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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

Il trasporto marittimo

1.1

Il settore trasporti.

La globalizzazione del mercato, unitamente al nuovo concetto di azienda rete ed al recente affermarsi delle e-commerce, sta accrescendo ed accrescerà la domanda di trasporto merci a livello mondiale, sia nel lungo che nel breve termine. Soddisfare tale richiesta porterà ad un notevole incremento del traffico in quasi tutte le modalità di trasporto.

A livello europeo, in particolare modo a livello italiano, vi è a tutt’oggi un forte squilibrio del trasporto merci verso la strada, che ha dato luogo a congestione del traffico su alcune direttrici critiche.

Inoltre, “La predominanza della strada rende questa modalità la più pericolosa: ad essa sono imputabili il 98% degli incidenti e quasi il 100% dei feriti e morti riconducibili alle attività di trasporto”1.

Oltre che sulla sicurezza, tale modalità di trasporto incide più di ogni altra su fenomeni ambientali quali cambiamenti climatici, inquinamento atmosferico ed acustico.

Nel tentativo di far fronte alla crescente domanda di trasporto, mirando al raggiungimento di obiettivi ambientali in accordo con le conclusioni della Conferenza di Kyoto (1997) ed assicurando al contempo soluzioni ai problemi della sicurezza e del traffico, la Comunità Europea sembra puntare decisamente verso l’intermodalità.

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A tale argomento viene infatti dedicata una cospicua parte del Libro Bianco stilato dalla Commissione delle Comunità Europee, secondo il quale: “Il riequilibrio dei modi di trasporto presuppone misure che, oltre al giusto ruolo di ogni modo, garantiscano l’intermodalità. Il grande anello mancante è un legame stretto tra il mare, le vie navigabili, la strada e la ferrovia”. Sebbene il 70% circa degli scambi complessivi tra la Comunità ed il resto del mondo transiti attraverso i porti europei (circa 2 miliardi di tonnellate merci/anno), gli scambi intracomunitari via mare sono ancora poco sfruttati rispetto alle loro potenzialità.

Oltre a rappresentare una logica soluzione per alleggerire la congestione del traffico attorno alle Alpi ed ai Pirenei, un maggior ricorso allo Short Sea Shipping2 porterebbe ad una riduzione significativa delle emissioni inquinanti. Un recente studio realizzato da Grimaldi nel quadro dell’European Climate Change Program, ha dimostrato che, su uno stesso collegamento, l’opzione intermodale, basata sulla navigazione a corto raggio, era 2,5 volte meno inquinante (in termini di emissioni di CO2)

dell’opzione stradale. In termini di efficienza energetica, un chilo di petrolio permette di spostare di un chilometro 50 tonnellate su strada, 97 per ferrovia e 127 per via navigabile.

Per questi motivi, già nel presente e nell’immediato futuro, si profilerà un incremento significativo del traffico portuale di merci soprattutto per i carichi unitizzati, che costituiscono l’elemento base per il trasporto intermodale.

Il trasporto marittimo a corto raggio, rappresenta il 41% del trasporto merci intracomunitario. Si tratta del solo modo di trasporto merci che presenta un tasso di crescita (+27% fra 1990 e 1998) vicino a quello del trasporto

2 Così viene definito il cabotaggio, ovvero il trasporto da costa a costa di uno stesso stato o tra due diversi

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stradale (+35%). Se misurato in milioni di tonnellate al chilometro, il

volume di merci trasportato fra il 1970 ed il 1998 è aumentato di 2,5 volte. Per incrementare ulteriormente questa tendenza, la Comunità Europea

licenzierà un nuovo programma di promozione dell’intermodalità denominato Marco Polo. Questo sarà aperto a tutte le proposte concernenti il trasferimento del trasporto merci dalla strada verso altri modi più rispettosi dell’ambiente.

In quest’ottica, è evidente come i terminal container portuali europei dovranno prepararsi a sostenere volumi di traffico crescenti. La maggior parte di essi, ed in particolar modo quelli italiani, essendo porti “storici”, cioè integrati all’interno di agglomerati urbani, dovranno fare i conti con una risorsa critica come lo spazio. Condizioni necessarie ad eludere tale problematica saranno l’efficienza delle operazioni portuali e la presenza di ottimi collegamenti ferroviari e stradali, che permettano di ridurre al minimo i tempi di giacenza delle merci nelle aree retroportuali, consentendo di trasformare le attuali aree di stoccaggio in zone in cui i container transitano anziché sostare.

Tutte le grandi compagnie, in un clima di sempre maggior competizione, tendono ovviamente a ridurre i costi e migliorare la qualità del servizio. Per ottenere questo, gli elementi sui quali si agisce sono l’aumento della portata delle navi, formazione di consorzi, accordi sulla ripartizione degli slots, frequenze di toccata, affidabilità e controllo, da parte del vettore marittimo, delle tratta terrestre, il cui costo ammonta al 50/55% del costo totale porta a porta.

Premesso che i porti devono rispondere in termini di servizi efficienti dati a costi competitivi, un elemento particolarmente importante dello scenario attuale è l’aumento della portata delle navi, che a tutt’oggi arriva a 8000 TEUs (è prevista anche la costruzione di navi che arrivano a 10000 TEUs).

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Non è pensabile che le mega navi tocchino nel Mediterraneo molti porti con quote modeste di operazioni e con dimensioni che non sempre sono in grado di accoglierle. Dunque si è andati incontro ad una profonda trasformazione, da parte delle compagnie, nel modo di pensare la propria distribuzione nel Mediterraneo. E’ in questo contesto che assume importanza il ruolo dei terminal di transhipment (trasbordo) che, come si vedrà meglio in seguito, consistono nelle strutture in cui i container passano dalle navi transoceaniche a navi di dimensioni più piccole (feeder), che trasportano il carico verso porti minori.Una grande portacontainer, la “nave madre” visita un solo porto nel Mediterraneo, dove sbarca tutti i contenitori destinati al mercato di riferimento ed imbarca quelli che in questo porto sono stati concentrati da una flotta di feeder impegnate non in collegamenti di lunga distanza (come quelli tra Europa ed Estremo Oriente) ma in veri e propri servizi shuttle di distribuzione della merce da e verso porti vicini ai mercati di destinazione della merce. La feeder è, perciò, una nave che può attraccare in qualsiasi porto, capace di minimizzare il tratto terrestre di presa e riconsegna della merce, e quindi di restituire agli scali marittimi i lands terrestri di tradizionale e logica competenza.

Per i porti di transhipment cambia il problema dello spazio per lo stoccaggio dei contenitori. A differenza dei porti tradizionali, non è pensabile utilizzare un’area retroportuale perché i container proseguono il loro viaggio via mare, e non via camion o ferrovia. Non essendoci uno scambio tra modi diversi di trasporto, non è possibile far uscire la merce sbarcata dal terminal perché ciò causerebbe una grave perdita di tempo e di energie.

Nei porti tradizionali, invece, questa tecnica è vantaggiosa per non ostacolare le varie manovre tra camion e treni: i contenitori vengono portati in aree provvisorie fuori dal terminal e da qui saranno ripresi e caricati su camion esterni o su treni per proseguire il loro viaggio. Nei terminal di transhipment lo spazio necessario per lo stoccaggio dipende dall’intervallo

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degli arrivi tra nave madre e feeder, può variare molto con i volumi movimentati e con l’attrezzatura a disposizione per eseguire tutte le operazioni, ma dovrà essere comunque all’interno dell’area portuale, non troppo distante, cioè dalle banchine.

Il traffico di container ha avuto, negli ultimi dieci anni, un tumultuoso sviluppo, causato dalla necessità di creare maggiori economie di scala dalle compagnie di spedizione multinazionali che dirigono il servizio di trasporto internazionale via mare.

L’utilizzo di container si è rivelato decisivo riducendo i costi di movimentazione, di interscambi mare-terra, ed ottimizzando la catena di trasporto tra origine e destinazione.

Alcuni numeri possono dare l’idea delle dimensioni del fenomeno:

- Il traffico di container nel mondo è passato da 37 milioni di TEUs nel 1980, a 154 milioni nel 1996;

- In Europa il salto è stato da 11,3 milioni di TEUs nel 1991 a 15,8 milioni nel 1996 (con un aumento del 40%);

- In Italia il traffico è aumentato da 1,2 milioni di TEUs nel 1980 a 1,7 milioni nel 1993, a 5 milioni nel 1997.

Per quanto riguarda il contesto europeo, l’indice di sviluppo è stato differente nelle aree settentrionali e meridionali: i porti del Nord Europa hanno ricevuto vantaggi da numerosi fattori come la presenza di ampi bacini produttivi nel loro hinterland, la presenza di una rete efficiente di trasporto terrestre, la grande esperienza nel campo del traffico intermodale e combinato. Comunque, la maggior attività di alcuni porti mediterranei (Gioia Tauro, Marsaxlokk, Algeciras) ha favorito, negli ultimi anni, una progressiva riduzione del divario iniziale. Tale ripresa dipende da diversi

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fattori. Tra gli altri, possiamo menzionare l’aumento di competitività dei porti, causato dall’acquisizione di nuove tecnologie ed organizzazione del lavoro, l’inizio di nuove relazioni commerciali con altre aree geografiche come Medio Oriente ed Sud.Est asiatico, una nuova organizzazione del servizio di trasporto marittimo che mira ad accorciare i percorsi delle “linee pendolari”che connettono Estremo Oriente e Nord America, attraverso il Mar Mediterraneo.

1.2 I “protagonisti” del trasporto marittimo.

“Nel settore marittimo - portuale il servizio - prodotto non nasce dalla funzione di produzione assunta dai singoli imprenditori (rapporto tra output e fattori in input); ma é in funzione di un processo a cui partecipano più soggetti, che offrono congiuntamente il proprio prodotto”3.

Alla descrizione sommaria di questi soggetti saranno dedicati i prossimi paragrafi.

1.1.1. Soggetti istituzionali

L’Autorità Portuale.

Istituita ai sensi della L.84/94, svolge sia compiti di gestione patrimoniale e di esecuzione delle opere, sia compiti di pianificazione.

Essa sovrintende, attraverso il segretario generale, all’elaborazione del “piano regolatore” che il comitato deve attuare.

Svolge attività di promozione delle operazioni portuali e delle attività commerciali ed industriali esercitate nel porto, soprattutto attraverso il miglioramento dei servizi e delle infrastrutture.

3 Antonio Battistini/Dionisia Cazzaniga Francesetti, “Porti e traffici nel mercato globale. Automazione,

logistica integrata e contenitori : il porto come sistema industriale complesso.Un esempio italiano nel porto di Livorno.”, Edizioni ETS, Pisa 1993.

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Attraverso l’elaborazione di un Piano Operativo triennale, l’Autorità Portuale formula le linee generali a cui devono sottostare tutte le attività economico-imprenditoriali.

L’Autorità Portuale disciplina e vigila attività di programmazione come: • Classificazione e pianificazione del porto;

• Esecuzione delle opere; • Pianificazione dei trasporti;

• Pianificazione dello sviluppo economico;

Coordina e controlla le attività di carico, scarico, trasbordo, deposito e movimentazione merci ed ogni altro materiale nel porto vigilando sull’applicazione delle tariffe.

L’Autorità ha poteri di ordinanza e regolamentazione in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.

Capitaneria di Porto.

Fra i numerosi uffici della Capitaneria di Porto ci limiteremo a descriverne tre: Sezione Tecnica, Sezione Armamento e Spedizioni, Ufficio Sicurezza.

La Sezione Tecnica si occupa della gestione del traffico portuale e degli

accosti per tutto il porto, inclusi i terminal privati. Questo ufficio riceve le domande di accosto dagli agenti marittimi nei tempi previsti dal regolamento sugli accosti. Sulla base delle caratteristiche delle navi e delle richieste operative dell’eventuale terminal che effettua le operazioni di sbarco/imbarco, assegna i singoli accosti delle navi. La disciplina dei movimenti viene anch’essa stabilita facendo riferimento al regolamento degli accosti.

La Sezione Armamento e Spedizione é l’organo che consente alle navi di

essere impiegate per il loro uso specifico. Per le navi Italiane l’organo tecnico che emette i certificati é il RINA. La Capitaneria provvede ai

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controlli sulle scadenze e sul mantenimento delle navi in condizioni di perfetta navigabilità.

L’Ufficio Sicurezza é responsabile dei molteplici aspetti che riguardano la

sicurezza della navigazione, in particolare riceve le domande ed autorizza l’imbarco delle merci pericolose. Esegue anche le visite sulle navi, con lo scopo di verificare la rispondenza ed il buon mantenimento in esercizio delle dotazioni di sicurezza.

L’Avvisatore Marittimo.

Costituisce un servizio gratuito offerto dal sistema portuale. Esso si occupa di registrare l’orario di arrivo e di partenza delle navi nel porto ed in rada, rilevando i tempi in cui si svolgono le operazioni. Tali dati possono essere utili per la risoluzione di controversie contrattuali tra armatori e imprese portuali o utilizzabili a fini statistici.

Piloti, Rimorchiatori ed Ormeggiatori.

Queste tre figure portuali costituiscono un servizio obbligatorio che, per legge, il sistema porto deve fornire.

Una volta che una nave sia giunta in rada essa non può cominciare le manovre di attracco senza aver prima preso a bordo un pilota locale.

Egli conoscendo le caratteristiche del fondale assume il comando e diventa il responsabile delle operazioni da quel momento fino alla fine delle operazioni di ormeggio.

Per ragioni di sicurezza la legislazione navale impedisce alle navi di muoversi nello spazio del porto utilizzando i propri mezzi di propulsione. Per questo motivo le navi vengono trainate fino alla posizione di attracco da appositi rimorchiatori che fanno compiere ad esse le manovre necessarie. Una volta che la nave ha raggiunto la posizione di attracco, affinché essa la mantenga, viene assicurata alla banchina attraverso apposite funi che

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vengono passate opportunamente attorno a colonnini di acciaio dette bitte. Quest’ultima operazione é svolta dagli ormeggiatori.

Tutte le operazioni suddette, pur essendo obbligatorie per legge, non sono gratuite ma devono essere corrisposte dal vettore marittimo a ciascuna delle tre figure descritte, secondo le tariffe fissate dalla capitaneria di porto (o dall’Autorità Portuale).

1.2.2 Armatori e Compagnie di navigazione.

Armatori.

Si definisce armatore chi assume l’esercizio della nave, sia o non sia proprietario, come stabilito dal disposto dell’art. 256 del Codice della Navigazione. In altre parole é armatore chi attrezza e gestisce la nave. Questi può anche non essere il proprietario della nave.

Qualora vi sia comproprietà della nave ed i comproprietari la esercitino a scopo di lucro si configura la Società di Armamento.

Il vettore (sea carrier) é l’imprenditore del trasposto marittimo, poiché non é detto che chi arma la nave la impieghi anche per effettuare i trasporti. Spesso accade che una stessa persona sia proprietaria, armatore e vettore, ma non vi é alcun obbligo giuridico in questo senso.

Quotidianamente con la parola armatore si intendono in modo improprio una molteplicità di figure:

1. Il Proprietario della nave;

2. Il vettore, cioè il responsabile del trasporto eseguito via nave;

3. Il noleggiatore della nave che, sulla base di un contratto di noleggio a tempo o a viaggio, assume la figura di vettore.

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Le Compagnie di Navigazione e “ Servizi”.

Una Compagnia di Navigazione é una società di capitale, o di persone fisiche, che si costituisce al fine di armare navi e fornire un servizio di trasporto marittimo.

Solitamente, una Compagnia non si limita a fornire il servizio di trasporto su un’unica tratta o su un unico percorso, ma gestisce la propria flotta suddividendola su più “linee” di navigazione. Molto spesso, più compagnie si consorziano in Joint Service su alcune di queste linee, in modo da ridurre i costi e raggiungere più elevate economie di scala. Talvolta le rotte hanno due sensi di percorrenza. In base al percorso, al Joint Service che lo copre, ed al senso di percorrenza viene definito il cosiddetto “Servizio”. Per fare un esempio pratico, il Joint Service “United Alliance” copre con la sua flotta il percorso Giappone-Corea-Cina-Singapore-India-Mar Rosso-Suez-Malta-Italia-Nord Europa –Stati Uniti –Canada e viceversa. Nel percorso di andata le navi che seguono questa rotta si considerano facenti parte del servizio “United Alliance West Bound” mentre per il percorso di ritorno si parla invece del servizio “United Alliance East Bound”. Questo modo di suddividere le tratte tenendo conto della provenienza delle navi é molto utile perché il carico che esse trasportano ha caratteristiche diverse a seconda dei luoghi di sbarco/imbarco.

Le Conference.

Sono “associazioni di imprese armatoriali, che tendono a regolare la concorrenza sui vari fasci di linee attraverso la fissazione di rate di nolo uniformi”4.

In altre parole una conference opera su una determinata fascia di rotte ed in quest’area geografica essa stabilisce le tariffe dei trasporti a seconda della

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merce portata, stabilisce i porti su cui fare scalo, decide quali soggetti possono operare su tale rotta e così via. Una conference può essere definita un “cartello”: un centro di potere economico che difficilmente può essere controllato dagli stati.

Chi decide di fare concorrenza a degli operatori di linea che operano in una conference, generalmente lo fa praticando tariffe più basse; tuttavia l’associazione di armatori, grazie alla sua importanza, può difendersi anche impedendo l’accesso al porto delle navi dell’outsider concorrente. Questo é possibile proprio in virtù dell’enorme forza economica e contrattuale che hanno gli armatori di navi di linea.

1.2.3 Agenti Marittimi e Case di Spedizione.

Agenzia Marittima.

E’ il rappresentante dell’Armatore in porto. Ha compiti di rappresentanza di tipo legale, commerciale ed operativa. Si occupa dei rifornimenti della nave, delle pratiche di ingresso e di uscita dal porto ed altre ancora. Talvolta il raccomandatario, nella pratica detto anche agente marittimo, assume stabilmente l’incarico di concludere contratti per conto dell’armatore o del vettore in una determinata zona.

AGENTE DI DESTINO.

In ogni singolo porto toccato da una nave esiste un agente al quale vengono inviati, dall’agente del porto di partenza, i documenti relativi al carico della nave. A lui dovranno rivolgersi i ricevitori del carico per il ritiro.

Casa di Spedizione e Spedizioniere Doganale.

Lo spedizioniere riveste un ruolo importante nel caso in cui la nave in questione segua rotte internazionali e le merci che essa trasporta debbano superare l’ispezione della dogana, sia in Import che in Export. Lo

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spedizioniere nave opera normalmente attraverso un rapporto fiduciario con gli Agenti Marittimi e/o Armatori ed è il responsabile delle dichiarazioni alle autorità italiane , in nome e per conto del comandante, sulla natura del carico a bordo.

1.2.4 I Trasportatori Terrestri e Le Imprese Portuali.

Il Trasportatore Terrestre.

E’ un’impresa proprietaria di più mezzi di trasporto ed è generalmente specializzata in un unico settore tra i seguenti:

- Trasporto contenitori; - Trasporto merci varie; - Trasporto collettame; - Trasporto cisterne;

- Trasporto materiali alla rinfusa;

Generalmente assume il mandato dall’esportatore e dallo spedizioniere a seconda delle condizioni di resa della merce.

Le Imprese Portuali.

Il ruolo delle Imprese Portuali è stato chiarito dall’articolo 16 della legge n° 84/94, che affida a queste ultime l’esercizio delle operazioni portuali, intese come sbarco/imbarco delle navi ed assume pertanto obblighi nei confronti dei caricatori, Compagnie di Navigazione, esportatori e Comandanti delle navi. In pratica l’impresa, oltre al personale effettivamente impiegato nelle operazioni portuali, gestisce i vari mezzi e le attrezzature necessarie per le movimentazioni. L’impresa riceve il mandato a svolgere le operazioni o dall’Agenzia Marittima per conto dell’Armatore o direttamente dallo stesso. I contratti tra le imprese ed i loro mandatari sono generalmente annuali o pluriennali di tipo fiduciario.

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1.3 Problematiche economiche.

La necessità di trasferire merce da una località ad un’altra, deriva da un principio economico fondamentale che è quello di scambiare prodotti fra soggetti che offrono e soggetti che domandano. Le modalità di trasferimento possono variare da quello terrestre (stradale o ferroviario), a quello marittimo ed aereo e devono tenere conto di due parametri fondamentali:

velocità e costi.

All’interno di uno stesso ciclo di trasporto è anche possibile ricorrere a mezzi differenti di movimentazione, realizzando così una forma di trasporto intermodale. E’ proprio in questo contesto che il container si inserisce come un elemento innovativo che si adegua molto bene alle esigenze di un tale tipo di trasporto. La caratteristica principale del container è infatti quella di rappresentare un involucro di dimensioni standard in cui è possibile contenere differenti tipi di merci. (Le caratteristiche standard sono regolamentate da norme I.S.O. come mostrato nella tabella seguente).

Classe Misure esterne (piedi) Misure esterne (mm) Volume (m³) Peso lordo (tonn) A 8'x8'x40' 2435x2435x12190 72,28 30 B 8'x8'x30' 2435x2435x9125 54,1 25 C 8'x8'x20' 2435x2435x6055 35,9 20 D 8'x8'x10' 2435x2435x2990 17,73 10 Tab. 1.1

Nel momento in cui, in tutto il ciclo di trasporto, vi sono mezzi e risorse tecniche standardizzate rispetto al container, il ciclo stesso risulta più veloce e meno costoso. Tutte le operazioni di carico, scarico, stivaggio, trasporto

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alle aree di deposito, sono meccanizzate; l’involucro di forma parallelepipedo a base rettangolare (di solito costituito da un telaio in acciaio chiuso da pareti in lamiera grecata) e di dimensioni fissate, è predisposto per poter essere manipolato dai diversi apparecchi di sollevamento.

Vengono così a mancare tutte quelle operazioni di adattamento (set up) delle risorse tecniche, che sono alla base di ritardi nella gran parte dei sistemi produttivi. In altre parole, i container vengono trasferiti da un vettore ad un altro con estrema rapidità, grazie anche alla presenza di sistemi automatici di bloccaggio.

Ad ogni modo, le novità offerte dai container vanno oltre la sola standardizzazione e soprattutto mirano a superare i limiti propri dei pallet (casse di legno), che possono essere considerati i loro precursori.

Infatti, grazie all’uso dei container, si cerca di realizzare il cosiddetto trasporto door-to-door, il quale prevede che la merce stivata nel container vada dall’impianto di produzione o dal deposito del fornitore, direttamente allo stabilimento, al magazzino o al centro di distribuzione dell’acquirente. Con tale sistema viene eliminata ogni manipolazione delle merci sulle banchine, agli scali delle linee ferroviarie o autostradali: lo spedizioniere carica le sue merci nel container, lo chiude e lo sigilla, dopo di che lo invia a destinazione e solo alla fine del viaggio i sigilli saranno rotti ed il container verrà riaperto direttamente dal destinatario5.

E’ evidente che l’abolizione di qualunque manipolazione intermedia della merce consente di eliminare molti costi relativi a furti o danneggiamenti del carico. Inoltre vengono soppresse le operazioni di conteggio dei colli e di verifica del contenuto durante le tappe intermedie, e ciò accelera sensibilmente le operazioni di spedizione e consegna.

5 In realtà esiste una seconda modalità di trasporto in base alla quale lo spedizioniere provvede a trasportare

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Rispetto ai pallet, i container consentono il trasporto di vari tipi di merci, come per esempio prodotti deperibili (container refrigerati detti reefer) oppure merci liquide (container cisterna).

I pochi svantaggi sono legati all’ingombro, specie quando i container sono vuoti, e al loro costo. Buone economie di scala si conseguono pertanto quando i container sono utilizzati in pieno sia come capacità sia come coordinamento tra quanti sono interessati al servizio.

Da quanto detto finora, si comprende che l’uso dei container comporta delle implicazioni economiche soprattutto nel luogo in cui essi vengono manipolati, cioè passano da un tipo di vettore ad un altro. Tale luogo è il

terminal container portuale.

Al fine di comprendere tali implicazioni, basti pensare alla principale categoria di costi del ciclo di trasporto, che è quella associata al tempo di permanenza della nave nel porto. Una generica nave da carico, infatti, trascorre buona parte del suo tempo proprio nei porti, costando al possessore anche fino a 1000 $ per ogni ora di permanenza.

Nel passato la situazione era ancora peggiore: i porti consentivano tempi di rotazione delle navi molto bassi poiché, prima dell’introduzione del container, il carico era costituito da unità di merci piccole ed irregolari (break bulk) manipolate con attrezzature spesso inadeguate. Per tale motivo occorrevano settimane per completare le operazioni di carico/scarico.

I terminal container, invece, utilizzano attrezzature specializzate e costose che consentono un rapido trasferimento dei container, grazie alle sue caratteristiche standard, ma anche alle sue grandi dimensioni, che permettono di ridurre il numero di unità di carico da manipolare.

Confrontando i pochi svantaggi con i tanti risvolti positivi, è facile comprendere perché i container hanno riscosso tanto successo negli ultimi decenni. Sin dagli inizi, negli anni ’60, il trasporto dei container ha infatti

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conosciuto una rapida crescita, al punto che ne fa uso oggi la maggior parte del traffico internazionale.

Paradossalmente, in Italia, che pur è un paese fortemente dipendente dal trasporto marittimo, non ci sono stati interventi molto significativi di sostegno nei servizi marittimi e portuali da parte dello Stato, anche per ciò che riguarda i trasporti “containerizzati”. I porti italiani hanno sempre scontato, quindi, grandi ritardi rispetto alle altre realtà portuali europee, ritardi che si sono tradotti in condizioni di scarsa competitività.

Alcune motivazioni che spingono una linea navale a decidere di far scalare alle proprie navi un terminal piuttosto di un altro sono le seguenti:

- localizzazione geografica;

- strutture portuali, stradali, ferroviarie; - facilità di accosto;

- costo di movimentazione di un container per operazioni di imbarco/sbarco;

- velocità delle operazioni;

- livello di servizio reso, inteso come soddisfacimento delle linee navali (flusso di informazioni, accettazione container in ritardo, numero minimo garantito di gru per navi).

Analizzando queste motivazioni, si comprende perché i porti italiani sono sempre stati penalizzati, soprattutto rispetto a quelli del Nord Europa, i quali possono contare su più efficienti funzioni portuali, sulla ricchezza e sulla diversificazione industriale del loro hinterland, nonché su una capillare rete di collegamenti interni. In Italia, ad esempio, la via verso il centro Europa è penalizzata dalla scarsa transitabilità alpina, soprattutto per via ferroviaria. Queste considerazioni ci consentono di concludere che la competizione sarà vinta da quei porti dotati di strutture efficienti, una solida organizzazione

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operativa ed informativa con poteri accentrati, capace di ridurre tempi e costi e di offrire prestazioni di alta qualità.

L’offerta è infatti la quantità di un bene che ogni impresa intende produrre e vendere in maniera autonoma. Nel caso dei terminal portuali, il bene di cui si parla è dato da quell’insieme di servizi, offerti da più soggetti (società di navigazione, terminalisti, spedizionieri) che agiscono congiuntamente e determinano il costo globale di produzione (costo del trasporto della merce dal caricatore al ricevitore).

L’offerta disponibile è molto cresciuta e ciò ha creato un regime di forte concorrenza, basata soprattutto sull’innovazione tecnologica, ed ha obbligato i protagonisti del trasporto marittimo ad investire denaro per migliorare la qualità del servizio offerto, pur mantenendo basso il costo. Questo ha comportato una gestione sempre più autonoma di tutto il ciclo di trasporto ed un uso di navi cellulari full-container sempre più grandi (per minimizzare i costi per unità di carico). Le grandi navi devono viaggiare sempre a pieno carico ed effettuare solo poche e brevi fermate, senza deviare troppo dalla propria rotta.

E’ in questo contesto che assume importanza il ruolo dei terminal di transhipment (trasbordo) che, come si vedrà meglio in seguito, consistono nelle strutture in cui i container passano dalle navi transoceaniche a navi di dimensioni più piccole, che trasportano il carico verso porti minori.

Il porto di Gioia Tauro è appunto un terminal di transhipment e proprio grazie a questa modalità di funzionamento (oltre alle sue caratteristiche fisiche, geografiche e funzionali), è riuscito ad inserirsi nella competizione internazionale ai più alti livelli, contando addirittura su una rete di feederaggio di più di 50 porti del Mediterraneo.

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