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Capitolo 2 Il reddito e il consumo come indicatori di benessere e di povertà.

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Capitolo 2

Il reddito e il consumo come indicatori di benessere

e di povertà.

2.1 Misure del benessere sociale alternative al PIL procapite.

Il problema della misurazione della povertà è strettamente connesso alla sua definizione dato che una metodologia che si basa sulla definizione classica di mancanza di bisogni fondamentali non è oggi applicabile alle realtà dei paesi sviluppati in quanto in questi, soddisfare le necessità primarie, non è più un problema di massa. Per tanto il sistema di valutazione quantitativa della povertà in tali paesi dovrà avere come punto di partenza una definizione più moderna, che tenga conto non solo dei bisogni primari, ma anche delle possibilità per l’individuo di accedere alla vita economica, sociale e politica, nonché della opinione che il singolo ha nel confrontarsi con gli altri membri della società in cui vive. Se invece l’obiettivo è la misurazione della povertà nei paesi sottosviluppati, allora sarebbe opportuno un metodo coerente con la definizione classica, data la mancanza diffusa dei generi alimentari primari.

Nel corso del tempo vari sono stati i tentativi di costruire degli indici per la valutazione quantitativa del benessere economico e della povertà (che nell’accezione più ampia altro non è che la mancanza di benessere) sia a livello macro-economico sia a livello individuale o familiare.

E’ opinione ormai diffusa e accettata che il benessere di una nazione venga valutato attraverso il Prodotto Interno Lordo (PIL), mentre la privazione di una famiglia attraverso il reddito o la spesa complessiva per i consumi; tuttavia 1) il PIL rappresenta una misura destinata al mercato, per tanto il suo utilizzo in chiave di benessere e sviluppo è errato in quanto si focalizza solamente sull’aspetto quantitativo tralasciando uno degli aspetti che nei paesi sviluppati sta acquisendo sempre maggior peso, ossia la qualità della vita 2) l’utilizzo dei dati sul consumo o

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sul reddito nel loro complesso non rappresenta un corretto metodo per la determinazione della povertà in quanto trascurano vari problemi che saranno discussi in dettaglio nel capitolo successivo.

I tentativi di pervenire ad una migliore valutazione del benessere economico-sociale di una nazione hanno tutti in comune l’obiettivo di correggere il PIL allo scopo di eliminare, o quanto meno ridurre, i suoi difetti per fare di esso un vero e proprio indicatore di produzione sostenibile; questi tentativi hanno avuto inizio intorno agli anni ’70 grazie al lavoro di Nordhaus e Tobin1 “ Is Growth Obsolete?” in cui gli autori cercano, per la prima volta, di creare un indicatore alternativo e meno contraddittorio del PIL. L’idea di fondo dei due economisti è che il benessere economico non dipende dalla produzione quanto dal consumo, per questo il PIL non può essere utilizzato nel suo complesso ma è necessario separare il consumo stesso sia dall’investimento sia dalle spese intermedie. Questo comporta l’esclusione della spesa pubblica che in parte è riclassificata come investimento, in parte come spesa di carattere intermedio; inoltre non tutte le voci che compongono il consumo privato sono tali da apportare un miglioramento del benessere come ad esempio quelle sanitarie o quelle legate al pendolarismo. Queste componenti dovranno essere debitamente riclassificate come investimento o spese intermedie e sottratte al consumo.

Ci sono tuttavia anche componenti che gli Autori considerarono positive per aumentare il benessere ma che il PIL ignorava, come ad esempio il tempo libero. Dopo varie modifiche al consumo nazionale, sia in entrata sia in uscita, Nordhaus e Tobin sono pervenuti ad un indice di benessere economico denominato Measure of Economic Welfare (MEW). In dettaglio il MEW è composto di undici voci opportunamente riclassificate:

1) Consumi nazionali privati

2) Spese private di tipo professionale, quali i costi di trasporto da casa al lavoro

3) Spese per l’istruzione e la salute

4) Acquisti di beni durevoli di consumo

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5) Consumi pubblici della funzione “ricreazione”

6) Servizi resi dai beni durevoli di consumo, valutati applicando un tasso di

rendimento allo stock esistente presso le famiglie

7) Servizi domestici gratuiti, valutati moltiplicando il numero di ore impiegate

nella pulizia e nelle altre faccende di casa per un tasso di salario orario

8) Servizi resi a se stessi nelle ore di svago, valutati moltiplicando le ore passate

in attività di ricreazione (lettura, TV, sport, ecc.) per un tasso medio di salario orario

9) Servizi di volontariato nei partiti, sindacati, associazioni, fondazioni, ecc.

valutati come sopra

10) Servizi resi dai capitali fissi pubblici, esclusi quelli impiegati per l’istruzione e la salute, valutati applicando un tasso di rendimento allo stock esistente presso le Amministrazioni pubbliche

11) Stima degli svantaggi connessi alla vita in grandi città

In particolare il MEW è dato dalla somma dei servizi resi dalle voci presenti nei punti 6), 7), 8), 9), 10), ai consumi nazionali privati, a cui occorre sottrarre le varie spese presenti nei punti 2), 3), 4) e gli svantaggi dovuti al vivere nelle grandi città. Da un punto strettamente algebrico:

MEW = 1-2-3-4+5+6+7+8+9+10-11

Se ad esso si aggiunge la crescita del capitale netto (definito come la parte di investimento netto necessaria a mantenere costante il rapporto capitale/prodotto, al fine di soddisfare le esigenze di consumo di una popolazione in crescita) otteniamo il MEW-S ossia la misura del benessere economico sostenibile.

Il merito degli Autori è sicuramente quello di aver aperto la strada alla realizzazione di indici diversi e più accurati del PIL, ciò nonostante il loro lavoro pionieristico non è esente da errori, primo tra tutti la mancata considerazione del degrado ambientale.

La prima risposta concreta al lavoro di Nordhaus e Tobin avvenne nel 1981 grazie al lavoro di Zolotas2 “Economic Growth and Declining Social Welfare”, nel quale l’Autore costruisce un proprio indice denominato Economic Aspect of Welfare

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(EAW), col quale cerca di superare i limiti riscontrabili nel MEW. L’approccio dell’economista greco è considerato innovativo in quanto egli considerava non solo il costo dell’inquinamento e dell’esaurimento delle risorse, ma anche i costi ombra. In particolare ritiene di dover sottrarre dai consumi privati:

1) Le spese private per beni durevoli di consumo

2) Le spese private pubblicitarie

3) Il costo dell’esaurimento delle risorse

4) I costi privati dell’inquinamento ambientale

5) I costi privati di tipo professionale

6) Le spese private per la salute e l’istruzione

Più precisamente: per la 1) la deduzione riguarda le spese della famiglia per i beni durevoli di consumo. A turno, il consumo dei servizi forniti da questi beni saranno aggiunti;

per la 2) la detrazione riguarda la pubblicità suggestiva (che è uguale al 50% di tutte le spese pubblicitarie);

per la 3) la sottrazione dai consumi privati riguarda i costi reali dello sfruttamento accelerato delle risorse naturali;

per la 4) Zolotas divide i costi sociali dell’inquinamento ambientale in “costi di controllo” e “costi di danneggiamento”. Egli sottrae i costi di controllo dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dello smaltimento dei rifiuti solidi nonché i costi di danneggiamento dell’aria.

Alla fine di questo procedimento l’economista aggiunge ai consumi le seguenti componenti:

1) Valore dei servizi derivante dai beni durevoli di consumo

2) Spese sostenute per la sanità e l’educazione considerate necessarie per contribuire all’accrescimento del benessere

3) Servizi resi a se stessi nelle ore di svago 4) Servizi domestici

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Ciò che risulta evidente dal lavoro dell’Autore è che tratta i beni durevoli di consumo allo stesso modo del MEW, mentre aggiusta diversamente il suo indice in base ai costi ambientali.

Nel 1985 l’economista Eisner3 sviluppa un esteso sistema di resoconti che egli stesso chiama Total Incomes System of Accounts (TISA), utilizzando come fonte dei propri calcoli il PIL; il suo metodo è basato sulla supposizione che c’è bisogno di “migliori misure dell’attività economica che contribuiscono al benessere sociale, più pertinenti misure della formazione del capitale e altri fattori della crescita economica, e migliori e/o aggiuntivi dati per adattarsi ai concetti di consumo, investimento e produzione”. Il TISA è stato progettato per includere il reddito corrispondente a tutti i consumi e accumulazione di capitale in tutti i settori dell’economia; Eisner finisce per inserire tutti i servizi di consumo prodotti dal governo e dalle famiglie come pure dalle imprese, ma definisce gli acquisti dei beni durevoli e semi-durevoli da parte della famiglia come investimenti. Le acquisizioni di capitale in ogni parte dell’economia, intangibili e tangibili, e non solo nel settore del business, sono incluse nell’accumulazione di capitale insieme con le rivalutazione nette, per il capitale tangibile, che è il capitale guadagnato al netto degli incrementi nel livello generale dei prezzi. Le imputazioni sono offerte per i consumi non di mercato e per l’accumulazione di capitale, soprattutto nel lavoro domestico non retribuito e nell’educazione. Molta della produzione del governo, particolarmente i servizi della polizia e di difesa, sono riclassificati come intermedi, assieme alle spese legate al lavoro; le sovvenzioni sono incluse nel valore del prodotto, come lo sono i servizi di volontariato e le imputazioni per i pagamenti degli arruolati e dei giurati.

Conti separati sono offerti per il reddito e il prodotto nazionale, per le aziende, per le istituzioni no-profit, per le imprese governative, per il governo e per le famiglie.

Il punto finale dei suoi studi è che risulta necessario fare tre tipi di aggiustamenti: 1) Includere gli aspetti del capitale ed allargare la definizione di capitale stesso

per includere ad esempio le risorse naturali e la qualità dell’ambiente

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2) Includere i flussi non del mercato come l’impatto del degrado ambientale o il valore del lavoro domestico

3) Riclassificare i prodotti come finali o intermedi per tener conto delle così dette spese difensive.

Rispetto agli altri lavori degli Autori che lo hanno preceduto, e che lo seguiranno, quello di Eisner è sicuramente più generale, ma costituisce comunque un passo importante verso la piena consapevolezza della necessità di nuovi strumenti per la valutazione del benessere economico.

Nel tentativo di superare i difetti sia del MEW che del EAW, Daly e Cobb4 nel 1989 proposero, nel loro lavoro “For The Common Good”, la realizzazione di un nuovo indice denominato Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW).

Il punto di partenza per la costruzione di questo indice è lo stesso seguito da Nordhaus -Tobin e da Zolotas, e sta nella dicotomia tra consumo privato e consumo pubblico; anche l’approccio è simile a quello su cui si fonda il MEW, tuttavia l’ISEW si contraddistingue da esso per vari aspetti:

• A differenza del primo questo nuovo indice tiene conto del degrado ambientale, in quanto il capitale naturale non è infinito e non può essere sostituito dal capitale umano

• Nonostante sia concettualmente giusto, gli Autori eliminano l’inclusione del tempo libero, sia per la difficoltà che crea il suo calcolo, sia per la poca rilevanza di tale valore sul totale

• La nuova misura cerca in qualche modo di tener conto di un ulteriore aspetto che è quello della disuguaglianza economica, ponderando i consumi privati per un opportuno indice di disuguaglianza.

In dettaglio l’ISEW è composto da numerose voci così classificabili:

1) Consumi nazionali privati.

2) Spesa per i beni durevoli di consumo.

3) Servizi dei beni di consumo durevoli, moltiplicando lo stock netto esistente

per un tasso di rendimento annuo.

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4) Servizi del lavoro domestico, valutati moltiplicando il numero di ore annue impiegate in tali attività per la retribuzione media oraria delle collaboratrici domestiche.

5) Servizi della rete stradale, valutati moltiplicando per un tasso di rendimento

stimato il valore dello stock netto di rete stradale.

6) Spesa pubblica per l’istruzione. Solo metà della spesa pubblica per

l’istruzione superiore è riclassificata come consumo privato; il resto è ritenuto di carattere difensivo.

7) Spesa pubblica per la sanità.

8) Spesa per istruzione e sanità (la parte di esse ritenuta di carattere difensivo).

9) Spesa pubblicitaria nazionale.

10) Costo del pendolarismo.

11) Costi indotti dall’urbanizzazione. 12) Costi degli incidenti stradali.

13) Crescita del capitale netto, calcolato sottraendo dall’aumento del capitale la quantità necessaria per mantenere costante il livello di capitale per lavoratore.

14) Variazione della posizione internazionale netta. Il suo andamento nel tempo è importante perché rivela se un paese può sostenere la propria crescita.

15) Costo dell’inquinamento idrico. 16) Costo dell’inquinamento atmosferico. 17) Costo dell’inquinamento acustico. 18) Perdita di zone umide.

19) Perdita di terreni agricoli.

20) Esaurimento di risorse non rinnovabili (energetiche e minerarie).

21) Danni ambientali di lungo termine, stimati ipotizzando che la loro entità sia direttamente proporzionale al consumo di energie non rinnovabili (fossili e nucleare).

Per il calcolo dell’ISEW è necessario aggiungere ai consumi nazionali privati tutte quelle componenti che mirano ad aumentare il benessere delle persone, mentre occorre sottrarre tutte quelle voci che lo peggiorano. In particolare:

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ISEW= 1-2+3+4+5+6+7-8-9-10-11-12+13+14-15-16-17-18-19-20-21

L’Index of Sustainable Economic Welfare rappresenta, nonostante i suoi difetti e le sue imperfezioni, un buon punto di partenza nella costruzione di uno strumento per l’analisi del benessere economico, dovuto al fatto che considera sufficientemente il ruolo giocato dall’ambiente e dalla disuguaglianza economica. I lavori successivi a quello di Daly e Cobb sono finalizzati soprattutto alla critica e alla determinazione dei limiti degli indicatori precedentemente discussi: questi esaminano la scelta delle voci che compongono i vari indici, e i metodi di determinazione del valore di tali voci.

La scelta delle componenti discende direttamente dalla definizione che ognuno dà del benessere; non essendoci una definizione univoca e oggettiva, ciascuno in base alle proprie convinzioni soggettive, può scegliere di introdurre o meno una determinata componente. Per quanto riguarda il problema relativo alla stima del valore monetario delle componenti da aggiungere o sottrarre al PIL, anche in questo caso non esistono procedure accettate universalmente e valide in assoluto cosicché tutto dipende dalla metodologia che ogni Autore ritiene essere la migliore: tutto ciò porterà a risultati e conclusioni diverse.

Altre critiche, rivolte soprattutto all’ISEW e al MEW, riguardano: ƒ L’impossibilità di dare un prezzo a tutto.

ƒ Il fatto di focalizzarsi solamente sul concetto di benessere, tralasciando altri aspetti di tipo non economico.

ƒ Il fatto che con questi indici si suppone che il capitale naturale e quello prodotto dall’uomo siano perfettamente sostituibili.

ƒ Il fatto che si tiene conto solo del degrado e dell’inquinamento ambientale prodotto nel paese dove l’indice viene calcolato, senza nessun computo di ciò che avviene nei paesi limitrofi.

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Sulla falsa riga dell’ISEW, Rowe e Anielsky5 costruirono nel 1999 il Genuin Progress Index (GPI) il quale è diviso in 26 elementi a loro volta suddivisi in 8 gruppi che sono:

1) Reddito 2) Famiglie 3) Mobilità 4) Capitale sociale 5) Inquinamento 6) Perdita di terre 7) Capitale naturale 8) Investimenti netti

Questa variante dell’ISEW è ancora più audace e introduce imputazioni per il divorzio, il crimine, ecc. La costruzione del GPI è basata sul riconoscimento che noi non viviamo in una economia ma in una società, e che la società stessa è inserita in un ambiente naturale.

La maggior parte dei paesi ha utilizzato, e utilizza, come misura del proprio benessere l’ISEW o il GPI , ritenendo questi i migliori strumenti attualmente in circolazione.

Molti dei problemi riscontrabili in tutti gli studi proposti fino ad oggi potranno essere superati grazie all’acquisizione di nuove e più accurate informazioni, che permetteranno la valutazione dei beni esterni al mercato, e la creazioni di indici sempre più precisi per quanto riguarda la stima delle varie componenti.

2.2 Dalla misurazione del benessere a quella della povertà.

E’ di notevole importanza sottolineare l’esistenza di un parallelismo tra l’abitudine di valutare il benessere di una nazione attraverso il PIL, e quello di misurare la povertà delle famiglie o degli individui in base al loro reddito o alla loro spesa per i consumi. Come spiegato nel capitolo precedente, quasi tutti i metodi di calcolo della

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povertà si fondano sulla determinazione di un livello minimo di reddito (detto linea di povertà) che viene confrontato con il reddito dell’individuo o della famiglia, mentre i restanti approcci, definiti relativi, si basano su una percentuale del reddito medio o mediano, opportunamente aggiustato per tener conto delle diverse ampiezze delle famiglie.

La prima è la metodologia che di solito viene impiegata in quei paesi dove uno studio ufficiale sulla povertà è stato intrapreso; tuttavia anche tale metodo non è esente da problematiche simili a quelle che colpiscono il PIL, ossia il fatto di focalizzarsi eccessivamente sull’aspetto quantitativo, tralasciando completamente quello qualitativo. Pure in questo campo sono state proposte varie soluzioni, ma quelle che sembrano meglio adattarsi alla realtà in corso sono state presentate in Canada e in Usa.

Stati Uniti d’America.

Nel 1992 il Congresso degli Stati Uniti decise che era arrivato il momento di creare un gruppo di studio per la modifica delle metodologie per la misurazione della povertà, la quale si basava ancora sulle soglie di povertà realizzate da Mollie Orshansky6 negli anni ’60. L’analista americana, partendo dai dati familiari sul reddito e sul consumo alimentare, pensò di stimare la relazione esistente tra queste due variabili nella società.

La richiesta del Congresso diresse il Concilio sulla Ricerca Nazionale della Accademia delle Scienze (NAS) a formare il Gruppo di Studio sulla Povertà e sull’Assistenza Familiare, formato da economisti e sociologi sia americani che inglesi, il quale avrebbero dovuto studiare le debolezze e gli errori della misura ufficiale correntemente usata negli Stati Uniti.

Lo fatica del gruppo di studio si concluse 1995 quando venne pubblicato il resoconto “Measuring Poverty: A new Approach” 7, che rappresenta la più comprensiva analisi circa la misurazione della povertà negli Usa.

La nuova misura avrebbe conservato la corrente nozione di povertà, intesa come privazione materiale, tuttavia un riconsiderato set di soglie e una riesaminata

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Orshansky, M., “Counting the Poor: Another Look at the Poverty Profile”, 1965.

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definizione di risorse sarebbero state necessarie per riflettere i cambiamenti economici e sociali degli ultimi quaranta anni.

In generale il Gruppo di Studio ha proposto 8 ampie serie di raccomandazioni che si focalizzano sulle seguenti questioni:

1. adottare una nuova misura della povertà

2. preparare ed aggiornare le soglie

3. aggiustare le soglie di povertà

4. definire le risorse familiari

5. identificare i dati necessari

6. mettere in luce altre questioni relative alla misurazione della povertà

7. congiungere la misurazione ai programmi di assistenza

8. legare i bisogni degli Stati alla misura proposta

In risposta agli articoli e alle raccomandazioni fatte dal Gruppo di Studio, il Census Bureau realizzò un proprio servizio nel 19998; questo presentava alcune variazioni ai metodi di misurazione della povertà proposte dal NAS, basandosi tuttavia sulle stesse raccomandazioni.

Il lavoro presentato molto deve agli studi effettuati nei primi anni ’80 da T. Smeeding9 grazie al quale, da quel momento in poi, il Census ha potuto calcolare abitualmente i tassi di povertà appoggiandosi alle differenti definizioni di reddito date da quest’ultimo; tuttavia il recente articolo “Experimental Poverty Measures”10 differisce dai lavori precedentemente proposti dal Census per la presentazione di nuove soglie di povertà, così come raccomandato anche dal NAS. Gli studiosi del Census Bureau hanno presentato varie misure sperimentali per il calcolo della povertà, nonché una discussione a parte sul modo migliore di tener conto delle spese mediche: la prima misura viene chiamata Misura NAS in quanto si utilizza lo stesso procedimento descritto dal report del NAS; la seconda è calcolata esattamente come la prima ma impiega un differente metodo per valutare

8

Short, K., “Experimental Poverty Measures”, 1999.

Short, K., Garner, T., Johnson, D., Doyle, P., “Experimental Poverty Measures: 1990 to 1997”, 1999.

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U.S. Bureau of the Census, “Alternative Methods for Valuing Selected In-Kind Transfer Benefits and Measuring Their Effect on Poverty”, 1982.

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le spese per la cura dei bambini, per questo viene denominata “Different ChildCare Method 2” (DCM2). La terza misura presentata si avvale, anziché di una scala d’equivalenza a due parametri come il Gruppo di Studio, di una scala a tre parametri11, continuando ad adoperare il metodo alternativo di valutazione dei costi legati alla cura dei bambini: per questo prende il nome di “Different Equivalence Scale-Different Child Method 2” (DES-DCM2). La quarta misura realizza una stima della povertà senza tener conto delle differenze geografiche nei costi delle abitazioni e degli affitti: da questo il nome DES-DCM2-NGA (No Gografic Adjustment).

Per quanto riguarda le differenze di impostazione adottate dalle misure del NAS rispetto a quelle del Census, saranno analizzate in dettagli in seguito.

Canada.

Un ulteriore contributo al tentativo di pervenire ad una migliore misurazione della povertà, è quello prodotto dall’indagine condotta da alcuni studiosi canadesi. Il Canada, così come molti altri paesi industrializzati, non è provvisto di una misura ufficiale, e ciò deriva in gran parte dal mancato accordo sulla definizione stessa di povertà. Nonostante questo la Statistics Canada ha prodotto, a partire dagli anni ’60, il Low-Income Cut-Offs (LICOs)12 che rappresenta una soglia di reddito sotto la quale una famiglia indirizzerà, verosimilmente, una ampia parte del proprio reddito per acquisto di beni di prima necessità come il cibo, i vestiti e l’alloggio. Malgrado tale indice sia stato impiegato per oltre tre decenni, il suo utilizzo è stato al centro di molte controversie. Nei primi anni ’80, seguendo quanto fatto da varie organizzazioni internazionali, la Statistics Canada cominciò a pubblicare una nuova misura del basso reddito, prima e dopo la detrazione delle tasse, chiamata Low Income Measure (LIM) che rappresenta una percentuale fissa (50%) del reddito familiare mediano aggiustato, dove per aggiustato si intende che si tiene conto dei bisogni della famiglia.

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Betson, D., “Is Everything Relative? The Role of Equivalence Scales in Poverty Measurement”, 1996.

12

Una dettagliata discussione sulla metodologia del LICO può essere trovata in Cotton, C., “Recent Developments in the Low Income Cutoffs”, 2001

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Seguendo l’esempio degli Stati Uniti, anche in Canada è stato creato un Gruppo per la Ricerca sullo Sviluppo Sociale con lo scopo di realizzare una misura complementare al LICO; la commissione raccomandò una misura assoluta del basso reddito denominata Market Basket Measure (MBM)13 il cui fine è quello di tentare di misurare uno standard di vita che sia un compromesso tra sussistenza e inclusione sociale, e che rifletta le differenze del costo della vita all’interno del paese.

Italia.

Lo studio della povertà in Italia è avvenuto con un certo ritardo se paragonato con quello degli altri paesi industrializzati, e anche la consapevolezza dell’importanza della costruzione di adeguati indici sul benessere a stentato ad affermarsi. Relativamente alla ricerca di un indicatore del benessere economico sostitutivo del PIL, il primo studio di un certo interesse, sebbene pionieristico, fu effettuato da Giannone14 a metà degli anni ’70. Egli ritiene di dover modificare il PIL così come è stato fatto da Nordhaus e Tobin, con una unica eccezione riguardante il tempo libero, in quanto l’Autore italiano sostiene che il MEW sovrastimi eccessivamente tale componente; inoltre, pur sottolineando l’importanza della disuguaglianza economica, non fece nessun tentativo di correzione in tal senso.

Il primo rapporto ufficiale sulla povertà è stato presentato tuttavia dalla Commissione di Indagine sulla Povertà ed Emarginazione nel 1986; da allora lo studio in questo settore è continuato con un impegno crescente grazie anche al contributo di strumenti più efficaci. Sebbene non si sia ancora giunti ad una definizione ottimale di concetti, misure e metodi per l’analisi della povertà, l’esperienza italiana si è ormai consolidata; la ricerca si è focalizzata inizialmente nel tentativo di approfondire le misure sulla povertà relativa; successivamente ha riguardato la natura del fenomeno nei suoi vari aspetti multidimensionali e, infine, si è estesa alle misure di povertà assoluta.

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Federal/Provincial/Territorial Working Group on Social Development Research and Information, “Construction of a Preliminary Market Basket Measure of Poverty”, 1998.

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Solamente a partire dal 1995 la Commissione decise di affiancare agli indicatori “relativi”, fino a quel momento prodotti, altri indicatori basati su una misura di povertà assoluta, grazie all’esperienza degli altri paesi.

Per fare questo è stato necessario, oltre che calcolare la povertà in base al numero di famiglie che presentano spese per consumi al di sotto di una soglia convenzionale (povertà relativa), anche definire un paniere di beni e servizi considerati essenziali per la famiglia, e successivamente attribuire un valore monetario a tale paniere allo scopo di costruire la soglia di povertà assoluta per l’anno in cui tale paniere è stato definito.

In generale la costruzione di un paniere presenta notevoli difficoltà legate alla scelta e alla definizione dei beni/servizi da inserire; per tale motivo la Commissione invitò l’Istat a costituire un apposito gruppo di lavoro composto da esperti accademici e membri della stessa Commissione, al fine di definire una metodologia adeguata. A partire dal 1999, su incarico degli organi di governo, l’Istat ha avviato la pubblicazione annuale delle stime sulla povertà relativa e assoluta, sulla base delle metodologie approvate in sede di Commissione Povertà, e, l’anno successivo, ha varato una serie di attività di carattere metodologico e di analisi per la verifica del paniere di povertà assoluta. C’è da ricordare inoltre che 1998 è stato calcolato l’ISEW anche per l’Italia15, nonostante la consapevolezza della scarsa attendibilità dei risultati.

Attualmente le indagini ufficiali sulla povertà in Italia si basano sulla spesa complessiva per consumi delle famiglie rilevate dall’Istat; la ricerca sui consumi rappresenta la fonte informativa per poter descrivere, analizzare e interpretare i comportamenti di spesa delle famiglie residenti in Italia.

L’oggetto della rilevazione sono: “le spese sostenute dal nucleo familiare per acquistare beni e servizi. In tale definizione rientrano anche i beni provenienti dal proprio orto o dalla propria azienda agricola direttamente consumati dalla famiglia (autoconsumo), i beni e i servizi forniti dal datore di lavoro ai dipendenti a titolo di salario o prestazione di servizi, i fitti stimati delle abitazioni occupate dai

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proprietari o godute a titolo gratuito. Ogni altra spesa effettuata dalla famiglia per scopo diverso dal consumo è esclusa dalla rilevazione (ad esempio l’acquisto di una casa o di terreni, il pagamento delle imposte, le spese connesse ad attività professionali)”.

La raccolta dei dati è affidata ai Comuni campione che hanno il compito di selezionare le famiglie da intervistare, di scegliere, formare e dare assistenza ai rilevatori secondo le modalità ei tempi previsti dall’Istat. Le circa 28000 famiglie da intervistare sono estratte in modo casuale dalle anagrafi di ogni comune selezionato. Le rilevazioni si basano su due differenti tecniche di raccolta dei dati:

1. autocompilazione di un diario, tramite il quale la famiglia segna gli acquisti effettuati nel corso della settimana,

2. intervista finale diretta condotta dal rilevatore comunale.

Dato il carattere campionario dell’indagine, al fine di ottenere stime relative per la popolazione complessiva, è necessario procedere alla ponderazione dei dati riferiti a ciascuna famiglia campione, attraverso opportuni coefficienti di riporto all’universo.

Tuttavia come osserva Schumacher16 “l’economista moderno è abituato a misurare il livello di vita dall’aumentare del consumo, dando sempre per scontato che un individuo che consuma di più stia meglio di uno che consuma meno”, mentre non ci si rende conto che alcune delle componenti del consumo stesso non apportano un miglioramento del benessere. E’ il così detto problema delle spese difensive, cioè di quelle spese che non riflettono uno sviluppo del benessere, ma servono a prevenire o riparare danni causati dalla produzione, o a far fronte a spiacevoli necessità, che anzi, a volte diminuiscono il benessere. Per capire il problema è sufficiente un piccolo esempio: una famiglia che acquista medicinali per combattere una malattia sarà valutata più “ricca” di una famiglia con stesse caratteristiche di consumo, che però non ha dovuto sostenere tale spesa, in quanto la prima avrà un consumo maggiore della seconda dovuto proprio all’acquisto in più dei medicinali: questo rappresenta ovviamente un paradosso. Altri esempi di spese difensive sono quelle

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per il pendolarismo, per gli antifurti, per i servizi funebri, per la difesa personale, ecc.

Per convenzione tutte queste spese vengono contabilizzate come intermedie se sostenute dalle imprese, e come finali se sostenute dalle famiglie, nonostante siano per natura intermedie a prescindere da chi le sostiene.

La soluzione del problema delle spese difensive sarebbe quella di effettuare maggiori indagini per poter maggiormente disaggregare tali capitoli di spesa, oppure ricercare metodi indiretti per l’imputazione di queste voci.

Povertà assoluta e relativa in Italia.

In Italia il paniere della povertà assoluta è stato definito per passaggi logici consecutivi, identificando in primo luogo le “aree di consumo” relative ai bisogni primari, quindi le voci di spesa da includere in tali aree e quantificando infine tali voci in termini monetari. I bisogni primari furono individuati nell’alimentazione, nell’abitazione (comprensiva di servizi, utenze e arredamento), nella salvaguardia della salute e nell’accesso all’istruzione; tuttavia queste voci risultavano molto articolate e difficilmente valutabili singolarmente. Per tale motivo si è proceduto per semplificazioni successive, cercando di aggregare tutte quelle componenti per le quali non era possibile effettuare uno studio esplicito, o per mancanza di adeguate metodologie di imputazione, o per mancanza di dati al riguardo.

Si è così giunti ad effettuare una esplicitazione analitica delle due principali componenti del paniere, quella alimentare, e quella abitativa (che coprono da sole il 40% di tutte le necessità familiari) mentre tutto il resto è stato incluso in una voce cumulativa forfetaria definita “componente residuale”.

Componente alimentare.

Per quanto riguarda la componente alimentare, in base ad una indagine nutrizionale, sono stati individuati gli alimenti più comunemente consumati e compatibili per un paniere di costo contenuto, tenendo conto da un lato le esigenze nutrizionali, e dall’altro la qualità e la quantità degli alimenti da includere; sulla base di tutte queste ipotesi si è giunti alla definizione delle quantità giornaliere dei singoli alimenti per ciascuna classe di età. Una volta individuato “come” e “di cosa” il

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paniere è formato, è stato necessario attribuire un valore monetario alle quantità indicate, e ciò è avvenuto utilizzando i prezzi al consumo individuati dall’Istat. Componente relativa all’abitazione.

Per ciò che concerne le spese per l’abitazione, un primo problema era quello di come trattare i proprietari delle abitazioni rispetto agli affittuari; la difficoltà fu in un certo senso aggirata, ritenendo che la spesa per l’affitto potesse essere paragonata alle spese sostenute da coloro che occupano l’abitazione di proprietà, come quelle per la manutenzione, per le tasse e le imposte. Allo scopo di stimare il valore monetario di tale voce è stato indispensabile determinare le caratteristiche dell’abitazione di base, e poi il corrispondente locativo: alla prima questione si è trovata risposta definendo per ciascun alloggio una “dimensione adeguata”, creando così una relazione biunivoca tra ampiezza familiare e superficie abitativa; per la realizzazione di tale relazione sono state incluse solamente le abitazioni non di lusso, ossia quelle “civili, economiche e popolari”, e “rurali”, supponendo siano quelle a minor costo. Sono state invece escluse le abitazioni popolari, gestite da Enti Pubblici, in quanto inducono un abbassamento dei valori medi della spesa per affitto, rendendoli non rappresentativi dell’andamento effettivo del mercato.

Sulla base di tali ipotesi, si è stimata la distribuzione dei canoni di locazione pagati dalle famiglie che vivono in abitazioni non di lusso, in base alla superficie, dando così risposta alla seconda questione.

Congiunto all’alloggio c’è anche l’utilizzo delle utenze domestiche come l’energia elettrica, il telefono, il riscaldamento e l’acqua corrente; solamente le prime tre vengono inserite nel paniere e trattate singolarmente per cercare di individuare un valore soglia di spesa per ciascuna di essa, mentre per quanto riguarda l’acqua corrente si utilizza un metodo indiretto in quanto la distribuzione del servizio è gestita da Enti diversi sul territorio che applicano tariffe altamente variabili.

Grande rilevanza ha assunto anche la dotazione dei beni durevoli (frigorifero, TV, lavatrice) che sono stati inseriti nella componente-abitazione del paniere; questo ha reso necessario la stima delle quote mensili d’ammortamento relative a ciascuna di essi, in modo da definire l’ammontare che deve figurare ogni mese nel bilancio

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familiare. Il valore del coefficiente può essere definito come il numero di anni necessario al rinnovo totale del parco-beni.

Componente residuale.

In merito alla componente residuale, c’è da ricordare che vi vengono inseriti tutti quei beni e servizi non di lusso ma che sono necessari alla famiglia, come le spese per l’acquisto del vestiario, le spese per i trasporti o quelle legate al divertimento personale.

In particolare, in relazione alle spese di trasporto, c’è da sottolineare che è stato ipotizzato che le famiglie si spostino solamente utilizzando il servizio pubblico (autobus, pullman, treno) e che non siano quindi in possesso di mezzi di trasporto privati. Questo rappresenta sicuramente un limite, in quanto vengono escluse dal bilancio familiare le spese per i carburanti, per la manutenzione, per le riparazioni e per l’assicurazione, oltre che la spesa per l’acquisto del mezzo di locomozione. Unità di riferimento.

L’unità di riferimento per la costruzione del paniere è la famiglia, intesa come insieme di persone coabitanti legate da vincoli di parentela o affettivi. Ovviamente non tutte le famiglie sono uguali, per questo sono state prese in considerazione 36 tipologie familiari; queste tipologie variano in base alla dimensione familiare e all’età dei componenti. I valori di ciascuna componente del paniere sono calcolati in modo specifico per ciascuna delle 36 famiglie tipo, successivamente i panieri vengono sintetizzati per ampiezza familiare, attraverso l’uso di medie ponderate dei valori associati alle diverse tipologie familiari, con pesi pari alla frequenza delle tipologie stesse nella popolazione. I valori trovati in questo modo raffigurano le soglie assolute di povertà che dovranno essere confrontate con i livelli di spesa delle famiglie.

Sebbene il calcolo della stima della povertà assoluta abbia compiuto rapidi e sensibili miglioramenti nel corso di questi anni, in Italia il punto di riferimento per l’analisi della povertà e del disagio economico-sociale a livello regionale rimangono ancora le valutazioni relative. Saranno questi i dati che utilizzeremo per lo studio

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successivo, per capire come sia possibile modificare i tassi di povertà sulla base di diverse ipotesi.

La costruzione del paniere come sopra descritta, presenta alcuni limiti che potranno essere superati in futuro con l’acquisizione di maggiori dati, e con la ricerca di nuove metodologie di imputazione. Un contributo importante potrebbe essere quello derivante dagli studi effettuati in Canada, dalla Statistics Canada, e in USA dal Census Bureau e dalla Accademia Nazionale delle Scienze (NAS).

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