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Addio.

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Teodhor Rudolf FredricH Bulgarare

Jo carattere De temperamento Serata stupende

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Togliatti è uno stregone della fantascienza.

Perché son o Vivo?ù “

Certo che Daniel è una persona proprio strana. Ultimamente scrive di queste cose. Ed ha pure il coraggio di chiamarle poesie. Come oramai avrete capito, Daniel rappresenta la parte fortemente irrazionale di noi, quella parte che può uscire allo scoperto solamente attraverso la creatività e il totale disinteresse verso quello che gli altri pensano di noi. C’è da dire che io le poesie (ed in generale l’arte di Daniel) non le ho mai apprezzate o capite molto. Dai suoi più smielati sonetti a queste ultime aperte dichiarazioni di follia, non sono mai riuscito ad apprezzare a pieno il suo folle modo di comunicare ciò che ha dentro di se. Forse perché ci vuole un folle per capire un folle.

Daniel non è mai stato un ragazzo molto allegro, fi guriamoci da quando Nancy ha smesso di scrivergli. Non che prima fosse tutto rosa e fi ori, anzi. Daniel aveva sempre avuto quella

predilezione per la depressione latente che tanto caratterizzava il suo animo. In questi casi si buttava a capofi tto nella scrittura;

scriveva pagine e pagine intere. Aveva poi iniziato, all’età di diciassette anni, a dipingere quadri. Questi gli davano una sensazione diversa dalle parole scritte, gli conferivano tratti di ilarità e pace interiore che Daniel non aveva mai provato.

Peccato che quegli attimi duravano soltanto nel momento in cui dipingeva, poi passava tutto.

Comunque sia, ciò che mi preme sottolineare in questo spazio è che l’arte (vista in tutte le sue espressioni) è una forza creatrice che proviene dalla nostra parte irrazionale, o se preferite istintiva. E’ con gli istinti e con il gesto del momento che si può avere la creatività suffi ciente per produrre arte. Certo, mi potrete controbattere, l’arte è fatta pure di studi profondi sulla natura e sull’uomo. Prendiamo per esempio un quadro del Mantegna. Le proporzioni del corpo e la prospettiva degli oggetti e di tutta la scena sono studiati a livelli quasi maniacali nelle sue opere. Le immagini prodotte da questo sommo artista sono spesso riproduzioni di proporzioni numeriche precedentemente calcolate e calibrate sapientemente. Su questo vi posso dare ragione, ma qui non si fa altro che tornare al vecchio nodo che sta percorrendo tutto il libro, e che ogni tanto affi ora tirato dal pettine della rifl essione: per avere qualcosa di simile alla perfezione, in un quadro, bisogna avere un sapiente equilibrio di entrambe le dinamiche. Bisogna saper calcolare a tavolino proporzioni e colore in modo da creare equilibrio nella composizione. Bisogna però anche avere il “buon senso” di saper accostare istintivamente i colori, per creare nuovi effetti prima sconosciuti. A volte bisogna pure osare, superando le regole compositive, forzando gli equilibri, altrimenti avremmo le stesse medesime opere dal cinquecento ad oggi.

Invece, provate un attimo a pensare alla differenza che intercorre

tra la rigidezza compositiva di Mantegna ed il totale fl usso istintivo di Vincent Van Gogh. Entrambi sono stati superbi artisti nel loro campo, ma profondamente diversi nel modo di intendere la composizione e la produzione di un quadro.

Mentre il primo prediligeva il procedimento razionale, fondato sul calcolo minuzioso, il secondo si lasciava completamente abbandonare alla sensazione di ciò che stava osservando, e dipingeva le sue emozioni di fronte ad un soggetto, piuttosto che dipingere il soggetto stesso.

Ma un attimo! Se fosse semplicemente così avreste ragione voi, perché comunque l’arte può essere fatta di sola ragione.

Invece io dico di no. Infatti pure il Mantegna apportò dei cambiamenti a dell’arte che nel suo stesso tempo era ancora fi ssata su certi canoni. Prese coscienza di questi canoni e li gettò con un impeto paragonabile a quella che sarà poi la pennellata di Vincent. Sempre il cambiamento viene dalla nostra parte istintiva. È impossibile cambiare noi stessi ed il mondo attraverso la logica. Il ragionamento logico tende piuttosto ad essere conservatore, ed a prediligere la stabilità.

I veri artisti, al contrario, sono coloro che riescono a portare vistosi cambiamenti rispetto all’arte che li ha preceduti, ed a rinnovare canoni oramai vecchi. Pensate agli impressionisti ed alle loro pennellate impetuose come onde in tempesta, oppure leggere come il vento che soffi a tra le fronde. Certo, un artista produce ciò che ha all’interno, quindi se un artista non ha equilibrio in sé è diffi cile che produca opere sapientemente equilibrate. Pensate a parecchia arte dagli anni venti agli anni cinquanta del secolo novecento. Essa era frutto di artisti che vivevano in periodi di guerra. Ne scaturì dell’arte fortemente instabile, come del resto le persone che vivevano in un contesto simile.

In conclusione: senza l’impeto creativo è impossibile la

produzione di qualcosa di nuovo, quindi l’arte stessa intesa come creazione di cose sublimi (il richiamo a Kant). Il resto è soltanto dell’ottimo artigianato.

La vera storia dei popoli si potrebbe fare in vero studiando la loro produzione artistica.

Daniel è una persona abbastanza squilibrata da questo e da tanti altri punti di vista. Ed in questo la sua arte lo rappresenta.

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“Oiboh, disse quel povero pagliaccio. Mi rammarico di tutto questo. Ma se la lettura è così vicariante, ne converrà che qui sorge un problema congelato. Io già l’avevo scongiurato. Ma poiché esso è ritornato a fare capolino, io l’ho preso per il collo e l’ho rigettato tra gli acumi di un tempo che fu. Così sciolto, l’ho imballato ed imbrattato, e l’ho consumato in una brace empirica. Tutto sommato non era così un gran problema. Infatti non ha prodotto una gran fi amma, ma una vasta gamma di colori. Ho sperperato tutte le mie conoscenze in questa azione, ma senza conseguirne una reazione. Così stanco mi sono addormentato e l’ho pure sognato. Era grande come un falcone e si librava per aria raccomandandomi di non eliminarlo, che mi avrebbe ancora reso felice. Io, di contro, gli ho sparato con una freccia dorata e l’ho abbattuto. Caduto, si è poi infranto a terra come in 1000 pezzi di un bicchiere di cristallo. Lo osservavo frantumarsi ad una velocità infi nitesimale e l’ho rispedito nel mondo della mia fantasia. Risvegliatomi, mi sentivo meglio ed ho continuato questa giornata dorata così bene come era

cominciata.”

A Daniel piace scrivere cose senza senso. Dice che questo procedimento lo porta ad una migliore comprensione del proprio essere. Aveva cominciato con le poesie (ricordate quelle che scriveva a Nancy?) per poi passare a cose più metafi siche. Alla poesia però attingeva ancora ogni tanto. Gli piaceva scrivere in particolar modo dei sonetti, di quelli che nessuno scrive più da secoli. All’inizio erano poesie d’amore, il canto soffocato di un’aquila che ha momentaneamente perso le ali. In quelle poche frasi, Daniel metteva gran parte delle proprie emozioni, non potendole esprimere direttamente. Chi sa perché Daniel si esprimeva così? Forse perché fi n da piccolo gli era stato insegnato che le emozioni dovevano venire soppresse, in quanto era maleducazione esprimerle in pubblico? Forse un preciso momento della sua vita, un evento scatenante, ha fatto sì che in Daniel si manifestasse questo blocco emotivo. Potrebbe essere stata sua madre, poniamolo solo come esempio. Nel momento in cui lui, aveva quattro anni, rivolgendosi ad un’anziana signora ed apostrofandola come “strega”, la offese; sua madre gli tirò un sonoro scappellotto6 sulla coppa e rivolgendosi a lui, con tono serio ed indignato, gli disse:

“Ma sei proprio un maleducato. È questo che ti ho insegnato io? Ma mi ascolti quando parlo?”

È inutile aggiungere quanto questa frase unita al gesto possa infl uenzare la mente duttile e ricettiva di un bambino di quattro anni. Nel piccolo Daniel si manifestarono una serie di emozioni in progressione. Dapprima venne la vergogna, che lasciò poi il posto al rigetto. Questo si trasformò in ira, mentre quest’ultima divenne timidezza. Infi ne ci fu la soppressione di tutte queste emozioni. Tutto questo processo che ho descritto, è avvenuto nell’arco di circa 5, 6 secondi, nei quali Daniel si trova di fronte alla vecchia, che non se l’era presa poi molto per la

battuta irriverente, mentre a lato troneggia questa terrifi cante presenza che lo aggredisce.

Più o meno il 40% dei blocchi emotivi che un individuo può avere accumulato durante la sua vita, si formano dalla nascita ai 4, 5 anni. E solitamente la dinamica di un blocco emotivo avviene, a grandi linee s’intende, come descritta nella relazione tra Daniel e sua madre alla bottega del panettiere. Comunque sia, in genere, i blocchi emotivi vengono creati come difesa per l’individuo dal mondo esterno. Se le due fi gure più importanti e più presenti per la vita di quell’individuo gli forniscono un ambiente sicuro e stimolante nel quale vivere, il neonato potrà costruirsi un essere emotivo equilibrato, e non sarà soggetto a blocchi emotivi forti in quella fase della crescita.

Ora, questa non è una verità. Infatti ci sono molti altri fattori che bisogna calcolare; ma bisogna pur prendere atto che un bambino, nella fase di crescita, dovrebbe avere accanto a se persone che si vogliono bene e che possono passare lo stesso tipo di amore al bimbo. In questa fase della crescita, il bambino ricevere informazioni non tramite razionalità ma attraverso emozioni. Perciò piuttosto che spiegare ad un bambino cosa lui debba fare, è meglio fargli capire attraverso scarica di emozioni come il mondo più o meno possa funzionare. È sempre meglio non porre dei freni agli infanti, piuttosto alternative stimolanti, in modo da svilupparne la curiosità e l’intelligenza. Sarà lui poi a decidere, una volta cresciuto, dove indirizzare questi interessi. Emilio era stato educato così. Se non si crea a prescindere l’interesse nel bambino, si rischia che egli, crescendo, non provi interesse per nulla. Questa purtroppo è una conseguenza del nostro periodo storico, nel quale genitori troppo indaffarati nel lavoro e troppo presi da loro lasciano spesso i fi gli davanti ad una TV che pone loro dei modelli fortemente negativi. I bambini vengono stimolati

da queste informazioni emotive, perché esse occupano la maggior parte della vita cosciente di un bambino. Ora provate a domandarvi: quando questi bambini cresceranno, verso quali ideali verranno spinti? Verso ciò che voi avete sempre reputato giusto, oppure verso un modello di vita preconfezionato e per nulla stimolante?

Questo era quello che si era messo a pensare Daniel dopo aver scritto quell’ultimo testo così strano. Si, proprio quello in cui abbatteva un falcone con la freccia dorata. Forse c’era qualche collegamento tra le due cose? Questo pensiero gli balenò nella mente.

“E se mi fossi appena liberato di quel problema?”

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I due impavidi eroi, oramai entrati nel più totale panico, si dissero che quella era l’unica cosa giusta da fare, se volevano ritrovare il loro senno. Ora, non so come perdersi in una foresta possa aiutare a ritrovare la via di casa, ma questa fu l’idea geniale che venne loro.

Si avventurarono nel fi tto della foresta, seguiti a distanza dal giaguaro bianco a macchie nere. La paura oramai era passata, o meglio ne avevano provata così tanta precedentemente che ora non ne avevano più nemmeno un briciolo in corpo. Il folto della foresta era veramente fi tto, e dovevano aiutarsi con le braccia, spostando arbusti ed erbacce, per proseguite verso il centro di quella giungla scura. I raggi del sole non penetravano la ricca trama di rami e foglie, la luce rimaneva all’esterno; e più si penetrava nel cuore della foresta e più diventava buio.

- Ma sei sicuro che sia la strada giusta, Taglio? - Le parole del Janda gli uscirono tremolanti dalla bocca, quasi come quando il vento passa vigoroso tra le fronde e le fa fi schiare.

- Veramente, per essere pignoli, qui non esiste nessuna strada; ed io sto andando a caso.

Taglio era più sicuro, calmo. Tutto quello che aveva vissuto in quei trenta minuti, che a lui sembravano giorni, aveva cambiato il suo carattere. L’aveva trasformato in un uomo più maturo, deciso. Ora sembrava quasi non curarsi del giaguaro che li seguiva, mentre Janda si voltava ogni istante per assicurarsi che non facesse balzi strani verso di loro.

- Guarda che ti puoi fi dare. Se avessi voluto mangiarvi,

lo avrei già potuto fare da quando siamo partiti. - Il giaguaro tentò di tranquillizzare il Janda, dopo che si era voltato per l’ennesima volta.

- Ma io non credo che lei voglia mangiarci, signor giaguaro. Semplicemente non vorrei perderla. - Tentò di difendersi il Janda.

- Guarda che ho intuito che hai paura di me, ma non ti preoccupare. Sono qui per aiutarvi. Guarda il tuo amico, ha forse paura di me, lui? E poi, puoi chiamarmi Collinster, se preferisci; e dammi del tu.

- Lo farò signor Collisnter. - Rispose con garbo al giaguaro, poi si voltò dal Taglio, e parlano sottovoce gli confi dò - Non è che mi convinca tanto quell’animale.

Piuttosto tu, hai capito dove siamo?

- Ti ho già detto che la strada non la conosco, sto andando a casaccio. E non continuare a farmi le stesse domande.

- Si, ma come facciamo a sapere se stiamo andando dalla parte giusta oppure ci siamo persi?

- L’ha detto anche il giaguaro prima, abbi fede. Se credi che la cosa riesca, riuscirà. Altrimenti hai già perso in partenza.

- Ben detto umano. - Rispose il giaguaro avvicinandosi alla coppia di amici. - E per dovere di cronaca vi informo che la strada è giusta e che state arrivano nel posto convenuto. Tra qualche istante saremo arrivati.

- Si, ma arrivati dove?

- Certo che sei un bel fi fone tu. Abbi fede ed arriveremo.

Anzi, eccoci!

Alle parole del giaguaro, la foresta si aprì d’un tratto, rivelando uno spazio privo di piante ed alberi, concentrico, nell’esatto cuore della foresta. L’erba che si trovava in quello spiazzo

vuoto sembrava tagliata a dovere da mani umane, ma la cosa era impossibile. Tutto intorno a quello spiazzo si potevano notare alberi secolari, altissimi, che defi nivano alla perfezione il cerchio interno. Al centro di quel cerchi, nel centro esatto, si trovava una roccia cubica, grigiastra.

I nostri due eroi dell’assurdo vennero presi da un’euforia incontrollabile. Dapprima stupiti, diventarono eccitati e poi infi nitamente felici di avere trovato quel posto che aveva qualcosa di sovrumano. Avvicinandosi ancora un poco verso il centro, dove stava la roccia, videro che sopra di essa vi era posato qualcosa. Il giaguaro, a quel punto, disse agli avventurieri fortuiti:

- Bene, ragazzi. Io ho terminato il mio dovere. Da qui in poi dovete proseguire da voi. Non c’è più nulla che io possa fare qui.

- Te ne vai così…

Ancora prima che Taglio fi nisse la frase, il giaguaro era scomparso, con un impetuoso balzo, dalla loro vista

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- Ti va un altro bicchiere di vino?”

- Grazie, amore.”

Ero al settimo cielo quella sera. Finalmente, dopo tanto tempo fatto di attese ed impazienza, ero riuscito ad avere una cena con la mia piccola Pam. Dopo la prima volta che ci siamo incontrati alla festa, lei non mi ha più voluto frequentare.

Diceva che voleva essere libera e che io l’opprimevo. Per l’occasione siamo a casa di lei. I suoi genitori non ci sono, come succede spesso, e così lei ha pensato di fare tutto a casa sua. La cena però l’ho preparata io. Sono un cuoco discreto, e per la serata ho preparato una cena di tre portate più il sorbetto.

Di antipasto avevo cucinato, in casa, una sfogliata ai formaggi, delle tartine al caviale ed un aperitivo con aperol, votka secca e succo d’arancia. Come primo mi sono sbizzarrito con un risotto ai frutti di mare, che ero andato a prendere freschi nel pomeriggio ed avevo pulito nelle tre ore seguenti. Come secondo, due fi letti di pesce spada ai ferri con la salsa (ricetta della mamma). Infi ne il sorbetto (quello però l’ho comprato già fatto). Tutto questo contornato da due bottiglie di buonissimo vino rosso di Franciacorta, preso dalla cantina del padre.

Le verso del vino, e con un sorriso d’assenso continuo il discorso:

- Perché vedi, siamo in un periodo di grande cambiamento, te l’ho già detto. La gente ora sta cominciando a capire certe cose, e le lotte per conquistare certi diritti e certe libertà ci dimostrano che l’uomo ha voglia anche di combattere per stare meglio.”

- Hai ragione, anche nelle profezie Andine del ritorno

dell’Inka si parla di questa nuova era, nella quale l’uomo si sveglierà e nasceranno persone nuove, in grado di fare cose che ora non siamo in grado di fare.”

- Ma perché credi a queste cazzate. L’uomo si deve evolvere si, ma non sarà una religione, né tanto meno degli indios sperduti in mezzo a delle foreste, ad insegnarci come dovremo vivere. L’uomo deve migliorare nella testa! Le sue idee ora sono limitate, usa solamente una piccola parte del cervello.

Ma se razionalmente cominciasse ad utilizzare più cervello, diventeremmo sicuramente più umani e più pacifi ci. E non c’entra nulla la religione.”

- Ma non capisci che possiamo evolverci solamente aprendo il nostro essere e collegandoci con l’assoluto?

Senza questo non riusciremo a fare nulla.”

Questo è un chiaro esempio di incomprensione dettata dal forte attaccamento alle proprie convinzioni. In realtà stiamo sostenendo entrambi la stessa tesi, ovvero quella dell’evoluzione umana ed il fatto che questa realtà storica sia pregna di cambiamenti sia sociali che religiosi. Molto probabilmente queste concause porteranno ad un’evoluzione esponenziale dell’uomo. Il problema è che i punti di vista sono diversi; uno affronta questo argomento dal punto di vista sociale, mentre l’altra predilige il punto di vista religioso-mistico. Il problema principale è che entrambi non vogliamo mollare la presa, non vogliamo cedere parte della propria posizione per ampliarla con la posizione dell’altro. Entrambi però abbiamo ragione.

- Io non l’ho mai visto Dio. E tu?”

- Neanche io fi no ad ora. Ma ho fi ducia, e so che fi no a che vivo proverò a mettermi in contatto con lui.

- E se passassi tutta la tua vita a rincorrere una cosa che in realtà non esiste? Non sprecheresti la tua vita inutilmente, ed arrivata alla fi ne ti chiederesti il perché?

Pam era evidentemente adirata. I suoi occhi si fecero incandescenti, come spesso succedeva. Questo mi eccitava parecchio. Ingoiò un’altra forchettata di risotto, prese il fi ato, si tranquillizzò e cominciò a parlare:

- Ora ti racconterò una piccola scommessa che fece un fi losofo che ora è morto. Mi pare fosse Cartesio, ma forse era Lemblitz7. O uno di quelli comunque. Questo diceva ad un ateo: “Va beh, facciamo una scommessa sull’esistenza di Dio. Se Dio esiste, alla mia morte io avrò vinto e sarò salvo, mentre tu sarai fregato. Se comunque Dio non esiste, avrò vinto io ugualmente, perché in vita avrò guadagnato una credenza che mi avrà fatto vivere meglio, e che mi permetterà di affrontare l’idea della morte in maniera più serena; mentre tu, avvicinandoti alla morte, ne avrai timore e vivrai male. Quindi capisci che in entrambi i casi ho vinto io?”

- Si, ma con le parole non si arano i campi.

- Sai che certe volte sei propèr8 insopportabile!

A questa frase seguì qualche minuto di silenzio, nel quale fi nimmo di mangiare il risotto che oramai era diventato

A questa frase seguì qualche minuto di silenzio, nel quale fi nimmo di mangiare il risotto che oramai era diventato

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