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Capitolo 2: Il processo di rigassificazione del GNL

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Capitolo 2: Il processo di rigassificazione

del GNL

2.1 La filiera del gas naturale

Prima di analizzare in dettaglio le fasi operative di un tipico processo di rigassificazione del GNL è opportuno conoscere tutti i passaggi che intervengono nella filiera del gas naturale partendo dall’estrazione fino ad arrivare alla distribuzione. La filiera del gas naturale liquefatto può essere suddivisa concettualmente in cinque fasi:

 Produzione ed estrazione del gas naturale.

 Liquefazione.

 Trasporto.

 Rigassificazione.

 Distribuzione del gas naturale alle utenze.

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2.2 Produzione ed estrazione del gas naturale

Il gas naturale è un combustibile di origine fossile, costituito da una miscela di idrocarburi, di cui circa l’80-90% è metano (CH4) e il resto invece etano, propano e

idrocarburi più pesanti. Le riserve accertate sono distribuite in poche aree geografiche, in particolare nei Paesi dell’ex URSS e dell’Europa Orientale, nei Paesi mediorientali e nel centro e sud America. In natura si trova in giacimenti sotterranei o sottomarini, spesso associato al petrolio. La sua estrazione richiede, pertanto, un’intensa attività di trivellazione per scendere a profondità elevate. Dai luoghi di produzione, che sono per lo più molto distanti da quelli di consumo, il gas naturale può viaggiare o tramite gasdotti, ovvero condutture fisse che possono estendersi per migliaia di chilometri, o tramite navi gasiere nelle quali è trasportato come gas liquefatto. Quest’ultimo caso è la soluzione di trasporto più adottata ed è necessaria una fase di liquefazione, di cui si parla nel paragrafo successivo.

Fino ad oggi sono stati scoperti pochi depositi di gas naturale situati vicino a infrastrutture di gasdotti già esistenti, o depositi talmente grandi da giustificare investimenti significativi per lo sviluppo di una rete di distribuzione. Ecco che per lo sviluppo dei depositi di GN sono state studiate diverse opzioni [2]:

 Convertire il gas naturale in prodotti liquidi mediante le tecnologie GTL (Gas to Liquids).

 Convertire il gas naturale in metanolo attraverso la reazione di sintesi del metanolo.

 Liquefare il gas naturale e seguire la filiera rappresentata in figura 2.1.

La prima opzione elencata rappresenta una tecnologia emergente per convertire le grandi riserve di gas naturale in combustibili liquidi, più facilmente trasportabili per la vendita. Gli impianti per realizzare questi prodotti dovrebbero essere realizzati su piattaforme off-shore in prossimità dei giacimenti sotto marini di gas naturale. In particolare i prodotti finali di queste tecnologie GTL sono il diesel, la nafta e il GPL: il diesel ottenuto è chiamato “ultra-clean diesel” perché ha un contenuto molto basso in

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zolfo ed aromatici. Le tecnologie GTL coinvolgono non solo la produzione di diesel, nafta e GPL ma anche la produzione di syngas (una miscela di H2 e CO), ammoniaca,

urea e paraffine, come riportato nel diagramma a blocchi di figura 2.2 [3].

Figura 2.2: Diagramma a blocchi della tecnologia GTL.

La conversione del gas naturale in metanolo rappresenta un’altra possibile soluzione per l’utilizzo di riserve di GN in prossimità dei giacimenti di estrazione, mediante la realizzazione di impianti MFPSO (Methanol Floating production, Storage and Offloading). Ad oggi la produzione mondiale di metanolo è soddisfatta da tre grandi compagnie, Synetix, Lurgi e Mitsubishi Gas, ma si sta sviluppando sempre di più una generazione di nuove tecnologie “compatte” per l’impiego in applicazioni offshore [4]. Infatti i due grandi limiti dei processi convenzionali di produzione di metanolo, per l’impiego in ambito offshore, sono gli ingombri troppo elevati degli impianti e l’incapacità di adattamento a situazioni meteo climatiche poco clementi, che si possono presentare. Quindi le tecnologie per la produzione del metanolo si stanno muovendo in due direzioni, entrambe con lo scopo di ridurre i costi operativi: una investe sulla produzione in larga scala mentre l’altra su sistemi compatti e integrati energicamente per l’impiego su piattaforme offshore.

La conversione del gas naturale in metanolo si basa su una prima fase di reforming in cui si ottiene del syngas, che costituisce l’alimentazione del reattore di sintesi del

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metanolo. La reazione di formazione del metanolo è esotermica ed avviene in reattori catalitici con condizioni operative diverse a seconda del tipo di processo industriale impiegato. Il recente studio di Tonkovich e Jarosch [4] propone un impianto compatto costituito da micro canali (figura 2.3), particolarmente adatto per l’installazione in applicazioni FPSO, grazie alla facilità di integrazione su di una piattaforma offshore. Infatti i vantaggi di questa soluzione impiantistica “a micro canali” sono:

1. Dimensioni ridotte delle apparecchiature che consentono una sistemazione ottimale sul ponte di una piattaforma offshore.

2. Sezione di distillazione con colonne a riempimento non molto alte per un funzionamento efficiente anche in caso di oscillazioni della piattaforma offshore. 3. Riduzione della richiesta di acqua di mare come utility.

4. Integrazione energetica ed alti rendimenti energetici globali.

Come si può vedere dalla figura 2.3, il processo proposto da Tonkovich e Jarosch è basato sull’utilizzo di gas naturale e aria per ottenere un prodotto liquido, il metanolo MeOH. Nella prima fase il gas naturale è convertito in syngas attraverso un processo di reforming con vapore acqueo; alla sezione di reforming vengono alimentati aria e gas combustibile (CO, CH4, H2), che è ottenuto dalla sezione di separazione del metanolo,

per guidare la reazione endotermica di reforming del metano. Il vapore acqueo necessario per il reforming è ottenuto dalla rimozione del calore sviluppato dalla reazione di sintesi del metanolo. Dopo la sezione di reforming, il syngas secco (è infatti prevista una fase di separazione dell’acqua) è compresso fino a 50 bar ed alimentato al reattore per la sintesi del metanolo, che è una reazione di equilibrio e fortemente esotermica. L’impianto a micro canali utilizza un nuovo approccio di integrazione termica, che elimina così il compressore, solitamente presente nei processi convenzionali, per il riciclo di reagenti al reattore e riduce quindi lo spazio occupato e i consumi energetici. Il reattore a micro canali non è il classico reattore tubolare PFR, utilizzato per la sintesi del metanolo, ma è costituito da tre stadi isotermici; il primo stadio del reattore opera alla temperatura di 250°C, il secondo a 225°C e quello finale a 210°C. Lo studio di Tonkovich e Jarosch ha dimostrato che la conversione attraverso il reattore a micro canali è del 70,5%, che permette di non dover utilizzare un compressore

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per il riciclo. I micro canali, che costituiscono i moduli del reattore, contengono il catalizzatore necessario e sono intervallati da uno strato di canali, attraversati invece dal mezzo refrigerante, ovvero l’acqua (figura 2.4). All’uscita dal reattore vengono allontanati i gas non condensabili (CO, CH4, H2), che rappresentano il combustibile

necessario per il reforming. L’acqua rappresenta un co-prodotto della reazione di sintesi del metanolo ed è allontanata in una sezione di distillazione a micro canali, con la quale si riesce ad ottenere metanolo al 95%.

Figura 2.3: Schema del processo a micro canali per la conversione del GN in metanolo.

Nello schema di processo proposto l’acqua è riciclata all’interno del sistema per generare vapore da utilizzare nella sezione di reforming. Come è evidente dalla figura 2.3, le tre fonti di acqua sono la corrente di syngas in uscita dalla sezione di reforming,

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l’acqua ottenuta dalla sezione di distillazione ed eventualmente la corrente di gas combusti in uscita dal reforming.

Figura 2.4: Modulo a micro canali del reattore di sintesi del metanolo.

Quindi il processo di conversione del GN in metanolo mediante applicazioni cosiddette a micro canali rappresenta una alternativa tecnologicamente possibile su piattaforme offshore per la riduzione e l’ottimizzazione degli spazi di ingombro delle varie apparecchiature. Nonostante ciò, la terza opzione di sviluppo dei depositi di gas naturale costituisce, ad oggi, la soluzione ancora maggiormente adottata. Infatti, sulla base di valutazioni economiche e tecnologiche, Bigger e Tomlinson [3] ritengono che le due alternative alla liquefazione del gas naturale non possano essere impiegate perché non sono attrattive dal punto di vista economico, se paragonate alla liquefazione del gas.

2.3 Il processo di liquefazione: tecnologie e costi

Dai giacimenti il gas naturale viene inviato ad un impianto di liquefazione, che solitamente è situato nelle immediate vicinanze del sito di estrazione. La convenienza di trasformare in fase liquida il gas naturale, che in natura è presente in fase gassosa, risiede nel fatto che il suo volume si riduce di 600 volte, facilitando e rendendo

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economico il trasporto via mare, nonostante la necessità di doverlo mantenere a temperature estremamente basse (-164/-161°C).

Il processo di liquefazione costituisce la parte principale dell’impianto di liquefazione. Il gas entrante nell’impianto, prima di potere essere liquefatto, è sottoposto a diverse fasi di pretrattamento e condizionamento al fine di raggiungere la composizione ottimale per la liquefazione dal punto di vista tecnico e di specifiche commerciali. In particolare la fase di pretrattamento elimina quei composti che potrebbero, solidificando, compromettere il funzionamento delle apparecchiature di processo nella fase di liquefazione a bassa temperatura. Per la rimozione di acqua e gas acidi vengono impiegati i metodi tradizionalmente usati per il trattamento del gas quali membrane, setacci molecolari o lavaggi con ammine o altre soluzioni basiche.

Le diverse sezioni dell’impianto di liquefazione sono rappresentate nello schema a blocchi di figura 2.5.

Dopo la fase di purificazione del gas naturale da tutte le impurità (acqua, composti solforati, anidride carbonica e idrocarburi pesanti), la composizione del GNL che si ottiene alla fine della fase di liquefazione non corrisponde esattamente alla composizione del gas naturale estratto.

La temperatura di liquefazione del gas naturale è di circa -162°C a pressione atmosferica. La liquefazione del gas naturale richiede la rimozione del calore sensibile e latente mediante l’utilizzo di un refrigerante. Tale refrigerante può essere una parte del gas naturale alimentato per la liquefazione oppure un fluido apposito che fluisce in un circuito dedicato.

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12 Gas naturale

Rimozione gas acidi (H2S, CO2,..) e

stabilizzazione

Unità disidratazione Unità frazionamento

Unità liquefazione GNL Stoccaggio atmosferico dei prodotti condensati Condensato stabilizzato Pre-raffreddamento Condensato Condensato stabilizzato C2-C4

Figura 2.5: Diagramma a blocchi di un impianto di liquefazione.

I processi di liquefazione, a prescindere dalle numerose varianti allo schema principale, si dividono in tre categorie, ciascuna delle quali con proprie caratteristiche e valenze economiche, in funzione della capacità dell’impianto considerato. Le tre categorie sono le seguenti [5]:

 Processi a cascata.

 Processi MRC (Mixed Refrigerant Cycle).

 Processi ad espansione.

Nel processo a cascata il gas viene raffreddato e fatto condensare in scambiatori con propano, etilene (o etano) e metano in tre differenti stadi. Ciascun refrigerante ha un proprio circuito con espansioni e compressioni e temperature di evaporazione differenti: dopo la compressione, il propano è condensato con acqua o aria, l’etilene è condensato sfruttando l’evaporazione del propano e il metano condensa per l’evaporazione

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dell’etilene. Lo schema semplificato del processo è riportato in figura 2.6, dove i blocchi rettangolari rappresentano degli scambiatori di calore multi-correnti.

Figura 2.6: Liquefazione del gas naturale mediante il processo a cascata.

Il processo a cascata è quello che richiede la minore quantità di energia tra tutti i processi di liquefazione e risulta flessibile dal punto di vista operativo poiché i circuiti dei refrigeranti sono indipendenti. Richiede però, proprio a causa dei diversi circuiti, investimenti relativamente alti. Le economie di scala rendono tale tipo di processo indicato in caso di treni di liquefazione di grandi dimensioni; un processo a cascata che si è rivelato particolarmente competitivo è il processo Phillips [5].

Il processo MRC sfrutta le proprietà della miscela refrigerante invece che l’uso in successione di mezzi refrigeranti puri. La composizione della miscela è determinata in modo tale da avere l’evaporazione ad un intervallo di temperatura simile a quello del gas naturale che deve essere liquefatto aumentando così l’efficienza termodinamica del processo. La miscela è solitamente costituita da azoto e idrocarburi leggeri (C1 fino al C5). La miscela refrigerante viene compressa e parzialmente condensata. Il liquido è sotto raffreddato ed espanso riducendo ulteriormente la sua temperatura per effetto

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Joule-Thomson. Questa corrente viene utilizzata per raffreddare la corrente refrigerante liquida pre-espansione, condensare parzialmente la fase vapore e raffreddare/condensare il gas naturale nel primo stadio dello scambiatore. La fase vapore parzialmente condensata viene mandata in un separatore. Il liquido ed il vapore passano attraverso il secondo stadio dello scambiatore che opera in modo analogo al primo. Il numero ottimale di stadi di condensazione parziale dipende dall’importanza attribuita all’investimento iniziale, dalla complessità, dalla flessibilità e dai costi operativi. Più stadi, e quindi la possibilità di scambio termico con differenze di temperatura inferiori, aumentano da un lato l’efficienza termodinamica ma dall’altro anche la complessità dell’impianto. In letteratura viene evidenziato che un processo a tre stadi può costituire, nella maggior parte dei casi, l’ottimo bilancio tra efficienza energetica e complessità impiantistica.

Recentemente sono stati sviluppati sistemi che utilizzano scambiatori innovativi ad elevata efficienza che permettono un flusso di refrigeranti minore rispetto agli scambiatori tradizionali. In tali sistemi è possibile avere consumi prossimi a quelli di un impianto a cascata ma con una configurazione più semplice del sistema. L’utilizzo di un ciclo separato di pre-raffreddamento con propano, utilizzato anche nei processi a cascata, viene solitamente considerato con lo scopo di aumentare l’efficienza complessiva.

Un problema operativo, che può essere riscontrato utilizzando un processo MRC, è la sensibilità elevata al cambiamento di composizione del gas alimentato, che richiede quindi modifiche nella composizione della miscela di refrigerante per mantenere elevata l’efficienza del processo. Appositi sistemi sono stati sviluppati per il monitoraggio in tempo reale dell’alimentazione e per la correlata modifica composizionale del fluido refrigerante.

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Figura 2.7: Liquefazione del gas naturale mediante il processo MRC.

Il ciclo ad espansione nella sua forma più semplice prevede la compressione e l’espansione di una corrente monocomponente. Il gas ad alta pressione è raffreddato in uno scambiatore con il gas freddo di ritorno dal circuito.

Il gas nel circuito viene espanso riducendo così la sua temperatura per effetto Joule-Thomson e l’espansione del gas viene utilizzata per produrre potenza per alimentare il compressore. Il gas freddo ed a bassa pressione ritorna al compressore passando per lo scambiatore dove cede calore al gas naturale. Il gas refrigerante solitamente è azoto, metano o una corrente del gas naturale stesso.

Il processo ad espansione ha alcuni vantaggi operativi come la rapidità di messa in marcia e fermata. Inoltre il refrigerante è sempre gassoso e lo scambiatore opera in un intervallo di temperature abbastanza ampio, che permette flessibilità nel caso di variazioni della composizione in ingresso del gas naturale da condensare. Lo svantaggio principale è legato ai consumi che rendono il processo poco adatto per gli impianti di liquefazione di grandi dimensioni.

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Figura 2.8: Liquefazione del gas naturale mediante il processo ad espansione.

2.4 Il trasporto marittimo del GNL

Per quanto riguarda le tecnologie relative al trasporto marittimo del gas naturale liquefatto dall’impianto di liquefazione a quello di rigassificazione, la parte più importante delle metaniere è costituita dai serbatoi di stoccaggio, che devono essere progettati in modo tale da garantire un elevato isolamento termico per minimizzare l’evaporazione del carico trasportato e contemporaneamente proteggere il contenuto da eventi accidentali esterni, oltre ad essere realizzati in materiali resistenti alla temperatura del gas naturale liquefatto. Infatti il trasporto del GNL tramite navi gasiere avviene in condizioni di pressione atmosferica e temperature di -165/-161 °C: il gas naturale è liquido leggermente sotto raffreddato.

L’isolamento dei serbatoi delle navi gasiere può avvenire secondo due diverse soluzioni [6]:

 isolando la superficie interna del serbatoio; in questo caso il serbatoio è realizzato dalla stiva stessa e pertanto partecipa alla robustezza globale della nave. Questi sistemi di contenimento sono noti anche come sistemi “a membrana” in quanto i materiali isolanti sono resi stagni e separati dal liquido

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mediante opportune membrane, solitamente metalliche. Queste tecnologie a membrana vengono realizzate da Gaz Transport e Technigaz.

 isolando la superficie esterna del serbatoio; questa soluzione implica la realizzazione di un serbatoio indipendente dalla nave da isolare esternamente. Il fatto che il serbatoio sia indipendente significa che esso è sostenuto e contenuto dalla nave ma le sue strutture non concorrono alla robustezza globale di quest’ultima. Tali sistemi sono a loro volta suddivisi, in funzione della forma geometrica adottata per i serbatoi, in sferici e prismatici. La soluzione più consolidata di serbatoi sferici è di Moss Maritime, società del gruppo Saipem.

Figura 2.9: Nave gasiera con serbatoi a membrana.

Figura 2.10: Nave gasiera con serbatoi sferici tipo Moss.

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Il sistema di contenimento Moss Rosemberg consiste in una cisterna sferica, senza alcun rinforzo, collegata lungo il suo perimetro equatoriale ad una struttura cilindrica, denominata gonna, che lo sostiene; la parte inferiore di questo cilindro è saldata alle strutture della nave. I serbatoi sono tipicamente realizzati utilizzando una lega di Alluminio A 5083 od acciaio al Nickel (9%). La gonna di sostegno solitamente è realizzata con due materiali: la metà superiore, a contatto con la sfera, è in alluminio mentre la parte inferiore è in acciaio idoneo alle basse temperature. Alcune varianti prevedono la realizzazione di tre strati utilizzando uno strato intermedio di acciaio inossidabile allo scopo di ridurre la conducibilità termica e particolare attenzione è posta nelle zone di giunzione tra alluminio ed acciaio. Il serbatoio può essere direttamente coibentato sulla superficie esterna senza necessità di una barriera secondaria. Una struttura, denominata “ghiotta”, posta sotto il polo inferiore del serbatoio sferico funziona comunque da seconda barriera di contenimento in caso di rottura. Per l’isolamento termico delle sfere sono disponibili due differenti metodi: il sistema a spirale (ormai abbandonato) ed il sistema a pannelli. Il primo sistema consiste nella deposizione di una sorta di cordone isolante di forte spessore realizzato sul posto mediante appositi macchinari in modo da minimizzare i giunti. Il materiale è avvolto a spirale intorno al serbatoio a partire dall’equatore verso i poli. Il sistema a pannelli consiste nell’applicazione di pannelli prefabbricati sulla superficie esterna della sfera e sulla parte superiore della gonna. Ciascun pannello è costituito da due strati: quello a contatto con la sfera è in resina fenolica mentre quello superiore è in schiuma di poliuretano. Tra i due strati è interposta una rete metallica sottile che funziona da armatura del pannello stesso. La superficie esterna è ricoperta da un sottilissimo lamierino, che serve da barriera per il vapore. I giunti tra i pannelli sono riempiti mediante schiume poliuretaniche.

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2.5 Il processo di rigassificazione

Il processo di rigassificazione ha luogo in appositi terminali (on-shore oppure off-shore) che ricevono il GNL trasportato dalle navi gasiere, lo riportano allo stato gassoso e lo immettono nella rete di distribuzione agli utenti.

Un terminal on-shore di GNL consiste in un impianto situato in un porto, che riceve il GNL dalle navi gasiere, realizza la rigassificazione e anche lo stoccaggio del gas naturale prima di immetterlo nella rete di distribuzione (figura 2.11).

Figura 2.11: Schema di un tipico processo di rigassificazione di GNL.

Per quanto riguarda i terminal off-shore invece si possono avere due tipologie [6]: la piattaforma di rigassificazione o il “GNL FSRU”. Gli impianti di rigassificazione su piattaforme nascono dalla conversione di piattaforme petrolifere in terminal per la ricezione e la rigassificazione del GNL. Un impianto del genere non ha la capacità di stoccare il gas naturale prodotto: dopo la fase di rigassificazione, il gas naturale è immediatamente inviato alla distribuzione sulla terraferma mediante l’immissione in tubazioni sottomarine. Non esistono ancora terminal su piattaforme off-shore ma sono stati presentati diversi progetti: uno di essi prevede la conversione della piattaforma Grace, al largo della costa di Oxnard, in California (figura 2.13), in un impianto per la rigassificazione del GNL.

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Figura 2.12: Porto di Long Beach, Los Angeles County: terminal on-shore.

Figura 2.13: Piattaforma Grace, Oxnard, California.

L’altro tipo di terminal off-shore è il cosiddetto GNL FSRU, dall’inglese Floating Storage and Regasification Unit, dove l’impianto di rigassificazione è costruito su di una nave simile a quella che rifornisce il terminal ma modificata con la sezione di rigassificazione ed ormeggiata permanentemente al largo della terraferma; il GN prodotto è inviato alla rete di distribuzione mediante delle tubazioni sottomarine. Non sono ancora stati realizzati impianti FSRU ma due esempi di progetti di questo tipo sono quello del porto di Cabrillo (figura 2.14), al largo della California e quello al largo di Livorno, che è stato preso come riferimento in questo lavoro di tesi.

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Figura 2.14: Rappresentazione del progetto del porto di Cabrillo, EA.

L’intero processo di rigassificazione consiste, in breve, nel pompaggio dai serbatoi della nave a quelli del terminale, in un successivo pompaggio del liquido e in un riscaldamento tale da far vaporizzare il GNL e riscaldare il gas naturale ottenuto fino ad una temperatura compresa tra 0 e 20°C. Lo scarico del GNL dalla nave gasiera al terminale avviene per mezzo delle pompe sommerse nei serbatoi della nave. Poi dai serbatoi di stoccaggio del terminale il GNL viene estratto mediante pompe sommerse ed inviato ai vaporizzatori mediante pompe “Booster” (centrifughe multistadio), che hanno il compito di garantire la pressione richiesta dalle operazioni di rigassificazione. Nei vaporizzatori il GNL passa allo stato di vapore surriscaldato ad una temperatura di 5-7°C e poi viene immesso nella rete di distribuzione. Durante le operazioni di scarico dalla nave gasiera parte del GNL passa allo stato vapore: questa aliquota di GNL, insieme a parte del gas naturale prodotto dalla rigassificazione, viene utilizzata per gli autoconsumi del terminale e per la generazione di energia elettrica. Questo gas naturale che, come appena detto, si forma durante le operazioni di scarico e quello che invece si forma all’interno dei serbatoi di stoccaggio durante il normale funzionamento del terminal sono indicati con il nome di “Boil Off Gas”, BOG.

2.5.1 La vaporizzazione del GNL

La sezione di vaporizzazione costituisce il cuore operativo di un impianto di rigassificazione del gas naturale liquefatto. Dai serbatoi di stoccaggio del terminal di ricezione il GNL è dapprima pompato fino a raggiungere la pressione della rete di

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distribuzione e poi è riscaldato da -164/-161°C fino a +5/7°C. Infatti risulta più conveniente aumentare dapprima la pressione e poi vaporizzare il GNL invece di realizzare la vaporizzazione e soltanto dopo comprimere il gas naturale fino alla pressione di 85-82 bar, che rappresenta l’intervallo di pressione necessario per la distribuzione in rete, che solitamente opera a 70-80 bar.

Il riscaldamento e il passaggio allo stato gassoso possono essere realizzati mediante quattro sistemi diversi [7]:

 Vaporizzatore a fascio tubiero (STV).

 Vaporizzatore open-rack (ORV).

 Vaporizzatore a combustione sommersa (SCV).

 Vaporizzatore a fluido intermedio (IFV).

In genere la vaporizzazione del gas naturale liquefatto è realizzata in più unità di vaporizzazione, che operano in parallelo, in modo da poter soddisfare la capacità produttiva richiesta dalle utenze.

I vaporizzatori STV sono costituiti da una serie di tradizionali scambiatori a fascio tubiero con diverse configurazioni, in cui la vaporizzazione è realizzata utilizzando acqua di mare come corrente calda, il cui calore disponibile è assorbito dal GNL. Anche i vaporizzatori ORV impiegano l’acqua di mare come utility calda ma la configurazione non è a fascio tubiero, bensì come quella di uno scambiatore con tanti pannelli, ognuno dei quali è formato da tubi alettati. Il vaporizzatore del tipo open-rack più diffuso è della KOBE STEEL e prevede che il GNL fluisca dal basso verso l’alto all’interno di tubi con la superficie esterna alettata mentre l’acqua di mare scorra in controcorrente all’esterno dei tubi (figura 2.15). Questi vaporizzatori sono molto diffusi grazie alle dimensioni compatte e alle grandi superficie di scambio, che rappresentano i punti di forza per le applicazioni sui terminal di rigassificazione, soprattutto se off-shore.

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Figura 2.15: Rappresentazione schematica del funzionamento di un vaporizzatore ORV.

Nel 1998 Osaka Gas e KOBE STEEL misero in commercio e in funzione una variante del vaporizzatore open-rack descritto sopra: il “SUPERORV”. Il vaporizzatore SUPERORV aumenta la capacità di vaporizzazione del GNL, come flusso di calore scambiato per tubo, di circa tre volte rispetto al vaporizzatore ORV e riduce la richiesta di acqua di mare e l’ingombro rispettivamente del 15 e 40% sempre in confronto con l’ORV della KOBE STEEL [8]. Le motivazioni che spinsero allo sviluppo di una variante al tradizionale vaporizzatore ORV erano:

 La parte inferiore dei tubi era soggetta alla formazione di uno strato di ghiaccio sulla superficie esterna a causa del trasferimento di calore diretto tra il GNL a circa -163°C e l’acqua di mare.

 La conducibilità termica del ghiaccio era molto inferiore rispetto alla conducibilità termica degli acciai criogenici e man a mano che lo spessore dello strato di ghiaccio aumentava, l’efficienza di scambio termico diminuiva drasticamente.

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 Quando le alette presenti sulla superficie esterna dei tubi erano ricoperte di ghiaccio, la loro configurazione geometrica in pratica era annullata e l’area di scambio effettiva diminuiva fortemente.

Ecco che la ricerca di Osaka Gas e KOBE STEEL si incentrò sul prevenire la formazione di ghiaccio sulle superfici esterne dei tubi.

Il vaporizzatore SUPERORV è caratterizzato da tubi con una doppia struttura tubulare nella parte inferiore, che è quella effettivamente interessata dalla vaporizzazione del GNL. La parte interna del tubo più piccolo è costruita a forma di spirale: questa struttura a spirale favorisce l’agitazione all’interno del tubo e promuove lo scambio termico. In più la parete interna del tubo più grande ha una struttura alettata, che aumenta l’area disponibile per lo scambio termico (figura 2.16).

Figura 2.16: Rappresentazione della struttura di un tubo di un SUPERORV.

Come si può vedere dallo schema di figura 2.17, il GNL è alimentato nella parte inferiore del tubo, sia nel tubo interno sia nella sezione anulare; la parte di GNL che scorre nel canale anulare è riscaldata direttamente dall’acqua di mare e vaporizza immediatamente, mentre il GNL che scorre nel tubo interno è riscaldato tramite il gas naturale vaporizzato nel canale anulare e vaporizza gradualmente.

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Figura 2.17: Modello di scambio termico della struttura a doppio tubo.

Lo strato di gas naturale nel canale anulare fa sì che le temperature sulla superficie della parte inferiore del tubo siano più alte rispetto a quelle che si hanno nel caso di un convenzionale ORV. Ciò diminuisce la formazione di ghiaccio sulla parete più esterna del tubo e mantiene l’effettiva superficie disponibile e di conseguenza si ha un’efficienza maggiore nello scambio tra GNL e acqua di mare.

Nei vaporizzatori a combustione sommersa SCV la vaporizzazione è realizzata per scambio termico del GNL con acqua di mare ma non utilizza un flusso continuo di acqua. Infatti la rigassificazione avviene tramite il fluire del GNL all’interno di un fascio tubiero posizionato in un bagno d’acqua riscaldato con un apposito bruciatore, che a sua volta è alimentato con parte del gas naturale prodotto dalla vaporizzazione stessa.

In genere è stato provato che un impianto di rigassificazione basato su vaporizzatori SCV consuma circa l’1,5-2% del gas naturale prodotto [7].

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Figura 2.18: Schema di funzionamento di un vaporizzatore SCV.

I vaporizzatori a fluido intermedio IFV invece sfruttano un fluido, quale ad esempio il propano o il glicole etilenico come intermediario per realizzare parte dello scambio di calore. Solitamente il fluido intermedio circola nel vaporizzatore IFV a ciclo chiuso, nel quale si sfrutta dapprima la condensazione del fluido intermedio per riscaldare e vaporizzare il GNL e poi si realizza la vaporizzazione del fluido intermedio mediante scambio termico con acqua di mare, che ha precedentemente riscaldato il gas naturale fino a raggiungere la temperatura richiesta (+5/7 °C) dalla rete di distribuzione. Nella pratica queste tre sezioni di scambio termico non sono mai realizzate in tre scambiatori di calore a fascio tubiero separati l’uno dall’altro ma la soluzione più diffusa è quella commercializzata dalla KOBELCO, con la quale la vaporizzazione del GNL e il successivo riscaldamento del GN, a cura del fluido intermedio e dell’acqua di mare, sono realizzati in un’unica apparecchiatura, come rappresentato in figura 2.19.

Uno dei vantaggi dei vaporizzatori a fluido intermedio è il fatto di non avere la necessità di consumare parte del gas naturale o un altro combustibile per fornire una fonte di calore, come è invece necessario nei vaporizzatori a combustione sommersa: nonostante la presenza del fluido intermedio in quantità piuttosto rilevante (4-8 tonne), il vantaggio economico dell’IFV rispetto all’SCV è notevole. Inoltre, a confronto con il

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vaporizzatore open-rack, l’IFV non presenta alcun problema di congelamento del fluido intermedio, che si trova a contatto con il GNL.

Figura 2.19: Schema di funzionamento di un vaporizzatore IFV.

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2.6 Integrazione energetica nei terminali di rigassificazione GNL

Un terminale di rigassificazione del GNL rappresenta una importante risorsa energetica per lo sviluppo di diversi settori industriali, non solo per la disponibilità del gas naturale da impiegare come combustibile, ma anche per la possibilità di sfruttare l’energia fredda che si ha a disposizione con il GNL. Alcuni possibili utilizzi del “freddo” del GNL sono [7]:

 Integrazione con attività criogeniche, quali la separazione dell’aria e la produzione di ossigeno e azoto liquido, la conservazione ed il congelamento di alimenti.

 Generazione di energia elettrica.

 Integrazione con impianti per la produzione di energia elettrica.

 Integrazione con attività chimiche e petrolchimiche.

Le attività che prevedono di lavorare a temperature molto basse, come la separazione dell’aria, possono sfruttare a pieno “il freddo” disponibile con il GNL: in particolare, questa riserva di freddo posseduta dal GNL è usata per raffreddare l’aria in ingresso o altre correnti intermedie presenti nell’impianto di separazione dell’aria.

La generazione di energia elettrica può essere realizzata o direttamente utilizzando come combustibile gassoso parte del GNL vaporizzato, come avviene spesso in impianti off-shore di rigassificazione, o utilizzando l’espansione del gas naturale dopo la fase di vaporizzazione.

Un’altra soluzione, particolarmente adatta per impianti di rigassificazione on-shore, è quella di realizzare un’integrazione energetica con un impianto per la generazione di energia, che funziona con un ciclo combinato: si utilizza una corrente di una soluzione acqua/glicole etilenico che realizza la vaporizzazione del GNL e cattura così “il freddo” e, una volta raffreddata, è sfruttata per raffreddare l’aria in ingresso alla turbina e per condensare il vapore, in uscita dalla turbina, nel ciclo energetico (figura 2.21). L’integrazione tra l’impianto di rigassificazione e quello di generazione di energia

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permette così di eliminare l’utilizzo di acqua di mare o di gas combustibile, se i vaporizzatori del GNL impiegati sono rispettivamente del tipo ORV o SCV.

Figura 2.21: Schema dell’integrazione di un terminale di rigassificazione con un impianto di generazione energia.

L’integrazione di un terminal di rigassificazione con attività chimiche e petrolchimiche si può concretizzare facendo assorbire il freddo del GNL da una corrente di processo o da un fluido utilizzato come mezzo intermediario di calore nell’impianto.

2.7 Sezione di estrazione dei componenti più pesanti del gas

naturale

Come già anticipato nel paragrafo 2.2, la composizione del GNL approvvigionato da un terminal dipende fortemente dalla provenienza e dal sito di estrazione. Per far fronte al rispetto delle specifiche relative al potere calorifico del gas naturale immesso nella rete di distribuzione, i terminali di rigassificazione devono prevedere una sezione di correzione della composizione del gas naturale, se necessaria. Tale correzione può

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essere realizzata semplicemente mediante un’opportuna iniezione di azoto nel gas naturale ottenuto dalla rigassificazione, se è necessario diminuirne il potere calorifico. Un’alternativa all’iniezione di azoto è l’estrazione dei componenti più pesanti, i C2+, dal

gas naturale: questa soluzione è un’operazione più versatile rispetto all’iniezione di azoto e può rappresentare, allo stesso tempo, una fonte di guadagno grazie alla messa sul mercato dei componenti più pesanti estratti. È in questo contesto che Huang e Coyle [9] hanno proposto diversi metodi di estrazione dei C2+ da integrare nel processo di

rigassificazione del gas naturale. Il cuore della sezione di estrazione dei C2+ è il

“demetanizzatore” (DeC1), ovvero una colonna di distillazione in cui si realizza la separazione dei composti più pesanti dal gas naturale; questa sezione può essere prima o dopo la fase di vaporizzazione del GNL. Il limite superiore delle pressioni operative nella colonna di distillazione è 46 bar, ovvero la pressione critica del metano, e solitamente la pressione operativa scelta è abbastanza inferiore a questo valore perché così si facilita la separazione dei componenti e si riducono i costi del reboiler e della colonna. Quindi, dopo la sezione di estrazione dei C2+, è necessario prevedere un

aumento della pressione del gas destinato alla distribuzione. Gli schemi di estrazione dei componenti più pesanti si distinguono in tre categorie in base al trattamento del gas dopo la correzione del potere calorifico:

 Compressione del gas (figura 2.22a).

 Compressione e condensazione del gas (figura 2.22b).

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Figura 2.22a: Schema di estrazione dei C2+ con compressione.

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Figura 2.22c: Schema di estrazione dei C2+ con condensazione.

Alla luce della configurazione impiantistica prevista da ciascun schema proposto da Huang e Coyle si può osservare che:

 La soluzione che prevede la compressione del gas è quella più semplice e può essere realizzata facilmente ma è anche la più costosa.

 Lo schema b di compressione e condensazione del gas richiede sempre una fase di compressione ma non allo stesso livello di quella richiesta nel caso a.

 Lo schema c di condensazione del gas, seguita poi dalla fase di pompaggio del GNL e dalla successiva vaporizzazione rappresenta la soluzione meno costosa e quella maggiormente integrata nel processo di rigassificazione del GNL.

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2.8 La modellazione del processo di rigassificazione del GNL in

letteratura

Ad oggi non si hanno molti precedenti sullo studio della dinamica e controllabilità di impianti di rigassificazione del gas naturale liquefatto. Lo studio Valappil e Messersmith [10] ha messo in luce l’importanza dell’applicazione delle simulazioni dinamiche per lo studio ed il controllo dei processi presenti nel ciclo di vita del gas naturale liquefatto. A partire dall’estrazione del gas naturale, poi la fase di liquefazione fino ad arrivare al processo di rigassificazione, le simulazioni dinamiche realizzate con i simulatori di processo permettono, in fase di design, di progettare gli impianti con sufficienti margini tali da poter fronteggiare i disturbi che si possono verificare. Inoltre l’approccio sistematico di analizzare la controllabilità del processo mediante la modellazione dinamica permette anche di stabilire il giusto compromesso economico tra i costi di investimento e la controllabilità. Per quanto riguarda il sistema di controllo da implementare nella filiera del GNL, le simulazioni dinamiche permettono di determinare gli opportuni parametri di tuning e di controllare il funzionamento delle azioni di controllo, sempre in fase di design, senza quindi procedere con la realizzazione degli impianti.

Più incentrato sulla modellazione della sezione di rigassificazione è uno studio recente di una società di ingegneria spagnola, SENER, che ha messo in luce l’importanza della modellazione di un processo mediante un simulatore e delle simulazioni dinamiche, come validi strumenti di supporto durante la fase di design di un impianto e di messa in sicurezza di quest’ultimo. Infatti è proprio nell’ambito del progetto di costruzione di un nuovo terminal di ricezione del GNL di Sagunto, a 50 km più a nord di Valencia, Spagna, che Contrera e Ferrer [11], hanno realizzato la modellazione del processo di rigassificazione con il software Aspen HYSYS® della AspenTech per sviluppare un modello stazionario, utile in una fase primaria di design dell’impianto, e un modello dinamico da utilizzare invece nei successivi studi transitori. Il software Aspen HYSYS® è un simulatore sia stazionario che dinamico e la modellazione stazionaria di un processo rappresenta il punto di partenza delle simulazioni dinamiche. Infatti a partire dal modello stazionario si può completare la modellazione dinamica specificando dei dettagli aggiuntivi riguardo ai dimensionamenti delle varie apparecchiature, come ad

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esempio le dimensioni dei serbatoi e degli scambiatori di calore, le caratteristiche delle valvole e la struttura del sistema di controllo.

Un tipico terminal di ricezione e rigassificazione del GNL può prevedere due modalità operative: scarico dalla nave gasiera e contemporanea rigassificazione, rigassificazione in assenza della nave gasiera. In entrambe queste due modalità l’impianto non raggiunge una situazione di stazionarietà e pertanto è necessario utilizzare un simulatore dinamico. Per quanto riguarda il progetto di Sagunto, lo scopo principale delle simulazioni dinamiche è stato quello di analizzare e verificare le performances del sistema di blocco di emergenza ESD (Emergency ShutDown) e di studiare alcune condizioni transitorie, come lo start-up ed il blocco di compressori, pompe e vaporizzatori e la diminuzione di fornitura di gas alla rete di distribuzione. Inoltre Contrera e Ferrer hanno evidenziato l’utilità di questa modellazione del processo anche come strumento di controllo del corretto dimensionamento delle valvole di controllo, di sicurezza e del tempo di chiusura delle valvole ESD. Nelle simulazioni dinamiche è stato utilizzato “l’Event Scheduler”, presente in Aspen HYSYS®, per modellare in modo più possibile realistico le catene di eventi che si possono verificare durante il processo di rigassificazione del gas naturale. Per modellare invece il sistema di blocco di emergenza dell’impianto, Contrera e Ferrer hanno utilizzato la “matrice causa-effetto”, disponibile in Aspen HYSYS®; nelle righe di questa matrice sono presenti le cause, che sono costituite per esempio da segnali della strumentazione di controllo e di sicurezza, e nelle colonne sono invece indicati gli effetti, come ad esempio la chiusura o l’apertura di certe valvole o l’intervento di sistemi di messa in sicurezza dell’impianto. Ecco che questa matrice causa-effetto è particolarmente importante per verificare il comportamento del sistema ESD in casi di emergenze.

Il lavoro di Contrera e Ferrer ha inoltre sottolineato come le simulazioni dinamiche dell’impianto siano un eccellente strumento di supporto nelle analisi di operabilità HAZOP (HAZard and OPerability analysis) e nelle analisi dei guasti FMEA (Failure Mode and Effect Analysis). Infatti con questo tipo di approccio è possibile verificare, per esempio, se il sistema di venting dei serbatoi è opportunamente dimensionato per far fronte ai possibili scenari incidentali, che si possono presentare. A causa delle limitazioni delle analisi di tipo stazionario, le simulazioni dinamiche di questo tipo rappresentano l’unico strumento per indagare il comportamento delle principali variabili

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di processo e del sistema di sicurezza nelle varie situazioni, in cui un impianto di rigassificazione del GNL può trovarsi a lavorare.

Figura

Figura 2.1: La catena produttiva del gas naturale liquefatto.
Figura 2.2: Diagramma a blocchi della tecnologia GTL.
Figura 2.3: Schema del processo a micro canali per la conversione del GN in metanolo.
Figura 2.4: Modulo a micro canali del reattore di sintesi del metanolo.
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Riferimenti

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