• Non ci sono risultati.

Capitolo 2 La produzione letteraria rushdiana dopo la fatwā

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo 2 La produzione letteraria rushdiana dopo la fatwā"

Copied!
26
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo 2

La produzione letteraria rushdiana dopo la fatwā

1. The Moor’s Last Sigh

Dopo la dichiarazione della fatwā nel 1989, Rushdie è costretto a vivere sotto scorta. Pubblica il suo primo libro per bambini e una raccolta di short stories, ma bisogna attendere il 1995 per il suo successivo romanzo, The Moor’s Last Sigh. Anche in questo caso si tratta di una saga familiare, in cui il protagonista maschile, Moraes Zogoiby, chiamato “Moro”, presenta una particolarità fisica: invecchia, infatti, con il doppio della velocità rispetto alle persone normali, e ha una mano deforme. Come accade spesso ai protagonisti rushdiani, c’è un elemento di mistero relativo alla sua paternità, e la sua nascita è presentata in un punto già avanzato della narrazione, mentre è la morte che viene introdotta per prima, al principio del romanzo, e poi ripresa alla fine, incorniciando così tutta la storia. Il fatto che Moraes viva con un’intensità doppia rispetto al normale può leggersi come metafora del cambiamento che la vita nel presente ha subìto. Inoltre, proprio come Saleem, anche Moraes usa il suo dono, nella fattispecie una forza straordinaria, solo per scopi distruttivi.1 Infine, ad accomunare i due protagonisti c’è anche il tentativo di “saldare” l’io attraverso la narrazione: anche in questo caso, la sopravvivenza di Moraes è garantita fintanto che egli continua a raccontare.2

Il romanzo narra le vicende di una ricca famiglia portoghese di mercanti, stabilitasi in India da secoli. La storia si concentra sul periodo compreso tra l’inizio del 1900 e gli anni ’90. Moraes, l’ultimo discendente della famiglia, scrive il racconto mentre è tenuto prigioniero da un folle nella campagna andalusa. Il resoconto è imperniato sul personaggio di sua madre Aurora, famosa e talentuosa pittrice, la cui carriera fiorisce tra gli anni ’40 e gli anni ’80. Anche l’impresa commerciale del padre, l’ebreo Abraham, prospera, con la dubbia complicità delle

1 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., pp. 135-136.

2 S. BAKER, ““You Must Remember This”: Salman Rushdie’s The Moor’s Last Sigh”, in H.

(2)

sue attività criminali (traffico di droga, armi e prostitute). Ma questa famiglia potente è destinata a disgregarsi, perché lacerata da invidie, avidità e tradimenti.

Come nei romanzi precedenti, Rushdie inserisce nella trama le vicende politiche indiane, ricorrendo alla satira per evidenziare i fallimenti della politica nazionale. In questo caso la sua penna si scaglia contro i metodi e le linee di condotta del BJP (Partito del Popolo Indiano) e soprattutto dello Shiv Sena, il partito nazionalista hindu nato nello stato del Maharashtra, che, benché non fosse ufficialmente al governo, “has been deeply involved with the crime underworld of Bombay and devoted to terror as a means of power”.3 Rushdie non solo ne mostra il lato giuridicamente più deviato, ma tenta anche di screditare le opinioni relative alla superiorità della cultura induista rispetto a tutte le altre presenti in India, in particolare quella musulmana.

Uno degli espedienti utilizzati dall’autore per mostrare l’influenza negativa dello Shiv Sena è la contrapposizione tra la Bombay eterogenea e brulicante della sua infanzia e la Mumbai controllata dal partito a partire dagli anni ’80. La cupa descrizione dello scenario politico contemporaneo esprime infatti la preoccupazione che la tolleranza e la diversità culturale caratteristiche dell’India vengano sempre meno nei decenni a seguire.4 Anche il fatto che i protagonisti del romanzo facciano parte di due tra le più piccole minoranze indiane, i cattolici portoghesi e gli ebrei di Cochin, intende alludere a quanto il subcontinente sia vario e multiculturale, poiché esse risultano parte integrante dell’India quanto gli appartenenti ai gruppi maggioritari.5

L’opposizione tra induisti e musulmani richiama quella tra cattolici e arabi nella Spagna del XV secolo, quando Isabella di Castiglia e Ferdinando II d’Aragona soffocarono la cultura musulmana nel paese, fiorita fin dall’VIII secolo. Il titolo del romanzo si riferisce proprio all’episodio riguardante Boadbil, l’ultimo sultano moro di Spagna, che, secondo la leggenda, si sarebbe voltato a guardare il palazzo di Alhambra nella città di Granada per l’ultima volta, dopo essere stato sconfitto ed esiliato, e avrebbe emesso un ultimo sospiro di commiato.

3 A. AHMAD, Lineages of the Present, Verso, London 2000, p. 346, citato in A. TEVERSON,

Salman Rushdie, cit., p. 163.

4 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 166-167. 5 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 133.

(3)

La Spagna moresca è importante per Rushdie perché rappresenta un esempio di multiculturalismo, in cui musulmani, cattolici ed ebrei coesistevano pacificamente.6 L’autore sembra quindi lanciare un monito ai moderni mori indiani: questo potrebbe essere anche il loro destino, se permetteranno che le idee del nazionalismo hindu si impongano in modo totalitario.

The Moor’s Last Sigh offre dunque un percorso che induce a riflettere su come il pluralismo possa degenerare e acuirsi in picchi di fanatismo. Benché questo romanzo si colori di pessimismo, se non addirittura di toni apocalittici, il suo scopo finale pare essere quello di propugnare gli imperativi morali della libertà e del rispetto, ed enfatizzare la necessità di guardarsi dagli attacchi di chi vorrebbe fomentare l’intolleranza.

È possibile quindi affermare che Rushdie abbia volutamente attinto a fonti di diversa provenienza proprio per suggerire come l’identità culturale non sia plasmata da un’unica influenza, ma si sviluppi attraverso un complesso processo di ibridazione e scambio, e come i concetti di segregazione e di supremazia culturale poggino su false premesse rispetto a ciò che è storicamente verificabile, ovvero la natura “meticcia” della comunità umana. Tra le fonti più riconoscibili vanno qui menzionati Don Chisciotte di Cervantes, Othello e The Merchant of Venice di Shakespeare, l’epica tradizionale indiana e i film Un Chien Andalous di Dalí e Buñuel (1929) e Bharat Mata di Mehbob Kahn (1957).7

Interessante è poi il modo in cui Rushdie si relaziona ai propri romanzi precedenti, che per la prima volta costituiscono qui una fonte intertestuale. L’ambientazione del romanzo a Mumbai, infatti, consente di introdurre diversi personaggi creati in precedenza, tra cui Zeeny Vakil da The Satanic Verses, qui in veste di critica d’arte; Adam Sinai, il figlio del protagonista di Midnight’s Children, e Lord Khusro, amico d’infanzia di Saleem. Adam, che agli occhi di suo padre rappresentava la possibilità della speranza per il futuro dell’India indipendente, da adulto ha rinunciato al proprio ideale politico per dedicarsi avidamente all’attività finanziaria: diventa un criminale incallito che usa i suoi poteri per gli scopi sbagliati. È una figura decisamente contemporanea e incarna il fallimento di una generazione che, come aveva predetto Saleem, è spocchiosa e

6 Ivi, p. 131.

(4)

anela a controllare il mondo, ma non ha nessun interesse nella giustizia politica e nel corpo sociale. È interessata solo ai soldi e all’autopromozione.8

Il pessimismo di Rushdie è quindi particolarmente evidente nel suo confronto con i “vecchi” personaggi, che trovano tutti una morte violenta. È come se l’autore volesse dimostrare che la Bombay delle sue storie precedenti sta per essere spazzata via, cosicché si assiste qui a una sorta di necrologio per quell’immagine della città.9

Mentre vi si celebra il pluralismo attraverso Aurora e la sua opera, è anche possibile individuare in The Moor’s Last Sigh una critica crescente verso determinate forme di pluralismo e la loro finalizzazione. Questo è evidente nel contrasto che implicitamente emerge tra le opere di Aurora e quelle del pittore indiano-portoghese Vasco Miranda, che pure utilizza l’eclettismo e l’ibridismo, ma con effetti radicalmente opposti. Le immagini estremamente cariche di Aurora sono catalizzate dal desiderio di rappresentare la sua stessa minacciata realtà emozionale e il complesso mélange culturale della nazione indiana. Vasco è invece narcisisticamente motivato dalla “fondness for imaginary worlds whose only natural law was his own sovereign whimsicality”.10 Se l’eclettismo di Aurora si radica nella realtà sociale e nella consapevolezza dei paradigmi storici, il ginepraio alienante di allusioni in quello di Vasco si riduce invece a un pastiche di gusto kitsch.

I diversi destini delle opere dei due artisti forniscono una possibile indicazione sul punto di vista di Rushdie relativamente all’incisività sociale e politica del gesto estetico. La passione di Aurora per le affermazioni satiriche controverse la coinvolge in un certo numero di polemiche che la rendono il bersaglio di aspre critiche; la sua arte è parimenti presentata come una forma di agitazione sociale che mira, come secondo Rushdie dovrebbe fare sempre l’opera di un artista, a individuare i problemi, prendere posizione e dar vita a discussioni. Il virtuosismo tecnico di Vasco, al contrario, gli garantisce un enorme successo commerciale, perché non è percepito come una minaccia ed è facile da “smerciare” a livello globale. Tuttavia, è ideologicamente insulso. Il cinico sfruttamento dell’eclettismo

8 Ivi, p. 172. 9 Ivi, p. 175.

(5)

per il guadagno commerciale da parte di Vasco induce alla consapevolezza, affiorante nella seconda metà del romanzo, che al pluralismo ci si può appellare tanto per fini opportunistici, quanto per altri socialmente costruttivi.11

Se nei precedenti scritti di Rushdie il concetto di ibridismo sembrava fornire una via d’uscita percorribile nell’intrico dei problemi politici, sociali e religiosi da lui affrontati, in The Moor’s Last Sigh l’autore per la prima volta ne critica le potenzialità negative. Vi sarebbero cioè delle insidie implicite in un multiculturalismo di facciata, storicamente vacuo, che rischia di tendere la mano al revisionismo demagogico tipico del fondamentalismo religioso. L’India secolarizzata immaginata da Rushdie non dovrebbe semplicemente celebrare né nascondere le contraddizioni del proprio passato multiculturale, ma piuttosto confrontarsi con i vari tasselli del mosaico, in modo da esaltare sia le connessioni tra le culture, sia le loro differenze.12

2. La prima produzione “americana”

I tre romanzi successivi di Rushdie, The Ground Beneath Her Feet (1999), Fury (2001) e Shalimar the Clown (2005) possono essere accostati per l’argomento trattato: sebbene con trame e metodi molti differenti tra loro, tutti affrontano la globalizzazione e il consumismo che dagli Stati Uniti si sono diffusi in varie aree del mondo nella seconda metà del XX secolo. “Globalizzazione” è un termine che negli ultimi decenni è stato usato sempre più spesso per riferirsi alla crescente interconnessione dei sistemi economici, politici e sociali mondiali. Secondo la definizione di Anthony Giddens, la globalizzazione coinvolge “the intensification of worldwide social relations which link distant localities in such a way that local happenings are shaped by events occurring many miles away and vice versa”.13 Strettamente legato a questo termine è il concetto di cosmopolitismo, inteso come

11 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 170-171.

12 M. SALGADO, “The Politics of the Palimpsest in The Moor’s Last Sigh”, in A. GURNA

[ed.], Salman Rushdie, cit., pp. 164-165.

13 A. GIDDENS, “The Globalizing of Modernity”, in D. HELD, A. MCGREW [eds.], The

Global Transformations Reader: An Introduction to the Globalization Debate, Polity, Cambridge

(6)

an outlook and mode of experience that transcends the ostensibly outmoded nation-state model. It mediates between the universal and the particular, the global and the local, is culturally anti-essentialist, and represents a complex repertoire of identities, allegiances and interests.14

La globalizzazione, quindi, apre potenzialmente la strada al cosmopolitismo: l’apertura culturale è in teoria favorita dai rapporti commerciali. Queste relazioni politiche ed economiche tra i diversi paesi del mondo, tuttavia, sono spesso inique, e risultano in un impedimento piuttosto che un’agevolazione verso pacifici e proficui scambi culturali e sociali.

In The Ground Beaneath Her Feet Rushdie esplora la relazione tra la produzione “locale” del singolo artista e i flussi economici globali attraverso il fenomeno della musica pop/rock e del giornalismo fotografico. La storia si svolge in una dimensione parallela alla nostra, in cui però i fatti storici presentano alcune varianti significative, come nel meta-romanzo storiografico di matrice postmoderna: ad esempio, John Kennedy riesce a scampare all’attentato di Dallas, Richard Nixon non viene mai eletto presidente, e gli autori dei libri più famosi portano i nomi dei protagonisti dei libri stessi. Anche nel mondo dell’arte e della musica sono introdotti dei cambiamenti bizzarri, che coinvolgono il lettore proiettandolo in una sfera ibrida, pseudo-fattuale: l’equivalente di Andy Warhol si chiama Amos Voight e Lou Reed è una donna.

La narrazione si apre sull’ultimo giorno della vita di Vina Apsara, icona e stella del pop adorata in tutto il mondo, ed il narratore è l’amico e fotografo personale Rai. Rai, Vina e il suo amato Ormus, uniti sotto il segno della musica, si conoscono fin da giovani, quando le loro vite si sono intrecciate nella città natale di Bombay. La donna ha una voce straordinaria, mentre Ormus è capace di esibirsi in canzoni splendide grazie al legame con il fratello gemello morto, che ne condiziona sogni e aspirazioni. Uno dopo l’altro e per motivi diversi, si trasferiscono tutti in Inghilterra: Vina tenta di scappare da Ormus, benché lo ami, mentre Rai insegue la carriera di fotoreporter d’inchiesta. Ormus ha successo nelle

14 Y. SIDDIQUI, “‘Power Smashes into Private Lives’: Violence, Globalization and

Cosmopolitanism in Salman Rushdie’s Shalimar the Clown”, South Asia Research, Vol. 27 (3), p. 294.

(7)

radio pirata, ma un brutto incidente lo fa precipitare in un coma che durerà tre anni. Al suo risveglio, il fratello morto lo ha abbandonato, ma attraverso l’occhio sinistro egli vede un mondo diverso che, secondo una sinistra messaggera, Maria (la quale ogni tanto sembra comparire dal nulla), sta per scontrarsi con il suo.

Vina e Ormus sono finalmente riuniti e danno vita ai VTO, il gruppo che irrompe nel mondo della musica facendo di ogni album un enorme successo. Dopo dieci anni di tensione creativa, la coppia convola a nozze; tuttavia, Vina non riesce ad accontentarsi di un unico grande amore, e ha ancora bisogno di Rai, che per tutti quegli anni era stato il suo amante. Poiché Ormus sembra sempre più ossessionato dalla minaccia di un cataclisma epocale, Vina decide di lanciare un suo progetto solista che la porta in tour in America latina: proprio in Messico troverà la morte, inghiottita dalla terra durante un terremoto devastante.

La scomparsa scatena uno psicodramma collettivo a livello mondiale, alimentando una specie di culto. L’affranto Rai riceve un ultimo inaspettato messaggio dal mondo parallelo, inviato attraverso l’obiettivo di una cinepresa, e per questo decide di vedere Ormus. L’ossessione di quest’ultimo per Vina lo ha però portato a cercare una sua sostituta identica all’originale, anche se più giovane di quasi vent’anni, Mira. Rai se ne innamora e i due intrecciano una relazione. Ormus fa cantare Mira a un concerto dei VTO, ma i fan lo considerano un sacrilegio e rifiutano la donna. Attraverso questo stratagemma Rushdie sembra voler giocare provocatoriamente con il concetto di “simulacro”, esibendo la “falsa Vina” in modo sensazionalistico. L’ossessione amorosa, e quindi privata, di Ormus, una volta esposta al pubblico, si rivela come la ricerca inutile e deleteria di qualcosa, o qualcuno, ormai perso per sempre.

Grazie al rifiuto dei fan, Mira ha la possibilità di affermarsi come se stessa e non come copia, ma Ormus viene ucciso da un’altra misteriosa Vina. Ancora una volta l’autore mette in scena personaggi la cui identità e il cui aspetto non sono univoci. Al lettore resta il compito di interrogarsi sulla provenienza e il significato di quest’ultima sosia inaspettata. Anche Rai e Mira, gli unici protagonisti sopravvissuti, sono lasciati a cercare di dare un senso alla storia d’amore sovrumana a cui hanno assistito, così come alla propria.

(8)

In The Ground Beneath Her Feet uno sguardo critico è evidentemente rivolto a una cultura di massa vista come fenomeno facente capo agli Stati Uniti e reso possibile dalla grande concentrazione di benessere, potere e mezzi tecnologici in Occidente. Emerge la consapevolezza di come l’intensificazione dei contatti globali sia una caratteristica peculiare del mondo contemporaneo, spinta da una rapidità senza precedenti delle comunicazioni e delle nuove tecnologie. La musica pop, in particolare, si profila come l’espressione artistica di maggior diffusione, nata e strettamente collegata con il periodo compreso tra la fine degli anni ’40 e gli anni ’90, periodo coincidente con lo svolgimento delle vicende nel romanzo.15

The Ground Beneath Her Feet sfida il dominio globale della cultura popolare statunitense suggerendo che il rock and roll sia stato inventato a Bombay. Si tratta di una tesi ostentatamente fantasiosa, che rientra nella politica discorsiva dell’“ibrido” e della decostruzione delle ortodossie, alla quale Rushdie ci ha ormai abituato. È una band americana in tour a Bombay a scoprire il talento di Ormus e Vina, la cui origine indiana non influisce però sul tipo di musica incisa dai VTO, che non è di tipo etnico o tradizionale. Come osserva Teverson:

Rushdie’s argument is merely that global popular culture – like all cultures – is a complex and ambivalent phenomenon, that cannot be owned by any one nation, and that cannot be used to express the values or beliefs of any one power complex. […] Indeed, pop music becomes a form worthy of celebration […] precisely because […] it is able to reflect differentiated localised forms of identity on the global stage, yet at the same time the inherently hybridised nature of the medium works against those prejudicial forms of localism that seek to respond to globalised American power by asserting the purity of their own cultural identities.16

Centrale nel romanzo è la descrizione dell’esplosione di una cultura popolare parificabile a un fenomeno globale che, nel bene e nel male, influenza valori e stili di vita. Attraverso i riferimenti a Dante, ai miti greci e al pezzo operistico Orfeo ed Euridice di C.W. Gluck, Rushdie rimanda altresì alle radici e alle origini di un’era che in fase contemporanea si è incanalata nei meandri mainstream di una cultura pop commercializzata e condizionata dai lanci pubblicitari.17 Il mito di

15 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 148. 16 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 184-185. 17 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 149.

(9)

Orfeo ed Euridice continua surrettiziamente a informare la narrazione e rappresenta un filo conduttore che collega i tre punti tematici chiave del romanzo: la musica, l’amore e la morte. Significativamente, il terremoto all’inizio della storia è associato alla data del 14 febbraio 1989, giorno dell’annuncio della fatwā e, contemporaneamente, anniversario di San Valentino. Queste corrispondenze uniscono ulteriormente il tema dell’amore a quello della morte. Il motivo di Orfeo ed Euridice è richiamato anche dal tema dell’immortalità conferita dall’arte: nel XX secolo, la musica sopravvive alle persone grazie alla tecnologia, e i VTO possono virtualmente continuare a cantare in eterno, alla radio e soprattutto in televisione. Il mito viene così rielaborato e fatto circolare in forme più “spendibili”.18

Nella narrazione vengono evocati anche altri miti classici, tra cui quelli di Prometeo, Elena di Troia, Persefone e Medea, che sono sia tematizzati (diventano argomento di discussione), sia ambiguamente trasposti nelle vicende dei personaggi secondari. Ne risulta una mock-epic in cui agli eroi classici subentrano le pop star, con le immagini di Ormus e Vina ingigantite, in senso letterale e metaforico, dalle strategie e dai formati pubblicitari che pervadono la loro era.19 Di nuovo, però, l’approccio discorsivo ibrido coglie aspetti ulteriori e contrastanti: Vina, ad esempio, fa leva sulla propria immagine per battersi contro le carestie e per la riduzione del debito del Terzo Mondo e, dopo la sua morte, diventerà un simbolo di libertà, uguaglianza e redenzione.

Ormus e Rai rappresentano due tipologie di artista opposte tra loro: il primo è più ascetico e contemplativo, rinuncia alla vita e si ritira in una sorta di torre d’avorio in cui piange la sua amata perduta. Rai, invece, non si consuma nel dolore della perdita, ma si dedica piuttosto al lavoro, alla fotografia, all’azione quotidiana, in un sorta di sfida alla vita stessa. Così facendo, riesce a salvarsi. La connotazione positiva del suo personaggio è ancora più evidente quando si nota che Rai coniuga in se stesso i ruoli complementari di narratore e fotografo, voce e visione, arte orale e visuale.20

18 Ivi, pp. 155-156.

19 “Rushdie adopts a technique that attempts to make them almost mythical, as Elvis Presley

was”, ivi, p. 150.

20 C. CONCILIO, “‘Worthy of the World’: The Narrator/Photographer in Salman Rushdie’s The

(10)

Anche la fotografia, come la musica pop, è infatti una forma d’arte che appartiene essenzialmente al XX secolo. In quanto fotografo, Rai è sia un voyeur, sia un testimone che registra e immortala gli eventi più importanti della sua epoca. A fronte del trascorrere del tempo, la macchina fotografica cattura i momenti; in una foto, il tempo è fissato per sempre e il potere dell’immagine è tanto grande da poter idealmente cambiare il mondo. Significativamente, però, non sono le immagini dei morti, della corruzione, della brutalità della guerra e delle sofferenze dei poveri a incidere sul corso delle vicende. Sarà la fotografia di una rockstar morente, scattata da Rai, a galvanizzare le “energie utopiche” del villaggio globale. Come commenta Mondal, tuttavia, questo fatto “actually dismisses the popular as a generative site of radical social and political action, whilst reserving for celebrity culture a radical political potential it does not possess”.21

Passando a Fury, bisogna sottolineare come esso tratteggi un cambiamento epocale dall’era della “connessione transnazionale” generatasi con il colonialismo britannico a quella della “globalizzazione” incentivata dall’imperialismo economico americano. Il consumo, di ogni tipo, è uno dei temi centrali del romanzo.

Il personaggio principale è Malik Solanka, originario di Bombay e professore a Cambridge, ambiente che però trova ben poco stimolante. Affascinato dalla tecnologia, egli inventerà uno show per la BBC in cui una bambola dalle fattezze femminili, chiamata provocatoriamente Little Brain, intervista virtualmente i grandi filosofi del passato. Lo show riscuote un enorme successo, ma ben presto i produttori calcano la mano e creano un’intera serie ispirata alle avventure di Little Brain, con una produzione in serie della bambola e un’operazione astuta di merchandising, accompagnata da cicli di conferenze. Solanka perde dunque il controllo della sua creazione, cedendola in cambio di alti profitti.

Il protagonista nasconde però un animo travagliato: quando era ragazzo, il patrigno ha abusato di lui (trauma su cui egli farà luce solo alla fine); il suo

Making Real. Salman Rushdie’s The Ground Beneath Her Feet, Edizioni ETS, Pisa 2003, pp.

118-119.

21 A.A. MONDAL, “The Ground Beneath Her Feet and Fury: the Reinvention of Location”, in

(11)

migliore amico di Cambridge, Dubdub, dopo avere ottenuto un grande successo popolare, non è riuscito a misurarsi con gli effetti di tanta celebrità e si è suicidato. Questi sentimenti esplodono in una sorta di rabbia, di “furia”, che fa perdere di vista a Solanka gli obiettivi più importanti. Quando, per esempio, si rende conto che la moglie vorrebbe avere un secondo figlio, si sente usato da lei, e una notte, mentre la donna dorme, le si avvicina con un coltello in mano. In un momento di lucidità, penserà bene di allontanarsi dalla famiglia e fuggire a New York, in modo da evitare di commettere qualcosa di terribile.

In Fury il mondo contemporaneo, con New York come fulcro, appare corrotto dalla voracità e dello spreco spaventoso che ruotano intorno all’economia americana. Ad esempio, un altro caro amico di Solanka, Jack Rhinehart, corrispondente della guerra del Vietnam, si svende e finisce per fare da “intrattenitore” con pezzi pubblicati su Vanity Fair. Viene poi coinvolto da tre giovani miliardari in una rete di crimini sessuali e, quando la polizia sta per scoprirli, viene assassinato. Al contempo Mila, la bellissima e brillante figlia di uno scrittore jugoslavo, seduce Solanka, molto più vecchio di lei, in una replica del rapporto incestuoso con il padre.

L’unico personaggio davvero positivo nell’opera è Neela, una delle amanti del protagonista e donna saggia e coraggiosa, capace di affrontare il ritorno nel suo paese di origine per prendere parte alla rivoluzione della minoranza indiana che deporrà la maggioranza oppressiva.

Solanka si lancia in un altro progetto e scrive una storia da rappresentarsi in un teatro di burattini, incentrata su una stirpe di regnanti-pupazzo che un certo Akasz Kronos avrebbe collocato sul pianeta Galileo-1. Ognuno di loro è la controparte di un personaggio del romanzo. Mila e i suoi amici informatici adattano la storia e la rendono una web-series che ottiene un successo inaspettato.

La storia di un creatore che finisce per entrare in un rapporto di feroce ostilità con una “creatura” ormai fuori controllo trova naturalmente il suo antecedente archetipico in Frankenstein. Se il romanzo di Mary Shelley ammoniva sui terribili rischi di una sperimentazione scientifica scissa da una precisa deontologia, Fury riguarda piuttosto i pericoli che un capitalismo incontrollato rappresenta per l’artista. In passato l’autore riusciva a lottare per preservare la propria personalità

(12)

e ad esprimere le sue opinioni, mentre adesso è il mercato a controllarlo. Little Brain è diventata un fenomeno globale ma, poiché è stata globalizzata “dall’alto”, Solanka ha perso il controllo sui messaggi morali, intellettuali e politici del suo lavoro originale. L’individualità della creazione è stata eclissata quando si è trasformata in un prodotto commerciale. La responsabilità della perdita di controllo è però in parte anche di Solanka, perché è stata la sua avidità, e quindi il suo coinvolgimento nel meccanismo capitalistico, che lo ha portato a cedere Little Brain ai produttori. Il protagonista è consapevole e critico degli eccessi consumistici americani, ma questo non gli impedisce di conviverci: non è dunque completamente innocente, ma piuttosto occupa una posizione di complicità passiva.22

Da un lato, il romanzo fa riflettere su come i mass media tendano a trasformare i prodotti culturali in oggetti di appropriazione o di interpretazione demagogica. Dall’altro, suggerisce anche come la complicità con i processi capitalistici non neghi automaticamente l’esercizio del libero arbitrio. Anche se Little Brain è stata “irretita” dal capitalismo delle multinazionali americane, Solanka continua ad avere una relazione complessa e contraddittoria con il sistema, che gli permette di criticarlo anche quando ne accetta il compenso economico.

Rushdie si situa in questo quadro in maniera dialettica, anche in relazione ai percorsi ipertestuali che caratterizzano la navigazione in rete, nei quali coglie il profilarsi di uno spazio polifonico in cui una moltitudine di influenze si mescolano in modo creativo e si scontrano dinamicamente. In questo senso, lo stile narrativo tipico di Rushdie non sarebbe compromesso dalle maglie della cultura globalizzata, ma piuttosto ne sarebbe favorito. L’autore sostiene che i mezzi riconducibili alla globalizzazione, come internet e l’editoria di massa, non generino soltanto prodotti di scarso valore estetico o semantico, ma anche delle forme complesse, capaci di esprimere punti di vista divergenti e non assimilati. Teverson tira le fila osservando che:

The Internet may have been brought into being by dominant capitalistic processes that encourage the homogenisation of global culture […], but it also,

(13)

paradoxically, enables the global dissemination of forms of expression that cannot be fully contained by dominant structures of authority.23

Fury muove una critica non solo al capitalismo globalizzato, ma anche a una forma di protezionismo “locale”, entrambi responsabili di una distorsione dei valori della cultura. Come nota ancora Teverson:

[the novel] uses one cultural dynamic to answer back to the extreme manifestations of the other: the globalisation of culture works against cultural isolationism, meanwhile localised cultural expressions continue to work within, and sometimes against, the homogenising forces of globalism.24

Rushdie adotta quindi una posizione intermedia in relazione ai meccanismi di mediazione culturale nel mondo moderno. Fury rappresenta inizialmente gli Stati Uniti come un potenziale spazio aperto al cosmopolitismo, oggettivato in questo caso dalla grande diversità della popolazione newyorkese, costituita da un elevato numero di immigrati le cui storie si intrecciano continuamente. Se a una società coloniale ne segue una altrettanto marcata dal nazionalismo, Rushdie cerca una terza strada: quella di una società cosmopolita e internazionalista. Affiora però un’incertezza riguardo alle possibilità concrete degli USA di misurarsi con le proprie stesse promesse cosmopolite. Esiste sempre il rischio che nell’ibrida America le differenze vengano in realtà appiattite e annientate dal motore capitalistico, con il suo inarrestabile impulso commerciale. I commenti sulla disillusione provata dagli immigrati per il contrasto tra le proprie aspettative di una sorta di melting pot favoloso e l’esperienza concreta di una deterritorializzazione alienante sono numerosi. Questo sembra indicare che il romanzo intende sottolineare il fallimento e il dissolversi del sogno americano relativo al costituirsi di una società cosmopolita.25

In questo romanzo l’autore rinuncia al realismo magico, affidandosi piuttosto a una tecnica di iperrealismo che gli permette di incorporare dettagli fattuali e inserire riferimenti all’attualità. Parallelamente, lo stile è meno evocativo rispetto

23 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 191-192. 24 Ivi, pp. 193-194.

25 R. ZIMRING, “The Passionate Cosmopolitan in Salman Rushdie’s Fury”, Journal of

(14)

ai romanzi precedenti, e più assertivo.26 Fury presenta anche delle lunghe enumerazioni, che sembrano voler fornire un catalogo affannosamente esaustivo della realtà, simile a quello associato alla saturazione mediatica e alla frenesia del consumismo: si tratta tuttavia di una miriade di frammenti di una cultura che “esplode” e si vanifica nell’immediatezza effimera del presente. La molteplicità iperbolica finisce per esaurirsi nella patina sbiadita della mediocrità e della fruizione immediata, in una perfetta (e critica) coincidenza tra forma e contenuto.27

Shalimar the Clown coniuga l’interesse critico per la globalizzazione facente capo agli USA (evidente nei romanzi precedenti) con quello per la storia nazionale del subcontinente indiano che informava i primi libri. Rushdie rintraccia le radici dell’attuale potere americano nella Seconda Guerra Mondiale e nel dopoguerra. L’America, durante la guerra, sarebbe stata il difensore degli oppressi, ma in seguito avrebbe assunto un ruolo ben diverso, finendo per manipolare, piuttosto che proteggere, il resto del mondo. Da salvatori e liberatori, negli anni successivi al conflitto gli Stati Uniti si sono trasformati, per i paesi asiatici, in oppressori.28

In questo romanzo è il Kashmir a configurarsi come simbolo del fallimento degli sforzi coordinati dagli USA per creare un equilibrio politico-economico a livello internazionale in seguito alla Seconda Guerra Mondiale. La regione è anche il simbolo della totale inapplicabilità dell’idea, promossa dagli intellettuali americani neo-conservatori dopo la conclusione della Guerra Fredda, che la storia fosse giunta alla fine, grazie al trionfo della democrazia liberale e capitalista occidentale. In realtà, le politiche strategiche statunitensi contro la Russia durante la Guerra Fredda avrebbero lasciato un segno negativo in regioni come l’Afghanistan e il Kashmir.29

Soffermandosi sulle atrocità del fascismo e del nazismo, Shalimar the Clown non disconosce lo slancio in qualche modo utopico degli sforzi degli alleati nel

26 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., pp. 168-169.

27 A.A. MONDAL, “The Ground Beneath Her Feet and Fury: the Reinvention of Location”, in

A. GURNAH [ed.], The Cambridge Companion to Salman Rushdie, cit., p. 176.

28 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., pp. 172-173. 29 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., p. 218.

(15)

dopoguerra. Contemporaneamente, tuttavia, lascia intendere anche che quelle intenzioni si sono perse, o se non altro sono rimaste invischiate nel terreno di un cinico pragmatismo. Pur nel loro ruolo di liberatori, gli USA non sono stati in grado di contrastare fenomeni di sfruttamento e soggiogamento.30

L’essenza del Kashmir viene annientata in una lotta con tre contendenti: gli interessi americani, l’esercito indiano e i ribelli islamici del Pakistan. Al contempo, l’enfasi posta sulla tolleranza e l’apertura che contraddistinguono la regione la rendono un modello positivo di ibridismo. Come spesso avviene in guerra, sono le persone comuni a pagare uno scotto altissimo nei giochi di potere, “who suffer and die as a result of antagonisms that are fostered and manipulated by distant national leaders in pursuit of equally distant national ideals”.31 Ciò che il testo rushdiano pare suggerire è che i problemi del Kashmir non derivino da un’inimicizia intrinseca tra induisti e musulmani, ma da una rivalità tra le due religioni che è stata fomentata da questioni politiche e dai processi storici. Questo risvolto attribuisce al Kashmir il profilo di un’utopia multiculturale, minacciata e schiacciata dalle forze dell’oppressione, proprio come la Spagna araba e Bombay in The Moor’s Last Sigh.32

In questo libro, come d’abitudine, Rushdie rivisita i conflitti politici enfatizzandone l’impatto sulle vite dei personaggi principali. L’autore si concentra però anche sulla condizione dei paesi postcoloniali in toto, e investiga l’impatto della globalizzazione su personaggi apparentemente estranei tra loro e che vivono in territori differenti. Il romanzo incoraggia invece a considerare la propria esistenza in relazione a quella degli altri. Ciò emerge ad esempio dal fatto che i titoli delle sezioni rimandano tutti ai personaggi principali della storia narrata, in modo da collegarne i diversi mondi geografici, sociali, politici e storici.33

Personaggio femminile al centro di Shalimar the Clown è la giovane India Ophuls, figlia illegittima del diplomatico statunitense Maximilian Ophuls, il quale viene ucciso a Los Angeles, sulla soglia del condominio dove vive la ragazza, dal suo autista Shalimar (attraverso numerosi flashback, affiorano le vicende che

30 Ivi, pp. 220-221. 31 Ivi, p. 218. 32 Ivi, p. 223.

33 F. STADTLER, “Terror, Globalization and the Individual in Salman Rushdie’s Shalimar the

(16)

hanno portato i due uomini a stabilire un contatto). Da giovane, nel villaggio immaginario di Pachigam in Kashmir, Shalimar lavorava come funambolo e si era innamorato della bellissima ballerina Boonyi; gli anziani del villaggio avevano approvato il matrimonio, nonostante i due appartenessero a religioni diverse.

In Kashmir esistono però anche interessi occidentali, qui simboleggiati dall’ebreo di origine europea Maximilian Ophuls, ambasciatore americano in India. In gioventù, dopo la morte dei genitori in un campo di concentramento, egli aveva combattuto nella resistenza francese contro i nazisti. Dopo la fine del conflitto, aveva sposato un’aristocratica britannica e si era trasferito in America. Il suo coinvolgimento in Kashmir è denunciato attraverso il suo impatto devastante sulla vita di Boonyi, che seduce e poi abbandona. Lo scandalo mette fine all’incarico di Max in India, ma sua moglie decide di portare con loro la bambina nata da quel rapporto extraconiugale. Ophuls è nominato capo dell’antiterrorismo; consapevole dell’influenza che questo ruolo gli permette di esercitare, si trasforma in uno spietato strumento di potere al servizio del governo americano.

Shalimar non riesce ad accettare il tradimento della moglie e giura vendetta, per poi finire coinvolto nelle azioni di guerriglia; sarà così addestrato in Afghanistan e nelle Filippine, dove userà le armi che lo stesso Ophuls aveva fornito quando gli USA stavano armando in segreto i terroristi islamici dopo l’invasione russa nel 1979. Noto come efferato assassino in Europa e negli Stati Uniti, Shalimar si fa assumere come autista da Ophuls. Infine uccide l’ex-ambasciatore e si prepara ad assassinare anche India. Il romanzo si conclude dunque con un messaggio cupo, in cui la violenza domina la scena. Rushdie sembra voler suggerire che non si può fuggire dalle proprie responsabilità e che anche azioni apparentemente più marginali, come sedurre una ballerina, possano portare a conseguenza tragiche e inaspettate. Anche India, che pure si configura come il personaggio più positivo del romanzo, dovrà ricorrere alla violenza per difendersi da Shalimar.

La seduzione di Boonyi da parte di Ophuls e la loro successiva relazione possono essere letti come un’allegoria della relazione dell’America con i paesi orientali. Il potere americano seduce, i suoi beni corrompono, ma si viene

(17)

abbandonati una volta che gli si è concesso ciò che vuole.34 Gli Stati Uniti hanno creato un nuovo tipo di impero, capace di esercitare un peso cruciale sulla politica dei paesi stranieri che essi reputano strategici: lo scopo sarebbe controllarli, salvo poi gettarli nel caos più totale. Ne sono esempi il Kashmir così come il Vietnam, l’Afghanistan e le Filippine.35 In questo senso, sembra che la carriera di Ophuls si faccia espressione concreta delle tesi di Rai in The Ground Beneath Her Feet, il quale documenta l’enorme potenza dell’America e come essa agisca nelle aree remote del mondo per difendere i propri interessi, istituendo dei governi ad hoc e sfruttando questi paesi come potenziali nuovi mercati.36

Da questa palese critica al modo di agire americano risulta evidente l’evoluzione del pensiero di Rushdie al riguardo: se nel 2002 egli era stato un acceso sostenitore dell’intervento statunitense in Afghanistan e in Iraq, quando scrive Shalimar the Clown la sua posizione è meno entusiastica, visti evidentemente alcuni dei discutibili risultati della politica estera americana. La nostalgia e il rimpianto per un Kashmir pre-fondamentalista veicolano d’altro canto l’idea positiva di una società capace di dialogare e stabilire equilibri dinamici.37

L’unico elemento di redenzione e speranza in Shalimar the Clown è rappresentato, ancora una volta, dalla nuova generazione. L’influenza americana in Kashmir ha infatti avuto perlomeno un riscontro bio-culturale positivo: una figlia meticcia, India Ophuls, ribattezzata in seguito “Kashmira Noman”, nome doppiamente femminile, come suggeriscono il suffisso “a” e l’espressione “no-man”. Si tratta di una creatura che incarna il dialogo, in quanto vive in America e ama il padre statunitense, con il passato del quale non ha paura di confrontarsi; dall’altro lato, la giovane assimila pure l’identità della madre biologica. Se è vero che la politica globale ha definitivamente annientato il vecchio Kashmir, la globalizzazione ha anche generato delle combinazioni nuove, gettando le basi per nuovi assetti etnici che mantengono una relazione complessa con i sistemi di potere. In tali assetti risiede la possibilità di individuare un nuovo equilibro

34 Ivi, p. 219.

35 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 172.

36 F. STADTLER, “Terror, Globalization and the Individual in Salman Rushdie’s Shalimar the

Clown”, Journal of Postcolonial Writing, cit., p. 198.

(18)

politico, né totalmente piegato ai piani degli USA, né nelle mani dei militanti fondamentalisti.38

In Shalimar the Clown Rushdie ricorre alla tecnica di cambiare più volte il nome dei personaggi per enfatizzare quanto le loro identità siano fluide e liminali. Tuttavia, quasi mai i personaggi riescono a costruire un nuovo sé grazie ai nomi che scelgono e scoprono che, al contrario, i nomi sono come creati per loro dalle circostanze stesse. Nel romanzo, infine, manca completamente la vena di umorismo e comicità che invece caratterizzano il macrotesto di Rushdie, forse anche a causa del ricorso esclusivo all’inglese standard.39 Sono peraltro presenti alcuni tocchi di realismo magico, anche di grande effetto, ma del tutto marginali rispetto a un impianto realistico sostanzialmente tradizionale.

3. Le pubblicazioni più recenti

Con The Enchantress of Florence (2008), Rushdie pare avvicinarsi in modo ancora più sostanziale alla dimensione della verosimiglianza e della mimesi. Si tratta infatti di un romanzo storico, ambientato tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo in un’area che oscilla tra il subcontinente indiano, la costa africana, l’Impero Persiano, l’Europa e un’America recentemente scoperta. Molti dei personaggi maggiori o minori sono realmente esistiti, e spesso sono descritti mentre viaggiano attraverso quei mondi. Si configura così un incontro tra l’Occidente europeo e l’Oriente legato al contesto indiano, quando il colonialismo europeo si stava ancora formando. Per la stesura di questo libro, Rushdie ha compiuto numerose ricerche, tanto da corredare il romanzo di una bibliografia finale, in modo che i lettori possano avere un’idea concreta riguardo le informazioni sui luoghi, i fatti e i personaggi descritti.40

L’evento centrale di The Enchantress of Florence è la visita fittizia di un europeo, Niccolò Vespucci, alla corte dell’imperatore Moghul Akbar il Grande. Vespucci afferma di essere un suo parente di cui si era persa traccia, figlio di una

38 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 222-223. 39 Ivi, pp. 221-22.

40 Per ulteriori riferimenti su questo aspetto cfr. J. KUORTTI, “Salman Rushdie’s Transcultural

‘Jesture’ in The Enchantress of Florence”, Transculturation and Aesthetics, Vol. 179, 2005, pp. 18-19.

(19)

principessa indiana in esilio, la leggendaria Qara Köz, e di un fiorentino. Lo straniero arriva nella capitale dell’impero, Fatehpur Sikri, viaggiando come clandestino su una nave pirata. Racconta alla corte la storia di tre concittadini illustri – niente meno che Niccolò Machiavelli, Amerigo Vespucci e l’immaginario Nino Argalia, suo padre, il quale sarebbe diventato un avventuriero in Oriente. Narra inoltre della propria giovinezza nella Firenze governata dalla famiglia dei Medici.

La parola “enchantress” del titolo può indubbiamente estendersi all’effetto ammaliante del romanzo nel suo complesso. L’atmosfera fiabesca si riconnette all’influenza delle Mille e una notte, resa esplicita grazie al riferimento ai milleuno giardinieri/giustizieri presenti nel giardino del sultano turco. Inoltre, il racconto del viaggiatore è narrato nello stile tradizionale dei cantastorie, ovvero “indirectly, with many detours and divagations”.41 Dall’Orlando furioso di Ludovico Ariosto, evocato alla luce del fatto che l’incantatrice Qara Köz viene chiamata anche “Angelica”, come la sfuggente eroina del poema, Rushdie riprende poi il modello per il tono ironico. Per il ritratto di Akbar l’autore si rifà in gran parte alle varie fonti storiche sul conto del sultano, pur adottando un approccio più comico nei confronti del personaggio. Ciononostante, Akbar risulta un uomo di grande levatura e un sovrano intelligente e illuminato.

La scelta di ambientare il romanzo alla sua corte non sorprende se si tiene a mente che il regno di Akbar è stato sempre ritratto, nella storiografia indiana laicista, come uno dei periodi storici in cui l’ibridismo culturale è fiorito nella regione. Con “ibridismo” si intende qui la ricerca di una sinergia che assorba diversi stili, idee e pratiche culturali. L’imperatore, che governò dal 1556 al 1605, è rappresentato come uno dei leader più importanti e autorevoli del subcontinente. Akbar emerge come uno degli eroi della narrativa nazionalista indiana perché tentò di far rifiorire l’antico sincretismo con nuove correnti culturali e filosofiche, e successivamente di fondere le tradizioni indiane induiste e musulmane.42

41 S. RUSHDIE, The Enchantress of Florence, Random House, New York 2008, p. 10. I numeri

di pagina delle citazioni successive verranno indicati direttamente nel corpo del testo con la sigla “EF”.

42 N. WEICKGENANNT THIARA, “Enabling Spaces and the Architecture of Hybridity in

Salman Rushdie’s The Enchantress of Florence”, Journal of Commonwealth Literature, Vol. 46 (3), September 2011, pp. 415-417.

(20)

Rushdie è attratto dall’idea di una cultura indiana ibrida e composita, e nei suoi romanzi il potenziale di ibridazione è sempre delineato come un’importante risorsa culturale a lungo termine. Tuttavia, anziché celebrare l’ibridismo in modo acritico, Rushdie intende anche mostrare i pericoli e le insidie che possono nascondersi negli intrecci culturali, con eventuali sbilanciamenti tra le componenti. Nel romanzo, la sintesi auspicata dal Moghul è un esperimento ponderato e pianificato, un’impresa elitaria orchestrata da pochi per il (presunto) bene di molti e con la speranza che altri ne seguano l’esempio. Il lettore è indotto a diffidare di un progetto ibrido di tale portata, poiché esso può avere un effetto totalizzante e soffocante, piuttosto che fornire alle diverse pratiche culturali la possibilità di prosperare.43

I temi spesso affrontati dall’autore (la libertà di parola, la migrazione, l’ibridismo e la globalizzazione) sono dunque tutti ravvisabili in The Enchantress of Florence, ma cambia qui il modo di trattarli, nel senso che il filtro principale diventa la “grazia” degli antichi cantastorie, con fantastici arabeschi nei quali si intrecciano amore, bellezza e umorismo. Come rileva Goonetilleke, in questo romanzo lo stile di Rushdie “is less dense and reader-friendly, evincing a desire to communicate with readers not only at brow level but sensuously and emotionally”.44

La lingua di Rushdie cerca di catturare ed emulare il senso di armonia e proporzione creato dall’architettura Moghul nella capitale. Il tono del romanzo è calmo e misurato e il ritmo è cadenzato in modo uniforme; la voce narrante non cerca di confondere, ma al contrario spiega e rivela pazientemente tutte le informazioni necessarie alla comprensione dei diversi racconti meravigliosi e fantastici. Le storie comprendono una quantità enorme di ambientazioni, personaggi e dettagli storici, ma la narrazione non è né iperbolica né fittamente bizantina, a differenza di molti dei romanzi precedenti. La struttura simmetrica e ben ordinata di Fatehpur Sikri si traduce in un impianto narrativo che, in

43 Ivi, p. 418.

(21)

particolare nelle sezioni ambientate nella capitale persiana, sembra condurre alla meditazione e alla speculazione filosofica.45

In The Enchantress of Florence si ha l’impressione che Firenze e Fatehpur Sikri, i due mondi di epoca rinascimentale descritti e contrapposti, abbiano una simile energia fisica e intellettuale, benché geograficamente lontani. Dal punto di vista storico, il contrasto tra le due città è di certo evidente: la Firenze rinascimentale era il capoluogo mercantile di un’area geografica limitata, mentre Fatehpur Sikri è stata per quattordici anni la capitale del vasto impero Moghul. Anche il romanzo ne sottolinea alcune differenze: ad esempio, la vita fiorentina è condotta in pubblico, nelle piazze brulicanti di vita e nelle strade affollate, mentre la città persiana è più silenziosa e riservata. Tuttavia, entrambe sono descritte come affascianti e cosmopolite, magnifiche e straordinarie, abitate da persone che amano le feste e gli spettacoli.46

Le loro somiglianze sono sia positive sia negative: il fiorire delle arti, dell’architettura e del pensiero si affianca all’edonismo, alla violenza e alla pratica della tortura. Sebbene Fatehpur Sikri appaia più “normale” e stabile rispetto a una Firenze frenetica e volatile, il messaggio di fondo di Rushdie è chiaro: “there are such things as universals… the worlds were more like each other than unlike”.47 Guardare a Oriente ed Occidente diventa quindi una strategia creativa che permette a Rushdie di sottolineare i tratti di omogeneità della natura umana, mostrando che tanto l’amore per l’arte quanto la violenza più barbara non sono patrimonio esclusivo di una società specifica, ma risultano compresenti in ogni individuo o gruppo, a prescindere dalla sua provenienza.

Sia il sultano sia l’incantatrice, in tempi e modi diversi, nutrono peraltro il desiderio di unificare pacificamente Est e Ovest. Akbar si immerge per un mese e un giorno in “megalomaniac fantasies of a joint global empire” [EF 74] con la regina Elisabetta. Qara Köz, dopo essere diventata l’incantatrice di Firenze ed avere soggiogato tutta la popolazione con i suoi incantesimi, in una sorta di colonizzazione speculare rispetto a quella storica, afferma però di sperare, con il

45 N. WEICKGENANNT THIARA, “Enabling Spaces and the Architecture of Hybridity in

Salman Rushdie’s The Enchantress of Florence”, cit., p. 422.

46 Ivi, pp. 423-424.

47 M. D’ANCONA, “Champion of a Free Society”, The Spectator, 12 April 2008, citato in

(22)

suo arrivo in Occidente, di forgiare “a union between the great cultures of Europe and the East, knowing she has much to learn […] and believing, too, that she has much to teach” [EF 276]. Ciò sembra disegnare nuove aperture nel rettilineo della storia coloniale, in direzione di altre possibili concretizzazioni.48

Il titolo del penultimo romanzo di Rushdie, Two Years, Eight Months and Twenty-Eight Nights, pubblicato nel 2015, corrisponde a una suddivisione cronologica che rimanda a milleuno notti e richiama così, ancora una volta, il famoso ciclo di racconti. I personaggi di quest’opera sembrano essere i discendenti diretti degli esseri favolosi nei racconti di Sheherazade, pronti a intrecciare nuovamente le proprie vicende con quelle degli uomini, dopo secoli di volontaria separazione. Come sempre nei romanzi rushdiani, però, le allusioni non rimandano a un’unica fonte, includendo varie opere letterarie e la cultura pop.

Milleuno notti segna qui la durata di una spaventosa guerra tra le forze del bene e del male, in una versione romanzesca di una New York del XXI secolo colpita da un devastante tornado. A causarlo sono stati dei jinn cattivi, incarnazione delle forze dell’oscurità, che sono riusciti a passare nelle crepe del muro che separa il nostro mondo dal loro, il Peristan, e vogliono distruggerci. L’unica possibilità di salvezza per l’umanità è costituita dai milleuno discendenti della principessa dei jinn, Dunia (il cui nome ricorda quello della sorella di Sheherazade, Dunyazàd) e del filosofo aristotelico Ibn Rushd, conosciuto in Occidente come Averroè (come si ricorderà, a lui si ispira il cognome di Rushdie stesso). Ad Averroè si deve anche l’avvio di una lotta ideologica tra ragione e religione che qui sfocia in una guerra leggendaria: il filosofo razionalista aveva infatti criticato le teorie del teologo persiano Al-Ghazali, conosciuto e celebrato come “Rinnovatore della Fede e Prova dell’Islam”. Questi poneva Dio e le sue opere al di sopra di ogni causa e ogni effetto terreni, rifiutando la filosofia le cui basi furono gettate da uomini non musulmani. Averroè cercò invece di riconciliare ragione e moralità con il credo religioso, credendo fermamente che Allah fosse un dio generoso e che la fede non dovesse mai sfociare nel fanatismo.

48 J. KUORTTI, “Salman Rushdie’s Transcultural ‘Jesture’ in The Enchantress of Florence”,

(23)

I jinn sono descritti come creature dai grandi poteri magici ma non molto intelligenti, come suggerisce nel testo il fatto che, nei tempi antichi in cui visitavano spesso il nostro mondo, a volte finivano intrappolati in qualche lampada o bottiglia. Essi si dedicano continuamente all’erotismo, al contrario dei mortali, che appaiono votati invece a violenza e atti terroristici. Il terrorismo, in particolare,

was always of particular attraction to male individuals who were either virgins or unable to find sexual partners. […] When lonely, hopeless young men were provided with loving, or at least desirous, or at the very least willing sexual partners, they lost interest in suicide belts, bombs and the virgins of heaven, and preferred to live.49

I jinn cattivi possono venir associati in modo istintivo ai rappresentanti di movimenti integralisti e militanti come l’Isis e i Talebani, ma anche di tutte le ideologie oscurantiste o misogine. Essi vogliono vietare l’ascolto della musica, la libertà di parola, l’attività giornalistica e i momenti conviviali, e soffocare sostanzialmente i diritti delle donne.50

La storia viene raccontata da un anonimo narratore del futuro, che vive oltre mille anni dopo gli eventi, talmente lontani nel tempo da essere quasi considerati mitologici. Gli uomini del futuro hanno cessato di entrare in conflitto con chi la pensa diversamente, perdendo interesse in argomenti come la religione e le questioni etiche e morali, e conducono un’esistenza serena e pacifica. Come nota Le Guin, però:

Rushdie imagines a contented people, but only by depriving them of dreams. No visions, no nightmares. Their sleep is empty darkness. The implication is that our human gift of imagining can’t exist without the hatred, anger and

49 S. RUSHDIE, Two Years, Eight Months and Twenty-Eight Nights, Random House, New York

2015, citato in H. MAHAMDALLIE, “Two Years, Eight Months & Twenty-Eight Nights, book review: The novelist tackles Islamic fundamentalism – with mixed results”, Independent, 4 September 2015, http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/reviews/two-years-eight-

months-twenty-eight-nights-book-review-the-novelist-tackles-islamic-fundamentalism-10484839.html [consultato in data 20 gennaio 2018].

50 L. SANAI, “Two Years Eight Months and Twenty Eight Nights, by Salman Rushdie - Book

Review: Imagining Islam’s Battle with Secularism”, Independent, 19 September 2015, http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/reviews/two-years-eight-months-and-twenty-eight-nights-by-salman-rushdie-book-review-imagining-islam-s-10508372.html [consultato in data 20 gennaio 2018].

(24)

aggressiveness that lead to such human behaviours as warfare, conscious cruelty and deliberate destruction.51

Alludere al fatto che solo grazie alla nostra parte “oscura” sia possibile sviluppare la creatività onirica e visionaria che ci contraddistingue è anche un modo per adombrare una terza soluzione: una strada che non determini più né la violenza né la rinuncia alle passioni, ma piuttosto il raggiungimento di un equilibrio tra gli istinti creativi e quelli distruttivi, a garanzia di una vita piena e fervente.

Two Years, Eight Months and Twenty-Eight Nights si presenta come una fiaba, ancora più del romanzo precedente: le scelte appaiono manicheisticamente binarie; Bene e Male sono “assoluti” che non lasciano spazio a vie di mezzo. Anche le catastrofi descritte sono così assurdamente terribili da non risultare spaventose, ricalcando piuttosto le sequenze strabilianti dei film apocalittici. Eppure è chiaro che i pericoli narrati sono più reali di quanto appaiano.52 Il libro può essere quindi letto come un’allegoria sulla lotta dell’umanità catturata tra superstizione e ragione. Si tratta di un romanzo creativo e intellettualmente stimolante, ma anche barocco, infittito da trame e sotto-trame, con richiami a sesso e violenza che culminano in una fantasmagorica battaglia che si estende, appunto, nel periodo evocato dal titolo, ricordando un colossal hollywoodiano.

Il più recente romanzo di Rushdie, The Golden House (2017), analizza nuovamente la società americana, riprendendo tematiche, come la ricerca della propria identità, già analizzate nei libri precedenti. La vicenda inizia con l’insediamento di Barack Obama nel 2008 e termina con le elezioni presidenziali otto anni dopo. Il suo successore, una chiara parodia di Donald Trump, la cui politica non poteva ovviamente sfuggire alla penna affilata di Rushdie, si fa chiamare semplicemente “il Joker”: la sua popolarità è tale da riempire gli stadi,

51 U.K. LE GUIN, “Two Years, Eight Months and Twenty-Eight Nights by Salman Rushdie

Review – a Modern Arabian Nights”, The Guardian, 4 September 2015, https://www.theguardian.com/books/ 2015/sep/04/two-years-eight-months-and-twenty-eight-nights-salman-rushdie-review [consultato in data 20 gennaio 2018].

(25)

poiché gli americani sembrano trovare divertenti menzogne, odio e intolleranza.53 Il narratore è il giovane aspirante regista René Unterlinden, figlio di due professori universitari di origine belga, che decide di girare una sorta di documentario sulla vita dei propri vicini, Nero Golden e i suoi tre figli, prendendosi però anche la libertà di immaginare ciò che accade nella loro casa in sua assenza. Questo fa sì che le sequenze narrative siano presentate come frammenti di un copione, con indicazioni come “Taglia” o “Dissolvenza” a chiudere le diverse scene, e che siano presenti innumerevoli riferimenti cinematografici.

La vicenda si svolge in gran parte al Greenwich Village di Manhattan, uno dei quartieri più artistici e alla moda di New York. Da inziale osservatore esterno, René diventa con il tempo amico sempre più intimo dei Golden, fino ad essere scelto da Vasilisa, la nuova moglie russa di Nero, come l’uomo con cui intende concepire un figlio.

La ricchissima famiglia Golden è fuggita da una minaccia non specificata e da una città che si rivelerà essere Bombay/Mumbai. Il loro passato ha a che fare con la serie di attacchi terroristici scatenatasi nel novembre 2008 a Mumbai, fatto che inserisce nel romanzo anche una vena politica e morale legata all’India, benché questa connessione venga affrontata in modo piuttosto superficiale.54 I Golden hanno reciso ogni legame con la madrepatria e scelto nuovi nomi per mascherare la loro identità. Stranamente non si tratta di nomi occidentali, che renderebbero più semplice la loro integrazione nel nuovo paese, ma classici.55 Non deve tuttavia sorprendere il fatto che scelgano tali nomi, perché Nero ha costretto i propri figli a studiare latino e greco, al punto da farli parlare tra loro in queste lingue. Ciò denota, nelle intenzioni dell’autore, un “immodest understanding of themselves”, poiché essi si considerano “larger than life”.56 Suddetti nomi vengono però quasi tutti modificati in qualche modo nell’uso quotidiano: Petronius si fa chiamare

53 D. GARNER, “Salman Rushdie’s Prose Joins the Circus in The Golden House”, The New York

Times, 4 September 2017,

https://www.nytimes.com/2017/09/04/books/review-golden-house-salman-rushdie.html [consultato in data 20 gennaio 2018].

54 Ibidem.

55 AN., “Salman Rushdie on The Golden House, Trump and more – books podcast”, The

Guardian, 31 October 2017,

https://www.theguardian.com/books/audio/2017/oct/31/salman-rushdie-on-his-novel-the-golden-house-trump-and-more-books-podcast [consultato in data 20 gennaio 2018].

(26)

Petya, Lucius Apuleius riprende il nome di origine indiana Apu, mentre Dyonisus viene semplicemente abbreviato in D. Solo Nero, versione inglese del nome dell’imperatore romano Nerone, non subisce variazioni.

Anche il cognome scelto da Nero richiama un’interpretazione classica: come non manca di far notare il narratore, nell’antica Roma una “golden story” era “a figure of speech that denoted a tall tale, a wild conceit, something that was obviously untrue”.57 Questo può essere riferito in modo piuttosto ovvio alla situazione della famiglia, fuggita da un passato e reinventata in modo completamente nuovo.

Quando Nero si sposa con la bellissima e spietata Vasilisa, i figli abbandonano la casa uno a uno: l’ermafrodita D. cerca di capire quale sia la propria identità di genere con l’aiuto della fidanzata, l’artista di successo Apu desidera tornare in India, anche se questo avrà per lui delle conseguenze devastanti, mentre l’autistico Petya sviluppa una forte agorafobia che lo confina nella propria camera, dove trova conforto nella creazione di videogiochi. Dato il nome del patriarca, il declino della famiglia è quasi scontato: ci sono diverse vittime di omicidio, una sparatoria, un suicidio e un incendio che causa ulteriori vittime.

Rushdie ha definito The Golden House un “social panorama novel” ma anche un “bildungsroman”, poiché il narratore matura con lo svolgersi della vicenda.58 Anche in questo romanzo la ricerca della propria identità è quindi il fulcro filosofico della vicenda, e sembra particolarmente importante in un momento storico in cui la società americana vive una travolgente crisi identitaria nazionale: la nuova nozione di identità è un costrutto stratificato, plurale e multiforme.59

57 M. ALI, “In Salman Rushdie’s New Novel, the Backdrop Is the Obama Years”, The New York

Times, 15 September 2017,

https://www.nytimes.com/2017/09/15/books/review/the-golden-house-salman-rushdie.html [consultato in data 20 gennaio 2018].

58 AN., “Salman Rushdie on The Golden House, Trump and more – books podcast”, The

Guardian, cit.

59 A. FORNA, “The Golden House by Salman Rushdie review – a parable of modern America”,

The Guardian, 16 September 2017,

Riferimenti

Documenti correlati

È evidente, per il lettore non digiuno di storia della lingua russa, il bersaglio finale di questa argomentazione, che infatti dedica solo un brevissimo cenno al

L’apertura a forme di collaborazione tra pubblico e privato in materia di gestione dei servizi pubblici privati risale alla riforma delle autonomie locali dell’inizio degli anni

It means that thanks to mechanization and automation human work has become less painful and stressing, it means that globally machines have not destroyed jobs for humans but

Questo tratto distintivo era in realtà giunto in Italia intorno al 1460-70 con le figure di Mantegna e del Pollaiolo e in Germania con Martin Schongauer, come

Regarding countries of origin, positive e ffects of restrictive immigration pol- icies on economic integration outcomes are most apparent for non-OECD migrants (i.e. low

A new understanding of the nature of society changed the way people thought about equality and solidarity in the late nineteenth century.. The founding fathers of European sociology

Nell’ultimo decennio la produzione e l’utilizzo del biogas ottenuto dalla co-digestione anerobica di reflui zootecnici e biomasse agricole ha registrato un notevole incremento

L’entrata degli Stati Baltici nella NATO provocò dure ma diverse reazioni da parte di Mosca: se il presidente del Comitato della difesa della Duma Viktor Zavarzin dichiarò che la