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Guido Sperandio DETECTIVE OSSODURO, MISSIONE NATALE Help! Dov'è finito Babbo Natale con le renne?

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Academic year: 2022

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(1)

Guido Sperandio

DETECTIVE OSSODURO, MISSIONE NATALE Help! Dov'è finito Babbo Natale con le renne?

my indie book

Copyright © 2014 di Guido Sperandio Tutti i diritti riservati -All rights reserved. No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means, electronic or mechanical, including photocopying, recording, or by any information storage and retrieval system, without written permission from the author.

***

INDICE Basta

Notizia-bomba Buio

Una speranza In salsa In pista

La X-Mas Company Stop

Dispari e pari Meno tre...

Incubo

Il piano X-Zeta Meno due...

Meno uno...

Meno...

Sull'abisso Miracolo Mani in alto!

Natale!

Ciao, sono Guido

***

BASTA

Era il mio ultimo giorno in Polizia. Avevo appena restituito pistola e distintivo al capo.

Di solito, quando gli dicevo: -Ho maturato la pensione, mi ritiro -, il capo sghignazzava: -Figurarsi, proprio tu, Ossoduro. Il mastino più mastino d’America, il cane-poliziotto più famoso a Big Bang City: come ti chiamano tivù e giornali. Mi sembra di vederti giocare coi nipotini ai giardinetti.

Lontano da qui, non ce la faresti a resistere un giorno. Tanto vale che resti -il capo troncava.

Trovava sempre una buona ragione per impedirmi di andare.

Stavolta, però, ho tenuto duro.

L’ho piantato.

Dò un’ultima occhiata alla mia vecchia sgangherata scrivania. L’accarezzo: -Sorellina, addio.

Fuori la neve cade lenta. Manca poco a Natale.

(2)

I fiocchi sono arrivati in tempo per fare del Natale una bella cartolina.

NOTIZIA-BOMBA

-Oss! -una voce mi riscuote.

È Nick. Il mio secondo di pattuglia.

È fresco di Scuola di Polizia, è un pivello, e adesso mi aspetto che mi saluti in lacrime. È un tontolone, e certe scene non mi vanno.

Invece.

Nick è per niente commosso. Anzi. È eccitato: -Sai l’ultima? Babbo Natale è sparito.

Nick sembra quasi contento. È come tanta gente. Più un fatto è orripilante, più pare goda. Ci fa dentro.

Raccontala a un altro -ringhio. È una notizia inverosimile. Troppo. Ma vedo il capo. E il capo mi assale: -Detective Ossoduro! Riprenditi pistola e distintivo. Ritrova Babbo Natale. A rischio di rivoltare la città fin dentro nei tombini.

Dunque, è vero.

Non posso tirarmi indietro a questo punto.

Mi infilo in bocca un ossicino aromatizzato all’essenza di pollo.

È il mio modo, quando sono nervoso, di fumare.

BUIO

Nella mia lunga carriera ne avevo viste e sentite. Ma questa era grossa.

Natale senza Babbo Natale!

Mi aveva preso una gran tristezza.

Cammino avanti e indietro, mi domando: come può essere successo.

Mi infilo in bocca l’ennesimo ossicino.

Ho finito l’intero pacchetto nel giro di un istante.

***

-Ehi, Oss! Non dovevi essere in pensione. In braghette, in spiaggia, al sole della Florida? -Nick che ride. Anzi, sghignazza.

-Invece sono ancora il tuo capopattuglia e l’ordine è: chiudi il becco.

Ho l’impressione che, negli ultimi tempi, sia troppa la gente che sghignazza. Se è una moda, lo stesso, non mi va. Afferro al volo una mosca.

L’intenzione è di far vedere a Nick cosa può succedere a chi, come lui, ronza troppo. Ma rifletto:

povera mosca. Per quanto piccola e poco considerata, è pur sempre un essere vivente.

-Vai! -allento il pugno.

La mosca vola via. Felice.

L’invidio.

Vorrei, in questo momento, essere al suo posto.

***

(3)

Cammino avanti e indietro: Ma, per quanto mi sprema, la lampadina in testa non si accende. Non so da che parte incominciare a indagare. E non c’è tempo. Tanto vale. Proviamo a perlustrare la città.

UNA SPERANZA

Non c’è come lo smog, acre e denso. Tu lo respiri, inspiri, e lui ti ispira.

Nick al volante e io al suo fianco, ci eravamo schiaffati nel traffico più duro. Ed ecco che, dentro la nuvola nera degli scappamenti, l’idea mi scatta. Ad un semaforo. -Nick, andiamo all’entrata Nord delle autostrade -comando. Nick sgomma.

La ricetrasmittente di bordo mugola: “Attenzione, qui, Centrale. Segnalata banda di corvi.

Aspettano le cangure, fuori dai supermercati, per scipparle della borsa”.

Chiudo.

Sono concentrato.

Mi disturba.

Lasciamo le luci della città. Lampioni e palazzi si stanno diradando. Corriamo nell’estrema

periferia. Davanti, in fondo all’orizzonte, filano schegge luminose. Sono le macchine che sfrecciano sulle high-way che portano in città.

La neve cade lenta, fiocca.

Le farfalline escono candide dalla gola profonda nera della sera. Ci vengono incontro. Danzano.

SCIAK!, si spiaccicano sul parabrezza.

-Oss!

-Che c’è?

-Perché andiamo dove stiamo andando? -la domanda è nello stile tipico di Nick.

-Più che un’idea precisa è una sensazione. Chiamala speranza.

-Quale?

-Babbo Natale incomincia ad avere i suoi anni. Sono secoli che va e viene con la slitta. Chi ci dice che non sia un poco svanito? Aggiungi che la città non fa che trasformarsi. Già è difficile per un giovane, lucido, orientarsi...

-E allora?

-Babbo Natale potrebbe essersi smarrito. Con tutti quei cartelli, indicazioni, nomi e frecce, sovrappassi e sottopassi, rotonde, caselli, entrate e uscite.

-E già.

-E anche le renne. Abituate ai grandi silenzi del Nord. Alla pace delle foreste. Infinita. Figurarsi.

Trovarsi tra camion, sirene, orchestre di clacson e di motori scatenati. Le renne potrebbero essersi imbizzarrite. Essersi lanciate a correre a caso, chissà dove.

La prova che il ragionamento filava fu che perfino Nick l’aveva capito: -Da questo momento, sarà bene aguzzare gli occhi -aveva detto. -Babbo Natale potrebbe essere qui in zona, nel buio, a brancolare.

-Esatto -dico.

In tempo.

Si profila un’ombra.

IN SALSA

(4)

Nick inchioda. I fari della Pantera inquadrano una renna.

È una delle renne di Babbo Natale. Non ho dubbi. Sul suo mantello -nonostante la coltre di fango -si intravedono luccichini e lustrini. Il look del classico Natale. Non perdo tempo. Assalgo la renna di domande. Ma è provata. Non ce la fa a parlare. Respira a fatica.

-Carichiamola in macchina -dico. Non è facile. Non è una pulce. E anche le corna sono un bell’ingombro. Mica si possono svitare.

A fatica riusciamo a coricare la renna, dietro. Sui sedili. Con la testa fuori dai finestrini per via delle corna.

Ripartiamo.

***

Nick picchia sull’acceleratore. Va matto per le corse. A eccitarlo dev’essere il FI-U’, FI-U’ della sirena e l’idea del lampeggiante che sprizza sprazzi pazzi. Blu.

Ma nevica.

La Pantera slitta.

-Attento! -grido.

CRAAASH!

Una corona di graziose stelline mi gira intorno agli occhi.

Mi risveglio.

Coperto di pomodori. Una montagna.

Gocciolo succo dai baffi. Mi guardo attorno. E vedo rosso. Il più intenso dei rossi. Impressionante.

Sembra sangue.

Da fare venire l’acquolina in bocca a un vampiro.

E far pensare che non bastino i cerotti:

agli infermieri delle ambulanze accorse.

-Bravo Nick -dico. -Bella salsa hai combinato.

-Chi mi paga? -mi assale l’autista del camion che la Pantera ha sventrato. L’autista è rosso. Non per i pomodori. Ma di rabbia. -E adesso? -urla. -Cosa ci faccio con tutto questo sugo?

-Una spaghettata -io.

Mi ripulisco delle bucce. Mi fulmina un pensiero: -La renna, dov’è?

È scomparsa.

???

Segnalo la sparizione della renna alla Centrale? Dovrò confessare al capo di essermi lasciato scappare una preziosa testimone?

Il rosso del pomodoro dovrebbe bastarmi. Non è il caso che lo rinforzi col rossore di una indicibile vergogna.

Io, il super-poliziotto. Proprio adesso al termine di una brillante e onorata carriera!

Nell’attesa che mi venga un’idea, mi avvio verso la macchina. Più che a una Pantera, assomiglia a una scatola di conserva. Gronda pelati.

(5)

Nick prova a girare la chiavetta.

La Pantera sussulta, spara pomodori e finalmente scatta.

Ripartiamo su quello che resta di un bolide potente.

***

La ricetrasmittente gorgoglia. Segno che qualcuno cerca di mettersi in contatto. Manovro tasti e manopole. Niente da fare. Il crash deve avere messo l’apparecchio fuori uso. Ricorro all’ultima risorsa: uno schiaffone.

Lo mollo.

La voce, di colpo, esce.

Forte e chiara.

Riconosco l’inconfondibile boato. È il capo.

Ogni volta che mi parla, mi lascia con i peli delle orecchie, dritti, per un mese.

-Oss, complimenti -il capo. -Ti aspetto, subito, al Distretto.

Nella mia testa sbuca un gigantesco punto di domanda.

***

Trovo il capo in sala operativa. Mi sorride. -Bel colpo, Oss! Hai centrato il camion giusto, possiamo considerarci su una buona pista.

Ricambio il sorriso. Fingo di capire. In realtà, ho il buio in testa.

Per incominciare, il capo come fa a sapere dell’incidente?

Glielo avrà detto un uccellino, penso. A Big Bang City -si vede -gli uccellini cantano che è un piacere.

Il capo mi spiega. -Una Volante ha trovato la renna che ha riferito tutto. Abbiamo messo la sua dichiarazione a verbale.

!!!

Leggo il verbale: quello che la renna ha raccontato:

“Eravamo partiti come ogni anno, secondo la tradizione. Babbo Natale aveva caricato la slitta di doni e noi, renne, ci eravamo messe in fila, felici di trainarla.

Il viaggio era proseguito, regolare. Tabella di marcia rispettata. Arriviamo alle porte di Big Bang City.

Babbo Natale cerca sulla piantina il primo indirizzo per incominciare le consegne, quando un camion ci taglia la strada.

Scendono dei ceffi che spalancano gli sportelli dietro del camion e ci spingono dentro insieme a Babbo Natale e alla slitta con i doni. Io dò uno strattone alla briglia, mi libero, spicco un salto, scavalco il ciglio della strada, mi sparano, le pallottole mi fischiano tra le corna, ma non mi colpiscono, galoppo, corro non so quanto. Incontro una Pantera...”

Interviene il capo: -La renna, quando ti sei scontrato con il camion di pomodori...

E io completo: -...ha riconosciuto che era della stessa ditta di trasporti che aveva rapito Babbo Natale. La renna ha creduto a un nuovo agguato. Si è spaventata ed è scappata.

Modestamente, sono uno dalla testa svelta. Io.

(6)

-Già -il capo.

Mi picchia una zampata sulla spalla: -Bravo! -Poi avvicina il suo muso e abbassando il volume del suo potente audio: -Ma come hai fatto a capire che la ditta colpevole era quella? La renna non ti aveva ancora detto niente.

-Questione di fiuto -mento.

Sapendo di mentire.

IN PISTA

Si tratta di un vero e proprio rapimento. Ma chi può essere stato?

Una ditta di trasporti?

Non ci credo. Figurarsi.

Mi occorre un pensatoio. Per riflettere.

Alla mia scrivania è impossibile. I colleghi -credendomi in pensione -l’hanno già ricoperta di tutto il ben di Dio che cresce e avanza: monitor di computer fuori uso, vassoi con tazzine sporche di caffè, bottiglie vuote di birra, pacchi di carte polverose. In cima al mucchio, scopro perfino la fotografia ingiallita di una giraffa con la scritta “Wanted”. “Ricercata. Taglia 1000 dollari”.

Si vede solo il collo.

Rido.

Lungo com’è, non sono riusciti a fare stare nella foto la cosa più importante: il muso.

***

Vedo un tavolo libero in fondo alla sala operativa. Mi fiondo. Attraverso una nuvola di squilli di telefono e di fumo. Ma non arrivo in tempo. Il tavolo lo occupa un collega per interrogare un tale che fa, di mestiere, l’inventore di merendine.

Conosco bene quel tale.

Ho passato la vita, si può dire, ad arrestarlo.

La prima volta, aveva trovato la formula per fare “I biscotti del Sano Buongiorno” con la spazzatura. (Il colmo: m’era capitato di mangiarne un pacco, senza saperlo, e -miracolo della scienza! -li avevo trovati anche gustosi.)

Un’altra volta, l’ho beccato che aveva prodotto il cioccolato fondente. Poco male. Se non fosse che era fondente perchè fondeva la pancia.

Poi, aveva trovato il modo di fabbricare il torrone con l’uranio che avanzava dalle bombe.

Ma, stavolta, non sapevo perchè l’avevano ingabbiato. Nè mi interessava.

Avevo già il mio problema.

***

Andò a finire che il primo posto tranquillo, che trovai, fu in gabinetto.

Ne uscii poco dopo.

Con l’idea.

***

Mi recai all’Archivio.

-Ehi, Briciola, butta? -dico.

(7)

-Butta -lui. È un bravo tipo. È un volpino. Uno che non si tira indietro e che collabora.

-Mi servono notizie su una certa ditta -specifico. -Si chiama Fulmine... Fulmine Express. Fa trasporti.

Briciola smanetta al computer. È orgoglioso del suo marchingegno e, un attimo dopo, mi mostra trionfante il video: -Visto? Già trovato.

-Sei un magooo! -gli picchio una zampata sulla spalla.

Leggo nel monitor che la Fulmine Express è un’azienda che appartiene a un’altra azienda, la quale appartiene a una terza azienda, che appartiene a una quarta azienda...

-Da fare venire il capogiro. Un bel camuffamento -commento. -Per farla breve, tutta questa roba è di una certa International Ku con sede su un’isoletta sperduta nell’Oceano. Non c’è da ridere?

-Abbastanza -fa Briciola. -Adesso, scommetto i baffi, vuoi sapere anche di questa International Ku.

-Ci puoi giurare -osservo. -Da tempo, ho un sospetto...

-Mica facile -Briciola si allunga una zampa sotto l’ascella e si gratta.

***

C’è da dire che Briciola è un artista nel suo genere.

Parte a smanettare, innesta Internet, naviga, si collega al Brasile, va in Australia, prende siti nel Lussemburgo e dei Caraibi, fruga il mondo. Insomma, vedo passare di tutto sullo schermo. Aziende che producono dalla gomma da masticare a quella per pneumatici. E che -oltre a ogni genere di gomma -fabbricano anche qualsiasi cosa si possa immaginare in plastica, legno, acciaio, carta.

Appaiono aziende che vendono, comprano, trasmettono, collegano, trasportano. File di nomi scorrono sul video. Briciola è un mago.

Riesce a cavare dal computer quello che sospettavo:

la Fulmine Express e la X-Mas, la grande multinazionale del Natale, hanno un identico padrone.

Tra le due aziende c’è un legame.

LA X-MAS, CHRISTMAS COMPANY -Andiamo -salgo sulla Pantera.

-Dove? -Nick mentre la Pantera spara un pomodoro (spero l’ultimo).

-Alla sede della X-Mas, Christmas Company.

-E già -il tontolone sorride. -È Natale.

-Non è per questo -sbuffo. -Non ci vado per comperare i regali con lo sconto.

-Non correre, vai piano -aggiungo subito. Nick sta già esagerando.

Non vorrei centrasse un camion di carciofi. (Non mi va di finire, stavolta, in mezzo ai pungiglioni.) Strada facendo, gli racconto la storia che ho scoperto, grazie a Briciola. È complicata, ma Nick la capisce. Stranamente. Mi chiede soltanto: -Cosa vuol dire multinazionale?

-Che è dappertutto. In molte nazioni.

-Ah!

Silenzio.

-Ma perchè la X-Mas ha fatto rapire Babbo Natale -Nick torna alla carica.

-Non lo capisci? La X-Mas ha fatto del Natale il suo grande business.

(8)

-Business?

-Certo. Guadagna su tutto quello che c’entra col Natale. Vende globi, illuminazioni, alberi, cartoncini, doni.

-Ah! È vero.

-Soprattutto... -aggiungo -la X-Mas ha il sito su Internet: Christmas punto com. L’ha lanciato con una pubblicità che non finisce di martellare. Ci ha speso capitali.

-Ah! È vero.

So di mettere il cervello di Nick a dura prova. Ma non si sa mai che il pivello cresca e riesca un giorno a diventare magari intelligente. Spiego: -I bambini mandano le loro e-mail con le richieste di doni al sito Christmas.com. E i doni vengono consegnati da robot rossi su minidischi volanti pure rossi. La X-Mas ha conservato solo il colore, il rosso, del Natale. Del resto, ha fatto sparire Babbo Natale apposta. Per eliminare il suo unico, solo, grande concorrente.

-È vero -il viso di Nick si illumina. Ha capito.

Mentre un brivido parte dal cervello e mi gela il cuore.

***

Non è gente quella da scherzare. Immagino la fine che faranno Babbo Natale e le sue renne.

Del primo faranno scomparire ogni traccia.

Quanto alle renne, non esiteranno a ridurle in bistecche e ad usarne anche le pelli. Per farne stupidi giubbotti.

-Devo inchiodarli, e presto -dico. -Ma occorrono prove, odiug! Ecco perché stiamo andando all’X- Mas.

Spero di riuscire a farli parlare. Impasticciarli con le loro stesse parole. E incastrarli.

STOP

La sede della X-Mas è un grattacielo di vetro e cemento che domina il cuore della City. Nel grattacielo, tutto è automatico. A cominciare dalle porte. Quando arriviamo, si aprono da sole.

Entriamo in un grande atrio.

Cerco un usciere, un portiere, un qualsiasi essere vivente, umano o animale. Ma non vedo alcuno.

Davanti, un sistema di barre d’acciaio ci impedisce di andare oltre. Mi chiedo se siamo capitati in una fortezza in guerra. La mia antipatia per la X-Mas aumenta. Caccio una zampa in tasca. Guai se non mi faccio un ossicino. Subito.

Una voce amplificata da un microfono rompe il silenzio. Cala dall’alto. Alzo gli occhi. Scorgo su, a destra, un gabbiotto blindato. E, dentro, uno della Security. Una di quelle guardie private che giocano a fare da sceriffi. E che pare soffrano di non avere qualcuno a cui sparare.

-Lei cosa vuole? -la voce dall’alto.

Mi fa sentire come se aspettassi d’essere ricevuto dal Padreterno. E giudicato: se essere ammesso in Paradiso. O spedito all’Inferno.

Ho la sensazione che mi manderanno all’Inferno.

-Detective Ossoduro, Polizia! -mostro il distintivo. -Devo parlare con qualcuno che conta.

-Ce l’ha il pass? -la voce dell’arcangelo-sceriffo. -Non si entra senza tessera magnetica. L’accesso non scatta.

Scatto io: -Ho detto: Polizia.

(9)

-Se vuole comunicare mandi un fax o un’e-mail.

-Ho bisogno di parlare di persona. Dico: DI PERSONA.

Nick mi tira per la manica.

Teme che possa compiere qualcosa di cui pentirmi.

Non ha torto.

***

Lo “sceriffo divino” s’era finalmente deciso a telefonare all’interno. Ma dopo un giro infinito di chiamate, mi aveva comunicato che niente da fare. Nessuno lì dentro era autorizzato ad autorizzare.

In altre parole: in un grattacielo zeppo di migliaia di persone, non ce n’era una che se la sentiva di darmi il permesso di entrare.

Nick era tornato a tirarmi per la manica: -Lascia perdere, Oss, andiamo.

M’ero infilato un ossicino. Senza rendermi conto di averne in bocca quattro.

Di ritorno al Distretto, avevo spedito un fax alla X-Mas, chiedendo di interrogare il Presidente. Mi aveva risposto la sua segreteria (via fax):

“Ci faccia avere le domande per iscritto. Le passeremo ai nostri avvocati che le risponderanno, se è il caso.”

Troppo complicato per i miei gusti.

Neanche gli ossicini aromatizzati delle migliori marche mi bastavano ormai, tant’ero nero.

Oltretutto, la notizia del rapimento di Babbo Natale era arrivata ai media, televisioni e giornali. Ed era tempo di elezioni.

DISPARI E PARI

I cittadini di Big Bang City dovevano votare per eleggere il Sindaco. Potevano scegliere uno del partito dei Pari o dei Dispari.

“Votate per noi” strillavano i Dispari. “Qual è il numero perfetto? È il tre. E tre non è forse dispari?

Per non parlare del sette, numero sacro per gli antichi Egizi.”

Ribattevano i Pari: “Anche tredici e diciassette sono dispari. E il cielo sa la sfortuna che portano”.

Dalla parte dei Pari si erano schierati molti esseri umani. Insieme ai polli. In quanto bipedi. E anche parecchi mammiferi, i quattro zampe, in genere.

***

Una discussione era scoppiata circa lo zero.

I Pari sostenevano: “Lo zero è pari”.

I Dispari: “Non è dispari, di certo, ma neanche pari. Lo zero è zero. È niente.”

Si inferocivano i Pari: “Se lo zero non vale proprio niente, non ci sarebbero miliardi e milioni.”

La lotta si era fatta accanita. Perfino Cammelli e Dromedari, nonostante le quattro zampe, in comune, avevano trovato il modo di affrontarsi.

I primi, i Cammelli, sostenevano i Pari. Forti delle loro due gobbe.

I Dromedari, che di gobbe ne avevano una, si erano battuti per i Dispari.

Quando era arrivata la notizia del rapimento di Babbo Natale, ai Pari e Dispari non era sembrato vero di avere un motivo in più per questionare.

(10)

I Pari avevano accusato gli avversari: “Siete stati voi. Tutto perchè le renne di Babbo Natale sono sei”.

Gli altri si erano difesi: “Ma Babbo Natale è uno. Numero indiscutibilmente dispari. E poi la Polizia sta indagando sulla X-Mas. Non su di noi”.

Apriti cielo.

Il Presidente della X-Mas era immediatamente intervenuto: “Si prega di non tirare in ballo la X- Mas. La X-Mas è amica di tutti. Sia dei Pari che dei Dispari. Senza distinzioni. La prova? Le offerte che noi facciamo 3 x 2. Per non parlare dell’ultima promozione, appena lanciata: Non c’è 2 senza 3.

Per quanto riguarda Babbo Natale -il Presidente aveva precisato -sia ben chiaro che noi non ne sappiamo niente e non c’entriamo. E guai a chi oserà accusarci di qualcosa”.

Nel frattempo, il Presidente aveva protestato col massimo Capo della Polizia: “È inaudito sospettare della X-Mas”.

***

La X-Mas era un’azienda grande e potente. E il Super-Capo della Polizia non se l’era sentita di dar torto al Presidente. Aveva mandato un fonogramma al mio Distretto:

“Lasciate in pace la X-Mas”.

Il mio capo, a sua volta, non aveva perso un attimo a chiamarmi: -Oss! -aveva tuonato nelle mie povere orecchie. -Lascia in pace la X-Mas.

Mi aveva girato le parole del fonogramma. Tali e quali.

MENO TRE...

La voce del capo mi aveva trapassato le orecchie come una palla di cannone. Era trascorso un bel po' da quando avevo abbandonato il suo ufficio, e ancora mi sentivo rintronato. Non bastasse, mancavano appena tre giorni ormai, a Natale. E mi ritrovavo con l’indagine bruciata. Sul più bello.

Mi aveva preso un gran bisogno di aria fresca.

Ero uscito, in strada, a camminare.

Nelle vie risplendevano gli addobbi. Ma ogni stellina e decorazione luminosa aveva l’effetto di abbassarmi il morale -già a terra -di una spanna.

Tutto era pronto. Ma Babbo Natale dov’era?

Di Babbi Natale ne erano apparsi, è vero. Ma erano brutte copie. Si trattava di vecchi malandati con la barba di plastica, finta, appiccicata, che speravano di rimediare qualche spicciolo. Se sorridevano, poi, cadeva loro di bocca la dentiera.

Big Bang City aveva smesso di piacermi.

La vita, qualche volta, proprio non è bella.

Ero rientrato al Distretto.

Peggio di quando ero uscito.

-Qual è la capitale del Marocco? -Nick aveva interrotto i miei pensieri. Stava facendo le parole incrociate. Aveva scelto il momento proprio adatto.

-Milano -gli ho risposto.

Mi ha creduto.

INCUBO

(11)

Mi ero seduto alla scrivania, a ragionare. La testa tra le zampe. Ma la giornata era stata troppo piena di emozioni. Ero stanco. Mi ero appoggiato alla spalliera della sedia e, senza rendermene conto, ero caduto in un sonno profondo. Da sognare. Come non mi succedeva ormai da tempo.

Nel sogno, mi ero ritrovato nell’ufficio del Presidente della X-Mas.

La stanza, enorme, era arredata lussuosamente. E il Presidente aveva il muso di una pantegana dal pelo che gocciolava liquido di fogna.

-Vieni pure a prendermi, vieni -il Presidente mi guardava con gli occhietti iniettati di sangue. -Vieni che ti mordo. Ti mastico. GNAM, GNAM. Io ho il piano X-Zeta. Il piano del rapimento di Babbo Natale e di quegli stupidi mammiferi che sono le sue renne. Ti piacerebbe avere il piano X-Zeta, vero? Lì è specificato dove Babbo Natale è imprigionato.

-Certo che mi piacerebbe -io.

Sempre nel sogno.

Per niente spaventato.

Anzi: -Continua pure a venirmi incontro. È quello che aspetto per sistemarti. Definitivamente.

Quant’è vero che mi chiamo Ossoduro. Ti rinchiudo a vita, nella fogna. Dentro lo sporco più lurido, nel buio più profondo. Altro che stanza lussuosamente arredata con vista panoramica sulla città, in cima a un grattacielo!

-E invece sarai tu a finire, a pezzi, nella fogna. Vecchio sciocco cane!

Alle spalle dell’orrida pantegana, erano sbucati ratti grossi e neri. Gli occhi fosforescenti.

Formavano una massa nera, infinita, che squittiva e mi avanzava contro.

Compatta. Minacciosa.

-La tua fine sarà peggiore di quella di Babbo Natale e gli stupidi mammiferi che sono le sue renne -il Presidente sogghignava.

La massa ributtante stava per sommergermi. Già m’era parso di sentire i primi morsi. Avevo cacciato una zampa in tasca per estrarre la pistola.

Odiug!

Mi ero ritrovato con un cavatappi.

Mi ero risvegliato con un grido.

-Ma Milano non è la capitale del Marocco, non corrisponde alle caselle -Nick mi era venuto incontro.

Sventolava le parole incrociate.

IL PIANO X-ZETA

-Io qui a spremermi le meningi: a lavorare. Mentre tu te ne stai a sprecare il tempo -avevo assalito Nick. -Hai il magico potere di riuscire sempre a innervosirmi.

-A dire la verità, a me è sembrato che stavi ronfando. E alla grande -Nick, risentito.

-Sei in errore, tanto per cambiare! -ero schizzato dalla sedia. -Non c’è tempo da perdere. Andiamo.

Dovevo assolutamente mettere le zampe sul piano X-Zeta. (Voi non credete ai sogni? Male! Certe volte, possono servire. Dare idee.)

Il problema, piuttosto, era riuscire a penetrare la fortezza dell’X-Mas. Senonchè, strada facendo, mi era sembrato di trovare una buona soluzione.

Certo. C’era da rischiare.

Ma rischiare era il mio mestiere.

-Disobbedisci agli ordini del capo, è grave! -Nick mi aveva obiettato.

(12)

-Non preoccuparti. Non ti immischio. In qualsiasi modo vada, nessuno potrà rimproverarti niente.

Piuttosto, tieni la bocca cucita. Aprila solo se, passato un certo numero di ore, non mi vedi.

Avevo lasciato Nick ad aspettarmi in un bar di allegri, notturni pappagalli.

Ore 06:00

Sono in una strada adiacente al grattacielo della X-Mas. Passeggio come uno di quei distinti signori che portano a spasso il cane. L’idea che un cane possa portare a spasso un cane, mi diverte. Non scoppio in una gran risata unicamente per non essere scambiato per un matto che si racconta le barzellette da solo per poi ridersi addosso.

Sono in missione e non devo richiamare l’attenzione.

Ore 06:08

Sbuca, puntuale, il camion della Nettezza Urbana. Si arresta al semaforo. È rosso. Ne approfitto per saltarci sopra. Dietro. Sprofondo nella spazzatura. Fino al collo. Fa schifo. Puzza. Ma non importa.

Sono un duro.

Ore 06:09 Semaforo verde.

Il camion riparte. Si presenta ai cancelli della X-Mas. Scattano i dispositivi d’apertura. Entra.

Scende nei sotterranei. Salto dal camion. Mi dileguo.

Fase della missione numero Uno: compiuta.

Nessuno mi ha visto.

Okay.

Mi inoltro in un lungo corridoio, raggiungo un ascensore che mi porta al piano dove si allineano gli spogliatoi. Sono le 06:21. Tutto procede regolare. Tra un’ora, circa, incominceranno ad affluire gli impiegati.

Gli impiegati della X-Mas.

Sono gnomi. Arrivano la mattina e si cambiano d’abito. Indossano una specie di divisa: camicia e cravatta, giacca in tinta, scura, pantaloni anche scuri. La sera, a fine lavoro, si ricambiano.

Gli gnomi sono inappuntabili. Distinti.

Un’altra specialità degli gnomi della X-Mas è fare sempre due cose contemporaneamente.

Per esempio: vanno in auto e trattano affari:

una mano sul volante, l’altra occupata a tenere il cellulare incollato all’orecchio. Col rischio di non riuscire a controllare la guida e di andare a sbattere. Ma gli gnomi, si sa, possono anche essere sciocchi e incoscienti.

Vanno in taxi e telefonano:

chiamano il tale e il tal altro e, piuttosto che niente, chiamano se stessi al proprio numero. Per essere sicuri che il proprio telefono, o la segreterìa, funzioni.

Vanno a dormire e imparano le lingue: collegati al registratore acceso sotto il cuscino. I CD ripetono I am, You are, He is...

Vanno in treno e leggono: non cose divertenti per passare il tempo. Ma “documenti”. Che studiano o preparano sul computer formato valigetta.

Vanno in riunione e controllano le mail: parlano e discutono e, intanto, smanettano con lo smartphone per vedere le e-mail arrivate, nel frattempo.

(13)

Vanno al ristorante e lavorano: rischiando a ogni boccone, di addentare un documento e di prendere appunti su una coscia di pollo.

Gli gnomi, se non fanno due cose contemporaneamente, è solo perché ne fanno più di due.

Ore 06:22

Negli armadietti degli spogliatoi ci sono gli abiti che gli gnomi indosseranno, quando arriveranno.

Devo trovarne della mia misura, per cambiarmi e confondermi con il personale dell’azienda.

Ma non è facile.

La prima camicia che indosso, mi va larga.

La seconda mi va stretta. I pantaloni, se mi piego, rischiano di squarciarsi sul sedere.

Non mi va di mostrar la coda, nuda.

Finalmente, ecco camicia, giacca e pantaloni che mi calzano. Mi rimiro a uno specchio. Sono bello.

Ancora un po' non mi riconosco.

Parlo al mastino che ho di fronte, dandogli del lei.

Ore 06:50

Ho finito di cambiarmi. Stringo un attimo il nodo della cravatta. Sono a posto.

Okay.

Ore 07:30

Gli gnomi sciamano dagli spogliatoi. È un fiume in piena. Si sparpagliano per i corridoi, diretti al proprio ufficio.

Altri fanno la fila davanti agli ascensori per portarsi al loro piano.

Mi mischio.

Fase Due della mia missione: compiuta.

Ore 08:45

Mi procuro un foglio: un documento. A caso. E giro con quello nella zampa. Il trucco funziona: la gente che mi incontra, mi crede un impiegato occupato a trasferirsi da un ufficio all’altro.

Ore 17:00

Ho percorso praticamente tutti i corridoi del grattacielo. Da un piano all’altro. Senza mai fermarmi.

D’altronde, dove avrei potuto riposare? Non ho ufficio. Avrei dato subito nell’occhio.

Adesso ho le zampe con i calli.

Rotte.

A pezzi.

In compenso, gli gnomi stanno andandosene. Sta per scattare la fase Tre della mia missione. Quella decisiva. La più importante.

Non devo lasciarmi prendere dalla stanchezza, ora.

Ore 19:00 circa

Tutti usciti. Il grattacielo è deserto. È arrivato il momento che aspettavo. Varco la soglia della stanza del Presidente.

Incredibile.

(14)

È esattamente come mi era apparsa in sogno. Arredata uguale. Soltanto -ahimè -nel sogno non era precisato dove il piano X-Zeta può trovarsi.

-Sarà custodito al sicuro in qualche cassaforte -penso. -Ma la cassaforte dove è custodita?

Di solito, le casseforti sono mascherate dietro a un quadro. Di quadri ne vedo una fila, li conto, sono trentatré.

Sposto il primo, niente.

Il secondo, niente.

Arrivo a spostare il trentaduesimo. Incomincio a disperare. Ancora niente.

Mi viene la voglia di piantare tutto e rinunciare. Ma, ecco, la cassaforte appare, murata, dietro al trentatreesimo quadro:

il quadro rappresenta, guarda caso, una natura morta. Che più morta non si può.

Disegnato, c’è un calabrone.

A pancia in su.

Odiug! Non riesco a ricostruire la combinazione, la cassaforte mi resiste.

Già.

Sono un poliziotto e invece serve un ladro.

MENO DUE...

Il bravo ladro non avevo faticato a procurarmelo. In tanti anni, avevo avuto l’onore di conoscerne una sfilza. Figurarsi.

Vero è che la stragrande maggioranza stava in gattabuia, ma c’era chi, scontata la pena, era stato rimesso in libertà.

Tra questi brillava un certo Billy, soprannominato Zampa di Velluto per la sua facilità di aprire chiusure di ogni tipo.

Era una faìna.

Come tutti gli esemplari della sua specie, era cresciuto forzando pollai e conigliere. Lasciata la campagna, approdato a Big Bang City, si era subito distinto a scassinare i reparti “polleria e selvaggina” dei supermercati. Salvo, infine, dedicarsi a obiettivi più sostanziosi: le cassaforti negli appartamenti, e delle banche.

***

Lasciato il grattacielo della X-Mas col solito camion della Nettezza Urbana, mi ero precipitato a cercare Billy, Zampa di Velluto. Il suo ultimo indirizzo risultava in un quartiere decisamente poco raccomandabile. Detto, appunto, Bronx. Non che gli abitanti fossero tutti delinquenti. Per esempio, c’era finito a vivere un can pastore, dagli occhi azzurro-cielo, vero cuore d’oro. Il can pastore vi era stato spinto dalla miseria perché impossibilitato a trovare altra casa. Si era ridotto disoccupato, senza lavoro a vita, perché le pecore, lui, invece di vigilarle, le aiutava a scappare.

Non sopportava l’idea che, questione di tempo, sarebbero finite macellate.

Il can pastore dagli occhi azzurro-cielo non era il solo caso di temperamento nobile e altruista. Lì nel Bronx. Senonché, a compensare, ci stavano anche dei veri e propri spostati. Incalliti malviventi.

Che non appartenevano necessariamente alle specie animali. Ma generalmente, anzi, a quella umana.

Billy, Zampa di Velluto, in quanto faina, era anche sotto questo punto di vista, un fuori categoria.

(15)

Avevo rintracciato Billy in uno squallido appartamento dalle finestre con i fogli di plastica bianca, trasparente. Sostituivano i vetri. (I ragazzi del quartiere si divertivano a prendere i vetri a sassate e Billy si era stufato di spendere a montarne altri.)

Gli avevo spiegato che -col sistema del camion della Nettezza Urbana -andare e venire dal

grattacielo della X-Mas era facile e sicuro come viaggiare in autobus. Col vantaggio in più che non c’era neanche il biglietto da pagare.

C’era solo l’inconveniente di sporcarsi e puzzare per via della spazzatura. Billy, d’altronde, dal genere di fragranza che emanava, non sembrava tipo da diventare matto per la pulizia. (Aveva ancora, sotto gli unghioli, il nero della terra di quando dieci anni prima era in campagna. Era un miracolo se non c’era spuntata ancora l’erba.)

Senonché Billy scuoteva la testa: -Ehm, no. Non mi gira -continuava. Faceva il prezioso e non mi riusciva di convincerlo.

Avevo perso la pazienza.

***

C’era una tenda che divideva in due la stanza. L’aveva raggiunta con un balzo, e lacerata.

Erano apparse un paio di galline, imbavagliate.

-E allora Billy? Come la mettiamo.

-Posso chiudere un occhio -gli avevo anche detto. -Dipende da te.

-Okay, accetto -Billy. -Vengo.

MENO UNO...

Mi aveva preso l’angoscia del tempo. Era ormai praticamente la Vigilia. Ore e minuti non si potevano più sprecare. Senonchè il prossimo camion della Nettezza Urbana passava la mattina dopo.

Non m’era restato che ribollire ed aspettare.

Il mattino seguente, ero penetrato con Zampa di Velluto alla X-Mas. Tutto si era svolto, regolare. I travestimenti avevano funzionato e, arrivata sera, avevamo raggiunto la stanza del Presidente.

Billy aveva aperto la cassaforte.

!!!

Dentro, c’era una bottiglia di spumante.

!!!

Non credevo ai miei occhi.

Zampa di Velluto era scoppiato a ridere: -Logico -aveva commentato. -Non c’è posto migliore per tenere in fresco lo spumante. -Aveva dato un’occhiata all’etichetta: -UAU! È un Gran Riserva, roba fine. Grande annata. Ora capisco.

-Cosa?

-Il Presidente temeva che qualcuno gli scolasse la bottiglia.

***

(16)

Zampa di Velluto sghignazzava. E a me, combinazione, la gente che sghignazza, andava di traverso già da tempo. -Sarà bene che ti ricordi quel paio di galline -avevo osservato. -Forse non è il caso di ridere poi tanto.

Billy era ridiventato serio.

***

-Non esco fin tanto non trovo il piano X-Zeta. Cascasse il cielo! -ripetevo buttando in aria tutto.

Ma, nonostante guardassi dentro gli scaffali, nei cassetti... frugassi perfino nella terra, nei vasi delle piante -del piano X-Zeta non si avvertiva ombra. La più vaga puzza.

-Sai, Oss... -Billy si era seduto alla scrivania del Presidente -la mia esperienza di scassinatore mi ha insegnato che uno va a cercare le cose chissà dove quando le ha, magari, sotto il naso.

Ci aveva azzeccato -devo dire -il vecchio Billy.

Avevo messo sotto-sopra l’intera stanza... m’era mancato solo di schiodare il parquet per guardarci sotto... mentre i fogli del piano X-Zeta erano lì.

In piena vista.

Sul piano della scrivanìa del Presidente.

Mentre parlavamo, Billy ci aveva fatto sopra perfino i disegnini!

MENO...

Col piano X-Zeta in mano, mi era stato facile localizzare la prigione di Babbo Natale. Si trovava al Porto. In un vecchio capannone. La zona, da anni, era stata abbandonata, ed era praticamente diventata “terra di nessuno”.

Non mi restava che andarci e, appena lasciato il grattacielo, m’ero affrettato a chiamare Nick al Distretto: -Raggiungimi con la Pantera.

Nick mi aveva interrotto: -Il capo ha ordinato di cercarti.

-Per arrestarmi? -avevo riso.

-Press’a poco -Nick mi aveva gelato il riso sulle labbra.

-Come ha fatto il capo a sapere della mia missione?

-Gliel’ho detto io.

-TU?

-Già. Non m’avevi raccomandato, se non ti vedevo, di allertare?

***

Ero riuscito a incastrarmi tra padella e brace. A darmi la caccia, ora, sarebbero stati in due.

Quelli della X-mas, appena scoperto che mancava il piano X-Zeta. (E questo, pazienza. Faceva parte del gioco, l’avevo calcolato.)

Ma che adesso dovessi temere anche i miei colleghi!

Era inaudito.

M’ero affrettato a troncare la comunicazione. Prima che intercettassero dov’ero.

Dovevo fare presto. Raggiungere il Porto. Ma come? Maledizione. Ero appiedato. Non disponevo neanche di un pezzo di catorcio.

Senonché era scritto nel cielo che il mio destino fosse legato, ormai, a un camion: m’era capitato sotto gli occhi un mezzo della Water, Acqua Pura & Fresca.

(17)

La Water, Acqua Pura & Fresca era la società che curava il rifornimento idrico di Big Bang City. I suoi camion erano lindi e azzurri, al contrario dell’acqua erogata, che puzzava e sapeva di petrolio.

E che, in barba al nome della società, usciva color ruggine e calda dai rubinetti.

Magari pure fossero uscite anche le rane. Il fatto grave è che in quell’acqua non ci sopravvivevano non solo i girini. Ma neanche i virus della peste.

A forza di frequentare camion, potevo dire di conoscerne ormai ogni segreto. Mi erano perfino più famigliari della mia Pantera.

L’addetto della Water era sceso, insieme alla sua squadra, dentro un buco poco distante, scavato nel marciapiede, in corrispondenza di un tombino. Evidentemente, stavano riparando una tubatura ed io ero schizzato. Stavolta non dietro, nel ruffo, fino al collo. Ma. Al volante di uno splendido camion, meravigliosamente lindo e azzurro.

M’ero buttato sulle marce e, certo, non era come correre con il FI-U’, FI-U’ della sirena che tanto esaltava Nick. Anche se il lampeggiante, quello, c’era. Sebbene non blu elettrico, ma giallo. Di un giallo opaco, stanco.

Avevo concluso di non soffrirne, anzi: arrivando al Porto, sarei passato inosservato. Non c’è metropoli al mondo che non abbia tubi rotti.

Sarei potuto sbucare sotto il naso del nemico e sorprenderlo.

SULL’ABISSO

Mi manca poco al Porto. Già vedo contro il cielo, le gru per il carico e scarico delle navi. Corro in gara coi minuti. Per Babbo Natale e le renne -sono certo -è scattato l’ordine di eliminazione. Il mio ritardo di un istante può costare loro la vita.

Accelero.

Ma... SQUASH! Sollevo spruzzi e schizzi. Mi ritrovo con le ruote in un lago.

Mi si para davanti un elefante.

-Spostati -urlo.

-Di qua non mi muovo. È una vita che vi chiamo. Che il Cielo vi abbia in gloria. L’intero palazzo è allagato. In casa ci posso navigare. Manca solo di farci le gare di canoa.

In effetti, l’elefante gronda rivoli di sudore e acqua ruggine. Ha la proboscide che gocciola come il tubo di un idrante. L’ha usata fino adesso per aspirare e scaricare fuori dall’appartamento, nel tentativo di prosciugarlo.

-Mi devi bloccare questa inondazione -l’elefante mi indica i ruscelli che escono dalle finestre. I ruscelli cadono in tante cascatelle, che si riuniscono sotto, sul marciapiede, in un lago.

-Non sono autorizzato -invento.

(Autorizzato: magica parola. Era da quando l’avevo sentita al grattacielo dell’X-Mas che mi rodeva.

E, adesso, non mi sembra vero di poterla pronunciare.)

Ma l’elefante non fa la minima piega. Resta dov’è. Incurante dell’acqua che gli sta montando lentamente alle ginocchia. Anzi. Appoggia una zampa contro il radiatore.

Solo che la prema un poco, cofano e motore finiscono sfondati.

Discutere con una tonnellata di elefante zuccone non è come con una tenera gazzella.

Sono tentato di mostrare la mia placca di detective e di dire che sono lì, camuffato, per servizio. Ma l’elefante non mi crederebbe. Penserebbe che sono un imbroglione, chiamerebbe la Polizia e mi ritroverei addosso tutte le Pantere di Big Bang.

(18)

(Bel colmo. Io, della Polizia ricercato dalla Polizia.)

***

Penso a Babbo Natale, alle renne, e l’angoscia mi assale. Innesto la marcia e, incurante dell’elefante e della sua zampa appoggiata contro, avanzo. Lentamente. -Si sposterà, odiug! -penso. Ma

l’elefante, non solo non si muove. Infila la proboscide, attraverso il finestrino aperto. Mi afferra per la collottola, mi estrae dal posto di guida e mi tiene sollevato nel vuoto: -Allora, amico? -mi fa.

-Conto fino a tre. Uno...

Guardo in basso.

L’altezza che mi separa dal suolo è un abisso.

Precipitare da quell’altezza è finire frantumati. (A parte il bagno.) Mi raccomando al Cielo.

Al Santo protettore dei naviganti.

MIRACOLO.

Arriva, sparata, un’ambulanza. Clacson e sirena. Fa un baccano d’inferno. Chiede strada. L’elefante non può evitare di spostarsi. Un’ondata gli schizza negli occhi. Si distrae. Scivolo fuori dalla

proboscide, volo, rimbalzo sul cofano, mi infilo nella cabina, l’ambulanza riprende la corsa, spingo sull’acceleratore: approfitto del varco che l’ambulanza apre nel traffico. Marameo, elefante.

Arrivo al Porto.

MANI IN ALTO!

Al Porto, giro verso la parte vecchia, dove si trovano le ex-fabbriche. Inquadro nel parabrezza il capannone indicato nel piano X-Zeta. È visibile un insegna. Per quanto sbiadita e annerita dal fumo dei camini dei cargo, leggo Dummy Dummy.

Intorno al capannone, scorgo teste mozzate, braccia e gambe sparse, a pezzi. Lo scenario di una strage. Inorridisco.

Non posso non coprirmi gli occhi.

Povero Babbo Natale. Povere renne.

Sono arrivato tardi.

Mi dispero.

Rivelazione.

La Dummy Dummy fabbricava manichini. I manichini sono fantocci che riproducono corpi maschili e femminili e che i negozi di abbigliamento usano per esporre gli abiti in vetrina. Visti da lontano, sembrano persone vere, nude. E adesso che sono vicino, rido a scoprire che gambe e braccia sono di plastica.

SIGH.

Respiro di sollievo.

Una testa di donna, appoggiata su un sasso, pare guardarmi.

Ricambio con un sorriso il suo sorriso.

***

(19)

Scendo dal camion, e al mio occhio esperto non sfuggono i pipistrelli, apparentemente in letargo, che pendono dai cornicioni della Dummy Dummy. Sono pipistrelli ultrasonici del tipo capta &

registra con il radar. Sono in grado di trasmettere qualsiasi avvicinamento.

La mia presenza è già stata senz’altro segnalata all’interno del capannone. Eppure tutto sembra tranquillo, stranamente.

Evidentemente, il camuffamento della Water, Acqua Pura&Fresca, ha funzionato.

Ma è un’impressione.

Scoppia un frastuono.

La serranda metallica, che sbarrava il capannone, si mette in movimento. Scorre. Appaiono dei ceffi. Trascinano Babbo Natale. Lo strattonano. Subito dietro scorgo le renne, legate: Nina, Tina, Mina, Lina e Rina.

Pina, grazie al cielo è già al sicuro. (È la renna che ci ha fermato quella notte.)

Riconosco tre ceffi. Vecchie conoscenze: Ciccio Muskolo, Bulldozer e Caterpillar. Al Distretto, intestato a loro, c’è un fascicolo, alto un metro, zeppo di denunce.

È gente senza scrupoli.

Cattiva.

Sento improvvisamente una sirena. Le sirene diventano due. Tre. Un coro.

Sono investito da un polverone.

È la frenata delle Pantere che inchiodano. In successione, una dopo l’altra.

Scende una marea di poliziotti. Armi spianate: -Fermi. Mani in alto.

Penso: -L’elefante mi ha segnalato, e le pattuglie sono accorse. -Senonchè i ceffi credono, invece, che la Polizia sia lì per loro. Sparano, cercando di fuggire.

Abbandonano Babbo Natale che, per lo spavento, finisce con la barba impigliata nelle corna di una renna.

Le renne scalciano per liberarsi.

Io... una corona di graziose stelline mi appare davanti agli occhi e danza.

Le stelline cantano.

Chiudo gli occhi cullato da una dolce ninna nanna.

Mi risveglio.

-Io chi sono? Dove sono?

-Sei il detective Ossoduro, in forza al l9° Distretto, Polizia di Big Bang City.

Mi sembra di riconoscere quel tuono. Il boato è inconfondibile. Non mi ci vuole molto a capire che è la voce del mio capo.

Scopro di essere seduto davanti alla sua scrivanìa. Chiedo: -Cos’è questa borsa di ghiaccio che ho sulla testa?

-YUM. -borbotta il capo. -Dovresti saperlo meglio di ogni altro.

-Mm?!

-Con la brutta botta che ti sei beccato!

-Chi è stato? Come?

(20)

-Mah! È corso un tale scambio di colpi... a proposito...

-Già. Adesso mi punirete, immagino -incomincio a rinvenire: a riconnettere.

-Hemm... certo, dovrei farlo... -il capo appare visibilmente imbarazzato.

Mi basta, non mi occorre altro per capire. Il capo ha avuto la dimostrazione che avevo ragione. Che ho fatto bene ad andare avanti. A insistere.

Riconoscerlo, chiaramente, non gli garba.

L’aiuto a uscirne. Cambio discorso: -Quando è Mezzanotte? Ho perso il conto.

-Mancano pochi minuti... -il capo, lieto di abbozzare.

NATALE!

La barba di Babbo Natale è stata liberata, e lui e le renne sono in ottime condizioni. Più vispi che mai. Stanno correndo per Big Bang City a recuperare il tempo perso, a consegnare i doni.

Il vecchio, caro e dolce Natale è salvo.

Non sono stato mai così felice.

Un’ombra sopraggiunge ad oscurare la mia gioia: -Tutto bene -dico al capo. -Manca solo di arrestare il Presidente della X-mas. È lui la causa di tutto.

-Ma, Oss! Dovresti saperlo. Non è da oggi che sei in Polizia -il capo si alza a passeggiare. -Non c’è uno straccio di prova che leghi Ciccio Muskolo e la sua banda al Presidente.

-E se ti dicessi che la prova ce l’ho? Nero su bianco! -incalzo.

-Dammela, allora. Che aspetti?

Caccio la zampa nelle tasche. Cerco il piano X-Zeta. Ma, per quanto frugo, escono soltanto ossicini semi-rosicchiati.

-Sono queste le prove? -sghignazza il capo.

Dov’è il piano X-Zeta, inveisco. Il cuore mi batte nelle tempie. Qualcuno me l’ha preso?

Entra Nick.

È reduce dal Porto, faceva parte delle pattuglie, Nick mostra dei fogli: -Li ho trovati, vicino a un manichino. Sono stato lì per strapparli...

-L’ho sempre pensato che un giorno saresti diventato perfino intelligente -l’interrompo, afferro i fogli, è il piano x-zeta.

-Ecco la prova -schiaffo i fogli sulla scrivania del capo. -Nella furia della mischia mi devono essere scivolati fuori dalle tasche...

Il capo legge attentamente, poi mi fissa: -Oss, ci puoi contare. Se le cose stanno così, stavolta il Presidente lo incastriamo.

Il capo è d’accordo, finalmente.

Ce l’ho fatta.

-Scommetto che non perdi un minuto in più per andartene in pensione -Nick, l’aria abbattuta. Ha gli occhi umidi. È commosso.

-Penso proprio di sì. Per non averti più tra le zampe, se non altro -gli rispondo. Voglio molto bene a quel pivello, ma sono o no Ossoduro?

Mi infilo in bocca un ossicino, esco.

(21)

La neve cade lenta, fiocca.

FINE

(22)

Ciao, sono Guido

Sono nato a Milano, cresciuto a Milano,

scrivo a Milano, e guai se di Milano non mi degusto la mia dose di sano smog quotidiano.

A Milano l’aria è sostanziosa, nutriente, non si respira ma si mastica, è al dente.

Ho scritto per la pubblicità con grande assiduità, per anni, troppi, il Cielo mi perdoni i frottoloni che mi è toccato snocciolare e inventare per convincere la gente a comperare e io potermi guadagnare la michetta.

Ma così va la vita, prendere o lasciare Che ci volete fare?

In compenso, ha scritto pure sui giornali, non ricorda quanti, e anche romanzi, tanti, e ho scritto per la Tivù, e fumetti e storie gialle con poliziotti intrepidi e perfetti.

Tra i quali un ispettore ch’era un cane.

Nel senso ch’era proprio un cane vero.

Coda, baffi, pelo scuro: un duro.

Per farla breve, scrivo, scrivo e scrivo.

Perché è così che vivo, vivo e vivo.

(23)

Vienimi a trovare: guidosperandio – A presto!

...1936 Odiug!

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