare le sue parole in tutta la piazza:

“In questa assurda civiltà basata su computer e telefonini cellulari, la società nella quale oggi viviamo, l’uomo ha perso la sua millenaria padronanza sul mondo. I problemi sono sempre stati risolti dall’uomo con ingegnose soluzioni:

quando pioveva, si è creato un riparo; quando doveva nutrirsi, si munì di armi che nel corso del tempo sempre più perfezionò.

Quando non riusciva a capire i misteri del cosmo, inventò il cannocchiale e via via strumenti sempre più complessi per indagare l’universo. Ma una cosa fondamentale non si separava mai dalle sue scoperte: esse servivano soltanto per i suoi propri scopi e questo soltanto. Non era lui che serviva i suoi mezzi, erano i mezzi a servire lui; le invenzioni servivano l’uomo, non viceversa. Era il mondo che lo circondava a cambiare per lui mentre si adattava ad esso.

Ora questa verità si è persa col tempo ed i ruoli si sono invertiti.

Ora è l’uomo schiavo del mondo che lo circonda. Si è arrivati

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ad un punto in cui l’uomo non scopre né inventa più per se stesso o per migliorare la propria vita. Ora produce per la frenetica e vorticosa voglia di inventare. Non perché questo inventare serva veramente a qualcosa. Ora le leggi di mercato governano l’uomo e lui è il loro schiavo e servitore. L’uomo s’è dimenticato che l’invenzione deve servire l’uomo, non viceversa. D’altronde mi sembra anche inutile rammentarvi cosa è successo in America quando il capitalismo industriale si era lanciato nella produzione ossessiva senza pensare a chi veramente fosse indirizzata quella produzione. Risultato:

vennero prodotte molte più merci di quelle che il popolo americano, tutto il popolo americano, potesse comprare. E questo è frutto di un uomo svogliato e frustrato, al quale le fabbriche e la TV hanno tolto l’immaginazione, la fi ducia verso il futuro. Lo hanno reso una macchina priva di idee e sentimenti, schiava del lavoro e del guadagno. Non vi vergognate! Ora è più importante un po’ di denaro in tasca rispetto ad una vita umana che si spegne muta per le strade.

Ormai si cerca di standardizzare tutto il mondo raggruppandolo in piccoli sottosistemi e numeri e codici a barre, ordinandoli in fi nestre poste su schermi freddi. Vergognatevi!

L’uomo è soprattutto individuo e fortunatamente ogni persona è diversa e non si può racchiudere in nessuna fi nestra virtuale. L’uomo si vuol sempre più avvicinare alla perfezione dell’ordine, ma non capisce che facendo questo rischia di allontanarsi sempre più dalla sua vera natura, dalla vita quotidiana, dalla vera vita!

E comunque questa presunta perfezione è prerogativa di pochi.

Non più del 20% della popolazione mondiale! Mentre della restante parte molti sono tenuti nella più ignobile ignoranza, senza poter usufruire nemmeno del minimo indispensabile per vivere. E se qualcuno, di risposta, mi dicesse: ”lavorando

duramente tutti possono raggiungere lo stato benestante e, volendo, anche arricchirsi e godere di tutti i privilegi.” Io gli rispondo con forza: “E se questi privilegi non li avessi voluti?

E se mi fosse stato assegnato fi n dalla nascita un destino che rinnego? E se poi tutto questo progresso a me venisse imposto in modo ingiusto, di modo che, come un demone, quasi lo sentissi parlare e bisbigliarmi dietro all’orecchio: ”O stai al mio passo o puoi anche morire, perché posto per te non esiste nella società odierna.” E se volessi fermarmi per prendere una boccata d’aria o sedermi per fumare una sigaretta?”

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La folla composta da giovani studenti rimase in silenzio per circa dieci secondi, dopodiché una fragorosa ovazione si alzò, unita ad un battito di mani, in cielo.

Stefano era stato bocciato per ben due volte in quarta geometri, ma il suo spirito battagliero di studente non si era placato neanche quando, lasciata la scuola ed assunta la fi sicamente più faticosa facoltà di manovale presso un’università edile, aveva dovuto allontanarsi dagli ambienti intellettualmente attivi e rivoluzionari. Le scuole di questo fi ne millennio, infatti, sentono molto i disagi di una società in rotta verso l’autodistruzione, e di pari passo sono molto sensibili a tutte queste nuove mode new age che li vedono militare tra le fi le dello spirito che si contrappone sempre più ad un corpo che

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serve sempre meno (ricordatevi che è un romanzo). Così, il loro primo caposaldo per una rivolta contro la società risulta la lotta sfrenata contro una materialità che invece dilaga “come un virus mortale tra la massa indifferente ed accecata” (parole di Stefano).

Per questi nuovi giovani l’importante è amarsi ed essere liberi: liberi di poter esprimere le idee che hanno in testa, liberi di vestirsi come meglio credono, liberi di evadere dalla quotidianità nel modo che più ritengono opportuno. Per questo Stefano incarna abbastanza bene lo spirito di gruppo di questi nuovi “guerrieri pacifi sti”, e quando può partecipa ai vari comizi istituiti durante gli scioperi, soprattutto di sabato.

Talvolta, sempre per il carisma che lo contraddistingue, lo chiamano a parlare alla folla od organizzare qualche corteo o cose simili, e Stefano accetta sempre con piacere. Ha molti amici disseminati nelle scuole superiori ed università, e si diverte sempre molto a parlare alle folle. Dice che gli da una carica esagerata, e poi ha l’opportunità di esibirsi.

Un suo sogno nel cassetto (quando era più giovane e spregiudicato) era di fare un attentato al presidente (l’allora Scalfaro) e bruciare tutte le bandiere italiane. Come potete ben capire Stefano è sempre stato ostile alle autorità ed al potere. Di rimpetto questi ricambiano fermandolo per nulla, molte volte solo per il pregiudizio di vederlo “diverso”, “fricchettone”.

Molte volte lo fermano mentre cammina a piedi (ha 23 anni e non ha ancora la patente) e lo perquisiscono. Lui non ha mai niente in tasca ed ogni tanto si permette di prenderli in giro fi nché un giorno non si prese una bella ginocchiata nei genitali.

Era buio e non c’erano testimoni, così lui non poté fare nulla per rimediare in qualche modo al torto subito e lasciò perdere con le battute verso le autorità.

E quante volte aveva sognato di ribellarsi, di rubare di mano

il manganello ad un poliziotto mentre picchiava il suo amico e darle di santa ragione a tutti quelli che se lo meritavano gridando “abuso di potere, siete condannati per abuso di potere”.

Purtroppo non ne aveva mai avuto il coraggio, soprattutto era cosciente del fatto che grazie al nostro amato sistema italiano la cosa importante non è il rispetto della legge, ma come questo rispetto viene preservato e controllato. Sapeva bene che un poliziotto si può permettere di picchiare a sangue una persona per il rispetto di una legge insulsa, talvolta anche quando ci sia infrazione di legge da parte del poliziotto (questa parte del romanzo è vera. Più volte sono stato testimone insieme ad altri di questi fatti). Ma che una persona si ribelli ad un abuso e venga pestata perché ha una faccia non “convenzionale”, questo va bene. Stefano aveva proprio quel genere di faccia ( pur essendo uno delle persone più buone e gentili che abbia mai conosciuto).

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Nancy la psicolabile: così la chiamavano a scuola i suoi compagni. Ogni cosa dicessero o facessero per canzonarla (in modo scherzoso, senza malizie) diventava piccolissima e non parlava più. Non si difendeva e nemmeno provava a rispondere scherzando a sua volta. Si limitava a stare zitta. A dir la verità non parlava mai in classe, se non su espressa sollecitazione della professoressa.

Una ragazza sempre assorta nei suoi pensieri, sembrava vivesse in una dimensione parallela a quella comunemente defi nita sociale. Più volte mi sono chiesto cosa avesse nella testa Nancy, dinosauri in un ambiente lunare, farfalle che volano su di un oceano di panna e fragole, dischi volanti con insetti all’interno che minacciano Regan con dei fumetti di Diabolik tra le mani;

purtroppo nemmeno io sono mai riuscito a penetrare gli occhi sognanti di quella triste ragazza per estrapolarne i pensieri, i sogni. Penso che si fosse creata un mondo tutto suo dove viveva bene sola e dove nessuno potesse entrare, perché protetto dal silenzio. Viveva come se tutto quello che le capitava attorno non le interessasse, non fosse sua competenza o addirittura, a volte, la seccasse.

Nonostante tutto aveva una persona con la quale si sentiva spesso. Anzi, gli scriveva spesso. Questa che vi racconterò è una storia abbastanza strana, perché a questo ragazzo al quale scriveva (il suo nome è Daniel) non chiedeva mai appuntamenti e rifi utava gli appuntamenti di lui. Tuttavia si scrivevano lettere intense e traboccanti di sentimento, vere e proprie lettere d’amore. Tutto questo è strano per il fatto che Nancy e Daniel abitano a non più di 20 km. di distanza, un nulla che li separa

da un incontro (anche se pensando a Nancy come personaggio la cosa non pare poi tanto strana).

A Nancy piaceva (e piace ancora) molto scrivere. Riusciva ad esprimere a pieno tutti quei sentimenti repressi che a parole non riusciva mai ad esplicare. Le parole sgorgavano dalla penna come l’acqua sgorga da una sorgente d’alta montagna, pura ed inesauribile.

A Daniel piaceva Nancy, e molto anche. Provava per quella ragazza così strana, eppure così affascinante, una passione intensa; come il sole che in estate picchia su di una roccia rendendola incandescente. Passione che lascia dentro una sete incolmabile. Spesso capitava che si scrivessero poesie, poiché entrambi erano amanti della poesia. Rappresentava per entrambi quel sentimento di bellezza incondizionata ed irrefrenabile, quella passione che può scaturire soltanto da una poesia d’amore.

Tra l’altro Daniel era talmente appassionato di poesia che certe volte pensava di non riuscire a vivere senza poter sfogare su di un foglio le sue passioni represse, i sogni d’amore irrealizzati.

Se non ci fossero state le sue amate poesie, il fuoco vitale di Daniel sarebbe ormai da tempo estinto, le sue energie esaurite.

Attraverso i tuoi occhi profondi Posso entrare nel tuo cuore,

Ed entrare in contatto con quel calore Che dalla tua anima diffondi;

Piango e soffro quando non mi sei vicina Perché del tuo calore io vivo,

Anche se quel che scrivo

Non raggiunge la tua perfezion divina;

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Quanto io ti ami nessun lo potrà sapere,

Perché troppo grande la mente non può pensare, Ed oltre neppure Afrodite stessa può ire.

E se tu, leggendo, riuscirai a capire Tutto l’amor che ti potrò regalare, L’universo in mano potrò tenere.

Questa è una delle sue prime poesie che insieme ad alcune righe in prosa Daniel spediva frequentemente a Nancy. Come poeta non se la cavava poi tanto male, in fondo. Personalmente lo trovo banale e ripetitivo, troppo infl uenzato da un linguaggio aulico che non lo porta da nessuna parte, ma questo è il mio modesto parere. Andiamo avanti.

Il problema si poneva quando si doveva improvvisare prosatore. In quel campo si dimostrava veramente una frana, era un territorio che non gli competeva. Non riusciva a farsi intendere e soffocava il suo pensiero. Era impacciato ed avaro con le parole. Quel prolifi co fl uido che scorreva impetuoso mentre componeva versi, si arrestava repente ogni qual volta doveva scrivere o parlare in prosa, soprattutto le lettere scritte a Nancy. Del resto Nancy se ne accorgeva benissimo. Forse era questo che la tratteneva dal vedersi con Daniel.

Nancy aveva questa particolare dote di capire le persone da pochi tratti fondamentali. Le riusciva molto bene di inquadrare una persona nella sua più intima sostanza (probabilmente a causa di quella sua enorme sensibilità). Così era arrivata a capire che Daniel non riusciva a dare tutto se stesso in una lettera e così, lei pensava, avrebbe fatto anche quando si

sarebbero visti. Una cosa che ammirava molto in quel ragazzo, invece, era la disinvoltura e la grande carica emotiva contenute nelle poesie. Le sembrava risvegliassero il senso del sublime di fronte al quale ogni creatura doveva piacevolmente essere attirata, creare un turbine all’interno stesso dell’anima e rimuovere ogni senso di insoddisfazione umana. Anche Nancy si divertiva a scrivere poesie. La differenza è che lui le scriveva per amore, lei per sfogo. Pensava che scrivere fosse una delle poche possibilità rimastagli per rilassarsi, per sfogare i propri sentimenti, per liberarsi dalle proprie preoccupazioni (oltre al pianoforte, inteso).

Il suo modo di scrivere somigliava a quello di una persona che, posseduta, non avesse altro modo di scacciare da sé i demoni della superstizione se non attraverso fi umi di lacrimevoli versi cantati a nessuno. Non aveva altro modo che scrivere per liberarsi le membra ed il cervello dall’angoscia che spesso la colpiva e non la lasciava dormire la notte.

Di Daniel non le interessava molto. Erano amici, ma lei non aveva mai preso seriamente in considerazione di ricambiare l’amore donatole da Daniel, né aveva mai pensato seriamente ad una relazione tra loro due. Un po’ era per la paura che le cose non sarebbero andate per il verso giusto, e lei si sarebbe trovata con un amico in meno (e già non ne aveva molti sui quali contare); un po’ perché lei stessa non si sentiva pronta per una relazione così importante ed impegnativa come quella con Daniel (in quel periodo aveva appena 16 anni, l’età (come si dice dalle nostre parti) della stupidera):

Se vuoi amare veramente una persona Ama, ama, amala con tutto il cuore.

Perché l’amore è fonte vitale, dona Vita e sgorga senza alcun pudore.

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Brillanti e lucenti smeraldi io vedrò, Ed estasiata da questi io continuerò.

In quel preciso momento dal cuore sentirò Un canto soave di angeli. ed Andrò!

Fuggirò ai confi ni dell’immaginabile, Ti cercherò ovunque, ed anche quando La ma mente sarà stanca ed obnubilata, Il tuo dolce ricordo resterà in me.

Nei miei occhi, nel mio corpo, nella mia anima;

Ed in quel momento sarò sazia di te.

Una volta aveva anche partecipato ad un concorso di poesia, e le sue poesie migliori (tra cui questa con la quale vinse) le vennero pubblicate in stampa ridotta presso una tipografi a di paese. Questa che ho avuto la premura di scegliere tra tutte le sue poesie, è forse l’unica che parla d’amore, certamente l’unica che lo tratti in maniera così eccitante e positiva.

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Ma torniamo ai nostri eroi Taglio e Janda.

Li avevamo lasciati sopra un treno diretto verso Forlì, alle ore dieci di quel fatidico sabato. In quel frangente hanno passato un paio di ore dormendo ben bene, risparmiando tutte le energie possibili da scaricare poi nell’esasperante pogo dei NOFX.

Svegliati verso il mezzogiorno, si resero conto di aver saltato la stazione di Forlì, ritrovandosi ad una stazione sconosciuta ed anonima a circa un’ora dalla loro meta. Inutile raccontarvi il grandissimo dispiacere da loro espresso in parolacce le bestemmie. Passato un quarto d’ora si calmarono e cominciarono a rifl ettere sul da farsi.

- Prima di tutto andiamo a prendere un paio di birre.

- Meglio due Campari, ormai è mezzogiorno.

- Facciamo così, andiamo in una bettola pattona e facciamo colazione.

Avanti duecento metri da quella stazione, situata in un paesino semi-disabitato, sperduto nella campagna emiliana, trovarono esattamente quello che cercavano. La bettola si chiamava: Da Giani al ciuchitù (che tradotto in lingua corrente suona Da Gianni l’ubriacone), un locale molto caratteristico e pittoresco.

Poco più grande di un bilocale in centro a Bologna, era arredato con un bancone in legno poco curato, dove sul fronte erano riprodotte (malamente) in bassorilievo delle damigiane e dei tralci di vite con dei grappoli attaccati.

Sopra il bancone erano ancora appoggiati due calici di vino vuoti, come vuoto era il locale (il che faceva pensare ad uno scarso servizio, al fatto che il padrone del bar tenesse fede all’insegna o ad entrambe le cose). Di fronte al bancone si

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potevano osservare tre fi le di tavoli da bar stile dopoguerra, ancora sporchi di liquido rosso. Dall’odore che s’espandeva da quel legno, quasi corroso dall’alcool, si potevano intuire benissimo due cose: uno che la sostanza sul tavolo era effettivamente alcool, due che il servizio lasciava veramente a desiderare.

In ultima analisi, gli occhi già allucinati di questi due spaesati ragazzi si misero a fi ssare le pareti, dove macchie di muffa qua e là contribuivano a rendere l’atmosfera veramente insopportabile. A tratti la continuità maculata del muro (che sembrava la pelle di un dalmata) veniva interrotta da quadretti di bassa fattura, di quelli che si trovano in omaggio nelle casse di vino scadente. Vi erano raffi gurate scene di mietitura o imbottigliamento; e quasi sempre si trovava la marca del vino in bella vista al centro del quadro. Un quadretto particolare attirò l’attenzione dei giovani: era fatto a mó di diploma, con la cornicetta disegnata ed una scritta a caratteri gotici:

Aur Ente Pinfror

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Daniel aveva sempre avuto problemi in famiglia.

Era il classico ragazzo innovatore con miliardi di idee in testa, delle quali purtroppo neanche mezza era condivisa dai genitori. Sua madre, una vera credente semiottusa (come poche ne esistono ancora) credeva di possedere tutte le risposte di questo mondo e di avere sempre la ragione dalla sua. Poco portata al dialogo, molto capace nei monologhi, soprattutto quando questi servivano a rimproverare il fi glio.

Daniel era costretto a sentire ripetutamente gli stessi sermoni, le stesse identiche parole, molte volte persino le stesse pause.

Questo circa tre volte al giorno (naturalmente negli stessi momenti della giornata: uno dopo pranzo, uno appena prima di cena ed uno dopo cena). Daniel si domandava spesso perché sua madre fosse perennemente arrabbiata con lui. Provava a farsi degli esami di coscienza (come tutti i buoni cristiani tranne sua madre), ma arrivava sempre alla stessa risposta: per far si che sua madre la smettesse di parlargli in quel modo avrebbe avuto solamente tre strade da seguire: ucciderla, cambiare completamente la sua vita diventando santo, oppure scappare di casa. Non ne conosceva altre.

Ora, la prima possibilità era ineseguibile per una questione di principio. Daniel era pacifi sta e rispettava ogni creatura vivente.

Era vegetariano, e gli dava fastidio uccidere persino gli animali.

Non riusciva ad uccidere un mosca per principio, fi guriamoci sua madre. La seconda possibilità era impraticabile, non aveva abbastanza forza spirituale per compiere un passaggio di stato talmente elevato. L’ultima possibilità sarebbe stata attuabile, se solo avesse avuto un po’ più spirito di sopportazione, non

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avesse avuto una gran fi fa ed un problema fi sico che gli gravava sulle spalle come un sacco di cemento pieno. Morale della favola Daniel non cambiò mai la sua situazione, la sopportò così com’era fi nché non se ne andò di casa.

D’altronde ormai Daniel aveva diciannove anni , la patente ed un bell’aspetto.

Non aveva mai avuto problemi di socializzazione; anche tra gli adulti sapeva come far rispettare i suoi punti di vista e le sue opinioni (a modo suo, s’intende). Era sicuramente più portato al dialogo rispetto a sua madre. Ogni tanto si proponeva di smettere di fumare sia sigarette che canne. Si chiedeva se questo avrebbe potuto infl uire sul rapporto con sua madre, se lei avesse smesso di predicargli quei continui, lunghi sermoni che tanto a poco servivano. Ogni tanto queste domande Daniel se le poneva, ma alla fi ne si ripeteva sempre che il suo animo era forte, troppo forte per abbandonare le sue convinzioni.

Amava la libertà più di qualsiasi altra cosa al mondo, forse anche più di Nancy. Nessuno poteva dirgli cosa potesse o non potesse fare, non lo sopportava proprio. Gli dava un gran fastidio ricevere ordini o prediche. Solo i consigli riusciva ad ascoltare, ma poi non ne metteva in pratica neanche uno.

In questo particolare periodo tutto era più diffi cile per lui.

Nancy aveva smesso di scrivergli ormai da un mese e ne era rimasto segnato. Probabilmente, pensava lui, aveva qualcuno e sospettava fortemente del suo migliore amico Stefano. Era come se una parte della sua vita, una parte molto importante, gli fosse sfuggita dalle mani. Questo non poco alla volta.

Non era come quando la sabbia, passando attraverso le dita, produce un piacevole formicolio. Piuttosto era come un bellissimo pettirosso che, trovato ferito ed impaurito per strada, lo si è portato a casa. Accudito e ben nutrito ello, alla fi ne ristabilito, prendesse il volo senza nemmeno voltarsi per

ringraziare il salvatore. Si sentiva un aviatore che, sbagliando una missione, aveva fatto perdere la guerra al proprio esercito;

un calciatore che aveva appena sbagliato il rigore decisivo in una fi nale mondiale; un pittore che, portato il quadro migliore ad una mostra di quart’ordine, questo gli fosse stato rifi utato.

Insomma, stava molto male. Si sentiva queste e molte altre cose ancora, ma stava di fatto che a Nancy non importava più nulla di lui, e ne intuiva anche il perché.

Tutta colpa di Ste. Quello che una volta poteva essere considerato il suo migliore amico, ora era diventato, causa l’amore, il suo più acerrimo nemico. Una persona da combattere in tutti i modi, su tutti i fronti.

Daniel non riusciva ad accettare l’idea di essere rifi utati da una ragazza, anche perché non gli era mai successo. Non riusciva a mettersi il cuore in pace con frasi del tipo: “è andata così, non mi meritava. Con lui starà meglio, meglio per lui”. Il suo egoistico amore per Nancy lo aveva accecato a tal punto da non riuscir più a vivere una vita normale, soffocato dal ricordo di lei che lo respingeva e che gli bruciava nel cranio, come quando si da fuoco ad una fotografi a che non si vuol più vedere. Purtroppo la vista può defi cere, ma il ricordo rimane.

E più il solco lasciato è profondo, più diffi cile sarà annullare il dislivello.

Conclusione: il suo grandissimo amore per Nancy gli aveva rovinato la vita rendendolo apatico ed insensibile di fronte alla realtà che più non riusciva a sopportare, una realtà crudele che non lo includeva, ed alla quale lui ormai si sentiva estraneo, oscurato e rifi utato… un perdente.

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Come al solito mi trovavo al Giardo1 a bere qualcosa nel pomeriggio. Ci andavo spesso da solo, ma in un bar di paese prima o poi tutti gli amici si ritrovano lì. Mi piace non sapere con chi parlerò, a volte si fanno discorsi unendo gente che non si era mai data confi denza prima, e possono nascere punti di vista curiosi. Ero seduto al mio solito tavolo, il secondo vicino alla vetrata, quando entrò Stefano.

- Buon Giorgio!

- Allegri oggi.

- Più del solito, se devo essere sincero. ( Ste oggi era più vivo del solito. Era agitato ma felice.)

- Che ti è successo. Ti vedo energico.

- Eh si. Oggi ho un appuntamento.

- Ma dai! E con chi?

- Guarda. Prendo qualcosa da bere e ti racconto.

Si allontanò un istante diretto verso il bancone, ordinò il suo solito Sheridans e tornò a sedersi di fronte a me.

- Eccoci qua.

- Beh, chi è la sfortunata?

- Credo che tu la conosca. Si chiama Nancy.

- Non è la Nancy che ha spezzato il cuore a Daniel, spero.

- Invece è proprio lei.

- Credo di non averla mai vista, però… Certo che con tutte le ragazze del mondo proprio con lei dovevi uscire.

- Lo so. Daniel non la prenderà bene. È che ci siamo conosciuti a scuola quasi per caso. Io le ho fatto un

paio di battute sulla stranezza del mondo, ed a lei è piaciuto subito il mio senso dell’umorismo. Ci credi!

Una ragazza che ride alle mie battute.

- Effettivamente è atipica. Deve essere una ragazza veramente strana.

- Si, è strana. Però ci siamo trovati subito bene assieme.

Siamo già usciti una volta venerdì sera, e lì è saltato fuori che lei conosceva Daniel e che si scrivevano. Mi ha detto anche che a lei non interessa come ragazzo, così ho deciso di vederla ancora. Spero che Daniel capisca.

- Secondo me Daniel se la prenderà come una iena.

- Si, dici? È che per la prima volta mi trovo veramente bene con una ragazza e non vorrei mai rinunciare ad una cosa che mi fa stare bene per una persona che comunque non avrebbe possibilità di stare altrettanto bene. Capisci?

- Io lo capisco fi n troppo bene. Ma lo sai come è fatto Daniel. È molto sensibile e se la prende per tutto.

Parlammo di quel delicato discorso per circa un mezz’ora, poi Ste si alzò fi ero e sicuro come un guerriero pronto per la battaglia. Si allontanò dal tavolo, quasi fl uttuando nell’aria (la forza dell’amore), con i suoi folti capelli che danzavano come fronde trasportate dal vento. Quando fu sul ciglio della porta, mi fece un cenno con la mano, poi si voltò e sparì. Riapparve per un istante rifl esso nella vetrata, deformato dal vetro e dall’emozione che provava. Gli augurai tanta felicità.

Cominciai a pensare alle enormi conseguenze di quegli eventi, di come il futuro da quel momento sarebbe potuto cambiare drasticamente. Daniel non l’avrebbe presa davvero bene, e forse un’amicizia si sarebbe spezzata da quel momento.

- Ciao Daniel.

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- Ciao Eddino.

Mente io ero assorto nei miei pensieri, Daniel era entrato nel bar e si era seduto di fronte a me, senza che io me ne accorgessi.

- Come va? Ti vedo un po’ pensieroso.

- Niente, pensavo a come è strana la vita a volte.

- Non dire niente a me.

Intuivo che c’era qualcosa che non andava dal suo tono di voce. Daniel è quella classica persona che riesci a capire cosa pensa semplicemente guardandolo in faccia.

- Come va oggi? (mi domandò con tono distratto.) - Non c’è male. Il libro sta scorrendo ora, e nessuno mi

ha ancora abbassato troppo il morale oggi. Sono già le tre del pomeriggio e questo è buono.

- Se vuoi ci provo io ad abbassartelo.

- Se proprio devi? (Mi arresi capendo che oramai la trappola innescata poco fa era già scattata, e nessuno poteva più fare nulla per fermarne le conseguenze) - Dov’è Stefano?

- Non so se ti faccia piacere saperlo.

- Sarà da Nancy. Quel bastardo infi do puzzone.

- Allora lo sai già.

- Certo che lo so. Nancy ha smesso di scrivermi per un po’, poi mi ha scritto ultimamente dicendomi che ha incontrato un ragazzo del mio paese, a scuola, che le piace molto. È tenero e simpatico. Gli spaccherei il muso a quello stronzo.

Capii che la situazione stava sfociando nel tragico. Tentai di fare qualcosa.

- Ma dai. In realtà si sono visti solo una volta, e magari non usciranno neanche più.

- Lei mi ha scritto che sarebbero usciti oggi. Le ha dato lui l’appuntamento. Se lo vedo ancora in giro gli sputo

in faccia.

- Beh. È la vita.

- Un paio di palle! Me lo spieghi perché devo essere così sfi gato? Me lo puoi spiegare tu per piacere? Dico: La ragazza più bella che abbia mai incontrato, l’amore della mia vita! L’unica ragazza che avrei voluto sposare…

ora esce con quel lurido bastardo che prima chiamavo amico. Ha pure smesso di scrivermi, perché ha detto che non le sembrava più il caso e che avrei potuto stare male sapendo cosa faceva.

Tentai il tutto per tutto.

- Se posso dirti la verità, secondo me tu con Nancy non hai mai avuto possibilità. Te lo diceva anche lei.

- Allora tu se d’accordo con lui. Ma allora vai anche tu a quel paese. -Si alzò.- Io con amici come voi non voglio avere nulla a che fare.

Sputò questa frase con un’intensità tale da far vibrare parte del mio corpo, che si sentì letteralmente ghiacciato da quell’affermazione; poi se ne andò dal bar rigido ed arrabbiato.

È inutile! Quando Daniel è arrabbiato, nessuno riesce a ragionare con lui. Solo Nancy, forse, sarebbe riuscita ad addolcire un animo così ribelle. Perché vedete, ci sono due tipologie di persone emotive e quindi irrazionali: Daniel è un’irrazionale attivo, mentre Nancy è un’irrazionale passiva. Se si uniscono caratterialmente due persone di valenze opposte, una mitiga le caratteristiche dell’altra. Così Nancy potrebbe rendere Daniel più calmo, Daniel rendere Nancy più viva. Questa è una legge comunque generica, non funziona come legge assoluta ma a seconda dei casi. (come mi piace far fi nta che sia un libro serio ogni tanto).

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Per l’ultimo giorno del fatidico 2000, avevamo deciso di andare ad una festa di media grandezza, organizzata da vecchi amici che per un certo periodo avevo evitato di vedere. La festa si svolgeva a Chiari, vicino a villa Mazzotti. Non era un granché, anche perché non sapevo assolutamente come avrebbero reagito certi miei amici nel rivedermi dopo tanto tempo e qualche problemino ancora in sospeso. D’altra parte era gratuita, e rispetto alle squallide feste del mio paese, dove una decina di ubriaconi si trovano in una casa a bere fi no a mezzanotte, poi non si reggono più in piedi per le successive ventiquattro ore, qui almeno il locale era più grande, gli ubriaconi moltiplicati per dieci e (soprattutto) molte ragazze ubriache anche loro. Si prospettava proprio una bella festa.

Tutti gli altri nostri amici erano andati in montagna con le ragazze a passare un romanticissimo(!?) ultimo dell’anno.

Così eravamo rimasti io, Stefano ed AB (che non è una sigla da rapper americano nero, ma il diminutivo molto corto di Alberto). Prima di andare alla festa, avevamo deciso di onorare una vecchia usanza, molto frequente dalle nostre parti: “andà á betole2”.

Il procedimento è semplice: ci si prefi gge una destinazione, e poi ci si ferma in tutti i bar situati tra la partenza e l’arrivo, bevendo una volta in ogni bar. Volendo si può fare anche senza meta, o meglio prefi ggersi come meta di ritornare a casa sani, salvi ed ubriachi. Io mi ero deciso a bere soltanto Ceres, ed avevo fatto una specie di scommessa con i miei amici. Gli avevo promesso che sarei riuscito a bere una cassa di Ceres (24)

nell’arco di tutta la serata. Così alle sette e mezzo partimmo dal Giardo (il nostro bar di fi ducia) con una Ceres, un amaro Montenegro ed una Sambuca.

Io, molto amaramente, ero lo sfortunato guidatore di quella serata, che non prometteva niente bene (tempo parlando).

Nevicava e c’era la nebbia (fenomeni che non avevo mai visto svolgersi contemporaneamente). Guidavo un misero Pandino Italia 90, con i cerchioni a forma di pallone e fari che praticamente illuminavano due metri dal cofano. “Speriamo bene” dissi tra me e me fi ssando il cielo e bevendo la mia terza Ceres della giornata (che per la sfi da contava come la prima).

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Arrivammo sani e salvi alla festa, ma per percorrere poco più di dieci chilometri ci impiegammo quasi tre ore. In questo lasso di tempo ci fermammo ad ogni bar (infi do o rispettabile che fosse) nel quale ci imbattevamo o che semplicemente incontravamo lungo il nostro tragitto. Il mio record stava procedendo nel migliore dei modi, ero già a buon punto e non accusavo dolori particolari. Avevo in corpo qualcosa come tre litri e trenta di birra doppio malto, pari a dieci bottiglie da 33 cl. di Ceres. Tutto sommato avevo guidato persino bene, se contiamo le condizioni atmosferiche e sorvoliamo su quel piccolo incidente…

Solo di una cosa non mi capaciterò mai. È accaduto, in un

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frangente in cui io mi trovavo alla guida, percorrendo un tratto di strada con due fossi ai lati (uno sulla destra ed uno alla sinistra dello stretto viale). È accaduto che sentii prima delle voci, come dei sussurri incomprensibili, poi mi parve di vedere una fi gura incappucciata appena fuori dal parabrezza della mia Panda. Era strana e particolare, attirava tutta la mia poca attenzione su di lei, e per poco non uscii di strada per quel giochetto. Quando la macchina stava per andare dritta ad una curva, ed io sterzai solo all’ultimo istante, causando il raddrizzamento dei capelli di tutti i passeggeri impauriti per il forte colpo, quella strana fi gura se ne andò e non la rividi più.

Rimane il fatto che ancora oggi non riesco a capire se quella fosse stata un’allucinazione da alcool, uno scherzo della mia mente o un’immagine di ciò che mi sarebbe potuto capitare.

Poteva essere un mucchio di cose, me ne rendo conto, ma nessuna delle ipotesi che avevo in testa mi ha mai soddisfatto.

Così ho lasciato perdere.

Ma proseguiamo con il racconto. Arrivammo alla festa gasati ma un poco segnati dall’esperienza. L’entrata della festa era pure l’entrata della villa e, contrariamente a quello che mi avevano detto, la festa si svolgeva proprio nella villa, e non fuori da qualche parte.

- Ma di chi è ‘sta villa? - domandò AB sorpreso. La sua bocca sembrava una caverna da quanto era spalancata.

- Mi hanno detto che è di un riccone locale che però non c’è mai, e lascia tutto nelle mani di sua fi glia. E mi hanno detto pure che lei è molto carina e giovane. (Stefano sapeva sempre tutto di tutti. Era quasi imbarazzante, a volte, sentire racconti tanto particolareggiati sulla gente. Ma lui era fatto così, era una sorta di antropofi lo moderno).

- Beh, se è qui tra noi, la corteggerò e me la porterò a

letto. Vedrete! - Affermai io tra l’euforico e l’ubriaco.

- Con il fi ato che ti sa di Ceres, mi sa che l’unica cosa che ti porterai a letto sarà una bottiglia vuota! - La pungente ilarità di AB.

- Ed invece no, vedrai. Ma adesso andiamo a bere che deo3 continuare con la sfi da.

- Si. Se bevi ancora un po’ vedrai come la conquisterai.

Un opossum in cantina ha più possibilità di te di fl irtare con una ragazza, stasera. (vi ricordate del prezioso senso dell’assurdo di Stefano?)

Ci recammo al bancone degli alcolici, e guarda caso serviva un mio amico. Uno di quelli con dei problemini in sospeso.

- Io me ne vado. (Stavo per scappare quando Stefano mi bloccò afferrandomi per un braccio).

- Ma non fare lo stupido. Per prima cosa, noi siamo in macchina con te. Se te ne vai noi siamo fregati.

Secondo: tutto è risolvibile. Che gli avrai mai fatto a quel povero ragazzo: imbrattato l’auto nuova di vernice fucsia cromata?

- Peggio. - AB lo sapeva. - Gli ha fregato la ragazza a quel povero cristo.

- Ma è stato tanto tempo fa!

- Certo che tu sei proprio un bastardo!

- Ma adesso non ne faccio più di ‘ste cose.

- Si, ma adesso come facciamo?

AB risolse la situazione e si fece avanti. Intanto il Giangi mi aveva già notato, anche se continuava a comportarsi come se non esistessi.

- Ciao Gia! Ci fai un giro di quello che vuoi?

- A te lo posso anche fare, ma a lui non so, me lo deve chiedere.

- Dai, Gia. Non sarai ancora incazzato per quella storia.

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E’ passato un sacco di tempo ormai.

- Non sono incazzato per il fatto che mi hai fottuto la ragazza. Sono altresì incazzato perché non sei mai venuto da me a chiedermi scusa, o a spiegarmi cosa fosse successo.

- E se ti chiedo scusa adesso me la dai una Ceres?

- Certo che sei sempre il solito. - Il suo volto da irato prese un aspetto diverso. Dapprima le sue labbra si alzarono lievemente alle estremità, i suoi occhi divennero più chiari e familiari. Infi ne mutò tutto il setting fi sico. Si girò verso l’altro ragazzo che serviva. - Io faccio un po’

di pausa. Torno tra dieci minuti.

Si avvicinò al nostro gruppo e venne subito di fronte a me con una Ceres in mano.

- Tieni folle astronauta dell’inconscio.

- Grazie. - Sorrisi, felice di avere ritrovato un amico.

Bevvi dalla bottiglia, lui mi abbracciò forte come se avesse incontrato un vecchio amico. Ed effettivamente quello fu.

- Vedi Eddi. Tutto bene quel che fi nisce in e. (Io prima o poi Stefano lo picchio).

- Sei qui per divertirti? Vedrai che hai sgamato4 proprio la festa giusta. E devi ringraziare di questo quella splendida fanciulla che sta scendendo ora dalle scale principali. La vedi quella? E’ lei la padrona di tutta questa lussuosa baracca.

Mi ricordo che le fi ssai lo sguardo addosso per tutto il tragitto che percorse scendendo le scale. Era bella come una divinità greca, dolce nei movimenti come un fi ume in pianura. Mi venne naturale andarle incontro, come un’ape viene attratta da un bellissimo fi ore giallo. Lei mi sorrise e mi guardò intensamente negli occhi. Non avevo mai visto creatura così bella.

Visto che la mia bocca non emetteva nessun suono, perché

paralizzata da tutta quella grazia e bellezza, cominciò lei a parlare.

- Beh. Vuoi stare lì fermo impalato a guardarmi tutta la sera o mi dici come ti chiami?

La sua voce era celestiale ed allo stesso tempo di una sensualità sconvolgente. Mi sentivo inibito. Mi feci forza e:

- Io sono Eddi. Probabilmente avrai già sentito parlare di me. – La mia battuta d’entrata fu semplicemente terribile.

Soprattutto perché:

- Effettivamente ho già sentito parlare di te. Dicono che sei un bastardo che ruba le ragazze degli altri.

Nel dire questo, il suo sguardo si soffermò un attimo dietro le mie spalle e mi girai. Per un istante il tempo si era sospeso. Ma ora che quelle parole così crude mi avevano fatto tornare alla realtà, vedevo subito dietro di me tutti i miei amici che si erano messi a ridere, e Gia che alzava le spalle. Era stato sicuramente lui a dirle questo.

Mi girai da lei, pensando di avere oramai perso l’unica possibilità di frequentarla, quando la vidi sorridere e dirmi:

- No. Non è stato soltanto lui a dirmi questo. Me l’ha detto anche altra gente. Come vedi sei famoso.

Mi piaceva il modo di fare di quella ragazza. Sembrava così sicura di se che nulla poteva metterla in diffi coltà. Quanto mi sbagliavo su di le in quel momento.

- La mia fama purtroppo mi precede, ma se mi permetti di offrirti qualcosa da bere, sarò lieto di dimostrarti che non sono poi così malvagio come la gente mi dipinge.

(incredibile! L’imbarazzo mi era passato, ed ora ero tornato spontaneo).

- Mi sa che sarò io ad offrirti qualcosa qua. Ma apprezzo ed accetto l’invito. A proposito: Io sono Pam.

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- Dove cazzo siamo fi niti! Questo posto è peggio di camera tua, Taglio.

- Te e le tue idee del cazzo.

- Ce la prendiamo sta birra o rinunciamo solo perché il posto fa un po’ cagare.

- Non era mica un campari?

- Prendi un po’ quel cazzo che vuoi, basta non fare tardi al concerto.

- Ehi, barman. Vieni a servirci o dobbiamo servirci da soli?

Non ci fu risposta; ma tutt’a un tratto del fumo grigiastro, proveniente da una porta d’angolo, molto simile alla porta d’un bagno, si diffuse nella stanza. I nostri eroi del Punk si sentirono quasi soffocare.

- Ed ora che cazzo sta succedendo… mi sento svenire;

- Te l’avevo detto di non mangiare troppo pesante stamattina.

- Smettila e cerchiamo di uscire da questa camera a gas.

- Ho capito cos’è. È una cospirazione fascista per far sparire tutti i Punk dalla faccia della terra, partendo da quelli più sfi gati.

- La smetti di sparar cazzate! Non è piuttosto che hai scorreggiato?5

Ci fu un attimo di perdizione totale, dove lo spazio ed il tempo si dilatarono a tal punto da scomparire. Poi i due sventurati tentarono di uscire, ma per sbaglio imboccarono la porta misteriosa da dove era uscito tutto quell’obnubilante fumo poco prima.

Si sentirono cadere.

Un tunnel buio e nero li attrasse verso il basso a velocità vorticosa, come se stessero cadendo in quel tubo con la massa di una stella. I volti si stavano deformando a causa dell’alta velocità, ed una sensazione frammista tra incredibile terrore ed esaltante eccitazione li aveva colti d’un tratto. Avevano già trascorso chilometri (probabilmente) andando a quella velocità, quando incontrarono una persona (se così la si può defi nire).

Questa creatura indossava un manto nero che le nascondeva tutto il corpo. Il viso si intravedeva appena, lasciando intuire la costituzione non umana di quell’essere. Inoltre, quel personaggio, degno di essere appena uscito da un racconto di Poe o da un fumetto di Dilan Dog, aveva una stazza non indifferente: quei tre metri d’altezza che gli conferivano maggior imponenza e lo rendevano ancora più terribile.

Taglio e Janda erano terrorizzati da questa fi gura, apparsa loro di fronte in un istante. Già l’aver fatto esperienza di volare in caduta libera li aveva traumatizzati, e non poco. Ma almeno non avevano avuto modo di pensare, perché ciò che accadeva era troppo veloce. Ora erano fermi di fronte a questo guardiano, che impediva loro di proseguire il cammino, ed erano fuori di loro.

- Che facciamo ora? Chi è questo. E soprattutto: dove cazzo siamo?!

- Non lo so. Non so nulla, Janda. Forse sono ubriaco e sto sognando, forse sono completamente impazzito.

O forse qualcuno al bar ci ha uccisi ed ora siamo all’inferno.

Nel dire queste parole, a Taglio si raggelò il sangue nelle vene.

Sentì un brivido intenso attraversargli tutta la schiena, partendo dalle reni ed arrivando fi no all’atlante.

A quelle parole, l’orripilante creatura fece un gesto, come ad

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intimare ai ragazzi di proseguire il cammino, di andare oltre la sua persona.

- Che facciamo. Che facciamo!

- Io direi, (Taglio aveva ritrovato un po’ del suo antico coraggio) scendiamo a fare un giro nell’inferno, già che ci siamo. Tanto, oramai, mi sa che salire non si può più. E di restare con il sicario della morte qua non mi va proprio. Non spiaccica una parola.

- Dovrete portare più rispetto nel luogo dove state per andare. Io non me la prendo mai, anche perché conosco la mia natura, ma dove state andando l’educazione è fondamentale. Potreste rischiare la vita per una parola fuori posto.

Le parole del guardiano risuonarono forti nella grotta, come tuoni scagliati dal cielo. I nostri due eroi dei mondi rimasero impietriti a quelle parole. Non tanto per il senso stesso delle parole, ma per la potenza della loro esecuzione.

- E’ meglio che adesso scendiamo, allora.

Disse Taglio con grande riverenza (sensazione che non aveva mai provato in tutta la sua giovane vita). Detto questo, i due si incamminarono verso il basso, ma vennero fermati ancora una volta dalla potenza impassibile di quella voce.

- E’ meglio che per proseguire da questo punto vi prendiate una barca. Oltre questo punto diventa tutta acqua per un bel pezzo.

- Mi scusi. Ma dove la troviamo una barca.

Nel pronunciare questa frase, un’imbarcazione piccola ma robusta apparve ai piedi dei due scapestrati, e loro decisero di salirci alla svelta; anche perché la presenza di quella creatura era veramente fastidiosa. Era troppo forte per potervi star vicino a lungo.

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Volevo per un attimo rifl ettere su di un concetto: la dicotomia tra eros e tanathos. Ma prima di tutto volevo rifl ettere sul termine rifl ettere. Uno specchio rifl ette, e quando lo fa è immobile. Un raggio di sole viene rifl esso e spesso distorto, perché deviato dalla sua traiettoria originale. Esistono, in effetti, varie tipologie di rifl essione, in base alla distorsione del raggio: la diffrazione, la rifrazione, la diffusione, ecc. Ognuno di questi procedimenti, esige un materiale attraverso il quale passi la fonte di luce, e per il quale essa venga, per l’appunto, difratta, diffusa, ecc.

Questo oggetto è solitamente un cristallo trasparente. Ma se utilizziamo cristalli con incursioni, otteniamo distorsioni sporche o carenza di passaggio.

Così potremmo immaginare che funzioni la rifl essione, a livello umano. Come un raggio di sole, il concetto da analizzare colpisce il cristallo del nostro pensiero, che più è limpido e puro e più riuscirà ad afferrare il concetto, senza distorcerlo attraverso il proprio fi ltro sociale, ambientale, o qualsiasi altro tipo di fi ltro artifi ciale (schemi comportamentali per esempio).

Se una mente è “sporca” ed ha inclusioni derivanti dall’esterno, così come può essere un cristallo con inclusioni di ferro, il raggio fi ltrato verrà distorto o non avverrà passaggio d’informazione.

Del concetto originale verrà compresa solamente la parte congrua al pensiero del soggetto. Verrà così tralasciato tutto il senso che differisce dalle abitudini del soggetto. Il segreto di una giusta comprensione tra gli esseri, dunque, non sarebbe nemmeno così diffi cile: basterebbe rifl ettere su ciò che viene detto a noi non attraverso preconcetti, ma ascoltando a fondo

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