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1. Storia e storiografia della cosmesi: nascita ed evoluzione 1.1 Analisi storica e sociale della cosmesi “

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1. Storia e storiografia della cosmesi: nascita ed evoluzione

1.1 Analisi storica e sociale della cosmesi

“Bisogna fare qualcosa per piacere a noi stessi, perché questo ci rende gradevoli nei luoghi di riunione, piacevoli agli altri, e una società è fatta di questo. Se per disgrazia dispiacessimo a noi stessi, a chi potremo piacere?”1.

Questo pensiero di un anonimo profumiere sintetizza l’evoluzione di un codice civile che attribuisce sempre più importanza alla soddisfazione narcisistica, oltre che ad un innato desiderio di piacere agli altri. Il trucco, è prima di tutto una pratica sociale. Esso non copre, ma svela, trasmette informazioni a chi guarda. Il viso esprime, infatti, la vita interiore con infinite sfumature e questa inquietante nudità ci spinge ad usare il make up per crearci un personaggio, una maschera da presentare agli altri per proteggere la nostra felicità.

Pratica antichissima, tipicamente femminile, l’utilizzo dei cosmetici, pur non essendo stato un argomento degno di nota nella storiografia italiana ed in generale europea, ha sempre caratterizzato ed accompagnato nella sua evoluzione l’essere umano. È solo in tempi recenti, che però i cosmetici hanno assunto un ruolo come scienza autonoma ed indipendente nella ricerca della bellezza e del miglioramento estetico dell’individuo. Una serie di informazioni e di documenti sullo sviluppo della cosmesi nel tempo la ritraggono infatti molto vicina ad altre scienze e saperi, quali la biologia, la medicina, la scienza fisica, la farmacia. Potremo parlare di un background caratterizzato da fasi in cui i cosmetici venivano utilizzati per fini religiosi ed essenzialmente medici, a fasi nei quali la loro funzione sociale ed estetica tendeva a prevalere, in linea con l’ideale di bellezza del periodo. In questo primo paragrafo mi soffermerò ad analizzare le seconde, le quali hanno conosciuto un’evoluzione temporale grazie all’industrializzazione della società e ai diversi canoni di bellezza che hanno caratterizzato la storia. Nel paragrafo successivo parlerò invece del binomio cosmesi-medicina e di come, al di là delle problematiche recenti di natura etica e ai labili confini fra centri e chirurgia estetica,

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siano stati proprio i medici i primi studiosi ad interessarsi della materia dedicandole, con vivo interesse, trattati e argomentazioni.

Molteplici sono stati i canoni di bellezza che si sono susseguiti nelle varie epoche ma mai è venuto meno il desiderio di piacere, di accettazione sociale e di assomigliare all’immagine ideale attraverso la ricerca del miglioramento del proprio corpo. Secondo il saggio di Nahoum-Grappe2, la bellezza, e in particolar modo quella femminile, non è però una chance efficace quanto la fortuna. Non è infatti una dote estetica che può sostituire i problemi economici, anche se l’essere belle può completare, per coloro che sono già nate ricche, la fortuna che deriva dal proprio ceto di appartenenza. Per le ragazze povere, la bellezza può invece rappresentare una sfortuna perché le espone a tutti gli sguardi e ad essere delle sorte di prede senza difese. Una donna brutta e povera non interesserà mai né un romanziere, né un seduttore, né un moralista perché verrà considerata al di sotto di qualsiasi interesse e distinzione sociale. Sebbene nel tempo alcuni letterati abbiano parlato della bellezza, considerandola fondamentale nella scelta di una moglie per rispetto alla discendenza e per l’allegra conversazione del vivere e della vita, altri ne parlano definendola incerta ed equivoca e non una valida qualità per giustificare un matrimonio3. Quando comunque si parla in generale di apparenze fisiche, del trucco, del costume e dell’abbigliamento, la donna è in prima fila. L’associazione femminilità bellezza, femminilità apparenza, femminilità sessualità è un qualcosa di comunemente riconosciuto e parte integrante di una cultura essenzialmente occidentale. I colori dei fiori, i bagliori di uno specchietto portato alla cintura, il rosso su sfondo bianco, l’ondeggiare delle vesti, dei fazzoletti, degli scialli, la lunghezza dei capelli, costituiscono un insieme di segni formali previsti nella costruzione di un’immagine del sé e quest’insieme dipende da un universo fortemente ancorato ad un indice di femminilità, maturato ancora prima dell’età moderna. L’eccesso di oggetti vistosi, le frivolezze di ogni genere, tutto ciò che attira perché brilla sono quindi un insieme codificato di segni facenti parte della seduzione femminile. Un frammento d’immagine, un colore, un odore, colpiscono, inducono, implicano. L’effetto della bellezza e del suo contrario sono eternamente in gioco quando la figura umana è presente sulla scena, e

2 V. Nahoum-Grappe, L’estetica: maschera tattica, strategia o identità velata, in N. Davis e A. Farge (a

cura di), Storia delle donne dal Rinascimento all’età moderna, Roma-Bari 1991, pp. 100-117.

3 F. Barbaro, La scelta della moglie e F. Beretta, Trattato sopra il matrimonio (1730 ) cit. in C. Pancino,

Soffrire per ben comparire. Corpo e bellezza, natura e cura, in di C. M. Belfanti e F. Giusberti (a cura

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soprattutto se si tratta di una bella donna. La bellezza femminile può anche diventare uno strumento per una strategia, per un’utilità o scopo sociale. La bellezza è, infatti, prima di tutto funzionale, prima che pura estetica, perché permette di farsi ascoltare, di dare inizio ad una tacita ma eloquente conversazione. È una maschera tattica, che le donne si mettono da sole, in modo quasi deliberato e adoperato; il tempo impiegato per truccarsi, per costruire una fragile seppur provvisoria maschera, non serve solamente alla seduzione puramente sessuale, ma è anche un forte mezzo per l’affermazione e l’accessibilità sociale. Inoltre questa bellezza che le donne costruiscono culturalmente, socialmente e tecnologicamente non dispiace all’individuo maschile: una volta guardata, la donna può finalmente parlare. La donna in realtà è invidiabile solamente quando è bella, perché solo in quel caso esercita un potere che va oltre al desiderio di possesso, e cioè quello di identificazione. Il problema di definire la bellezza in modo più teorico rispetto alle percezioni e alla relatività del proprio pensiero rimane comunque aperto. Le analisi, le parole si rilevano sostanzialmente inadeguate per descrivere un’immagine; è difficile spiegare cos’è la bellezza perché ognuno di noi ha una propria idea dentro di se di quello che è bello. Spettacolo sociale privilegiato, la bellezza occupa lo spazio particolare del tempo infinitivamente fuggevole della percezione estetica: il fascino estetico può infatti salvare alla velocità di uno sguardo, ma può anche distruggere nel medesimo tempo.

Secondo la psicologia dell’arte e la percezione visiva, infatti, non esiste un unico ideale di bellezza. All’ideale di bellezza della ragazza della “porta accanto”, rappresentante nella quotidianità l’evoluzione della specie, si contrapporrebbe l’ideale utopico e stereotipato del mondo dei sogni, così artefatto da poter essere creato in laboratorio selezionando i tratti più attraenti del campione di riferimento4. Da alcuni studi recenti sulla storia sociale della bellezza, invece, emerge la convinzione per cui la stessa bellezza è sostanzialmente immutabile, criticando così la sopravvalutazione di alcuni particolari legati alla moda e alle convenzioni5.

In ogni caso l’appropriazione delle norme estetiche non è soltanto inculcata con la forza, ma dipende anche dalla sequenza di associazioni costitutive di una cultura, che

4 C. Pancino; Soffrire per ben comparire. Corpo e bellezza, natura e cura, in di C. M. Belfanti e F.

Giusberti (a cura di), Storia d’Italia – Annali 19 – La moda, Torino, 2003, pp.7-8.

5 A. Marwick, Storia sociale della bellezza, Dal Cinquecento ai giorni nostri, cit. . L’autore sostiene che,

se la bellezza in se stessa non ha subito cambiamenti significativi, ne ha subiti il valore che le è stato attribuito. Infatti, benché la sua valutazione sia cambiata di pari passo con il costume e la storia, il modo di percepirla è rimasto pressoché invariato. Mettendo in discussione numerosi dogmi universalmente diffusi, Marwick definisce in sintesi la bellezza del corpo come un potenziale sempre attivo di successo sociale o di tragedia, ascrivibile ad un attributo autonomo e assoluto, un cosiddetto “universo relativo”.

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rendono riconoscibile e leggibile il corpo dell’altro. È per questo che trovo interessante indagare come nel tempo i dettami della bellezza e l’immagine della donna ideale siano cambiati, assumendo forme e colori diversi.Comprendendo l’evoluzione di essi, appare anche più facile inquadrare l’importanza che i cosmetici, fra critiche e interesse letterario, hanno assunto col tempo fino a divenire, attualmente, uno dei settori merceologici più vivi e più interessanti del mercato economico e sociale.

I primi documenti relativi alla cosmetica risalgono addirittura al 1500 a.C., e si tratta di alcune ricette trascritte sul papiro di Ebers. In realtà, anche nelle epoche precedenti si utilizzavano già terre colorate e profumi, ma solo per specifiche funzioni liturgiche, quali quelle della mummificazione, o per tenere lontani animali e malattie. Fra le civiltà più antiche, quella egiziana è da considerarsi un esempio innegabilmente attuale per il culto della bellezza e per l’attenzione ai minimi dettagli. Sia uomini che donne, indifferentemente dal proprio status sociale, erano soliti utilizzare l’antimonio6 come base per la pittura degli occhi e il kajal per le unghie di mani e piedi, anche se le effettive cure quotidiane erano concretamente ad appannaggio di pochi. I segreti della preparazione del trucco, del quale ogni atto aveva sia un significato simbolico che una precisa funzione di prevenzione, erano inizialmente ad appannaggio della sola casta sacerdotale. In seguito anche i nobili iniziarono a studiare e mescolare le materie prime alla base del trucco, tanto che la maggior parte dei prodotti cosmetici iniziarono ad essere fabbricati a casa ed esportati, attraverso il commercio e tramite le navi fenicie, in altri paesi del mediterraneo7. In ogni caso la figura più importante del tardo periodo pre-cristiano ellenico e testimone della cultura del popolo egiziano in materia di cosmesi fu la regina Cleopatra.Sebbene non si sia preservato niente che possa attestare la veridicità delle testimonianze del periodo, si narra che essa fu fautrice di particolari arti di applicazione cosmetica, tanto da fondare le radici per una concezione futura di esse come scienza.

Nell’età classica, la bellezza veniva concepita invece come armonia delle proporzioni, in cui il corpo poteva considerarsi “bello” solo se ogni sua parte aveva una dimensione proporzionale rispetto alla figura intera. L’atleta era il modello preferito per la rappresentazione della divinità e le qualità morali dell’autocontrollo, della volontà e

6 Nello specifico si fa riferimento all’antimonio diaforetico, detto anche cerussa di antimonio; è una

polvere bianca pesante o debolmente gialla, inodore, insapore, insolubile in acqua che nell’antichità veniva usata sia come medicamento che per truccare gli occhi. (Dizionario Enciclopedico Italiano).

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del coraggio erano gli indici emulabili per un’auspicabile perfezione8. Lo stesso Ippocrate sollecitava l’umano mortale ad esercizi fisici quotidiani, a digiuno e a bagni frequenti. Se il corpo era imperfetto, per migliorarlo e restituirgli una bellezza naturale, si doveva ricorrere quindi esclusivamente ad esercizi ginnici. Il trucco era bandito, perché considerato pericoloso per il mantenimento dell’armonioso equilibrio delle leggi della natura, tanto che a Sparta, Licurgo aveva vietato l’uso dei belletti per il corpo, considerandoli la principale fonte di corruzione femminile. In ogni caso, con il tempo, i divieti divennero meno rigidi, così che ad un uso privato dei cosmetici atto a soddisfare il consorte, se ne affiancò uno appropriato per cerimonie e visite9. Gli ellenici furono però, soprattutto, reali maestri dell’arte del massaggio tanto che unguenti specifici per ogni parte del corpo e oli profumati per ungere corpo e capelli venivano utilizzati, dopo il bagno e durante i banchetti, sia da uomini che da donne. Era inoltre visibile una vera e propria passione per i profumi, tanto che questi venivano scelti e preparati accuratamente, associando ad ogni parte del corpo una particolare essenza: la maggiorana per le sopracciglia, la menta per le braccia, l’olio di palma per le gambe e il timo per le ginocchia e il collo.

Dopo la conquista della Grecia, anche i Romani impararono a curare il proprio aspetto fisico e ad assumere, oltre che i canoni estetici, anche molte delle abitudini igieniche del popolo sconfitto. Bagni termali, massaggi con oli preziosi, trattamenti estetici applicati in tutto il corpo conquistarono sia gli uomini che le donne abbienti e il ritrovamento di numerosi dipinti e manuali di bellezza dell’epoca ne è una vivida testimonianza. I cosmetici utilizzati in casa dalle donne romane richiedevano un’elaborata preparazione giornaliera e venivano applicati con un adeguato cerimoniale da un gruppo di cosmetae, giovani schiave specializzate in tali pratiche, sotto la supervisione di una donna più anziana, chiamata ornatrix10. La bellezza romana è un modello sancito dall’ipocrisia dei mezzi di cui si serviva. Per combattere il decadimento della morte che avanzava, uomini e donne infatti facevano di tutto, non tanto però per arrestare il tempo o recuperare una gioventù perduta, ma per coprire e dissimulare i danni provocati da una conduzione di via discutibile e vicina all’eccesso11.

8 Sito www.mitopositano.it, dedicato alla storia della cosmesi e dei cosmetici. 9 D. Paquet, Storia della bellezza, canoni rituali belletti, cit. , pp. 18-19.

10 F. E. Wall; Historical development of cosmetics industry. in M.S.Balsam - E.Sagarin (a cura di);

Cosmetics science and Tecnology, vol.3, New York 1974, p. 46.

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Con la caduta dell’Impero d’Occidente e l’affermarsi del Cristianesimo come religione ufficiale, la ricerca della bellezza fisica venne però oscurata dalla ricerca incessante e rigorosa della spiritualità. Si disprezzava l’uso dei cosmetici perché si riteneva che questi potessero distogliere l’individuo dalla prerogativa di raggiungere la “reale” bellezza, illudendoli sulla possibilità di possedere entrambe le virtù. I cosmetici venivano quindi disprezzati e considerati un mezzo illusorio e fuorviante, simbolo di lussuria e di orgoglio.

Il Medioevo rappresenta il periodo storico nel quale la cosmesi diventa un argomento del quale parlare e scrivere, sia positivamente che negativamente. A differenza dell’alto Medioevo, nel quale le informazioni sul tema erano carenti, la fine di tale epoca è stata sicuramente caratterizzata da un’espansione dell’uso dei cosmetici e della moda, seppur senza il bene placito dei letterati e studiosi del periodo. Lo stesso Dante e Jacopone da Todi si esposero, criticando “le femine tinte” e il “viso dipinto”. Le condanne conferite all’uso dei cosmetici e alla cura del corpo erano in ogni modo conseguenza della condanna a tutte le forme di “conspicuous consumption” rilevabili, perché l’eccessivo interesse per gli oggetti materiali sembrava distogliere l’individuo dal più oneroso interesse per le cose spirituali. Da un punto di vista storiografico, si deve ai monaci benedettini il merito di aver tramandato e divulgato numerosi testi antichi dedicati all’argomento. Il loro scopo era principalmente quello di presentare testi con consigli pratici di norme igieniche e cosmetiche. Al di là delle privazioni e delle trattazioni sull’arte cosmetica del periodo, l’estetica medievale influenzò considerevolmente l’uso dei cosmetici: quest’ultimi venivano usati per aumentare l’efficacia degli atteggiamenti e delle espressioni della persona e come dei rispettabili indicatori socioeconomici. Ad esempio lo sfondo ideale utilizzato dalle classi agiate era quello di un incarnato pallido, espressione di una vita agiata e protetta, avulsa da qualsiasi pratica quotidiana all’aria aperta12. Il principale modello estetico dell’epoca che si impose grazie alla letteratura e alle guerre era quello di una bellezza nordica (carnagione chiara, capelli biondi e occhi chiari). Esso divenne simbolo della distinzione sociale, condannando i diffusi colori scuri ad essere indice di subalternità ed inferiorità13.

In ogni caso, i canoni di bellezza femminili e i criteri secondo i quali le donne costruivano la loro immagine furono oggetto di reali mutamenti fra il tardo Medioevo e

12 M. A. Laughran; Oltre la pelle. I cosmetici e il loro uso , in di C. M. Belfanti e F. Giusberti (a cura di),

Storia d’Italia- Annali 19 – La moda, Torino, 2003, pp.47-48.

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la fine del primo periodo moderno14. Al di là dell’evoluzione che vide protagonista la concettualizzazione del corpo e l’aspetto delle donne, furono la pratica, il gusto ed un innato desiderio di ordine, di stabilità e di confini sociali definiti a prevalere e a condurre il concetto di “genere” verso un ruolo privilegiato e determinante. In realtà i concetti che maggiormente subirono i cambiamenti di prospettiva della storia furono soprattutto l’igiene personale e la cura del corpo. L’igiene del corpo, che prima si identificava con dei bagni regolari e i lussi del bagno turco negli stabilimenti pubblici e all’interno delle mura domestiche, divenne nel periodo citato una “faccenda senz’acqua,” in cui la pulizia e l’ordine della biancheria sostituivano quella della pelle, portando inoltre all’affermazione di prodotti come o la cipria e i profumi. L’acqua, utilizzata nei battesimi per mondare il corpo dai peccati, assunse quindi una connotazione negativa e vicina al concetto di impurità (erotico - sessuale), tanto da portare la popolazione a non lavarsi e a credere che l’unico metodo per la preservazione dalle malattie fosse quello dell’aerazione. L’igiene e la paura dell’acqua, oltre a divenire un simbolo di distinzione sociale dei ricchi, portò inoltre la società ad assumere un atteggiamento più severo nei confronti della prostituzione, oltre che alla chiusura della maggior parte delle attrezzature relative e l’adozione nelle abluzioni private di tecniche sostanzialmente asciutte ed elitarie. L’abolizione dei bagni pubblici fu considerata un atto sociale e morale. Tali luoghi, infatti, oltre ad offrire bagni e cure per il corpo, offrivano pasti, bevande e trattenimenti di ogni genere tanto da essere associati ai più moderni bordelli. Non era comunque solo la perdizione morale l’unico male associato ai corpi nudi e lascivi che si mescolavano nella vasca comune, condividendo forti piaceri e sensazioni; la paura era che i raggruppamenti di persone potessero favorire il contagio delle malattie. Inoltre medici ed esperti della salute dell’epoca sconsigliavano l’acqua e il bagno in generale per la paura che la pelle nuda e i pori dilatati dal calore potessero essere più sensibili ai miasmi del male. Per tutto il corso del XVI e XVII secolo proliferarono trattati di medici ricchi di argomenti contro la pericolosità dell’acqua e dei bagni pubblici fondati sulla credenza della permeabilità della pelle, tanto che si arrivò pure a pensare che l’acqua calda fosse debilitante di per sé, comportando la fuoriuscita degli umori corporali e la perdita delle forze vitali. Il corpo si riteneva vulnerabile se bagnato e sano se asciutto. Alla negazione dell’acqua non corrispose, comunque, sporcizia e odore: la società più abbiente rispose a questa situazione con una maggiore

14 S. F. Matthews Greco, Corpo, aspetto e sessualità, in N. Davis e A. Farge (a cura di), Storia delle

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cura del corpo e dell’aspetto, soprattutto per quelle parti socialmente visibili e giudicabili, come il viso e le mani. Nei manuali di buone maniere dell’epoca si parlava anche della pulizia del corpo, sottolineando così nuovi imperativi sociali di distinzione fra l’élite e la classi meno abbienti. Le nuove norme di civiltà influenzarono, quindi, l’igiene fisica e l’aspetto della persona. Si scoraggiava l’utilizzo dell’acqua sul viso per la paura che danneggiasse la vista e che rendesse la pelle troppo scura d’estate ed eccessivamente chiara d’inverno. La testa doveva essere vigorosamente trattata con un panno profumato e i capelli pettinati con cura. La cipria, che inizialmente comparve come una specie di shampoo secco, divenne in un secondo momento indispensabile per la pulizia personale sia per gli uomini che per le donne di ceto elevato. Essendo di moda, era un privilegio e simbolo della ricchezza e quindi, al di là della visibilità e della profumazione, rappresentava sempre di più un indicatore sociale. Il presentarsi pubblicamente senza cipria significava infatti avere scarsa cura di se stessi da un punto di vista igienico, ma anche essere inferiori a livello sociale.

Oltre alla cipria, anche il profumo era considerato indispensabile, perché, al di là della credenza riguardo alle sue proprietà terapeutiche, ad esso si associavano anche qualità del tutto terrene come quelle afrodisiache (curiosa era infatti l’abitudine di sprigionare nelle stanze di incontro e di piacere essenze con le più svariate fragranze). Il primo grande laboratorio per la confezione dei profumi fu quello di Santa Maria Novella a Firenze (1508), dove i frati si specializzavano nella conoscenza di erbe e droghe medicinali, applicabili anche in cosmesi. La moda dei profumi imperversò non soltanto fra letterati e studiosi, ma anche fra nobili e ricchi borghesi, i quali usavano aromatizzare il proprio corpo e i propri vestiti nella loro quotidianità; anche il profumo fu considerato alla stregua di un indicatore sociale tanto che si arrivò a distinguere tre categorie di profumi a seconda della classe sociale dal quale era utilizzato. Particolare e significativa la comparsa di un accessorio quale quello dei guanti profumati, il quale, oltre a testimoniare la posizione sociale del portatore, era destinato a diventare un complemento d’alta moda irrinunciabile e altamente personale15. All’epoca la sua diffusione si impose, però, soprattutto per la capacità di mascherare i cattivi odori, oltre che per l’avere una funzione di disinfestazione e purificazione di stanze ed abiti. La fede

15 L’uso di profumi divenne una moda ai tempi di Maria Antonietta e alla corte di Napoleone. A Grasse (Francia meridionale) fu fondata la prima industria profumiera in cui si distillava essenza di lavanda nelle fabbriche di guanti. I guanti profumati divennero celebri soprattutto grazie alle donne benestanti in Francia, Inghilterra ed Italia e fu sostanzialmente, oltre che praticamente, uno dei primi modi per indossare un profumo.

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nell’arte del profumo, unita alla passione per i cosmetici, permise l’esaltazione e la celebrazione dell’olfatto, ed una risposta efficace agli odori e miasmi delle città.

In tale periodo veniva comunque data maggiore importanza all’aspetto rispetto che all’effettiva igiene, perché un aspetto pulito dava una maggiore garanzia di posizione sociale e di moralità. Il bianco fu il colore che più di tutti sostenne tale credenza. Gli indumenti bianchi venivano, quindi, identificati con la purezza e il candore, tanto da sostituire lentamente lo stesso utilizzo dell’acqua. Venendo meno quest’ultima era la biancheria intima a coprire e proteggere la pelle: non solo assorbiva il sudore, ma proteggeva anche l’individuo dalle impurità. Il lino risultava, dunque, più importante di una vasca e dalle stesse stanze da bagno. Gli inventari successivi al decesso delle persone testimoniavano, infatti, come, fra le classi medie ed elevate, gli indumenti intimi avevano assunto una rilevanza tale da essere considerati una categoria merceologica a parte. In ogni caso occorre precisare che il lino era ad appannaggio di pochi, e pure la canapa, tessuto assai meno pregiato, risultava comunque troppo costosa per lo stipendio di un normale manovale.Anche se la diffusione degli indumenti intimi fu comunque un fenomeno rilevante del Rinascimento, pochi furono quelli che effettivamente utilizzavano le mutande, o i cosiddetti mutandoni. Si ritiene che tale capo fu introdotto da Caterina de Medici in Francia, la quale aveva l’esigenza di andare a cavallo senza trasgredire alle regole del decoro. Tendenzialmente considerato un capo maschile, venne quindi utilizzato dal sesso femminile inizialmente solo per proteggere il proprio pudore, oltre che per stimolare fantasie erotiche. La funzione igienica di tale indumento emerse solo a partire dal XIX secolo.

Durante questo periodo venne quindi esaltata la bellezza femminile come espressione dell’amore e vi fu una proficua compilazione di trattati sulla cosmetica16 e sul rapporto di essa con la bellezza, oltre che dipinti con soggetti di donne allo specchio riprese nell’arte del truccarsi. Fu in atto una vera e propria rivoluzione che vide l’individuo emergere dal gruppo, riportando all’affermazione il culto del corpo e il gusto del piacere. Il corpo ritornò, infatti, ad essere oggetto di esaltazione ed i cosmetici assunsero un ruolo fondamentale per la costruzione di ognuno, senza distinzione di sesso, portando l’apparire ad una dimensione necessaria ed essenziale senza la quale

16 Nel 1562, G. Marinello scrive il primo trattato di Cosmetologia dell’Occidente (Gli Ornamenti delle

donne). Oltre a dispensare consigli e suggerimenti pratici alle donne per migliorare il proprio aspetto, il medico si sofferma nel distinguere quelle parti del corpo considerate bisognose d’intervento estetico. Inoltre si evince dallo scritto la differenza fra ciò che veniva considerato veramente bello in una donna, e ascrivibile ad un dono di natura, rispetto al miglioramento dei difetti che si poteva ottenere con l’arte, soprattutto medica.

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non poteva compiersi l’affermazione dell’individuo in quanto tale. Il momento della toilette diventò un momento di reale sacralità ed una cerimonia della più alta mondanità. L’ammirazione per il bello inteso come perfezione e armonia riportò in auge i canoni estetici classici e la necessità di ricercare rimedi per rendere perfetto ciò che non lo era realmente17. In particolare il Rinascimento italiano fu all’origine di certi retaggi del passato nei confronti del corpo e favorì il ritorno agli ideali classici di bellezza, sia spirituale che terrena, che subirono una schematizzazione che rimase immutata per circa tre secoli. Fu quindi in sintesi lo stesso concetto di bellezza che, come quello d’igiene e di pulizia, subì fra il medioevo e il preludio dell’età moderna una trasformazione, comportando nuovi ideali del bello e dell’erotico. Fra le testimonianze più accreditate è possibile annoverare le creazioni artistiche che ci sono state tramandate dalla storia, anche se in realtà quest’ultime proponevano un’idea del bello ascrivibile ad un intreccio fra utopia e realtà. Infatti i punti di vista e i cosiddetti stili personali degli artisti, sicuramente influenzarono la rappresentazione del gusto di quel periodo, senza nulla togliere all’evidente bellezza delle figure ritratte. Lo studio delle proporzioni del corpo umano ripreso dalla classicità incise, per esempio, sulla prima definizione di bellezza riportata nel primo dizionario della lingua italiana, anche se ciò prescinde dalla funzione di utile testimonianza avuta dall’arte nel raccontare la quotidianità18. Al di là di tale

precisazione, è possibile attestare come la concezione del bello che vedeva nel medioevo la figura femminile ritratta con forme aggraziate, esili e minute, si trasformò nel periodo successivo nell’immagine di una donna dalle forme abbondanti. Uno dei motivi di tale trasformazione potrebbe essere ricondotta a mutamenti delle abitudini alimentari. In ogni caso, la magrezza era associata alla bruttezza e alla povertà, mentre una sana prosperità diveniva simbolo di bellezza e di eleganza. In un periodo in cui imperversavano le malattie e la denutrizione, le donne delle classi più agiate si preoccupavano di distinguersi da quelle meno fortunate, curando la propria carnagione, rigorosamente color latte, e il proprio fisico, tanto da far ricorso a dei preparati proprio per non perdere peso. Al di là di un fisico ben nutrito e del biancore della propria biancheria intima, le donne rinascimentali cercarono di distinguersi maggiormente dagli uomini, sia nei comportamenti che nell’abbigliamento. Vi fu infatti una rivoluzione nell’abbigliamento, con vestiti più corti per gli uomini e casti e voluminosi per le donne;

17 Le donne delle classe più agiate si sottoposero a vere operazioni cosmetiche, costose e dolorose, per

essere conformi a quei canoni.

18 C. Pancino; Soffrire per ben comparire. Corpo e bellezza, natura e cura, in di C. M. Belfanti e F.

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inoltre ogni atteggiamento e gesto delle signore doveva indicare la delicatezza e la morbidezza che le contraddistingueva rispetto alla forza e virilità maschile. Le leggi suntuarie attestavano un interesse vero per quello che concerneva l’abbigliamento, l’identità sessuale e lo status di appartenenza, proprio perché si avvertiva la necessità di arrivare a determinati confini sociali fra i due sessi. La bellezza era associata al segno tangibile ed esterno della purezza e bontà interiore e non era più considerata pericolosa, ma veniva piuttosto ritenuta indispensabile perché rappresentativa del rigore morale, oltre che attestazione di una determinata posizione sociale, mentre la bruttezza era invece segno di inferiorità e depravazione. Al di là della proibizione morale, la bellezza femminile veniva codificata attraverso una vasta serie di poesie d’amore, galatei e ricette cosmetiche. La schematizzazione della bellezza quindi conduceva soprattutto le donne ad affrontare svariate difficoltà e spese per rendersi conformi agli standard e socialmente accettate e ammirate. In gran parte dell’Europa i canoni estetici erano i medesimi: pelle chiara, capelli biondi, labbra e guance rosse, sopracciglia e occhi tendenzialmente scuri, collo e mani sottili, seno sodo e rotondo, vita flessuosa e capezzoli rosei. La consuetudine a descrivere e decantare le forme femminili nel periodo rinascimentale era ben consolidata e i blason, serie di componimenti poetici sulla donne, ne sono una chiara dimostrazione. Lettere, romanzi, poesie oltre che a trattati di medicina e di filosofia fornivano indicazioni preziose su cosa s’intendeva per bellezza e per bruttezza. Le donne, a loro volta, cercavano di adeguarsi più possibile alle forme decantate, utilizzando cosmetici, corsetti, tacchi alti e soprattutto impegnandosi ad eliminare qualsiasi difetto. Per quanto riguarda le arti cosmetiche, queste subirono un forte sviluppo grazie alla diffusione della stampa. Libri di segreti e ricette di profumi e cosmetici cominciarono ad apparire in tutta l’Europa, rafforzando ciò che veniva tramandato tradizionalmente per via orale fra madre e figlia o attraverso i consigli dei farmacisti. Al di là dello scopo puramente sociale di prevenzione e di igiene per la propria persona, aromi e cosmetici erano soprattutto un potente mezzo di seduzione e di ostentazione e questi libretti, chiamati pubblicamente “secreti, lucidari, tesori”, raccontavano e consigliavano come diventare più belle. Queste raccolte, scritte per la maggior parte da uomini, solo però in parte dedicavano le loro trattazioni a consigli cosmetici, imponendo veri e propri canoni di bellezza ai quali adeguarsi. Il contenuto di tali ricettari era, infatti, vario e sicuramente stravagante. Oltre ad indicazioni mediche, la trattazione si soffermava sulla magia, sull’astrologia, su ricette di cucina e anche su tematiche quali la fisiognomica. I rimedi erano quindi del tipo più svariato e, pur

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avendo un approccio in alcuni casi più scientifico e in altri più incline al magico e superstizioso, l’intento comune era quello di dare alle persone non dotate dalla natura una possibilità di rivalsa, e a quelle più fortunate un modo per mantenerla. I lettori di tali ricettari erano essenzialmente donne, per lo più appartenenti ad un ceto sociale abbiente, e soprattutto abbastanza acculturate per saper leggere. Dalle critiche mosse nei confronti del trucco, si può supporre che all’epoca già molte donne adoperassero i prodotti cosmetici quotidianamente. Infatti trucchi e creme venivano generalmente associati alla lussuria e perdizione, oltre che a costituire in alcuni casi una minaccia alla salute. A tali pratiche veniva imputata l’accusa di alterare l’immagine data da Dio e di Dio, cui si aggiungeva la paura da parte di molti uomini di essere tratti in inganno, nonché i dubbi sulle arti di stregoneria riguardo coloro che preparavano le varie ricette cosmetiche e di bellezza. A dispetto di queste perplessità ed ammonimenti, qualsiasi donna continuava ugualmente ad utilizzare i prodotti di bellezza con l’unico obiettivo di apparire più piacevole e vicina ai canoni decantati e socialmente accettati. L’arte biondeggiante era così diffusa in Italia tanto da considerarsi una rarità una donna con la chioma scura. Il bianco era il colore associato alla purezza, alla castità e alla femminilità, in contrapposizione a toni più scuri, più vibranti e virili, tendenzialmente associabili alla figura maschile. Questo spiega come i libri di ricette cosmetiche riportassero, oltre a consigli per rendere i capelli color dell’oro, anche indicazioni per gli uomini su come scurire maggiormente la propria barba. Il trucco, in ogni caso, era, al di là dello strumento per soddisfare l’esigenza morale e sociale delle donne di essere belle, anche un segno necessario di rango sociale. Il rossetto, i drappi, la biancherie erano tutti messaggi sulla posizione sociale del portatore. I cosmetici rappresentavano l’accessorio finale, il dettaglio senza la quale una donna di un determinato rango non poteva uscire, erano il vestito al quale non si poteva rinunciare.

Dal 1600, la città di Parigi divenne il centro della cosmesi, della moda e della vita elegante, dell'uso dei parrucchieri e delle acconciature più complicate, dei nei finti sul viso. Il decolleté era ancora esibito ed esaltato, ma il resto del corpo veniva celato dietro colorate stoffe e pesanti accessori, tanto da impedire facilità nei più comuni movimenti. Il trucco era una sorta di maschera e il viso degli aristocratici poteva considerarsi una vera e propria tavolozza, sulla quale si provavano tutte le varianti del rosso, fino ad arrivare a 12 sfumature diverse. Steso con un pennello su un fondo bianco, più cupo verso le tempie e più luminoso attorno alle labbra, lo si usava sulle guance, ma anche vicino agli occhi. Casanova ne offrì la seguente descrizione: "Non si vuole che il rosso

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sembri naturale. Lo si mette per piacere allo sguardo altrui, che vi coglie un senso di ebbrezza, promessa di smarrimenti e di furori ammaliatori"19. I costumi e i cosmetici delle classi dominanti francesi contribuirono a sviluppare un sistema della moda estremamente complesso. In tale periodo, i cosmetici, nella cultura popolare, erano considerati alla stregua di un filtro d’amore, tanto che in alcuni casi se ne faceva un uso spropositato e tendenzialmente ridicolo. Associato alla massa incolta come segno di immoralità e di mal costume, oltre che di dissimulazione della propria identità, il trucco era infatti, in ogni caso, indispensabile all’èlite per il raggiungimento della massima bellezza fisica. Per questo motivo, con il principale obiettivo di impedire l’emulazione da parte delle classi meno abbienti, si formò un sistema variegato, composto da parrucche, abiti, corpetti, nei finti di difficile imitazione, in cui ogni dettaglio rappresentava uno strumento estremamente potente nella lotta per il prestigio e la differenziazione sociale.

L’uso del rosso sul viso, della biacca e della parrucca incipriata terminarono però con la Bastiglia. L’ostentazione e l’eccesso degli uomini e delle donne di corte, sia nell’uso dei cosmetici che in quello degli abiti, fu una delle cause che portò alla la Rivoluzione francese. In Inghilterra, il Parlamento emise perfino un decreto secondo il quale sarebbe stata condannata come strega qualsiasi donna che avesse conquistato il proprio marito con capelli finti, tacchi alti e profumi, tanto che il matrimonio avrebbe potuto considerarsi nullo20. In realtà i cosmetici femminili erano universalmente screditati a causa del fatto che teologi e moralisti attribuivano ai loro poteri di seduzione l’adescamento e la perdizione degli uomini nelle dolci agonie del piacere e della lussuria. A volte inoltre l’eccessivo utilizzo di trucco impediva alle donne di sorridere e di assumere atteggiamenti naturali, attirando critiche e malumori. Tale artificiosità e il trucco pesante vennero soppiantati da una concezione di bellezza più borghese, per cui la naturalezza e la semplicità erano di moda ed estremamente moderni. La freschezza acqua e sapone si considerò il summum della bellezza borghese del periodo.

Il passaggio all’Illuminismo, epoca focalizzata sullo studio della ragione umana e sulle scoperte scientifiche, fu quindi contrassegnato dall’abbandono di qualsiasi eccesso e capriccio e da un ritorno a valori quali la naturalezza, la grazia, l’armonia e un riappropriarsi da parte della donna della propria identità. I radicali mutamenti

19 D. Paquet, Storia della bellezza, canoni rituali belletti, cit. , p.54.

20Storia della bellezza, evoluzione storica dei “canoni estetici”, tratto dal sito internet www.benessere.com .

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determinati dalla Rivoluzione francese e l’avvento della borghesia portarono nuovo modelli di vita e di costume, più discreti e meno evidenti. L’esagerazione divenne sia per gli uomini e per le donne borghesi sostanzialmente inaccettabile tanto da condannare i cosmetici e ogni atto di vanità. La bellezza non fu più associata ad abiti sfarzosi e ritocchi evidenti, la quale rimase ad appannaggio delle donne di malaffare, ma si connotò di tinte più sobrie ed eleganti. Il vero, in antitesi all’epoca precedente, in cui andava in scena la spettacolarizzazione della vita e la rappresentazione della proiezione del sé attraverso delle vere e proprie maschere, diventò il reale protagonista e soggetto principale dell’arte tanto da riportare alla ribalta le classi sociali meno agiate, scoprendone la bellezza e la semplicità. I colori, l’abbigliamento erano definiti dei veri e propri capricci delle donne e non potevano più essere associati al concetto medico di cura ed igiene personale. Anche l’acqua tornò ad essere comunemente utilizzata alla fine del Settecento. Pur non avendo completamente perso tutti i simbolismi negativi, il bagno venne reintrodotto fra i rituali di corte, diventando una pratica frequente e agognata. I bagni caldi nelle case private divennero un lusso, mentre incominciarono ad affermarsi anche i cosiddetti bagni freddi, decantati dai medici come fautori della moralità e della tonicità del corpo. Il bagno freddo divenne il simbolo di una classe borghese in ascesa, in antitesi con la delicatezza e lascività della decadente democrazia.

I corpi femminili, sempre più assoggettati alle regole e proposte della moda, venivano messi “in mostra”, mentrei cosmetici favorivano, attraverso le loro sfumature e tonalità, un modo per manifestare la loro identità di classe. Ormai non era più possibile limitarsi ad un unico vasetto di rouge multifunzionale, tanto è che nella toilette di una donna non poteva mancare l’ultima sfumatura o essenza, e i cosmetici avevano come scopo principale quello di mettere in mostra il look più nuovo o un cambiamento di personalità. Attraverso l’uso dei cosmetici, le donne attestavano da una parte la loro condizione di persone adulte ed indipendenti, il loro fascino sessuale e il loro essere estremamente femminili, ma dall’altra dimostravano un bisogno naturale e radicato nella cultura di approvazione maschile e contro-bilanciamento alle proprie ansie di essere madri e soggette all’invecchiamento. Se quindi la corrente romantica esaltò nella prima metà dell’Ottocento le turbolenze del cuore, le ebbrezze della passione e le lacrime, celebrando l’immaginario inedito della malattia e di una bellezza tisica, gli

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scrittori decadenti di fine secolo iniziarono a celebrare una modernità della quale il trucco era una bandiera indissolubile21.

Il XX secolo è stato invece inizialmente contraddistinto da morte e distruzione a causa dei due conflitti mondiali. I regimi totalitari impostisi in quegli anni portarono la popolazione ad emulare modelli auto-celebrativi e prototipi maschili virili e belli e donne floride e prosperose con l’unica ambizione di essere spose e madri modello. Sarà il cinema, nel secondo dopoguerra a proporre i nuovi canoni estetici attraverso le generose attrici protagoniste dei film, portando le giovani ragazze di ceto medio ad un sentito bisogno di emulazione. Molte ragazze in quel periodo erano desiderose di seguire le proprie velleità artistiche, ispirandosi appunto alle grandi icone del cinema e credendo che per sfondare in tale mondo fosse necessario possedere “le misure giuste”. È quindi chiaro che il richiamo alla fisicità femminile e l’avvento dei magazzini, aperti per la prima volta in quell’epoca, sono stati fondamentali per la creazione di una nuova immagine ideale. I manichini esposti nelle vetrine hanno infatti contribuito alla formazione di un modello standard del corpo femminile, oltre che alla definizione di stereotipi quali il tipo di pettinatura più consono, l’utilizzo necessario di determinati accessori, la lunghezza della gonna, etc22. L’uso dei cosmetici, pur essendo stato motivo di preoccupazione e di preconcetti nell’epoca premoderna, era troppo profondamente radicato nell’identità della donna della classe media per poter essere eliminato. Concepito come mezzo primario di espressione del sé, il trucco non potrà essere più considerato un optional, ma parte obbligatoria di un costume, prevalentemente femminile, a tutti i livelli sociali.

Gli anni successivi vedranno la donna evolversi insieme alla società; dalle contestazioni femministe del ’68 in cui si imporrà uno stile unisex e divertente, proiettato al superamento di stereotipi comuni, all’esplosione della disco-music e all’ondata di sensibilizzazione che contraddistinse la metà degli anni Settanta per incoraggiare le donne a fare pace con se stesse, riappropriandosi della propria immagine e della cura del proprio corpo. Le pagine delle riviste femminili e le guide di bellezza raccomanderanno, con fotografie ed immagini, le cure delle quali non si potrà più fare a meno e l’individualità femminile si affermerà attraverso un gioco di identificazioni

21 Baudelaire, nel suo « Eloge du maquillage » del 1863, riconduce la bellezza all’idea dell’artificio,

attestando la legittimità, da un punto di vista estetico, di trasfigurare l’apparenza con tutti i mezzi a disposizione. Il trucco rende la pelle più bella e non è più considerato alla stregua di un arteficio volgare ed ingannatore.

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progressive che coprirà l’intero arco della giornata. Salirà in auge la pubblicità, il marketing diventerà il vero protagonista della scena e il vero ispiratore di nuovi bisogni. La donna diventerà sempre più attrice di se stessa, condannando la bruttezza e le abitudini ad essere un lontano ricordo, ed esaltando la sola fedeltà ai propri capricci23.

Lo sviluppo dei mezzi mediatici ha spinto, quindi, i consumatori ad assumere nuovi modelli e canoni, attraverso una maggiore propensione al consumo, dovuta principalmente alle migliori disponibilità economiche. Così si è giunti alla nostra età contemporanea, durante la quale il percorso della bellezza e l'evoluzione della cosmesi proseguono, rielaborando le esperienze del passato e cercando nuovi stimoli con una complessità ed una varietà senza precedenti. Oggi, forse più di ieri, in un vorticoso mutare delle mode e dei modelli di comportamento, l’ideale di bellezza proposta dai media è spesso distante dalla nostra realtà corporea. E’ anche vero però che, grazie alle offerte sul mercato che rispondono ad ogni tipo di esigenza, il “bello” oggi può essere veramente alla portata di tutti. L’unico reale inconveniente di tale continua ed incessante ricerca della perfezione è che tutto passa fugacemente di moda, lasciando l’essere umano prigioniero di un’utopia, e a volte in balia di malattie e disturbi mentali24.

Nel corso della loro evoluzione, i cosmetici sono stati indicatori sociali e fisiologici, punti focali di accettazione, emulazione e rifiuto, oltre che ad aver attivamente contribuito a porre le basi del reale profilo della donna borghese ed aver accompagnato la trasformazione e affermazione del fenomeno moda. In ogni caso, pur essendo mutati i valori, gli ideali, gli stili di vita, i comportamenti individuali e di gruppo, nella società attuale il valorizzarsi e migliorarsi sono parti integranti del nostro essere, sia come chiave di auto-gratificazione che come mezzo di facilitazione nei rapporti sociali, professionali e personali. La bellezza è ancora riconosciuta come un valore inestimabile ed invidiabile, ed è proprio per questo i cosmetici sono diventati fondamentali nel partecipare alla costruzione della propria immagine. Sfortunatamente, però, al di là dell’esaltazione dell’apparenza, esistono ancora dei luoghi comuni che vedono l’associazione della bellezza alla stupidità e dell’intelligenza alla bruttezza.

23 D. Paquet, Storia della bellezza, canoni rituali belletti, cit. , p.85.

24 La psichiatria moderna classifica come anoressia mentale un malessere esistenziale, il cui sintomo più

evidente è il rifiuto sistematico del nutrirsi. Pur essendo molto semplicistica e banale la tesi che vorrebbe ricondurre la malattia al desiderio di avvicinarsi ai modelli di bellezza proposti con insistenza da riviste e media, non se ne può escludere completamente l’influenza. Il segnale di una lotta interiore che esprime una fame infinita di altro non è certo aiutato da una società di persone che rincorre il miraggio di un corpo perfetto.

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1.2 L’approccio scientifico alla bellezza: la cosmesi fra salute e magia

La scoperta del corpo, della sua realtà e positività, pur trovando collocazione nell’ambito di una storia culturale globalmente intesa, è legata indissolubilmente, almeno per un determinato periodo di tempo, alla storia della medicina. Come ho già accennato in precedenza, i prodotti di bellezza non sono stati un argomento del quale si è interessata la storiografia moderna, a causa della sua apparente fugacità e dell’ambivalenza che da fin dalle origini la hanno contraddistinta. Nonostante in età premoderna fosse radicata nella società la convinzione che la cosmesi illudesse e distorcesse la realtà e l’ideale della vera bellezza, si riteneva altresì che essa non avesse solamente una funzione estetica, ma anche medicinale. La bellezza non poteva infatti essere disgiunta dalla salute tanto che la cura del corpo non poteva essere più di tanto distinta dalla cura medica e cura estetica. Consigli igienici, terapeutici ed estetici si fondevano insieme, come d’altronde erano fortemente intrecciati il sapere dotto e il sapere popolare25. Tale ambivalenza poteva in ogni caso essere riscontrata anche nel diverso modo di definire il rapporto fra la cosmesi e il corpo, a seconda che questa venisse utilizzata per uno scopo “salutare” o “insalubre”. A differenza del trucco, generalmente associato all’inganno e all’arteficio, la profumeria era invece ritenuta terapeutica. Profumi ed aromi erano diffusi come forma di difesa dalla malattia e dal malanno, comunemente connessi ad un cattivo e malsano odore26. L’uso dei cosmetici, in quanto ars ornatrix, era quindi considerato necessario proprio per rispettare le regole igieniche comunemente imposte ed accettate.

In ogni caso la prima popolazione che iniziò ad interessarsi dell’arte cosmetica, colorandola di significati che andavano al di là dell’estetica e della bellezza ma che la inquadravano come pratica religiosa, fu quella Egiziana, anche se ricerche in antropologia, archeologia ed etnologia hanno rilevato che nelle zone dell’emisfero est, soprattutto in India e in Oriente, alcune civilizzazioni più antiche utilizzavano sostanze e pratiche del tutto similari. Fu però nel periodo ellenistico che iniziò a svilupparsi, in

25 C. Pancino, Soffrire per ben comparire, cit. , p.30. E’ comunque da considerare anche il fatto che la

nostra odierna ricerca di essere belli e apparire non può essere rapportata e paragonata ad un periodo storico in cui il primo punto di partenza per le cure e i trattamenti proposti era quello di gratificare donne malate, denutrite, sporche.

26 Profumo: tale parola, molto probabilmente di origine religiosa, significa letteralmente “attraverso il

fumo”e si riferisce all’utilizzo dell’incenso per onorare dei e defunti. A differenza della maggior parte dei cosmetici che veniva considerata un ars fucatrix, la profumeria veniva associata a valori positivi (ars

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molte regioni della Grecia, una cultura vera e propria della cosmesi, seppur legata alla medicina. Nel quarto secolo d.c., dopo la conquista della Persia da parte di Alessandro il Grande di Macedonia, svariate scuole mediche si insediarono in tutto il territorio greco, anche se fu solo grazie ad Ippocrate di Cos, che si iniziò a procedere con una sistematizzazione dei principi scientifici scoperti e ad una separazione della medicina dalla magia e dalla religione. Ippocrate e suoi seguaci diedero quindi un contributo fondamentale alla nascita della moderna cosmesi e cosmetologia, attraverso lo studio della dermatologia, dell’utilizzo di una dieta corretta, di esercizio, massaggi, bagni speciali e tutto ciò che potesse portare ad essere in buona salute e a rispettare il culto di un fisico perfetto. In ogni caso sia uomini che donne utilizzavano liberamente i cosmetici fatti in casa e, nonostante alcune leggi ne proibissero l’utilizzo eccessivo, la loro diffusione non ne fu in realtà rallentata. Informazioni valide sulla biologia e la scienza del corpo vennero date anche da filosofi, i quali si preoccuparono di distinguere tutto ciò effettivamente riguardava la cura del corpo da un punto di vista terapeutico ed igienico, dalle pratiche che rincorrevano il raggiungimento di una forma necessaria. Storiograficamente parlando, coloro che diedero il maggior contributo alla diffusione dell’arte cosmetica sia nel mondo greco che poi in quello romano furono dei trattati legati ai più famosi medici dell’antichità, quali Celso, Galeno e Ippocrate27. Celso, per

esempio, un medico di Roma, scrisse un lavoro enciclopedico sulla conoscenza umana, all’interno del quale vi erano interessanti informazioni riguardo alle condizioni della pelle e dei capelli. Galeno, considerato uno dei grandi medici dell’antichità insieme ad Ippocrate, contribuì all’arte cosmetica oltre che con la creazione di un prototipo di crema fredda emolliente il “ceratum refrigerans”, soprattutto con la redazione del primo manuale sistematico e scientifico esclusivamente dedicato ai cosmetici28. Si deve invece a Plinio Il Vecchio la realizzazione di una delle maggiori enciclopedie della cosmesi dell'epoca, nella quale risultavano elencate le materie prime utilizzate dai Romani per abbellirsi.

Soprattutto i medici hanno dunque contribuito alla divulgazione di scritti e di studi sulla cosmesi, permettendone una reale ed evidente evoluzione nel tempo. Il periodo medievale è riconosciuto da molti come quello in cui vi fu una prima e rilevante espansione dell’uso dei cosmetici, testimoniata soprattutto dalla diffusione di scritti e

27G. Luisi, Cosmesi, gioielli e monili nelle popolazioni antiche, tratto dal sito internet www.scriptamanent.net .

28 F. E. Wall; Historical development of cosmetics industry. in M.S. Balsam - E. Sagarin (a cura di);

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trattati sull’argomento, basata essenzialmente dalla traduzione dei testi arabi. Un esempio di tale modo di trattare la medicina e di un interesse anche per la cosmesi, è da rintracciarsi negli scritti del medico senese Aldobrandino da Siena, detto anche il Piccolomini, il cui testo in lingua volgare illustrava i mezzi igienici e preventivi per mantenersi in salute. Fra coloro che scrissero di cosmesi e medicina, da annoverare è sicuramente Pietro Ispano, il quale prescriveva terapie a base di sostanze, e in particolar modo di erbe, accessibili anche ai poveri. Nel suo elaborato di indiscusso successo, Thesaurus pauperum, erano presenti ricette contro pidocchi e pulci, come risoluzione a problematiche igieniche e medico sociali, e alcuni consigli cosmetici per i quali era sufficiente l’utilizzo di ingredienti umili e facilmente reperibili anche dalla popolazione meno abbiente. Anche Marinello, del quale ho già parlato in precedenza, rivolgeva il suo libro ad un pubblico diversificato. A ricette fatte con elementi preziosi rivolte a dame altolocate, si alternavano ricette che potevano essere facilmente eseguite dallo speziale o in casa, rivolte a donne di più modeste condizioni. Ci si preoccupava in generale di offrire soluzioni per tutte le tasche, così da permettere a qualsiasi donna di essere e sentirsi piacente, anche se non veniva fatto nessun accenno ad interventi estetici che potevano risultare necessari per ovviare ai reali problemi che le malattie potevano portare29. Esistette, quindi, fin dal medioevo una cosmetica più popolare, basata

esclusivamente su ingredienti semplici e non pretenziosi, che dimostrò una capacità di sopravvivenza in alcuni casi superiore ai ritrovati della medicina e cosmetica ufficiale, tanto da giungere intatta fino alle soglie del mondo contemporaneo. Le molte ricette cosmetiche tramandate nel periodo medioevale sono però ascrivibili ad una donna, Trotula, medico della scuola salernitana, la quale si interessò, oltre che alle malattie femminili, anche alla cura del corpo e alla bellezza. Nella sua opera il De Ornatu dispensava consigli per eliminare le rughe e i peli superflui, per ottenere un determinato colore di capelli, per truccare il viso e le labbra, associando a ciascuna pratica erbe e unguenti. Ciò ci permette di comprendere come la cosmesi inizialmente fosse legata al mondo delle essenze naturali e delle proprietà terapeutiche di quest’ultime, tanto da portare molti medici ad avvicinarsi a queste pratiche con dedizione ed approccio scientifico30. In ogni caso nel Medioevo, in Italia, i cosmetici non avevano assunto la massima diffusione, e particolare spazio veniva dato ad alcune problematiche fra le

29 C. Pancino, Soffrire per ben comparire. Corpo e bellezza, natura e cura, cit. , p.25.

30 P. Turrini, Bellezza di ieri..rivisitata oggi, relazione presentata al convegno dal titolo Metodologie

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quali vi era sicuramente quella su cosa si potesse intendere quando si parlava di vera bellezza. La causa di questa problematica era la complessione, cioè la convinzione che ad una bellezza corporea dovesse corrispondere anche una bontà spirituale, tanto che gli stessi medici asserivano che a tratti fisici delle persone corrispondessero determinati tratti di indole morale. La vera bellezza veniva identificata quindi con un nobile spirito e per questa ragione si faceva esplicito riferimento alle belle donne. Tutto ciò venne ancora maggiormente enfatizzato nel Rinascimento, durante il quale gli umanisti avevano rispolverato l’ambivalenza classica nei confronti dei cosmetici, grazie alla traduzione e pubblicazione di alcuni testi latini sul tema. Il corpo veniva infatti configurato come un frammento architettonico. Tagliato e ricomposto, lo si costruiva secondo un modello ideale, ma non immutabile. Secondo la configurazione ideale di Policleto, ma anche attraverso gli studi di Dürer o Leonardo da Vinci, la bellezza era una sorta di armonia segreta che scaturiva dalla composizione delle membra, delle loro proporzioni e dello scopo verso il quale erano rivolte31. Al di là della follia dei canoni rinascimentali, prendendo come riferimento la teoria di Galeno, la quale asseriva che l’aspetto di una persona e soprattutto la sua salute dipendesse, non solo dai tratti umorali interni, ma anche dalle sue caratteristiche fisiche e dai suoi stati emotivi e personali, si iniziò a parlare di fisiognomica. Questa scienza, studiata dagli inizi del XIII secolo e che raggiunse la sua massima teorizzazione nel XVII secolo grazie agli elaborati di J. C. Lavater, in cui si affermava infatti la dipendenza delle caratteristiche morali da quelle strettamente fisiche. Il trattato del medico M. Savonarola, Speculum Physiognomiae, permise il riconoscimento della fisiognomica a livello popolare e l’esaltazione di alcuni tratti fisici quale quello del volto. Il volto, infatti, non solo era la parte del corpo più visibile a livello sociale, ma rappresentava anche il mezzo di comunicazione per cui si poteva comprendere la vera natura dell’uomo, al di là di vizi e complessioni. L’abitudine, per esempio, di incorniciare il viso attraverso collari a gorgiera non era solo un dettaglio di moda, ma era legato all’esigenza di comunicare espressivamente un determinato carattere o destino. Si teorizzava per esempio che una persona dai capelli rossi avesse un temperamento allegro, dal momento che entrambi questi caratteri fossero sintomatici dell’essere sanguigno; l’altezza della fronte, compensata dalla sua altezza, indicava la tendenza a cambiare umore ed era segno di stupidità; il naso piccolo

31 D. Paquet, Storia della bellezza, canoni rituali belletti, cit. , pp. 46-47. Il corpo, suddiviso in numeri e

proporzioni, era concepito come il risultato di un’equazione matematica. Il corpo delle donne, per esempio, doveva possedere tre attributi bianchi, tre rossi e tre neri per cercare di avvicinarsi ai diversi canoni estetici ideali.

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invece era indice di ingegno servile, ladro e infedele, ed era associato generalmente alle donne32. Le donne infatti venivano considerate come versioni imperfette dell’uomo, ma erano comunque oggetto privilegiato di argomentazioni e trattati. Gli umanisti e gli stessi medici incoraggiarono e permisero la penetrazione della cosmesi all’interno della società, proprio per il suo essere diventata argomento principale delle loro disquisizioni sulla concezione della bellezza, oltre che sulle regole cromatiche della moda. Non era importante consumare materiali costosi, perché gli indicatori socio-economici principali che attestavano la vera nobiltà erano soprattutto il possedere una buona salute ed indole. Risultava dunque ancora radicata la convinzione che per creare, o almeno avvicinarsi, all’immagine ideale, si dovesse fare esplicito riferimento all’arte medica. I medici erano mossi nei loro studi, oltre che dalla convinzione che vi fosse realmente una connessione causale fra salute e aspetto, anche dalla facilitazione con la quale potevano reperire ed usufruire di sostanze e preparati cosmetici. La relazione biunivoca sussistente fra la medicina e la cosmesi era dimostrata dall’esistenza di precise prescrizioni che consigliavano di assumere particolare cosmetici via orale, a stomaco vuoto, alla stregua di veri e propri medicinali (soprattutto per quanto riguardava quelli per la cura della pelle). Anche il profumo veniva considerato un medicinale, tanto che per un lungo lasso di tempo farmacisti e profumieri fecero parte della stessa corporazione, in maniera indifferenziata e paritetica. Utilizzato per molto tempo per tenere lontano i miasmi della peste e, come ho annoverato prima, in antitesi alla crescente paura dell’acqua, il profumo conobbe popolarità anche per la convinzione delle sue doti sul rallentamento della vecchiaia. Il fluido che risultava dalle tecniche di distillazione, sapientemente sviluppate in laboratorio da alchimisti e medici, era composto per il 95% da alcool ed era noto proprio per le proprietà medicinali (aqua mirabilis) che gli venivano attribuite. L’eau de Cologne, una mescolanza di erbe aromatiche italiane e alcool d’uva aromatizzato, era destinato ad essere riconosciuto come il primo e più famoso profumo di tutti i tempi per il suo generoso utilizzo tra la nobiltà francese, oltre ad essere considerato a tutti gli effetti un farmaco con qualità terapeutiche. Tutto quindi profumava, tanto che la gente era solita portare il profumo come una sorta di amuleto, imbevendosi in tali essenze dalla testa ai piedi. Fra i ricchi imperversava, inoltre, la moda di mangiare cioccolata al gelsomino o sorbetti carichi di muschio o ambra, basandosi sulle supposizioni per cui anche il cibo, se profumato, era portatore di virtù

32G. B. Della Porta, Della fisionomia dell’uomo (1610). Altro esempio di questo linguaggio è

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salvifiche della medicina. La diffusione di questi rimedi e le tecniche per produrli furono supportati dalla diretta importazione delle spezie e degli aromi dai territori del Nuovo Continente e dall’Oriente e dalla pubblicazione di compendi di consigli e ricette che attestavano quale linea sottile potesse esserci fra la medicina, la cosmesi e la moda nel XVI secolo33.

Nel periodo compreso fra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ad un rinnovato fervore per lo studio delle scienze della natura, quali la botanica e la mineralogia, le cosiddette raccolte di segreti conobbero una notevole diffusione in tutta Europa. Insieme all’edizione di numerose opere scientifiche che consigliavano le erbe, le pietre e i minerali non solo per medicare ma anche per curare l’aspetto esteriore, vennero pubblicati dei libretti, nei quali alla medicina e alla farmacopea, erano affiancati segreti di natura e magia naturale, consigli sulla cosmesi e distillazione dei profumi, suggerimenti per la conservazione del vino e dei cibi e talvolta anche ricette di cucina. Tutti i trattati erano, comunque, concordi sull’importanza da attribuire alle cure estetiche e sia botanici, che naturalisti, alchimisti, commercianti, oltre che naturalmente a ciarlatani e curiosi si esprimevano a riguardo, dispensando consigli e riportando utili esempi. Erano essenzialmente testi di volgarizzazione scientifica in cui le donne venivano principalmente inquadrate e viste sotto lo sguardo e i pareri di uomini che, approdati ai segreti nell’ambito della ricerca medica o filosofica, o semplicemente attraverso la raccolta della tradizione orale e di ciò che era stato precedentemente pubblicato, davano sfogo al proprio sapere fornendo al lettore preziose indicazioni su quali fossero le azioni consone da porre in atto. Soprattutto per le ricette di ambito cosmetico prevalevano caratteristiche come quelle della semplicità, brevità ed una scarsa impronta dell’autore coadiuvata dal fatto che i rimedi empirici e di “bonnes femmes” echeggiavano in realtà pratiche ed idee già radicate nella cultura popolare, portando ad una mera trasmissione di “genere” delle stesse. Molti fra i più noti professori dichiaravano, infatti, di includere nei propri lavori ricette viste applicare in giro per il mondo, o tramandate da anziane signore34. In un panorama per lo più maschile e rappresentativo di medici che, sotto l’anonimato, disquisivano popolarmente di cosmesi e bellezza, è necessario ricordare una delle medichesse che ebbe largo seguito e della quale è rimasta memoria scritta, la contessa Caterina Riario Sforza. Affascinante dama e donna di Stato, si dilettava con l’aiuto del farmacista di corte nel

33 M. A. Laughran, Oltre la pelle. I cosmetici e il loro uso, cit. , pp. 49-59. 34 G. Bock e G. Nobili (a cura), Il corpo delle donne, Bologna 1988, pp. 49-51.

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preparare in laboratorio pozioni ed unguenti che le permettevano di mantenere intatta la propria bellezza. Creme emollienti e lisce per il viso, paste segrete per i denti, mani curate con una pomata di sua invenzione, nel suo ricettario si mescolavano magia, stregoneria, credenze, chimica e sapere medico. Fra gli argomenti trattati in generale da tali “libri di ricordi” un posto di rilievo era sicuramente tenuto dalle tecniche utilizzate per la tintura dei capelli. La cosiddetta arte biondeggiante, tanto decantata da letterati e uomini di scienza, riguardava infatti una formula che permetteva alle donne di ostentare trecce bionde e chiome fluenti. Tale colorazione, oltre a rispettare i canoni e le tendenze della società, era indice di salute e di forza, perché in antitesi con i colori grigio e bianco, simboli di vecchiaia e decadenza.

Tuttavia, mentre alcuni ritenevano fondata la relazione positiva fra i rimedi medici e i cosmetici, vi erano anche coloro che ritenevano il “trucco” un modo per manipolare la realtà e a far prevalere le apparenze. Certo è che, se da una parte si consolidava sempre di più l’idea che la cosmesi potesse funzionare come un filtro d’amore, o una magia, per attirare e far innamorare gli uomini, dall’altra si affermava la chirurgia estetica che, basandosi sulle basi della fisiognomica, cercava di guarire lo spirito agendo sulle inadeguatezze del corpo (un particolare esempio poteva essere quello delle persone malate di sifilide). Con il passare del tempo tale contrapposizione divenne sempre più marcata fino a portare ad una vera e propria scissione fra l’arte cosmetica e profumiera e le pratiche mediche. Con i primi sviluppi della chimica e l’adozione nella preparazione dei cosmetici di ingredienti potenzialmente nocivi, a poco a poco l’industria abbandonò lo studio e l’utilizzo delle erbe, privilegiando l’ascesa di un fiorente commercio di settore. La professionalizzazione della medicina spingeva a distinguere rigidamente coloro che potevano considerarsi medici a quelli che in realtà risultavano essere solamente ciarlatani, e ad inquadrare ogni forma di interesse per l’estetica del corpo all’interno di una più ampia concezione medica di igiene personale. Un’altra ragione della fuoriuscita dei cosmetici dal campo medico poteva essere individuata nella scomparsa della peste dal continente europeo, verificatasi proprio agli inizi XVIII secolo. Il risultato è che comunque i cosmetici vennero lasciati sotto la gestione degli artigiani, proibendo però che questi venissero prescritti o assunti per bocca se non tramite indicazione di esperti. Non erano quindi più acquistati ed utilizzati con l’intento di proiettare la fisiologia o psicologia umana, ma venivano comunemente accettati come fine a se stessi e con la mera funzione di rappresentare o mascherare superficialmente le caratteristiche topiche di un individuo.

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È interessante sottolineare come alla serietà, alla conformità e all’industrializzazione della classe borghese corrisposero quindi la fuoriuscita dei preparati cosmetici dalle trattazioni mediche e come anche gli uomini cominciarono a rifiutare il loro utilizzo. I colori, l’abbigliamento e la cosmesi verranno quindi parallelamente interpretate come tendenze di esclusivo interesse dell’universo femminile, tanto da far divenire fondamentale la differenza di gusto e di genere fra i due sessi. Entrarono gradatamente nella tecnica della nuova cosmesi metodi fisici, di massaggio, di chirurgia estetica, di dietetica e lo stesso settore delle essenze, dei profumi e dei cosmetici si industrializzò, grazie anche al supporto di nuove scoperte scientifiche che accelerarono la creazione di nuovi prodotti cosmetici e farmaceutici a alle comunicazioni con gli altri continenti che misero a disposizione nuove materie prime. L’industrializzazione produsse un’accelerazione dei vari processi così che, i cosmetici, fino a quel momento confezionati domesticamente, diventarono prodotti di largo consumo e furono oggetto di un ascesa commerciale di rilevante dimensione. L’Ottocento vide la nascita, in Francia, di grandi case cosmetiche europee come la Guerlain e la Coty, anche se ciò comportò una crisi mai veramente superata nel mercato italiano, che lo costrinse ad assumere un ruolo marginale e relegato all’artigianalità. La diversificazione delle linee e un’ottimizzazione delle risorse, oltre che ad un maggiore assortimento, comportò comunque il nascere a livello internazionale di prodotti innovativi e tecnologicamente avanzati (pomate per le labbra, rossetti moderni) e la possibilità di soddisfare non solo un target di lusso, ma anche una popolazione costituita da persone comuni con la voglia di essere belle. La scoperta della sintesi delle sostanze organiche, la definizione biochimica degli ormoni, lo stesso progresso medico portarono infatti alla creazione di nuovi prodotti cosmetici e farmaceutici che, a causa dell’obbligo di controlli e il divieto di produzione di sostanze tossiche come la biacca, divennero velocemente uno dei simboli della democratizzazione della società. Nel 1907 E. Shueller inventò, per esempio, la prima colorazione per i capelli, creando poi quella società delle “tinte innocue per capelli” che diventerà la l’Oréal. Ad Amburgo un farmacista inventò la crema Nivea, facendo nascere il concetto di idratazione e Poiret fu il primo sarto a capire la valenza dell’associazione fra l’abito e il profumo, lanciando di conseguenza una sua prima creazione sul tema, Rosine35. Il secolo scorso è stato inoltre caratterizzato da una definitiva affermazione e divulgazione della chirurgia estetica e da una creazione

35 L. Calamassi, Moda e Cosmesi, binomio vincente. Il rapporto con il mondo moda e le prossime

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