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3. RFID: la tecnologia, gli standard, le applicazioni

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3. RFID: la tecnologia, gli standard, le applicazioni

3.1 Dai primi transponder all’ “Internet of things”

La Radio Frequency Identification (RFID) è una tecnologia (ma sarebbe più corretto parlare di un insieme di tecnologie diverse) che impiega onde in radiofrequenza per trasferire i dati tra un’antenna e un oggetto in movimento per identificare, localizzare e – nell’accezione più ampia del termine – tracciare l’oggetto stesso (fig. 3).

Figura 3: Funzionamento di un sistema RFID

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non si tratta affatto di una tecnologia nuova. Senza saperlo, già oggi la si utilizza tutti i giorni: il telepass, i telecomandi per l’apertura delle automobili, i sistemi di disattivazione degli antifurto satellitari, le tessere per il pagamento dei parcheggi sono solo esempi di applicazioni RFID, applicazioni sempre più diffuse in svariati campi di impiego1.

Si va infatti dalla semplice rilevazione della presenza / assenza dell’oggetto (o persona o animale) su cui il cosiddetto transponder (o tag, par. 3.3) è applicato (soluzione adottata già da alcuni decenni per fini di antitaccheggio: si parla in questo caso di EAS, Electronic Article Surveillance), a sofisticate operazioni di programmazione “on line” sulla memoria del tag.

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In una recente intervista sulla rivista Fortune, a una domanda postagli sull’RFID, Rob Carter, CIO di Federal Express, ha citato la definizione data da Bill Gates del ciclo di assorbimento "2/10" di una tecnologia: per i primi due anni regna l'entusiasmo, poi subentra la delusione, finché 10 anni dopo ci si rende conto che la tecnologia è stata assorbita nella vita di tutti i giorni.

Da questo punto di vista, su stessa ammissione di Carter in risposta a certi problemi sperimentati da FedEx relativi alle etichette, "RFID potrebbe essere una tecnologia con un ciclo di assorbimento 3/15".

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Basti considerare la miriade di bande di frequenza riservate a tale tecnologia, in un range estremamente ampio (da 125 kHz fino a oltre 24 GHz).

L’identificazione tramite radiofrequenza (RF) si colloca fra già citati sistemi di Auto-ID o AIDC (Automatic Identification and Data Capture), sviluppatisi a partire dalla seconda metà del secolo scorso. In realtà, l’evoluzione dell’RFID ebbe inizio durante la Seconda Guerra Mondiale, in cui fu impiegata per la prima volta per permettere alla contraerea inglese di riconoscere i propri aerei da quelli nemici2, e nel corso degli anni ‘70 vide svilupparsi alcuni dei suoi principali riferimenti teorici3, spunto, nel decennio successivo, per le prime importanti applicazioni4.

Nel 1999 venne creato, con sede presso il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston, un centro di ricerca mondiale denominato Auto-ID Center5, con lo scopo di progettare l’infrastruttura necessaria a creare una rete mondiale aperta per l’identificazione di ogni singolo prodotto, potendolo seguire e rintracciare in tempo reale attraverso una supply chain globale. In tale missione si traduce l’idea di “Internet of things”, Internet delle cose6, che è la visione che l’Auto-ID Center ha del futuro: così come Internet permette di collegare due persone in qualunque parte del mondo, i tag RFID applicati su tutti gli oggetti potranno permettere di localizzarli ovunque essi siano. In seguito alla chiusura ufficiale di tale

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Nel corso del 1943, compresa l’importanza delle strumentazioni radar in grado di identificare, localizzare, determinare con precisione la posizione e la velocità di un oggetto, molte tecnologie broadcast collegate all’RFID iniziarono ad essere esplorate. Furono infatti realizzati i primi sistemi di transponder a lungo raggio per l’identificazione degli aerei “amici”, noti anche come “Identification Friend or Foe” (IFF).

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A partire dal 1970 ricercatori, Società private, università e laboratori governativi lavorarono attivamente allo sviluppo dell’RFID, e notevoli progressi furono registrati in laboratori di ricerca ed istituti accademici come il Los Alamos Scientific Laboratory, la Northwestern University e la Microwave Institute Foundation in Svezia. Una tappa importante fu la pubblicazione, nel 1975, di uno studio effettuato a Los Alamos da A. Koelle, S. Depp e R. Freyman, dal titolo “Short-range radio-telemetry for electronic identification using modulated backscatter”.

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In particolare i sistemi EAS (Electronic Article Surveillance), impiegati per l’antitaccheggio nei grandi magazzini, rappresentano la prima applicazione RFID diffusa per uso commerciale.

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L’Auto-ID Center ha combinato la conoscenza tecnologica, pratica e teorica sia di tre delle più importanti università del mondo, il Massachusetts Institute of Technology (MIT) negli Stati Uniti, la University of Cambridge in Inghilterra e la University of Adelaide in Australia, sia di decine di centri di ricerca privati, potendo inoltre contare sulle risorse rese disponibili da oltre 50 multinazionali (tra cui Coca-Cola, Gillette, Johnson&Johnson, Procter&Gamble, Unilever, UPS, Wal Mart). Alla fine del 2003, con la nascita dell’EPCglobal, l’Auto-ID Center ha pubblicato una serie di specifiche tecniche e documenti dettagliati, al fine di permettere ai costruttori dell’infrastruttura hardware e software legata all’RFID, di creare e sviluppare i relativi prodotti e servizi. Inoltre, è stato portato a termine il test di tutta l’architettura di rete, per assicurare ai venditori ed agli utenti che la tecnologia funzionasse in modo ottimale.

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Tale concetto è uno dei pilastri del progetto “Customer Intelligence”, di cui N. Negroponte, direttore del MIT Media Labs di Boston, è fra i principali promotori. La rete Internet non viene identificata solo come “vettore dinamico”, in grado di ridurre ogni distanza e di fruire staticamente di un’informazione globalizzata, bensì è considerata anche il “luogo” in cui poter condividere un’informazione o dati creati da utilizzatori (od oggetti) dinamici. La rete, in tale ottica, si suppone possa divenire il “tessuto connettivo” di ogni dispositivo elettronico, dagli elettrodomestici alle automobili, per cui avranno accesso ad Internet non solo i computer, “ma si connetterà, in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo, chiunque e qualunque cosa” (tratto da “Internet of things”, rapporto dell’agenzia ONU International Telecommunication Union, ottobre 2005).

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consorzio di Aziende ed università, avvenuta nell’ottobre 2003, sono nate due ulteriori Organizzazioni, l’EPCglobal e l’Auto-ID Labs (fig. 4).

Figura 4: Auto-ID Center, Auto-ID Labs ed EPCglobal

Quest’ultima sta conducendo un fondamentale lavoro di ricerca tecnologica e studi teorici7, mentre EPCglobal si è assunta il compito di realizzare, assieme ad utenti finali e produttori di hardware, software e soluzioni integrate, l’infrastruttura sopra citata (EPC Network8), supportandone le differenti implementazioni e promovendo l’adozione di standard tecnologici a livello industriale e commerciale9.

Negli ultimi anni, anche grazie all’affermarsi delle tecnologie di comunicazione wireless, si sono create le condizioni favorevoli all’avvio di un ampio processo di sperimentazione della tecnologia di Auto-ID tramite onde radio nei più svariati settori, processo che sta portando, sul piano operativo, all’implementazione di un numero sempre crescente di progetti di notevole rilievo.

7

L’Auto-ID Labs è stato creato dalla stessa federazione di università e laboratori di ricerca che avevano lavorato negli anni precedenti all’Auto-ID Center, al fine di continuare il percorso intrapreso ricercando e sviluppando nuove tecnologie ed applicazioni per pervenire all’ “Internet delle cose”.

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L’EPC Network è simile alla rete Internet che tutti conoscono e utilizzano. È basata su una parte hardware, con tag, lettori RFID e server, ed una parte software, costituita da Savant (middleware), Object Name Service (ONS) e Physical Markup Language (PML). L’Electronic Product Code, EPC, è un formato di numerazione univoco proposto come standard futuro per l’identificazione dei prodotti; ne esistono diversi tipi, a seconda delle necessità di impiego e della capacità di memoria dei transponder (strutture a 64, 96 e 128 bit). A tale proposito si veda anche il par. 3.9.

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3.2 Tag e reader: primi cenni alla tecnologia in radiofrequenza

L’elemento principale di un sistema RFID è un dispositivo chiamato transponder (dalla fusione di “transmitter” e “responder”) o tag (fig. 5), applicabile in diversi modi su un oggetto. Un lettore (reader) statico o portatile invia un segnale tramite un campo elettromagnetico, generato attraverso un’antenna. Il segnale permette di caricare (nel caso in cui si adoperi un tag definito passivo) i componenti interni che costituiscono il circuito di alimentazione, e ciò in un intervallo di tempo brevissimo, dell’ordine cioè di qualche millesimo di secondo.

Figura 5: Transponder

Il transponder, una volta riconosciuta la correttezza dell’operazione di interrogazione, invia al reader un segnale contenente il suo codice di identificazione, nonché altri dati contenuti all’interno della sua memoria.

Dunque sono almeno due i componenti di un sistema RFID: il transponder e il reader.

- un transponder RFID è l’ “etichetta intelligente” che viene applicata sugli oggetti di cui si vuole gestire l’informazione, e normalmente è costituito da almeno i seguenti tre componenti elementari:

o il tag, ovvero il componente elettronico, l’elemento “intelligente” vero e proprio, responsabile delle funzioni di comunicazione e identificazione;

Product Code (UPC) ed EAN artiche Numbering Code (EAN), impiegate attualmente per i beni di largo

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o l’antenna, cioè l’apparato che permette al tag di essere alimentato (qualora questo sia privo di memoria propria), di ricevere e – eventualmente – trasmettere le informazioni dal/al mondo esterno;

o il supporto (o packaging), ovvero il materiale / componente che sostiene / protegge il sistema tag – antenna e ne consente l’applicazione sull’oggetto fisico.

- Il reader, invece, rappresenta l’interfaccia tra mondo esterno e transponder, grazie alla sua capacità di interrogare i singoli tag, inviare e ricevere dati ed interfacciarsi con i sistemi informativi (SI) esistenti. Normalmente, esso consta di due elementi:

o L’unità di controllo (UC), un microcalcolatore provvisto di sistema operativo in tempo reale che consente di gestire:

 le interfacce con le antenne (di solito possono essere gestite contemporaneamente le comunicazioni con un numero di antenne compreso fra 4 e 8);

 l’interrogazione dei transponder che entrano nel raggio d’azione di un’antenna;

 le collisioni tra i messaggi di risposta dei transponder10;  l’interfaccia coi SI aziendali.

o Le antenne, ovvero le reali interfacce fisiche tra l’UC e i transponder. Questi, infatti, per essere attivati devono essere investiti dal campo magnetico generato da un’antenna, che solo in questo modo può alimentarli e scambiarvi informazioni.

Dimensioni, forma e orientamento del reader (in particolare dell’antenna) ne determinano il campo di lettura. La distanza di lettura è influenzata inoltre da umidità, temperatura e materiale utilizzato.

Si consideri comunque che i sistemi RFID operanti alle bande di frequenza più elevate presentano una velocità di trasferimento dati ed una distanza di lettura maggiori (si veda anche il par. 3.5).

Esistono diversi tipi di reader (fig. 6), suddivisi in:

consumo.

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- lettori statici, come ad esempio i gate;

- lettori mobili:

o portatili (hand-held reader, ovvero palmari dotati di lettore integrato);

o ad orientamento variabile per oggetti in movimento (garantiscono un campo di lettura maggiore nel rispetto delle norme di emissione elettromagnetica).

Figura 6: Esempi di reader

Sia il transponder che il reader sono progettati per rispondere in maniera ottimale alle esigenze imposte da specifici processi e applicazioni (in termini di distanza di lettura, numero massimo di transponder, e così via).

Tale personalizzazione ha però un impatto limitato sulla struttura del reader, il quale presenta la necessità di adattare al processo soltanto dimensioni, forma, orientamento e altre caratteristiche fisiche delle antenne, ma non i componenti principali dell’UC.

3.3 Il cuore dei sistemi RFID: i transponder

Ciò che invece cambia (e di molto) a seconda delle specifiche applicazioni sono le funzionalità del transponder. Variabili fondamentali in tal senso sono ad esempio:

- la distanza di lettura;

- la maggiore o minore capacità di memorizzare informazioni;

- l’idoneità all’utilizzo in ambienti aggressivi (molto freddi o caldi, umidi, particolarmente sporchi, ecc.).

In linea di massima sono tre i principali criteri di classificazione adottabili per i transponder RFID, basati su:

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- la sorgente di energia (si distinguono transponder attivi, “ibridi” ed interamente passivi);

- il tipo di memoria (a bit unico, con memoria “read only” e “read / write”, questi ultimi a più varianti);

- il tipo di accoppiamento (o induzione) utilizzato (transponder elettrici e magnetici).

3.3.1 Sorgente di energia

Relativamente al primo criterio, si individuano dunque:

- transponder attivi: essi integrano (“a bordo”) ad un trasmettitore radio una batteria per alimentarlo, la quale consente un raggio d'azione assai più elevato rispetto alle altre tipologie di transponder. In generale il transponder attivo è caratterizzato da una maggiore velocità di comunicazione col reader, ha un costo molto più elevato (almeno 10 volte superiore a quello dei tag passivi), e presenta lo svantaggio di dover periodicamente ricaricare la batteria, se non sostituirla. Pure le sue dimensioni risultano solitamente maggiori rispetto a quelle dei transponder passivi.

- transponder passivi: possono essere dotati o meno di batteria, a seconda dell’utilizzo che se ne vuole fare. Essi "riflettono" il segnale in RF ad essi trasmesso dal lettore (o transceiver, ricetrasmettitore), oppure possono aggiungere informazioni modulando il segnale riflesso. In questo caso la batteria non serve per potenziare l'energia di tale segnale, bensì per mantenere attiva la memoria del transponder o per alimentare i dispositivi atti alla modulazione. I transponder passivi si suddividono dunque in due categorie principali:

o quelli "ìnteramente passivi”, alimentati unicamente dall’energia proveniente dal lettore (avente funzione di interrogatore) e da essi riflessa. Sono privi di qualsiasi tipo di batteria a bordo o di altre sorgenti interne di energia, motivo per cui risultano i meno costosi da fabbricare. Un’interruzione dell’alimentazione determina il loro immediato spegnimento.

o quelli "ibridi" (o semipassivi), provvisti di batteria, i quali presentano alcune funzionalità dei transponder attivi, ma comunicano con il reader in maniera analoga a quelli interamente passivi. La presenza di una sorgente interna di energia determina una maggiore complessità circuitale rispetto ai precedenti,

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come rispecchiano i prezzi decisamente più elevati (ma ovviamente inferiori a quelli dei transponder attivi).

In particolare, per quanto riguarda le distanze di comunicazione:

- i tag attivi possono comunicare a distanze nell’ordine del chilometro;

- quelli semipassivi, di qualche decina di metri;

- quelli passivi, infine, comunicano a distanze inferiori a 10 m.

Solo alcune considerazioni: se i tag passivi sono da preferirsi in una logica di scelta basata esclusivamente sul costo, i loro limiti rispetto a quelli attivi li rendono inutilizzabili in alcune realtà industriali. Innanzitutto, il fatto di non essere sempre funzionanti non consente di impiegarli per applicazioni che, invece, richiedono proprio un funzionamento continuativo, come ad esempio l’allarme per l’apertura non autorizzata di un container; secondariamente, essi non permettono misure continue di grandezze quali la temperatura all’interno di un contenitore. Infine, è già stato illustrato come i tag passivi non possano essere utilizzati laddove la distanza di comunicazione con il reader sia elevata.

3.3.2 La memoria

Si distinguono in questo caso:

- i transponder a bit unico, generalmente impiegati nei sistemi di EAS (Electronic Article Surveillance), in cui lo stato del bit (ON, “è presente nel campo”, OFF, “non è presente”) è rilevato dal ricetrasmettitore per l'antitaccheggio. Essi sono realizzati con materiale magnetico (strisce o microfibre) o, in alternativa, incorporano un circuito sintonizzato sulla frequenza del ricetrasmettitore, che viene alterato per determinare lo stato OFF. Le versioni "totalmente magnetiche" di questo tipo di transponder utilizzano i campi magnetici per modificare il proprio stato: da ON a OFF, per disattivare il transponder quando l'oggetto viene venduto regolarmente e consentire così il passaggio attraverso il campo del transreceiver per l’antitaccheggio senza che gli allarmi si attivino, e da OFF a ON, in caso di reso. Solitamente il transponder a bit unico è di tipo passivo, dato che la memoria è permanente e che quindi non è necessario disporre di una sorgente di energia per la conservazione dei dati (la

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programmazione dei dati nella memoria viene effettuata al momento della sua fabbricazione). Il suo livello di integrazione e miniaturizzazione è notevole: esso si presenta sotto forma di un piccolo chip collegato a un'antenna.

- Transponder con memoria. Più in particolare, ne esistono tre tipi:

o ROM (Read Only Memory, con sola funzione di lettura). La loro memoria viene programmata un’unica volta al momento della fabbricazione, solitamente con un numero limitato di informazioni (tra le quali non può mancare il codice univoco di identificazione del tag), e non può più essere modificata. Le ROM sono le più diffuse, grazie al loro costo ridotto e ad una vita utile molto lunga. o Un tipo di memoria intermedio è la WORM (Write Once Read Memory),

conosciuta anche come sistema OTP (One Time Programmable): si tratta di un particolare tipo di memoria EEPROM (Electrically Erasable Programmable ROM) che permette di scrivere una volta sola nella memoria senza poterne successivamente cancellare il contenuto. Questa funzionalità è utile perché dà la possibilità all'utente di personalizzare direttamente il tag senza doverlo richiedere al produttore del chip, ma comporta un costo leggermente maggiore. Una volta programmata, la memoria WORM si comporta come una normalissima memoria ROM.

o La tecnologia ha infine reso disponibili delle memorie che permettono di scrivere e leggere praticamente senza limitazioni di sorta (ad oggi, i produttori garantiscono solitamente 100.000 operazioni di lettura / scrittura). Tali memorie sono di due tipi: RAM ed EEROM.

 Le prime sono utilizzate ormai da decenni in tutte le applicazioni elettroniche. Permettono di conservare grandi quantità di dati a costi estremamente competitivi. L’unico limite è dato dalla necessità di una fonte di energia permanente che impedisca la perdita dei dati.

 Le memorie EEROM, invece, richiedono la presenza di una fonte di energia soltanto durante le operazioni di lettura e scrittura, potendo conservare i dati senza alcuna alimentazione per almeno 10 anni. Per questo esse rappresentano la soluzione più adeguata per i transponder passivi, nonostante il costo maggiore ed una minor densità di memorizzazione.

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Un’ulteriore considerazione: per applicazioni in cui siano richieste enormi quantità di tag che fungano da semplici etichette per identificare univocamente il singolo prodotto fisico, come nel caso dei prodotti di largo consumo per i quali siano impiegati codici (fissi) di lunghezza variabile fra i 24 e i 96 bit, è possibile ricorrere a tecnologie che non utilizzano chip in silicio (“chipless”).

In tutti gli altri casi, le applicazioni sono tali da richiedere l’utilizzo di tag con chip in silicio, di memoria variabile a seconda delle particolari esigenze.

3.3.3 Tipo di accoppiamento

Come accennato, tale criterio distingue due tipi di transponder:

- i transponder elettrici (fig. 7), che sfruttano il principio di induzione elettrostatica per trasmettere energia e dati dal ricetrasmettitore al transponder e dati nel verso opposto. La propagazione attraverso i campi elettrici richiede normalmente sistemi con antenne di dimensioni dell'ordine della mezza lunghezza d'onda:

o 1,5 m a 100 MHz; o 0,15m a 1 GHz; o 0,061 m a 2,45 GHz; o 0,025 m a 5,8 GHz.

Figura 7: Tag elettrici

• Questa caratteristica fisica limita inferiormente la frequenza adottabile coi transponder elettrici (si parte infatti dai 400 MHz). Di contro, il costo dei componenti (tanto dei transponder quanto dei ricetrasmettitori) cresce all’aumentare della frequenza (subendo un ulteriore incremento oltre i 4 GHz), per cui attualmente non sono concepibili dei transponder di largo consumo a frequenze superiori ai 5,8 GHz. Inoltre, la densità di energia di un segnale nel campo elettrico si affievolisce proporzionalmente al quadrato della distanza fra transponder e ricetrasmettitore. Per

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compensare questa perdita di energia è possibile realizzare ricetrasmettitori più sensibili, i quali comunque presentano un range massimo di operatività limitato a 10 metri (per una frequenza pari a 400 MHz). Quest’ultimo dato deve essere accordato alle norme d’impiego valide nei diversi Paesi.

- I transponder magnetici si basano invece su un accoppiamento di tipo induttivo: la corrente alternata che percorre un conduttore genera un campo magnetico variabile che, a sua volta, induce correnti variabili nei circuiti (in cui sono presenti avvolgimenti) posti nelle vicinanze (si parla appunto, in questo caso, di induzione elettromagnetica). I campi elettrici e magnetici (fra loro perpendicolari) variabili nel tempo e prodotti dall'accelerazione di particelle cariche eccitano le particelle cariche vicine, dando vita nello spazio ad un meccanismo a catena che rende possibili le radiocomunicazioni anche su lunghe distanze.

• I transponder che sfruttano questo tipo di fenomeno, tipicamente passivi, sono attualmente i più diffusi, e utilizzano soprattutto due bande di frequenza:

o VLF (very low frequency, 125 – 134,2 kHz); o HF (high frequency, 13,56 MHz).

• L’antenna è costituita da una bobina, che può essere:

o di tipo solenoidale, con avvolgimento “libero” o intorno ad un nucleo ferromagnetico. È generalmente impiegata per i transponder VLF (fig. 8).

Figura 8: Tag magnetico con antenna avvolta su nucleo di ferrite

o Ad anello (loop): si tratta in questo caso di uno o più avvolgimenti di filo metallico (per cui si parla di “antenna a spire”), utilizzati per realizzare transponder HF definiti “smart label”.

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ricavata su un circuito stampato o su un substrato flessibile fotoinciso, realizzabile industrialmente (fig. 9).

Figura 9: Smart label

3.4 Come scegliere un transponder

i paragrafi precedenti dovrebbero aver fornito un’idea di quanto sia ampia e diversificata la gamma di dispositivi (soprattutto transponder) impiegabili per sviluppare progetti di RFID per le più disparate applicazioni. Proprio per questo, scegliere correttamente il tag da adottare per la propria specifica realtà risulta tanto determinante per l’esito del progetto quanto complicato.

Di seguito, sono riportate solo alcune delle considerazioni da fare e questioni che è necessario affrontare:

- qual è la distanza di lettura ottimale che si richiede? E quali saranno verosimilmente le condizioni di lettura nell’ambiente operativo? Si pensi ad esempio alla velocità di attraversamento del campo del reader da parte degli oggetti “taggati”.

- Il tag deve essere riutilizzato o se ne può impiegare uno a perdere?

- Il punto in cui il transponder deve essere applicato determina la sua dimensione e forma;

- i transponder sono vicini gli uni agli altri? Se sì, quanto?

- Quale deve essere la resistenza del tag alle condizioni ambientali e operative (umidità, temperatura, acqua, sporcizia)? Deve operare in ambienti aggressivi?

- L'orientamento del piano dell'antenna di lettura rispetto a quella del transponder possono influenzare le prestazioni di lettura;

- L’influenza esercitata da elementi come il metallo, i liquidi e la presenza di disturbi elettrici o di altre onde sulla comunicazione radio può essere significativa;

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- è bene conoscere approfonditamente tutti gli aspetti legati agli standard vigenti ed alle legislazioni nazionali prima di avventurarsi in progetti personalizzati;

- è necessario che il transponder sia dotato di una memoria? Se sì, quantità e qualità dei dati da memorizzare ne determinano il dimensionamento.

- L'anticollisione offre sì la possibilità di leggere più transponder contemporaneamente, ma sempre entro certi limiti tecnologici11!

- Quale deve essere la velocità di lettura? Questa deve risultare dinamica o l’applicazione non lo richiede?

- La protezione dei dati memorizzati può essere garantita mediante opportuni protocolli di crittografia12.

3.5 Dal barcode all’RFID: vantaggi e possibili incognite della nuova tecnologia

Il sistema di identificazione automatica attualmente più diffuso è senza dubbio il barcode, che ormai da anni ha raggiunto un grado di pervasività senza eguali: praticamente tutti i prodotti di consumo e durevoli sono provvisti di etichette con codice a barre.

li costo ridotto dell'etichetta e la facilità d'uso sono stati le principali determinanti dell'impetuosa affermazione in tutte le realtà industriali e terziarie di tale tecnologia, che non comprende solo le etichette, ma pure tutto l'insieme dei dispositivi necessari alla loro stampa e lettura.

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Tale problematica, solitamente, si presenta in modo più marcato per applicazioni con tag passivi, strutturalmente pensati per essere impiegati per grandi volumi e, quindi, in contesti in cui si debbano leggere molti tag in poco tempo. Questo tipo di prestazione dipende dalla frequenza di funzionamento del tag, dal numero di canali che il particolare protocollo riserva alla comunicazione tag / reader e dal tipo di algoritmo di anticollisione utilizzato, oltre che dalla corretta orientazione dei tag nel campo. Generalizzando, si può affermare che per tag UHF, con una configurazione a tunnel con 4 o più antenne, è possibile arrivare a leggere fino a 200 tag in meno di 10 secondi. Al contrario le applicazioni HF, e soprattutto le LF, sono limitate da questo punto di vista, consentendo di leggere rispettivamente non più di (circa) 30 e 3 tag per secondo. Per superare tale limitazione sono state recentemente sviluppate due nuove tecnologie, una in campo LF (LF Spacecode) e l'altra in campo HF (HF Mode 2) che sono riuscite ad alzare l'asticella fino a 500 tag/secondo (anche sovrapposti) per l'HF e fino a 40 tag/secondo per l’LF.

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La comunicazione tra reader e transponder può essere garantita secondo modalità differenti in funzione del grado di sicurezza richiesto. Un primo criterio è la sicurezza nell'accesso alla comunicazione, ottenibile mediante una password che permette di identificare il reader e il transponder. La password di identificazione del reader può essere unica per tutti i transponder o specifica per il singolo tag.

Un sistema più sofisticato è la codifica delle trasmissioni attraverso password. Questa soluzione rende molto difficile la lettura del processo di comunicazione ai non esperti.

Da ultimo si possono utilizzare veri e propri sistemi di crittografia che permettono di ottenere un'elevata sicurezza al prezzo di costi crescenti e prestazioni più modeste. Inoltre l'utilizzo della crittografia è limitato dalle leggi nazionali sulla sicurezza pubblica, che impongono limitazioni agli algoritmi e la possibilità di lettura da parte delle forze di Polizia (su richiesta delle autorità competenti).

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Lo sviluppo di sistemi di stampa a getto d'inchiostro di codici a barre ad elevata qualità e a costi irrisori, ha permesso la diffusione dei sistemi di marcatura a barcode direttamente sulle linee di produzione e di spedizione.

In particolare, le differenti esigenze applicative hanno determinato lo sviluppo di ben 26 differenti tipi di codifica, specifici per i più svariati ambiti e funzionalità.

Ad esempio, il codice 32 è stato studiato specificamente per il settore farmaceutico italiano, mentre il codice Codablock è utilizzato a livello europeo nello stesso settore, in quello dei gioielli e per i componenti elettronici.

L’EAN costituisce la codifica barcode più diffusa in Europa, ed è impiegata per la marcatura dei prodotti finiti da parte dei produttori; la stessa funzione negli Stati Uniti è svolta dal codice UPC.

Il codice a barre permette di realizzare un'etichetta con un'informazione scritta che è leggibile automaticamente a una distanza predefinita.

Le stesse funzioni possono essere assolte da un transponder RFID, dispositivo che può essere sì considerato, almeno in un certo senso, il diretto discendente del barcode (fig. 10), ma che sarebbe estremamente riduttivo definire come un codice a barre. Esso, difatti, rappresenta un enorme salto tecnologico e funzionale, fornendo delle funzionalità addizionali estremamente interessanti rispetto a quelle tipiche del barcode tradizionale relativamente ad aspetti quali:

Figura 10 : Barcode e RFID

- la quantità d'informazioni: il barcode permette di gestire al massimo 100 byte per etichetta, mentre i transponder RFID possono gestire normalmente da 128 byte a 8 Kbyte.

- Modificabilità dell'informazione: il barcode fornisce un'informazione fissa e immodificabile, al contrario di alcune tipologie di transponder che rendono possibili cicli di scrittura praticamente illimitati nel corso della loro vita utile.

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- Modalità di lettura: il barcode richiede la visibilità (ottica, dunque l’assenza di ostacoli) tra lettore ed etichetta, illuminazione adeguata e angoli di lettura ben precisi; il transponder, invece, se si escludono (solo per alcune tipologie, peraltro) alcune limitazioni legate a temperature e condizioni ambientali e operative estremamente aggressive, nonché alla massiccia presenza nell’ambiente operativo di metalli e liquidi, non presenta altro vincolo che la distanza massima di lettura, e può essere letto anche se posto all'interno di altri contenitori e non frontalmente al lettore.

A questi elementi si aggiungono le seguenti caratteristiche distintive della tecnologia RFID, alcune delle quali non interessano ai fini dell’applicazione trattata nei capitoli seguenti, ma che aiutano a rendere l’idea di quali siano i margini per la diffusione su larga scala dell’identificazione mediante RF13.

- univocità dell'etichetta d'identificazione, associata a un codice matricolare generato dal produttore del chip e non riproducibile: viene identificato il singolo oggetto, non più la tipologia di articolo.

- Ampio range di distanze di lettura / scrittura, da pochi centimetri al chilometro (grazie a frequenze e tipologie di tag diverse);

- possibilità di realizzare i tag in materiale plastico sottile e flessibile;

- sicurezza delle informazioni (accesso impedibile tramite opportuni sistemi di crittografia e autenticazione; inoltre la lettura “in chiaro” del tag è del tutto impossibile);

- immunità alle condizioni ambientali (illuminazione, polveri, ecc.) ed elevata resistenza in ambienti ostili (a seconda della particolare tecnologia e dei supporti utilizzati, i tag possono resistere a temperature comprese fra i – 40° C e gli 85°C, all’umidità se non addirittura all’immersione in liquidi, a grassi e oli in ambiente industriale, ecc.);

- assenza di parti in movimento, il che garantisce un’elevatissima affidabilità;

- con riferimento ai tag (se di tipo passivo), l’assenza di qualsiasi necessità manutentiva; - possibilità di leggere rapidamente un numero elevato di etichette che si

sequenzializzano automaticamente per mezzo degli algoritmi di anticollisione (il barcode, di contro, richiede una lettura sequenziale delle etichette, che devono essere fatte passare attraverso il campo “visivo” del reader una alla volta);

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- vita praticamente illimitata, nel caso che i transponder – opportunamente protetti – possano essere riutilizzati più volte. Ciò consente un ammortamento dei costi inimmaginabile con i barcode, sì più economici ma che possono solamente essere rimpiazzati.

- Possibilità di disattivare in qualsiasi momento il tag sia per motivi di sicurezza che di privacy;

- supervisione e presenza umane non indispensabili per l‘identificazione;

- integrabilità con sensori per applicazioni particolari (ad esempio, sensori di temperatura per impiegare i tag nella catena del freddo);

- possibilità di adottare codifiche (quali l’EPC, vd. par. 3.9) che identifichino non il tipo di prodotto, ma il singolo item.

Tali caratteristiche, da un lato, consentono di realizzare sistemi di Auto-ID più efficaci, efficienti e sicuri, e dall'altro influenzano la struttura stessa dei SI aziendali, offrendo funzionalità e prestazioni innovative che inducono ad una riprogettazione dei relativi database.

A fronte di tutti questi vantaggi, non si possono però trascurare i fattori che hanno fin qui impedito una diffusione capillare dell’RFID, simile a quella raggiunta dai codici a barre. Se si escludono le problematiche inerenti la privacy e i numerosi dibattiti che esse hanno generato (basti pensare alle campagne di boicottaggio dei prodotti Benetton14 intraprese negli ultimi anni in varie parti del mondo), che esulano dagli scopi della presente trattazione, i principali limiti della nuova tecnologia sono stati, fino ad oggi:

- i costi / gli investimenti elevati richiesti per la sua implementazione, spesso tali da non garantire i ritorni sperati o, comunque, ritenuti troppo “rischiosi”. Questo anche tenendo conto che per un progetto RFID efficace è sovente necessaria un’integrazione da parte dell’Azienda che lo sviluppa con altri soggetti lungo l’intera supply chain, quale che sia il settore di riferimento; il che può generare, anche nei sostenitori più convinti, il timore che gli investimenti siano sprecati, se pure i partner non intraprendono lo stesso percorso.

- Tali timori sono giustificati se si considera inoltre che questa tecnologia, proprio in quanto “giovane”, necessita ancora di un preciso inquadramento normativo e a livello di standard internazionali, sebbene in questi anni si stiano facendo passi da gigante.

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Aspetto, questo, reso ancora più complesso dal fatto le tematiche in gioco – riguardanti emissioni di onde elettromagnetiche e bande di frequenza, solo per citarne due – sono estremamente delicate.

Ad ogni modo, negli ultimissimi anni è stato fatto tantissimo per ridurre sempre più queste problematiche. In particolare:

- il costo unitario dei tag passivi (i più economici), che tanto interessa non solo agli operatori nel mercato dei beni di largo consumo e nella grande distribuzione organizzata (GDO), ma pure ai produttori di beni durevoli di vario genere (a seconda delle applicazioni che si richiedono ai transponder), è già sceso sotto la fatidica soglia dei 5 centesimi di dollaro, ed è in continua diminuzione. A tale proposito, in fig. 11 è schematizzata una sorta di “roadmap” riferita alla diffusione dell’RFID nei diversi campi di impiego, in relazione al prezzo del singolo tag.

• Sia chiaro che quelli riportati nel grafico sono i prezzi minimi raggiunti dai tag, ma ciò non significa che per ogni campo di applicazione siano attualmente impiegati i transponder più economici. Inoltre, non bisogna dimenticare che l’investimento in un progetto RFID è destinato solo in piccola misura all’acquisto dei tag. A tale proposito, la tab. 2 fornisce i costi orientativi dei più comuni apparati RFID passivi.

Tabella 2: Costi orientativi dei più comuni apparati RFID passivi

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Va comunque segnalato che pure per quanto riguarda i reader è stato recentemente sfondato un “muro” significativo, quello dei 100 euro: anche con importi inferiori, infatti, è ormai possibile acquistare lettori di portata pari a circa 1 m, utilizzando frequenze multiple (13.56 e 868 MHz).

Figura 11: Diffusione dell’RFID in funzione del costo unitario dei tag

- Pure in fatto di standard su scala globale, tuttora in corso di definizione, sono già stati raggiunti risultati consistenti da parte degli Enti responsabili. A tale tematica è comunque dedicato un apposito paragrafo (il 3.7).

Al di là delle problematiche citate, rese evidenti dal confronto con i sistemi barcode, vi sono alcune considerazioni di carattere generale inerenti l’implementazione di un progetto RFID:

- il vero punto di debolezza, più volte riscontrato, risiede in un’impostazione poco chiara del processo di identificazione delle problematiche cui si vuole porre rimedio con la nuova tecnologia e dei relativi margini di miglioramento, nonché in una definizione / pianificazione solo approssimativa del progetto da sviluppare.

- L’adozione della tecnologia RFID richiede spesso di rivedere buona parte dei processi aziendali, inducendo modifiche nella struttura stessa dei sistemi informativi. Per questo servono non solo il commitment dei diretti responsabili per il progetto RFID, ma pure la collaborazione di tutti coloro che dovranno impiegare più o meno direttamente tale tecnologia.

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- Uno scorretto utilizzo della tecnologia può dipendere da un'inadeguata conoscenza di: condizioni ambientali e/o operative, funzionalità dei lettori / scrittori (distanze di lettura, protocolli di comunicazione), tipologia di transponder (punto di applicazione, forma, chip, capacità di memoria, dimensione dell’antenna) e di flusso dati da e verso i SI. In altre parole, le prestazioni complessive di un’applicazione RFID discendono dalla combinazione tra le scelte tecnologiche e le condizioni operative del processo in cui la tecnologia viene impiegata (fig. 12).

Figura 12: Variabili tecnologiche e di processo connesse all’adozione di una soluzione RFID

Un’ultima precisazione: quanto scritto riguardo ai numerosi vantaggi che l’adozione della tecnologia RFID comporta rispetto ai barcode non deve essere interpretato come una sorta di “bocciatura” per quest’ultimo sistema, non a caso pervasivo come nessun altro di identificazione (non solo automatica). Anzi, capita molto spesso (e per certi aspetti lo si raccomanda) che RFID e codici a barre coesistano nell’ambito della stessa specifica applicazione, completandosi a vicenda.

In particolare, nell’applicazione trattata nei capitoli successivi, l’utilizzo del barcode è abbinato ad un progetto pilota di RFID, e servirà al cantiere Benetti per familiarizzare con quel nuovo approccio ai processi che, in un secondo momento, sarà alla base di un impiego più esteso di tag e gate.

3.6 Quali frequenze per l’RFID

La frequenza di trasmissione può essere considerata, probabilmente, il parametro tecnologico più importante per un’applicazione RFID. Ciascuna frequenza presenta caratteristiche

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velocità di scambio), ambiente in cui ne è possibile il funzionamento (presenza di metallo o di liquidi, attività elettromagnetica, ecc.) e così via.

È quindi molto difficile pensare a una sola frequenza che possa risolvere tutti i problemi di tracciabilità: ciascuna banda trova in specifiche applicazioni i suoi campi di impiego preferenziali, sebbene vi siano contesti che si prestano all’utilizzo di più frequenze diverse. Per l’identificazione in RF è stato riservato un certo numero di bande di frequenza, classificate in quattro gruppi principali:

- le basse frequenze (Low Frequency - LF), inferiori ai 135 KHz, in particolare due: 125 kHz e 134 kHz;

- le alte frequenze (High Frequency, HF): in linea di massima, l’unica frequenza in questa banda utilizzata su larga scala è pari a 13,56 MHz (la più diffusa in assoluto); - le frequenze ultra alte (Ultra High Frequency, UHF): ne sono utilizzate due, cioè 433

MHz e la banda 866 – 915 MHz;

- le microonde (microwave, MW): inizialmente erano riservate due frequenze, 2,45 GHz e 5,8 GHz, ma quest’ultima è stata recentemente messa da parte per lo scarso numero di applicazioni. Essa rimane comunque a disposizione dell’RFID.

Fra queste frequenze, la prima ad essere riconosciuta a livello mondiale e ad essere soggetta a standardizzazione è stata l'HF a 13,56 MHz, ma di anno in anno i passi verso la standardizzazione delle altre bande sono davvero notevoli. Per i tag passivi dei sistemi RFID operanti alle UHF la situazione è piuttosto complicata: le frequenze assegnate in alcuni Paesi non sono consentite in altri, in quanto molto vicine alle bande già riservate per dispositivi quali telefoni mobili e allarmi.

Al crescere della frequenza crescono la distanza massima di lettura e la massima velocità a cui si può muovere l’oggetto da interrogare, così come, generalmente, il transfer rate, ovvero la quantità di informazioni trasferibili nell’unità di tempo. D’altra parte, aumenta pure la sensibilità alle condizioni operative, connesse ad esempio alla presenza di metalli o acqua. Prendendo in considerazione frequenze via via maggiori, il costo di costruzione dei tag tende ad aumentare e, parallelamente, il costo dell’antenna tende a diminuire. Per poter leggere a distanze maggiori, i lettori LF ed HF necessitano di antenne più grandi, mentre le antenne dei reader UHF presentano dimensioni inferiori.

Di seguito sono riportate informazioni un po’ dettagliate circa i 4 diversi range di frequenza sopra elencati.

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- LF (120 – 145 kHz)15: i vantaggi di queste frequenze sono legati soprattutto ad un loro possibile impiego su scala mondiale. Tale banda è disponibile in tutti i principali Paesi (in Europa, Nord America e Giappone), e le applicazioni più diffuse sono quelle che richiedono la trasmissione di limitate quantità di dati a brevi distanze. Gli svantaggi sono comunque piuttosto numerosi:

o innanzitutto, i materiali ferromagnetici hanno un effetto schermante sulle onde elettromagnetiche, e possono quindi causare problemi di lettura;

o le notevoli dimensioni delle antenne dei lettori e le distanze operative ridotte costituiscono un limite ad una loro maggiore diffusione;

o la realizzazione fisica dei tag è più complessa rispetto al caso HF (13,56 MHz), a causa dell’elevato numero di spire della bobina;

o infine, i tag operanti alle LF non dispongono solitamente di alcun algoritmo di anticollisione, per cui è possibile leggere un solo tag alla volta.

• Nel caso di tag passivi, la distanza operativa varia dai 30 cm al metro e la velocità di trasmissione dei dati non è particolarmente elevata (si aggira intorno a 1 kbit per secondo).

- HF (13,56 MHz): è la prima frequenza accettata da tutti gli Enti normatori a livello mondiale, il che ne fa attualmente la tecnologia RFID più diffusa. È caratterizzata da un bit-rate limitato, se comparato con quello ottenibile con frequenze maggiori, ma presenta il vantaggio di essere compatibile con lo standard ISO 15693 per le smart label. Le dimensioni delle antenne, sia dei lettori che dei transponder, non sono trascurabili, il che ne limita il range operativo.

- Come detto, la HF costituisce la frequenza maggiormente presidiata dai produttori di chip, per cui l’offerta è estremamente varia, sia in termini di capacità di memoria (che può andare dai pochi kbyte fino a sfiorare il Mbyte) che, ad esempio, di presenza o meno di microprocessori incorporati, che consentono la creazione di card multifunzionali e protette da algoritmi crittografici.

- I tag operanti a queste frequenze sono quasi unicamente di tipo passivo e fanno riferimento a standard ben definiti quali l’ISO 14443 (detto anche di vicinity, per distanze di lettura da 10 a 30 cm) e l’ISO 15693 (o di prossimità, per distanze

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operative fra i 30 ed i 90 cm), per le cosiddette “contactless smart cards”, e la recente ISO 18000-3, relativa alle applicazioni RFID per l’item management (vd. tab. 3). • Il funzionamento si basa sull’accoppiamento induttivo tag / reader, come per le basse

frequenze; a differenza di UHF e microonde, il campo a RF in questa banda non risulta particolarmente influenzato dall’acqua o dai tessuti del corpo umano.

- UHF (866 – 915 MHz): queste frequenze permettono di costruire antenne di dimensioni ridotte, quindi adatte a dispositivi portatili, con distanze di lettura che raggiungono anche i 10 metri per i tag passivi. Fino a poco tempo fa, in alcuni Paesi europei (fra cui l’Italia, vd. par. 3.7), l’impiego delle onde a 868 MHz era stato limitato dalle leggi in materia di massima potenza erogabile dal lettore (solitamente 0,5 W contro i 2 W attuali, vd. tab. 4). L’evoluzione tecnologica dei semiconduttori, che ha portato alla realizzazione di chip particolarmente “parsimoniosi” per quanto riguarda il consumo energetico, ha comunque consentito la realizzazione di tag RFID operanti a questa frequenza, peraltro con range operativi decisamente maggiori rispetto a quelli consentiti da LF e HF: i 3 m sono ormai la normalità, mentre sempre più spesso si raggiunge la decina di metri.

• Alcune problematiche, già menzionate in precedenza, hanno rallentato l’introduzione di dispositivi operanti alle UHF:

o Stati Uniti, Europa e Asia si trovano a dover gestire frequenze diverse: le frequenze già occupate dalla telefonia cellulare, e quindi ormai irrimediabilmente “compromesse”, non consentono alle tre aree di utilizzare le stesse bande per l’applicazione RFID.

o Un ulteriore ostacolo è rappresentato dall’assenza di standard accettati dalla comunità internazionale in materia di protocolli di comunicazione tra lettore ed antenna. La definizione del protocollo EPC definito “Class 1 / Generation 2” e la relativa inclusione nello standard ISO 18000-6c dovrebbe consentire il superamento del problema.

o Infine, non va dimenticato che il limite di potenza di 500 mW posto dagli standard europei fino a pochi mesi fa non consente un impiego veramente efficace della tecnologia UHF, anche se le nuove norme sono destinate a risolvere il problema. Negli Stati Uniti la potenza massima consentita è pari a 4 W.

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• Si consideri inoltre che a queste frequenze ci si scontra con problematiche più complesse di quanto non avvenga con quelle inferiori:

o in primo luogo, le riflessioni: le strutture metalliche in prossimità dell’antenna possono riflettere le onde elettromagnetiche, e tali onde riflesse, incontrandosi con l’onda diretta dell’antenna in opposizione di fase, possono far sì che si generino regioni di spazio in cui il campo elettromagnetico risulta nullo. I tag in queste aree sono illeggibili.

o Un ulteriore problema è legato all’assorbimento delle onde da parte dell’acqua, fenomeno che a queste frequenze diviene più significativo: l’efficienza di lettura in ambienti particolarmente umidi o con tag applicati a contenitori di liquidi può diventare difficoltosa.

• Queste frequenze si caratterizzano per una velocità di trasmissione superiore rispetto ai casi visti in precedenza, e consentono di effettuare un elevato numero di letture contemporanee: si arriva tranquillamente a oltre 100 tag letti al secondo.

- Microonde (2,45 e 5,8 GHz): a queste frequenze operano già attualmente le reti wireless (WLAN, Bluetooth, ecc.). Esse presentano caratteristiche e comportamento molto simili alle UHF e, poiché la dimensione dell’antenna deve risultare strettamente legata alla lunghezza d’onda, consentono di miniaturizzare l’etichetta con antenne dagli ingombri ridottissimi. I range di lettura raggiungono almeno le decine di metri per soluzioni attive e il metro per quelle passive, il bit-rate è molto alto (256 kbit/sec), ma il costo pure.

• I tag a 2,45 GHz presentano problemi di condivisione dello spettro con altre applicazioni: le Wireless LAN, i forni a microonde e i telefoni cordless. Inoltre, sebbene tale frequenza sia utilizzata in tutto il mondo, l'utilizzo di questi tag è ancora molto limitato a causa dei diversi limiti imposti dalle normative in fatto di massima potenza ammessa. Il principale svantaggio della banda a 5,8 GHz, invece, consiste nel fatto che essa non è disponibile negli Stati Uniti.

La fig. 13 illustra sinteticamente quali relazioni intercorrono tra frequenze di impiego e tipo di alimentazione dei tag16:

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Figura 13: Relazione tra frequenza di impiego e tipologia di alimentazione dei tag

3.7 La normativa: verso l’armonizzazione degli standard

Per ogni sistema in radiofrequenza, la ISO (International Organization for Standardization) e la IEC (International Electrotechnical Commission, responsabile dell’elaborazione di standard in ambito elettrico ed elettronico) hanno dato vita al Joint Technical Committee (JTC1), Ente normatore per ciò che riguarda la tracciabilità di oggetti e persone (fig. 14).

Figura 14: il Joint Technical Committee

Come nel caso di Internet, per cui il TCP/IP è stato scelto quale standard di comunicazione internazionale, anche per l’RFID sono stati definiti standard e norme relativi al protocollo di comunicazione, ovvero il linguaggio con cui tag e reader “si comprendono”.

Più specificatamente, la definizione di questi standard è di responsabilità dell’l’SC31, il sottocomitato del JTC1 che si occupa di identificazione automatica e raccolta dati (AIDC, vd. par. 2.2), e si articola su tre livelli principali:

passivi, ma “read / write”; sempre “read / write”, ma di tipo semipassivo, sono invece i transponder di classe 3; alla classe 4, infine, appartengono i tag “read / write” attivi con trasmettitore integrato.

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- l’applicazione, inerente gli aspetti connessi al processo attuato dall’utente; - la comunicazione: come si comprendono tag e lettore17;

- il trasporto, relativamente alla propagazione delle onde elettromagnetiche vettrici dell’informazione.

I principali standard attualmente in vigore o in fase di realizzazione sull'RFID sono riportati in tab. 3:

Tabella 3: I principali standard per l’RFID

Assumono particolare rilievo le ISO/IEC 18000, le più recenti, che definiscono i parametri di comunicazione per tutte le bande di frequenza attualmente utilizzate.

È il caso di sottolineare quanto la standardizzazione delle frequenze RFID sia più complessa di quella relativa all’applicazione e ai protocolli di comunicazione, in quanto le leggi sulle concessioni delle frequenze radio, in generale, variano da continente a continente, e talvolta da Paese a Paese. Risulta pertanto complicato riuscire a fissare una frequenza o banda di frequenza da riservare all'RFID su scala globale.

17

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L'unica frequenza veramente unificata è la HF, fissata ovunque a 13,56 MHz. Alle basse frequenze la maggior parte delle nazioni ha assegnato la banda 125 kHz – 134 kHz, ma la normativa non è unica, in quanto in Giappone e in Europa i livelli di potenza sono molto inferiori rispetto a quelli ammessi negli Usa. In questo caso, tuttavia, il problema è solo apparente, in quanto di solito le basse frequenze sono comunque utilizzate per applicazioni a livello locale.

Più penalizzante la situazione per le UHF, spettro di frequenza utilizzato da numerosi dispositivi elettronici. L'Europa utilizza la banda tra 869,40 e 869,65 MHz, mentre negli Stati Uniti tale frequenza è fissata a 915 MHz. Il Giappone è orientato verso la banda dei 960 MHz. Alcune Organizzazioni, come la Global Commerce Initiative, stanno facendo pressioni sui governi per incoraggiare l'adozione di bande condivise.

Il planisfero in fig. 15 illustra meglio la situazione attuale, mentre in tab. 4 è riportato, per ogni banda di frequenza, il dettaglio delle massime potenze ammissibili18 per le applicazioni RFID.

Figura 15: Bande di frequenza per le applicazioni RFID nel mondo

18

Nell’affrontare la questione RFID, bisogna sempre ricordare di avere a che fare con delle onde / radiazioni elettromagnetiche, che se utilizzate in maniera “sconsiderata” e senza un controllo da parte delle autorità competenti possono generare rischi per la salute dell’uomo esposto. Ecco perché la potenza radiante (soprattutto) delle stazioni fisse in lettura è regolata da norme severe, sebbene non condivise: ad esempio, con riferimento alla banda UHF (liberalizzata pure in Italia solo nel luglio 2007), il limite è fissato a 2 Watt ERP (Effective Radiate Power) in Europa = 3,24 Watt EIRP (Equivalent Isotropic Radiated Power) in America, in cui però il limite è fissato a 4 W.

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Tabella 4: Massime potenze ammissibili per applicazioni RFID nel mondo

3.8 La liberalizzazione delle frequenze UHF in Italia

Con un decreto firmato dal Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni il 13 luglio 2007, il Governo italiano ha completamente liberalizzato la fascia di frequenze UHF utilizzate dai tag passivi RFID sul territorio nazionale. Questa iniziativa riallinea l’Italia agli altri Paesi europei in tema di comunicazione e scambio dati tramite RFID.

La Commissione Europea, infatti, già tempo addietro aveva chiesto al Governo italiano l'attuazione di questo provvedimento19, ma a inizio 2007 era stata chiesta una proroga di due anni poiché, secondo il Ministero della Difesa, le frequenze UHF avrebbero potuto interferire con gli apparecchi radio dell'esercito.

Il decreto Gentiloni costituisce senz’altro una svolta, poiché apre la strada a nuove sperimentazioni dei tag RFID a corto raggio in tutta una serie di settori industriali quali la logistica, i trasporti e la produzione su catena di montaggio20.

19

Risale al 23 novembre 2006 la decisione della Commissione Europea relativa all’armonizzazione dello spettro radio per apparecchiature RFID che operano nella banda UHF.

20

C’è comunque chi non ha mancato di esprimere alcune perplessità riguardo al nuovo decreto, soprattutto in fatto di privacy e salute, invitando il Governo a regolamentare il settore con norme più severe. Riguardo alla questione sanitaria, e più specificatamente ai limiti di emissione da onde elettromagnetiche, va precisato che il decreto Gentiloni consente l’installazione di apparati – sia indoor che outdoor – con una potenza massima di 2 W, espandibili a 4 W con particolari tipi di antenna. Si tratta di una mossa di portata ben più ampia rispetto a

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Inoltre – aspetto, questo, non meno rilevante - la liberalizzazione potrà dare ulteriore slancio alla ricerca universitaria, condizione sine qua non per garantire competitività al settore industriale in materia di sviluppo degli identificatori a radiofrequenza.

Solo per completezza di trattazione, si riporta di seguito il passo integrale del decreto:

“la banda di frequenze 865-868 MHz può essere impiegata, su base di non interferenza e senza diritto a protezione, ad uso collettivo da apparati a corto raggio per le apparecchiature di identificazione a radiofrequenza (RFID), aventi le caratteristiche tecniche di cui alla decisione 2006/804/CE. Tali applicazioni sono soggette al regime di "libero uso" ai sensi dell'art. 105, comma 1, lettera o) del Codice delle comunicazioni elettroniche, emanato con decreto legislativo 1° agosto 2003”.

3.9 Lo standard EPC

Nel par. 3.1 era stato fatto cenno alla nascita, nel 2003, dell’Auto-ID Labs e dell’EPCglobal, dalle “ceneri” dell’Auto-ID Center presso il MIT di Boston che tanto aveva dato alla ricerca nell’ambito dell’identificazione automatica nei 4 anni precedenti.

Scopo primario dell' Auto-ID Center era la definizione di un nuovo standard di codifica, adottabile su scala mondiale, per qualsiasi prodotto o contenitore, basato sulla codifica di un tag RFID da apporvi. EPCglobal ha proseguito quest’opera, riuscendo di recente a rilasciare la prima versione di tale standard: l’EPC ver. 1.1.

Il nuovo standard (nelle attuali versioni attualmente previste, "short" a 64 bit o "standard" a 96 bit) utilizza un particolare schema di codifica internazionale che permette di identificare (univocamente) un singolo prodotto (item) o contenitore (stock keeping unit, SKU) distinguendolo da qualsiasi altro esemplare (anche identico) presente sul mercato.

Il principale elemento di novità rispetto agli schemi oggi adottati per i barcode da Organismi quali UCC (Uniform Code Council) o il suo corrispettivo europeo EAN (European Article Numbering) è la presenza del numero seriale, in aggiunta al codice del produttore (EPC manager) e del prodotto stesso (object class). Ecco nel dettaglio le 4 sezioni (fig. 16):

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Figura 16: Esempio di etichetta EPC

- header: descrive la struttura che segue e il tipo di EPC;

- EPC manager: codice univoco e rilasciato da EAN / UCC, descrive l’entità (l’Azienda) responsabile della gestione univoca dei campi successivi;

- object class: codice univoco per un oggetto o la sua unità di vendita (SKU); - serial number: numero seriale univoco dell’oggetto.

Tale elemento, inserito anche grazie alla maggior capacità di memoria che un chip può offrire rispetto al classico codice a barre, permetterà di distinguere, ad esempio, due bottiglie identiche di Cola-Cola da 33 cl, potendo risalire facilmente a luogo, data e lotto di produzione, locazione attuale e a molte altre informazioni utili.

Il futuro è d’obbligo in quanto la sola codifica non basta per realizzare la cosiddetta “EPC vision”, primo deciso passo verso il già citato “Internet delle cose”, ma necessita di tutta una complicata infrastruttura di rete (diffusa capillarmente su scala globale) che la supporti.

Tale scenario è stato prefigurato soprattutto in relazione ai beni di largo consumo (fast moving consumer goods, FMCG), e anche per questo i tag per cui è stato “pensato” il codice EPC sono quelli passivi (il cui costo unitario è già sceso sotto i 5 centesimi di dollaro, ed è in continua diminuzione). Esso, come si può intuire, si basa su una notevole centralizzazione dell’informazione.

Ebbene, questa rappresenta solo una di due tendenze opposte, destinate a svilupparsi entrambe nei prossimi anni. La seconda prevede un sistema che, privilegiando la distribuzione dell’informazione relativa al prodotto, si sposa meglio con transponder di memoria più capiente (e dunque più costosi), e che sarà impiegato per comunicare informazioni estremamente dettagliate: risulterà quindi adatto per prodotti di alto valore unitario.

Figura

Figura 3: Funzionamento di un sistema RFID
Figura 4: Auto-ID Center, Auto-ID Labs ed EPCglobal
Figura 5: Transponder
Figura 6: Esempi di reader
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