• Non ci sono risultati.

Luigia Bencivenga Febbre

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "Luigia Bencivenga Febbre"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

Luigia Bencivenga

“Febbre”

La febbricitante professoressa di francese, in tailleur marrone e camicia conventuale, ben scandisce il titolo del brano d’antologia da tradurre per martedì. Tomber malade: un cri de l’ame?

(Ammalarsi: un grido dell’anima ndr).

Gli alunni prendono appunti, la lettura procede lenta, scivola e s’espande sicura lungo cediglie e uà, interrotta da un rantolo trattenuto, a stento represso. Poi l’esplosione. Violenta. E ripetuta senza alcun decoro. Lo dimostrano rivoli di denso espettorato a schizzare il registro e pure il banco dello schifiltoso Boschetti Andrea. Imperativo morale, contenere il risolino, mano alla bocca, e attendere Gino, bidellus ex machina, che arriva arriva lesto mostrando all’adolescenziale uditorio un flacone di Toxolan©.

Toxolan. Tosse e febbre spariràn.

Basta un misurino a favore della congestionata donna (il primo piano ne esalta la regolarità dei lineamenti, la morbidezza della pelle di luna, e decine di micro erotici movimenti del labbro superiore), uno sguardo di riconoscenza a Gino (sopracciglio vittorioso di chi s’è giocato la carta migliore del mazzo) e in meno di un minuto la professoressa riprende a scandire parole inutili. Alla classe, fuori campo.

Una donna, al capezzale del figlio, bestemmia i santi per quella febbre che ne ha debilitato vie respiratorie e intestinali. La tosse s’è sedata, ma la febbre s’ostina a bruciare, chiazze rosso melograno soggiornano sul viso, e il corpo è uno spasmo generale, dai piedi di ghiaccio alla bocca a

salivazione zero. La notte l’ha trascorsa a spugnare fronte, asciugare i sudori, cambiare magliette intime ingiallite, ad ascoltare, con inusuale interesse, le frasi del delirio. La donna non s’arrende, ha con sé la soluzione finale, cui il figlio oppone resistenza. Son tutte storie, ma quale pudore e pudore, quando la febbre è così alta, non vedo quale possa essere migliore soluzione.

(Al telefono).

– Non ne sapevo niente. È dai tempi della scuola che non si confida più con me.

– (...)

– Un po’ meglio. Gli ho somministrato antipiretici, antitussivo, decongestionante naso bocca, proprio quello che mi hai consigliato tu. Purtroppo, la febbre è sempre alta.

– (...)

– No, la supposta non l’accetta. Non riesce a comprendere che è l’unico modo per rendere il farmaco

più efficace. In ogni caso, ne ho con me una confezione. Non si sa mai.

– (...)

– Stanotte. Alle 4.30. Non è l’ora ideale per ricevere una telefonata. Il solo squillo presagisce sventura. Mi dice, Corri, sto morendo. Ed io, Certo che corro, sei sempre mio figlio, ma tua moglie non c’è?, No, non c’è, Elsie è andata via che sono 6 giorni, corri, la bambina è con me e non riesco

(2)

nemmeno a tenerla in braccio. Così mi sono precipitata in questo covo di squatter. Se n’è andata da nemmeno una settimana, ma i vetri, i sanitari, il piano cottura, il pavimento, non s’insudiciano così tanto in una settimana!

– (...)

– Esatto. Non si può credere! Abbandona marito e figlia senza una spiegazione.

– (...)

– La febbre ha messo a dura prova la sua lucidità. E non solo. Ha serie difficoltà nell’articolare alcune consonanti, altre le omette del tutto. Non fa che tormentarsi di presunti dolori, inveisce contro la moglie e la chiama zoccola. Figlio mio, sei sicuro che non avesse un’altra relazione?, gli ho chiesto, No lo o, i no so niene, mi risponde e io che lo capisco pure senza consonanti vorrei dirgli, Così va la vita figlio mio. Le cose accadono, e non se ne sa niente.

Nei primi tempi della mia disintossicazione, Elsie mi lasciava in custodia la creatura, per ore. Lei aveva da fare, tra comparsate in una soap di una tv locale e pubblicità di carne in scatola, assorbenti interni, tintura istantanea per capelli e sciroppo per la tosse. Quanto a me, avevo poca intenzione di trovarmi un’occupazione. Preferivo, in cambio di vitto e alloggio, badare alla creatura semiparlante.

Niente di impegnativo. Bastava disegnarle fiori, palle e cuori, e scandire in falsetto fio- re - pal – la - cuo - re, fino a quando, in un fiato, la creatura esplodeva, o - re, a - la, o - re, con sputo finale di riconoscenza. Mai una parola per intero! La creatura è figlia di Tony Parola, glorioso spacciatore di quartiere, tuttora recluso a Poggioreale. Nei bei tempi, smerciava la migliore cocaina che io abbia mai potuto apprezzare. Cocaina Rosa, fresca, profumatissima. Da rivoltarti il naso. Volendo (ma solo su ordinazione) pasticche color verde shampoo. Talvolta, pure a pagherò. E fin qui, poco male.

S’era poi messo in testa di fare le cose in grande. S’era attrezzato la cantina a lounge bar, divanetti di finta pelle, vodka cinese, musica inutile ma rilassante, e tavolini muniti di cannucce inalatorie usa e getta. Ero tutte le sere lì. Lo strano via vai di tossicomani non fu ignorato dai vicini. Ed io, in un momento, mi trovai a corto di cocaina comediocomanda. A poche ore dall’arresto, avvertivo già gli spasmi dell’astinenza. Denso di malessere e con una gran voglia di risolvere la questione, incontro Elsie, la convivente di Parola. Lei mi fa capire che per avere quella cocaina non sarebbero bastati 5 anni. Aspetterò, le dico, Ritornerò al buon vecchio hashish. E dopo qualche complimento e due battutine da repertorio, prendo posto nel letto di Parola. E divento padre sostituto della creatura. I primi tempi, tutti i pomeriggi passava l’incaricata del comune, una specie di assistente sociale, vestita da hippy, i capelli unti trattenuti da una pinza blu, il seno sgonfio e oblungo. Col taccuino tra le dita ossute, faceva in modo che non s’avvertisse la sua presenza, quasi prendeva il colore del cassettone d’ebano davanti al quale usava sedersi. Dopo un quarto d’ora a recitare la parte dell’ottimo precettore, mi immergevo nel divano in compagnia di una birra e una canna, imbastendo conversazioni multi argomentative con la bambina semiparlante, da Cappuccetto rosso ad Alan Sorrenti, dal successo farmacologico del Valium alla rivoluzione castrista. M’appassionavo così tanto che inevitabili fuoriuscivano le parole cazzo, inculato, figlio di puttana, rievocate in eco dalla creatura, azo, ato, ana. Troppo, pure per una specie di assistente sociale dalle idee liberali, pronta a relativizzare ogni mia mancanza ed eccesso. Non le restava che gridare indignata, Adesso basta, la misura è colma. O sposa Elsie, o le togliamo la creatura. L’ho sposata, ho dato un cognome alla figlia semiparlante, e l’ho amata.

(3)

Elsie è bella. Ha la carne d’ovatta in cui immergersi. I capelli neri di nylon brillante. Gli occhi grigi del mare d’inverno. I seni danzanti. Nemmeno la febbre può fermare l’ostinato formicolio che investe la mia pelle solo a pensarla. E’ figlia di un usuraio napoletano e una mezza norvegese, innamoratasi a diciotto anni di Tony Parola, e a venti di me. Nel mezzo, la creatura, quasi muta, che pare vergognarsi pure di piangere o lamentarsi. A mia madre non è mai piaciuta Elsie. Cosa vuoi aspettarti da una figurante senza talento? Mai l’avrei informata della fuga di mia moglie. Avrei accampato mille scuse, pur di giustificare la sua assenza. Invece mi è salita la febbre, e l’ho chiamata, Ma dov’è tua moglie?, E’ andata via, In che senso via? Credo che abbia abbandonato me e sua figlia, ed io non so nemmeno il perché. Ora è al mio capezzale, dopo aver igienizzato la casa e sistemato la creatura. Parla in loop. Da sola o al telefono con la fidata vicina di casa. Ho imparato, in parte, ad ignorare le sue parole, percepisco solo suoni a percuotere le mie orecchie piene di rumori di ossicini semoventi e canzoni di Alan Sorrenti del periodo prog. E già mi sento in colpa per questi pensieri meschini in direzione di chi ha subito una drammatica lacerazione vaginale per mettermi al mondo. Invoco giusta pena.

Gli occhi mi si chiudono su ciglia incrostate, sono un brodo di carne e lacrime in cui sembrano cuocersi tutti i dolori del mondo. Imperativo morale. Mantenere l’ultimo barlume di lucidità.

Sospetto che la mia amata madre porti con sé qualcosa da infilarmi nel culo, lo ha sempre fatto al minimo variare della temperatura del mio corpo. Ho sempre opposto resistenza tanto che lei si vedeva costretta a chiamare rinforzi. La vicina di casa su di me ad immobilizzare la gamba destra e la sovracoscia anteriore sinistra, in modo da stabilire un’apertura a V dei due arti, la mano di mamma ad impugnare la supposta (o peretta evacuante e/o mini-clistere in gomma arancione). Ad infilare, inserire o spruzzare. Un’invasione di un esercito fluido e glicerinico che raggiunge tutti gli avamposti interni di un bimbo. Non serve a niente protestare. Basta solo piangere di odio.

Un uomo e una donna riposano nudi su un letto dopo le fatiche dell’amore. L’uomo – la muscolatura sgonfia ne rivela l’attitudine al divano – ha chiuso gli occhi, e offre alla donna parte del bicipite destro. Non è dato sapere cosa stia pensando, l’espressione è di quiete, quella che non s’aspetta nulla tranne che restare tale. Anche la donna – la pelle segnata del ventre ne rivela una non recente gravidanza – ha gli occhi chiusi e li strizza attenta a non muovere il capo per non svegliare il compagno.

La fronte della donna brucia, stringe i pugni e indurisce il corpo come una città cinta d’assedio.

Una moltitudine di guerrieri a cavallo s’avvicina. Può sentirne il rumore. L’esercito è alle porte ma ha già portato via gli umori che qualche tempo prima l’avevano resa molle, pronta ad accogliere l’uomo dopo le consuete parole d’amore. La donna è muta sebbene presagisca altra sciagura e ne pregusta l’orrore. Avrà il suono metallico delle lance e dei pugnali che macellano carne vive. E gli odori degli agnelli sacrificali rassegnati alla fine. Non resta altro che pregare un Dio ignoto o ignorante, ora che i guerrieri sono sul suo corpo, che alla rinfusa ne attraversano ogni interstizio, urlando come ossessi la possibile vittoria. Dio, liberami da questo esercito che m’impedisce l’amore, pensa e le lacrime tiepide scendono sul viso, qualcuna investe pure il braccio adiposo dell’uomo, suscita piccoli sussulti notturni. Niente paura, non si sveglierà, lui, beato, che ignora gli assedi e il balletto di danze che ora si svolge in direzione del cuore di donna. È il momento di agire, pensa lei e non le resta altro che aprire gli occhi, chiudere i varchi della città, respingendo i guerrieri che, uno ad uno come giocattoli, cadono sulla terra calda di sangue, lontani da quell’atipico cuore.

Poi si alza, si riveste alla svelta, e fugge via.

(4)

Non ho mai gattonato. Sarebbe stata la soluzione ideale per guardare il mondo. Non in questa casa. Il pavimento è denso di molliche antiche, pezzetti di provolone, bucce di mele e arance, involtini di carta stagnola, grumi di cenere, frammenti di unghie del piede di un uomo, e tutto quello che di solito gli adulti coscienziosi usano raccogliere al momento e poi buttare. È parecchio che sto su due piedi. E ho acquistato una certa agilità, per meglio seguire chi si aggira per questi luoghi nebbiosi. Mimmo specialmente, che trascorre tutto il suo tempo a vegliare su di me, tra l’incavo del divano e lo scrittoio, ottimo piano d’appoggio per la confezione di sigarette dall’odore strano.

Mimmo alla sporcizia non fa caso. Mette in moto gli anticorpi.

A lui, e pure a me, piace ascoltare i dischi di Alan Sorrenti, mangiucchiare provolone piccante, e parlare di cose da grandi. La questione del mio vero papà, ad esempio. Un certo Tony Parola che vende una droga assai speciale che ti fa dimenticare di essere al mondo. La polizia questo non lo vuole, perciò per un po’ di tempo se ne starà al fresco. È vero, io non riesco ancora a parlare, ma Mimmo capisce che la questione del mio vero papà m’inquieta, allora mi rassicura, Sarò sempre io il tuo papino, per tutto il tempo che ci rimane. E io sospiro di leggerezza. Nello spazio del mio mondo che va dal divano al bagno, dove non c’è fretta, tanto prima o poi una parola intera la dirò.

Non ti vergogni che non sai dire nemmeno il tuo nome? È la mamma a dirmi queste cose brutte, quando è a casa. Poco, per la verità. Per il lavoro che fa, sta sempre in giro, ben vestita e piena di brio. Fa la figurante in Amarsi a Napoli, e s’arrangia con la pubblicità. Pannolini per grandi e sciroppo per la tosse. È in costante baby blues, mi ha partorito da 3 anni e ancora non se ne fa una ragione. Nei periodi di forte malumore, decide di non parlare, preferisce scrivere bigliettini che Mimmo poi mi declama con la voce metallica di tabacco e chissà che.

Altre volte, la mamma mi mette in vasca e mi sfrega forte forte fino fino a spellarmi. Io non dico niente. Non dico mai niente. Il giorno prima di fuggire mi mette in vasca, aspetto la sua furia sfregatoria a denti stretti. Invece avverto le mani della mamma, calde, morbide di pasta, salgono lungo la schiena, solleticandomi, si fermano intorno al collo, percepisco la pressione del massaggio, sempre più intensa che s’ avvicina al collo, le dita si incrociano, le vedo, ora stringono, in una morsa che da leggera non fa sentire più l’anima, scivolo ma non del tutto, volto gli occhi su di lei, i denti fuori e la bava penzolante. Occhi negli occhi di orrore. Molla la presa. Corro, vado da Mimmo che dorme sul divano, vorrei svegliarlo, e dirgli qualcosa. Ma non mi esce niente. S’è fermato tutto qui. Per sempre.

Son tutte storie, ma quale pudore e pudore, quando la febbre è così alta, non vedo quale possa essere migliore soluzione. Pensa, si guarda intorno, l’appartamento è pulito, se n’è accorta pure la creatura che corre spedita, col paio di manine e piedini che si ritrova, sul pavimento ora liberato da mucillagini e lordure varie. La donna è stremata, avverte i dolori della fatica delle infermiere del turno di notte. La zavorra della compassione. Che s’annida all’altezza delle caviglie gonfie e viola.

Nel corso del giorno, ha alternato le cure a lunghe conversazioni telefoniche con Lina, la beneamata vicina di casa. La loro intimità è quella di chi si scambia informazioni di largo respiro. Fughe, ritorni, lutti dei rispettivi mariti. Somministrazioni di antibiotici ai figli senza alcuna prescrizione.

Farmaci terminanti in ox – an – ina – im – en – ent – olo – on – in – ax – or – ac da riempire un ripiano della credenza. Cui affidare il proprio destino. Per poi, in caso di bisogno, bussarsi nel cuore della notte in doloroso affanno, Hai un …en? Certo che ce l’ho, non mi manca mai! Quando l’una

(5)

non sa che fare, si rivolge all’altra sicura di ricevere giusto e severo consiglio, talvolta ammonimento, senza troppe parole, basta decodificare il tono di un ghigno.

La donna, ben rassicurata dall’amica vicina, rovista nella borsa, libera una supposta dall’involucro di plastica, scopre il corpo che giace di spalle sulle umide lenzuola, tira giù il pigiama e con inusuale abilità, infila il medicamento nel culo del figlio. La reazione è immediata, la febbre è sparita. Mimmo è tutto una furia di ingiurie rivolte alla madre che con passo felpato s’allontana.

Ora. Tace. Il cattivo figlio accusa il peso della colpa raggrumata in gola. Riesce solo solo piangere sul catalogo dei suoi fallimenti. La creatura s’avvicina carezzandolo sulla barba umida di pianto. Papà ti voglio bene. Dice. Tutto per intero. Senza accoppare consonanti difficili. Tutto pieno di pienezza dell’amore vero.

Riferimenti

Documenti correlati

Un bambino di 8 anni, filippino, giunge alla nostra at- tenzione per comparsa di febbre, tosse secca e rinite da 4 giorni, e dal giorno precedente comparsa di esantema

• I farmaci antipiretici non prevengono le convulsioni febbrili e non devono essere usati solo a questo scopo. • Le spugnature tiepide non sono raccomandate per il

Il pediatra ha oggi preso sempre più confidenza con la cosiddetta sindrome PFAPA (caratterizzata da febbre, tonsillite, adenite e aftosi a ricorrenza periodica) che

Nei giorni seguenti si assiste a un graduale miglioramento delle condizioni cliniche, con riduzione dell’epatomegalia, degli indici di citolisi e di colestasi.. Il piccolo

Se il bambino presenta febbre da poche ore senza sintomi specifici o condizioni generali compromesse. Quando mi devo rivolgere al Pronto

Un bambino malato non lo si butta via soltanto perché scotta. Non è mica un peccato un po'

La febbre West Nile, o febbre del Nilo Occiden- tale è causata dal virus West-Nile, oramai en- demico nel nostro territorio, trasmesso con la puntura di zanzare infette

Con un risultato soddisfacente dal punto di vista teatrale, pur mantenendo il suo scopo divulgativo: grazie anche all'incontro co- struttivo con Tangram Teatro - sensibile alla