• Non ci sono risultati.

Tailoring aeroelastico di strutture composite con angolo di laminazione variabile = Aeroelastic tailoring of variable angle tow composite structures

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2023

Condividi "Tailoring aeroelastico di strutture composite con angolo di laminazione variabile = Aeroelastic tailoring of variable angle tow composite structures"

Copied!
84
0
0

Testo completo

(1)

POLITECNICO DI TORINO

Corso di Laurea in Ingegneria Aerospaziale

Tesi di Laurea Magistrale

Tailoring aeroelastico di strutture composite con angolo di laminazione

variabile

Relatore

prof. Enrico Zappino

Correlatore:

prof. Marco Petrolo

Candidato

Massimiliano Orlandi matricola: s267669

Anno accademico 2021 – 2022

(2)
(3)

Sommario

Il tailoring aeroelastico consiste nella progettazione di superfici portanti in materiale com- posito, andando ad utilizzare una disposizione delle fibre che migliori le prestazioni dal punto di vista aeroelastico, ovvero che eviti il più possibile la comparsa di instabilità ae- roelastiche, quali la divergenza e il flutter. Questi sono quindi fenomeni da evitare perché porterebbero deformazioni molto grandi, che porterebbero alla rottura della struttura.

Un primo obiettivo è quello di verificare l’accuratezza dei modelli strutturali utilizzati per diversi modelli, via via più complessi utilizzando dei riferimenti bibliografici per con- frontare i risultati. In secondo luogo, si vogliono mettere in luce le prestazioni aeroelastiche e strutturali di modelli in materiale composito a fibre curvilinee (VAT).

Nell’ambito di questa tesi vengono presentati dal punto di vista teorico i modelli strut- turali e aerodinamici che vengono poi sfruttati per le analisi aeroelastiche. Per quanto riguarda il modello strutturale viene utilizzata la Carrera Unified Formula (CUF) per il raffinamento di elementi beam che costituiscono il modello, mentre per il modello aerodi- namico si adotta un metodo ai pannelli chiamato Doublet Lattice Method. Per eseguire le analisi aeroelastiche il modello strutturale e il modello aerodinamico vengono accoppiati tramite l’utilizzo di un metodo di spline, dopodiché si risolvere l’equazione aeroelastica attraverso il PK-Method. Per diversi modelli di piastra vengono fatte analisi statiche e dinamiche andando a variare il numero di nodi del modello e quindi i suoi gradi di liber- tà, oppure alternando un modello Layer Wise a uno di tipo Equivalent Single Layer. Le analisi sono state fatta anche cambiando le proprietà del materiale: prima isotropo, poi ortotropo con fibre rettilinee e infine introducendo le fibre curvilinee. Le analisi dinamiche permettono di ottenere frequenze e modi propri della struttura importanti per studiarne la rigidezza e fare un’analisi preliminare sul flutter. In seguito, vengono fatte le analisi ae- roelastiche per diversi modelli, con lo scopo di trovare la velocità di flutter e di divergenza rappresentative della stabilità aeroelastica di una struttura.

Quello che si è osservato è che laminati VAT hanno il vantaggio di abbinare zone in cui le fibre sono parallele al bordo d’attacco e zone in cui le fibre sono inclinate di 45°: questo permette di ottenere una buona rigidezza sia a flessione che a torsione, cosa che porta vantaggi dal punto di vista aeroelastico, senza penalizzare le prestazioni strutturali. Infine, è stato verificato che l’utilizzo della CUF, per costruire il modello strutturale, permette di ridurre il costo computazionale rispetto a modelli agli elementi finite tridimensionali mantenendo comunque un’alta accuratezza.

(4)

Questa tesi, per me, rappresenta la fine di un percorso impegnativo e tortuoso, durato sei anni e costituito da tante piccole esperienze, anche contrapposte, che mi hanno formato.

Ci sono stati fallimenti, grandi soddisfazioni, momenti di sconforto e gioie per i traguardi raggiunti.

Il Politecnico mi ha formato come ingegnere, ma mi ha insegnato tanto anche dal punto di vista umano: ho imparato che molte volte gli ostacoli che all’inizio ci appaiano insormontabili, si possono superare con impegno e dedizione.

È bello a questo punto ringraziare le persone che mi sono state vicino durante questo percorso e non solo. Innanzitutto, ringrazio mia mamma e mio papà che mi hanno sempre sostenuto sia moralmente che economicamente, donandomi sempre il meglio.

Ringrazio i miei relatori, il professor Enrico Zappino e il professor Marco Petrolo per la loro guida preziosa e la grande disponibilità che hanno sempre dimostrato durante questo lavoro.

Ringrazio poi la mia Unità, con cui ho un legame di amicizia e fratellanza che so che rimarrà per sempre, grazie a Fede, Gax, Edo, Milans, Dibi, Barco, Richi e Mattia.

Ringrazio Dani, Paul e gli altri miei compagni di corso che spesso mi hanno aiutato in mille modi a superare le difficoltà incontrate durante il mio percorso di studi e con cui ho condiviso tante giornate per cercare di imparare a essere dei bravi ingegneri.

Grazie a Francesco, perché in questi anni di università abbiamo rafforzato un’amicizia di lunghissima data e grazie per i tuoi fantastici aneddoti che spesso mi rallegrano la serata.

(5)

Indice

1 Introduzione 7

1.1 Il problema aeroelastico . . . 7

1.2 Aeroelasticità Statica . . . 8

1.3 Tailoring Aeroelastico. . . 9

1.4 Aeroelasticità Dinamica . . . 10

1.5 Variable Angle Tow . . . 11

1.5.1 Produzione di un laminato VAT . . . 12

1.6 Obiettivi . . . 13

2 Modello Strutturale 15 2.1 Principio degli Spostamenti Virtuali (PVD) . . . 15

2.2 Carrera Unified Formula . . . 16

2.2.1 Assemblaggio . . . 18

2.2.2 Adattamento della CUF a diversi modelli . . . 18

2.2.3 Espansioni in serie per la CUF. . . 19

3 Modello Aeroelastico 23 3.1 Divergenza in un profilo bidimensionale . . . 23

3.2 Flutter . . . 25

3.3 Modello Aerodinamico . . . 27

3.3.1 Vortex Lattice Method . . . 28

3.3.2 Doublet Lattice Method . . . 29

3.4 Il metodo spline . . . 30

3.4.1 Pendenza degli spostamenti ai Control Point . . . 32

3.5 PK-Method . . . 33

3.6 Analisi Aeroelastica . . . 34

3.6.1 Analisi Modale . . . 34

4 Risultati numerici 37 4.1 Assessment per analisi statica . . . 37

4.2 Assessment per analisi dinamica . . . 41

4.3 Analisi statica di una trave in materiale composito. . . 43

4.4 Analisi dinamica di una trave VAT . . . 45

4.5 Analisi dinamica di una piastra VAT multilayer . . . 48

4.6 Analisi aeroelastica di una piastra isotropa . . . 52

(6)

4.9 Analisi aeroelastica di un cassone alare . . . 62

4.9.1 Analisi dinamica . . . 64

4.9.2 Analisi di Flutter . . . 67

4.10 Analisi di un cassone alare realistico. . . 69

Bibliografia 83

(7)

Capitolo 1

Introduzione

1.1 Il problema aeroelastico

L’aeroelasticità è definita come la scienza che studia la mutua interazione tra le forze aero- dinamiche, elastiche e inerziali che agiscono su una struttura. I problemi aeroelastici non esisterebbero se le strutture aeronautiche fossero perfettamente rigide, al contrario quasi tutti i velivoli presentano una struttura con una flessibilità non trascurabile e che dà ori- gine ai diversi fenomeni aeroelastici. Più precisamente, i fenomeni aeroelastici derivano da quelle particolari deformazioni strutturali che originano delle forze addizionali sulla strut- tura stessa. Queste forze addizionali, a loro volta, producono delle deformazioni aggiuntive che possono smorzarsi fino a raggiungere un punto di equilibrio oppure divergere fino alla rottura della struttura.

Hodges e Pierce 2011presentano l’aeroelasticità come l’unione di tre discipline:

• Aerodinamica: consiste nel calcolo delle forze che agiscono su un corpo immerso in un flusso

• Elasticità: calcola come si deforma un corpo elastico sottoposto a un certo carico

• Dinamica: introduce l’effetto delle forze inerziali

Queste sono anche i tre vertici del triangolo di Collar, il quale ci permette di portare altre definizioni riguardanti l’aeroelasticità. Come si osserva in Figura 1.1 l’interazione tra le forze elastiche e aerodinamiche permette uno studio di aeroelasticità statica. In figura viene riportato il termine Divergence che è la più importante instabilità in aeroelasticità statica. Se invece studiamo l’interazione tra forze inerziali e forze elastiche, rimaniamo all’interno della dinamica strutturale. Considerando, invece tutte e tre le tipologie di forze si porta avanti uno studio di aeroelasticità dinamica. L’instabilità dinamica più importante in campo aeroelastico e anche quella che può portare a un evento catastrofico, è il flutter.

È interessante notare che già agli inizi della storia dell’aviazione i fenomeni aeroelastici avevano un peso. I fratelli Wright utilizzarono una deformazione controllata delle ali sul Wright Flyer nel 1903 per ottenere una buona manovrabilità laterale e rendere il velivolo stabile. Inoltre, i velivoli biplano erano i più diffusi fino agli anni ’30 proprio perché la doppia ala era la soluzione più semplice e conveniente per ottenere una buona rigidezza

(8)

Figura 1.1: Triangolo di Collar

torsionale ed evitare la divergenza. Come si riporta in Bisplinghoff, Ashley e Halfman2013 il primo caso documentato di flutter su un velivolo coinvolse l’Handley Page O/400 nel 1916. La coda e la fusoliera andavano incontro a forti oscillazioni e si scoprì che queste due parti avevano due principali modi di vibrare a bassa frequenza. Uno dei due modi causava un’oscillazione antisimmetrica degli elevators destro e sinistro. Il secondo modo invece provocava una torsione della fusoliera. Venne quindi scoperto, che l’accoppiamento tra i due modi era la causa delle oscillazioni divergenti, perciò per risolvere il problema venne imposto come requisito di progetto che i due elevator, destro e sinistro, fossero collegati da una trave rigida, che legasse le deflessioni delle due superfici mobili.

Problemi aeroelastici relativi all’ala iniziarono a presentarsi con l’abbandono della confi- gurazione biplano in favore di quella monoplano che aveva una minore rigidezza torsionale.

Un primo esempio fu il Fokker D-8, già utilizzato durante la prima guerra mondiale, che fin dai primi voli andò incontro a diversi failure catastrofici dell’ala. Dopo alcune accura- te misurazioni delle deflessioni, si osservò che i tip dell’ala aumentavano di molto la loro incidenza quando la struttura era sotto carico ed era proprio questa la causa degli eventi catastrofici.

1.2 Aeroelasticità Statica

Come è intuibile dal nome, l’aeroelasticità statica è lo studio dell’interazione tra carichi aerodinamici e deformazioni elastiche escludendo dalla trattazione le forze inerziali. Questo significa che il tempo non è presente come variabile indipendente e che le forze aerodina- miche sono derivate da risultati di flusso stazionario. La più importante instabilità statica in aeroelasticità è detta divergenza e, per fissate condizioni di volo, si verifica per veloci- tà maggiori di una certa velocità limite detta velocità di divergenza. Nello specifico, in condizione di divergenza, i carichi aerodinamici deformano la semiala in un modo da far aumentare ancora i carichi aerodinamici, che a loro volta fanno aumentare le deformazioni

(9)

1.3 – Tailoring Aeroelastico

che alla fine portano alla rottura della struttura. L’esempio più comune che può verificarsi è una semiala, che sottoposta a un carico di portanza, va in torsione facendo aumentare l’incidenza della semiala che nuovamente fa crescere la portanza. L’entità della torsione dipende naturalmente dalla velocità di volo, perciò esisterà una velocità da non superare per cui le deformazioni sono sufficientemente grandi da arrivare a rottura.

Un altro fenomeno riguardante l’aeroelasticità statica fu osservato per la prima volta nel 1927, sul velivolo inglese Bristol Bagshot. Man mano che la velocità aumentava si registrava una diminuzione dell’efficacia degli alettoni fino ad arrivare a un comportamento di questi ultimi, opposto a quello atteso. Questo significa che per una pressione dinamica sufficientemente alta, la portanza non aumenta più, anzi tende a diminuire, all’aumentare della deflessione della superficie mobile. La causa è da ricercare nell’aumento del modulo del momento aerodinamico che tende a far picchiare la porzione di semiala considerata.

Questo fenomeno aeroelastico è detto inversione dei comandi, spesso esso non porta a un incidente catastrofico, ma è comunque importante tenerne conto nel progetto per evitarlo e assicurare al pilota una buona risposta dei comandi.

1.3 Tailoring Aeroelastico

Nel paper di Christine V Jutte e Bret K Stanford 2014 si presenta una panoramica dello stato attuale del Tailoring Aeroelastico e delle sue potenzialità.

Due dei principali obiettivi nel progetto della struttura dell’ala sono la riduzione del peso e l’aumento dell’aspect ratio per ridurre la resistenza indotta. Un’ala snella, quindi con un alto aspect ratio, per cui si è anche minimizzato il peso è più propensa ad andare incontro ad instabilità aeroelastica, per questa ragione il tailoring aeroelastico diventa importante per l’ottimizzazione delle strutture moderne.

Il tailoring aeroelastico è la progettazione di un’ala utilizzando materiali compositi, che essendo ortotropi permettono di ottimizzare le prestazioni aeroelastiche, ma anche ottenere specifici comportamenti in termini di rigidezza e resistenza. In pratica, l’utilizzo di materiali compositi permette di avere una rigidezza che differisce lungo tre direzioni ortogonali tra loro, da cui si può ottenere un certo accoppiamento flesso-torsionale che eviti che l’ala progettata vada incontro a instabilità aeroelastiche.

Facendo riferimento alla figura1.2si definisce la primary stiffness direction della semiala come il luogo dei punti dove la struttura presenta una maggiore rigidezza a flessione.

L’asse di riferimento è invece l’asse elastico della struttura convenzionale. Quando la primary stiffness direction è spostata in avanti rispetto all’asse di riferimento si crea un accoppiamento flesso-torsionale che tende ad abbassare il bordo d’attacco (wash-out). Se al contrario la primary stiffness direction è inclinata verso poppa si crea un accoppiamento flesso-torsionale che tende ad alzare il bordo d’attacco (wash-in).

In figura 1.2vengono indicati i diversi vantaggi dell’inclinare l’asse di primary stiffness verso la parte anteriore o posteriore. In particolare, per un’ala in wash-out si tende a evitare la divergenza, mentre per un’ala in wash-in si previene il flutter.

Una degli esempi più rilevanti riguardante il tailoring aeroelastico è il Grumman X-29, velivolo sperimentale che ha la particolarità di avere un angolo di freccia negativo (For- ward Sweep) ed è stato reso stabile proprio grazie all’utilizzo di diversi strati di materiale composito per costruire l’ala.

(10)

Figura 1.2: Effetti di una diversa inclinazione della primary stiffness direction, figura proveniente da Christine V Jutte e Bret K Stanford2014

Per una generica semiala sappiamo che quando viene caricata con un carico distribuito di portanza tende a flettere verso l’alto, ma questa flessione avrà effetti diversi sulla torsione a seconda che la freccia sia positiva o negativa. Vale a dire, che nel caso di freccia negativa la flessione dà come conseguenza un aumento di incidenza e questo crea instabilità, ovvero la condizione di divergenza si verificherà a velocità relativamente basse.

Per mostrare più precisamente gli effetti dell’ala a freccia cominciamo col definire θ come la variazione di incidenza streamwise a causa della deformazione elastica. Definiamo poi una prima coppia di versori ˆa1e ˆa2nella direzione dell’asse y body e del vento, rispettivamente.

La seconda coppia di versori è ˆb1e ˆb2 ed è ottenuta ruotando ˆa1e ˆa2dell’angolo di freccia Λ

ˆb1= cos(Λ)ˆa1+ sin(Λ)ˆa2

ˆb2= − sin(Λ)ˆa1+ cos(Λ)ˆa2

(1.1)

A questo punto si può scrivere la torsione attorno all’asse y come somma di due contributi:

θ =



θˆb1+dw dyˆb2



· ˆa1= θ cos(Λ) − dw

dy sin(Λ) (1.2)

Il primo contributo è dato dalla torsione attorno all’asse y, che è l’asse elastico della semiala, mentre il secondo contributo è la flessione attorno alla direzione definita dal versore ˆb2. Dall’equazione 1.2osserviamo che se la freccia è positiva Λ > 0 la flessione contribuisce a diminuire la torsione della semiala, al contrario se la freccia è negativa Λ < 0 abbiamo un incremento di torsione che rende instabile la configurazione.

1.4 Aeroelasticità Dinamica

Come detto in precedenza i fenomeni aeroelastici possono essere statici oppure dinamici.

In questa sezione si parlerà di aeroelasticità dinamica facendo particolare attenzione all’in- stabilità dinamica più importante e critica: il flutter. Si può definire il flutter aeroelastico

(11)

1.5 – Variable Angle Tow

come un’instabilità dinamica associata all’interazione tra carichi aerodinamici, forze elasti- che e inerziali che produce oscillazioni non smorzate. Quello che succede durante il flutter è che le forze aerodinamiche interagiscono con i modi propri della struttura alimentando delle oscillazioni che tendono a crescere di ampiezza fino ad essere distruttive per la strut- tura. In ambito aeronautico, il fenomeno del flutter interessa principalmente le superfici portanti, quindi in fase di progetto bisognerà fare attenzione a evitare l’instabilità di flutter per tutte le condizioni di volo previste. La velocità di flutter UF è definita come la minima velocità al quale una certa struttura che vola a una certa quota e a una certa temperatura, manifesta oscillazioni puramente armoniche. Allora volare alla velocità UF costituirà la condizione di stabilità neutra. Ne consegue che per velocità minori della velocità di flutter U < UF le oscillazioni strutturali tenderanno ad affievolirsi dato che il sistema è stabile, al contrario, per velocità maggiori U > UF potranno presentarsi oscillazioni divergenti.

Un’altra instabilità dinamica è il buffeting che consiste in vibrazioni transitorie ad alta frequenza di componenti strutturali dovute a degli impulsi aerodinamici prodotti dalla scia a valle delle semiali, delle nacelles e altri componenti del velivolo. Quello che può succedere è che l’impennaggio orizzontale riceve dalle semiali o dalle nacelles un flusso sporcato, con un alto livello di turbolenza che quindi dà l’innesco a delle vibrazioni strutturali.

1.5 Variable Angle Tow

I materiali compositi sono molto diffusi e utilizzati nel settore aerospaziale perché presenta- no un’ottima resistenza specifica e rigidezza e una buona vita a fatica. Tradizionalmente, i materiali compositi sono costituiti da fibre rettilinee orientate con un certo angolo e immerse in una matrice. Le fibre avranno una maggiore rigidezza della matrice che inve- ce, è importante per diminuire il peso del materiale. A causa del fatto che la rigidezza dipende dalla direzione considerata, variando l’angolo delle fibre varia il comportamento flesso-torsionale.

Negli ultimi anni però, grazie alla disponibilità di nuove tecnologie manifatturiere, è stato possibile produrre materiali compositi con fibre che seguono una traiettoria arbitraria fissata in fase di progettazione. Se da un lato è più complesso produrre materiali compositi con fibre curvilinee (VAT), dall’altro può diventare conveniente per ottenere un particolare comportamento della struttura.

L’utilizzo di uno specifico angolo di laminazione, quindi rimanendo nel caso di fibre rettilinee, può portare ad ottenere alte prestazioni da un certo punto di vista, andando però a penalizzare altri aspetti. L’esempio più comune è quello del laminato a ±45 con cui si può ottenere un’alta rigidezza torsionale, ma basse performance a flessione. Invece, come viene riportato in A. Viglietti, E. Zappino e E. Carrera2019, l’utilizzo di un laminato VAT permette un maggiore controllo della rigidezza della struttura anche in accordo con i carichi che deve sostenere ed evita l’introduzione di discontinuità nella struttura che ci sarebbero se l’angolo delle fibre avesse una variazione improvvisa.

A questo proposito, Stodieck et al.2013pubblicarono uno studio che illustra i vantaggi in termini aeroelastici nell’utilizzo di VAT rispetto alle fibre unidirezionali. L’indagine è stata svolta per una piastra rettangolare incastrata a una estremità. La piastra considerata è un laminato simmetrico con 8 strati per il quale si assume che gli spostamenti siano continui da uno strato all’altro. Vengono inoltre previsti dei carichi aerodinamici quasi

(12)

stazionari usando la strip theory che permette una variabilità continua dei carichi lungo l’apertura alare.

Viene quindi effettuato uno studio parametrico per studiare le proprietà strutturali e aeroelastiche per diversi laminati VAT. Si prevede che i quattro strati interni siano a fibre unidirezionali inclinate di 45°, mentre i quattro strati più esterni siano ad angolo di fibre variabile linearmente dalla radice (T0) al tip (T1) della piastra. Lo studio consiste proprio nel far variare gli angoli T0 e T1, in modo indipendente, in un range tra −45° e +45°.

Una prima considerazione che viene fatta è che grazie al VAT è possibile ottenere un asse elastico non rettilineo, infatti può risultare conveniente avere un asse elastico che curva in avanti quando si è vicini al tip della piastra in modo da dare un’alta rigidezza torsionale al tip senza sacrificare la rigidezza flessionale verso la radice. Sappiamo però che la rigidezza torsionale è legata alla velocità di divergenza: se le fibre curveranno verso il bordo di fuga la velocità di divergenza diminuirà fino a essere anche minore della velocità di flutter, mentre se curvano verso il bordo d’attacco la velocità di divergenza diventerà sufficientemente alta da essere al di fuori di un eventuale inviluppo di volo.

Discorso diverso per la condizione di flutter: essa si verifica a velocità più basse quando le fibre sono dirette lungo la direzione spanwise, questo perché in queste condizioni è facilitata la coalescenza tra il I modo flessionale e il I modo torsionale. D’altra parte, aumentando l’angolo delle fibre inizia ad aumentare la velocità di flutter fino ad arrivare al valore massimo di 67 m/s per il seguente laminato VAT: Root[−45 45 − 45 45]s/T ip[−27 27 − 45 45]s, mentre la velocità di flutter per il laminato unidirezionale [−45 45 − 45 45]s

è di 59 m/s. In conclusione, è possibile aumentare del 14% la velocità di flutter grazie all’utilizzo del laminato VAT.

1.5.1 Produzione di un laminato VAT

Kim, Potter e Weaver 2012 sottolineano che il metodo di produzione più diffuso per i compositi VAT rimane il cosiddetto Automated Fibre Placement (AFP). Questa tecnica consiste nel deporre e stirare delle matasse pre-impregnate dette ’slit tape’ lungo un per- corso curvilineo. Questo processo di produzione, però porta con sé dei difetti di produzione come il fiber wrinkling, ma anche vuoti lasciati dalle fibre, detti tow gaps oppure sovrap- posizioni, tow overlap. Nello specifico, la testa AFP ruota e stende le fibre utilizzando una deformazione per flessione nel piano e questo porta a buckling nella parte interna del tracciato curvo, mentre porta a trazione all’esterno del tracciato. Inoltre, si definisce un percorso di riferimento, come guida per la deposizione delle fibre, che man mano viene traslato per riempire tutto il pannello di materiale composito. Questo però, porta ai difetti di produzione già citati: tow gaps e tow overlaps.

Quando si parla di variazione lineare dell’angolo delle fibre utilizzando lo shifting me- thod, ovvero il metodo appena descritto, si utilizza la seguente notazione per indicare il percorso delle fibre:

φ ± hT0| T1i (1.3)

Ovvero l’angolo delle fibre θ nel generico punto del pannello è:

θ(x0) = φ + (T1− T0)|x0|

d + T0 (1.4)

(13)

1.6 – Obiettivi

Dove con T0 si indica l’angolo di inclinazione delle fibre in un certo punto di riferimento A. φ è invece la rotazione del sistema di riferimento delle fibre x0− y0 rispetto al sistema di riferimento globale x − y. Infine T1 è l’orientazione delle fibre alla distanza d dal punto A.

Negli ultimi anni, si è cercato di ridurre i difetti di produzione descritti in precedenza e a questo proposito si è sviluppata una tecnica innovativa chiamata Continuous Tow Shearing (CTS). Nella tecnica tradizionale AFP la testa ruota attorno al suo asse verticale mentre deposita le fibre e utilizza una in-plane deformation per ottenere le fibre curve. Nel CTS invece, si applica continuamente uno sforzo di taglio alle fibre che riescono quindi ad adattare il loro raggio di curvatura e ad evitare sovrapposizioni o spazi vuoti.

1.6 Obiettivi

Questa tesi si articola in una serie di analisi statiche, dinamiche e aeroelastiche su diversi modelli con l’obiettivo di verificarne l’accuratezza e di studiare il comportamento di diversi tipi di strutture con particolare attenzione alle strutture composite con fibre curvilinee. Il cuore di questa tesi sarà quindi studiare il comportamento aeroelastico di alcune strutture mettendo in luce le differenze nelle prestazioni di diverse laminazioni.

Per eseguire queste analisi bisogna innanzitutto costruire un modello aeroelastico, in pratica costituito dall’unione tra un modello strutturale e uno aerodinamico. Per il modello strutturale si sfrutta la Carrera Unified Formula per poter affinare modelli più semplici come la trave o la piastra. Il modello aerodinamico è invece costruito sfruttano il Doublet Lattice Method che divide con una griglia l’intera superficie aerodinamica e assegna a ogni quadrilatero una doppietta proporzionale al salto di pressione.

(14)
(15)

Capitolo 2

Modello Strutturale

2.1 Principio degli Spostamenti Virtuali (PVD)

Nell’ambito delle strutture aeronautiche è possibile studiare il comportamento di una strut- tura da diversi punti di vista, svolgendo diversi tipi di analisi. Di seguito, la descrizione del problema verrà fatta utilizzando il principio degli spostamenti virtuali (PVD) Il primo tipo di analisi è quello della risposta statica che considera l’effetto delle forze elastiche e dei carichi esterni. Allora dovranno bilanciarsi il lavoro interno e il lavoro dei carichi esterni:

δLint = δLext (2.1)

Il lavoro interno è definito dalle tensioni e dalle deformazioni in un corpo generico di volume V perciò si può scrivere:

δLint = Z

V

δTσ dV (2.2)

Introducendo quindi l’approssimazione agli elementi finiti esprimiamo il lavoro interno utilizzando la matrice di rigidezza K e il vettore degli spostamenti nodali U :

δLint= δUTKU (2.3)

D’altra parte il lavoro dei carichi esterni, che in ambito aeroelastico sarà il lavoro dei carichi aerodinamici, può essere espresso come:

δLext= δUTP (2.4)

Da cui otteniamo che

P = KU (2.5)

Per cui si può ricavare il vettore degli spostamenti U che è l’incognita del problema.

Se invece, si vuole svolgere lo studio dal punto di vista della dinamica strutturale, si devono considerare le forze inerziali e le forze elastiche. Lo studio prende il nome di Free Vibration Analysis e permette di ottenere le frequenze e i modi propri della struttura. Il PVD nel caso dinamico e in assenza di carichi esterni si esprime come:

δLint= −δLine (2.6)

(16)

Il lavoro delle forze inerziali, dimensionalmente è il prodotta tra massa, accelerazione e spostamento, allora è immediato scrivere:

δLine= Z

V

δuTρ¨u dV (2.7)

Dove ¨u indica il vettore spostamento derivato due volte rispetto al tempo. Utilizzando nuovamente l’approssimazione FEM possiamo scrivere:

δLine= δUTM ¨U (2.8)

A questo punto sfruttando l’equazione2.6si ottiene:

δUTKU = −δUTM ¨U (2.9)

Infine,

M ¨U + KU = 0 (2.10)

Il terzo e ultimo caso considera tutti e tre i tipi di lavoro: inerziale, elastico e esterno.

Perciò scriviamo

δLint+ δLine = δLext (2.11)

Sostituendo con le definizioni precedenti:

δUTM ¨U + δUTKU = δUTP (2.12)

M ¨U + KU = P (2.13)

2.2 Carrera Unified Formula

Nell’ambito di questa tesi, viene utilizzato un approccio basato sulla Carrera Unified For- mulation (CUF), presentato in modo completo da Erasmo Carrera 2014, che permette di derivare matrici e vettori degli elementi finiti in termini di nuclei fondamentali. In modo intuitivo, si può dire che la CUF ha lo scopo di migliorare l’accuratezza dei modelli trave e piastra aumentando relativamente poco il costo computazionale e mantenendo un numero di gradi di libertà più basso rispetto ai modelli 3D agli elementi finiti.

Per entrare nello specifico della CUF prendiamo in esame una trave incastrata a un estremo e libera nell’altro, con l’asse y passante per l’asse della trave come rappresentato in Figura2.1

Il modello più semplice di trave sarebbe un modello unidimensionale in cui lo sposta- mento è funzione solo di y, quindi è costante sull’intera sezione trasversale. Volendo però, aumentare l’accuratezza si utilizza un modello tridimensionale che quindi consideri che lo spostamento è variabile sia lungo l’asse, ma anche sul piano xz: uy = uy(x, y, z), così da poter descrivere anche il comportamento di una generica sezione della trave.

Per iniziare a descrivere la CUF, diciamo che si può esprimere il campo di spostamenti nelle tre direzioni come prodotto di due funzioni: una che descriva gli spostamenti sulla generica sezione e l’altra che li descriva lungo l’asse y.

u = f (x, z) · g(y) (2.14)

(17)

2.2 – Carrera Unified Formula

y z

Figura 2.1: modello di trave

Per approssimare gli spostamenti lungo l’asse y si possono usare le funzioni di forma Ni(y), tipiche della formulazione agli elementi finiti, mentre si utilizzano i coefficienti ui(x, z) per descrivere gli spostamenti sulla sezione. A questo punto, l’approssimazione che si fa è dire che gli spostamenti sulla sezione sono esprimibili come una sommatoria di funzioni moltiplicati per gli spostamenti modali:

ui(x, z) = Fτ(x, z)uτ i

= F1(x, z)uτ 1+ F2(x, z)uτ 2+ ... + FM(x, z)uτ M

(2.15) Perciò il campo di spostamenti è espresso come:

u(x, y, z) = Ni(y)Fτ(x, z)uτ i (2.16) Introduciamo ora lo spostamento virtuale utilizzando l’indice s al posto di τ e j al posto di i:

δu = Nj(y)Fs(x, z)δusj (2.17)

E con lo scopo di ricavare il lavoro interno scriviamo i vettori di tensione e deformazione:

(x, y, z) = bNi(y)Fτ(x, z)uτ i (2.18) σ(x, y, z) = CbNi(y)Fτ(x, z)uτ i (2.19) E la deformazione virtuale:

δ(x, y, z) = bNj(y)Fs(x, z)δusj (2.20) Avendo indicato con b la matrice 6 × 3 degli operatori differenziali, costruita in modo da legare gli spostamenti e le deformazioni. Tale matrice viene esplicitata nell’equazione2.21.

b =

∂x 0 0

0 ∂y 0 0 0 ∂z

∂z 0 ∂x 0 ∂z ∂y

∂y

∂x 0

(2.21)

(18)

Inoltre, C è la matrice 6 × 6 che contiene le caratteristiche di rigidezza del materiale, provenienti dalla legge di Hooke che lega tensione e deformazione.

Per definizione il lavoro interno è:

δLint = Z

V

δTσ dV (2.22)

Quindi utilizzando le equazioni2.19e2.20giungiamo alla scrittura finale:

δLint= δuTsj Z

V

[Nj(y)Fs(x, z)bTCbNi(y)Fτ(x, z)]dV uτ i (2.23) L’integrale di volume appena scritto è una matrice 3 × 3 e viene chiamata fundamental nucleus e indicata con kτ sij. Il lavoro interno è quindi:

δLint= δuTsjkτ sijuτ i (2.24)

2.2.1 Assemblaggio

Utilizzando la CUF l’assemblaggio delle matrici è un’operazione facilmente implementabile in un codice per il calcolatore. Il procedimento consiste in quattro loop sui quattro indici definiti in precedenza τ, s, i, j e per ogni combinazione di questi indici viene calcolato lo specifico fundamental nucleus. Per la complessità del problema, però avremo diversi tipi di matrici da assemblare: sapendo che ogni nucleo fondamentale è una matrice 3 × 3, esso va ad assemblarsi con la matrice del nodo costruita facendo variare τ e s, ovvero gli indici delle funzioni definite sulla sezione trasversale nel caso di modello di trave raffinata.

Il passo successivo è costruire la matrice degli elementi facendo variare gli indici i e j che definiscono ciascun nodo dell’elemento considerato. Infine, eseguendo il ciclo su ogni elemento si arriva alla costruzione della matrice di rigidezza globale. La Figura2.2è uno schema del procedimento di assemblaggio delle matrici.

2.2.2 Adattamento della CUF a diversi modelli

Ricordiamo che il campo di spostamenti per un modello 1D, è definito lungo l’asse dalle funzioni di forma Ni(y) e dalle funzioni Fτ(x, z) sulla sezione trasversale.

u = Ni(y) Fτ(x, z)uτ i (2.25) Nell’ambito della CUF si ha la possibilità di estendere la trattazione precedente anche ad altri modelli strutturali come la piastra, attuando delle semplici modifiche. Le funzioni di forma saranno costruite in modo diverso a seconda della dimensione del modello:

• 1D → Ni(y)

• 2D → Ni(x, y)

• 3D → Ni(x, y, z)

In modo complementare si modificheranno le funzioni Fτ:

• 1D → Fτ(x, z)

(19)

2.2 – Carrera Unified Formula

Figura 2.2: Schema per l’assemblaggio delle matrici. Immagine presa dal libro di Erasmo Carrera2014

• 2D → Fτ(z)

• 3D → 1

Quindi, ad esempio per una piastra, si usa un modello agli elementi finiti sulla superficie di riferimento, perciò i nodi FEM saranno sul piano xy, mentre lungo lo spessore z vengono utilizzate le funzioni Fτ(z) per descrivere gli spostamenti. Allora, in questo caso, il vettore degli spostamenti viene scritto così:

u(x, y, z) = Ni(x, y)Fτ(z)uτ i (2.26)

2.2.3 Espansioni in serie per la CUF

All’interno della struttura della CUF possiamo implementare diversi modelli con diversi gradi di accuratezza, che vanno a definire la serie di funzioni Fτ. Due sono le scelte più comuni:

• Espansione di Taylor (TE)

• Espansione di Lagrange (LE)

La differenza concettuale più importante tra i due modelli è che l’espansione di Lagrange ci permette di usare un approccio Layer Wise, ovvero dà la possibilità di modellizzare ogni layer del materiale composito con uno o più elementi. Al contrario, l’espansione di Taylor modellizza la sezione con un’unica funzione continua.

Utilizzare un modello unidimensionale con espansione di Taylor significa definire gli spostamenti come un’espansione in serie in cui compaiono x e z elevati a una certa potenza:

(20)

ux= ux1+ xux2+ zux3+ ... + xmznuxi

uy= uy1+ xuy2+ zuy3+ ... + xmznuyi

uz= uz1+ xuz2+ zuz3+ ... + xmznuzi

(2.27)

L’espansione di Taylor adottata avrà quindi ordine N (TE N), dove N è l’ordine massimo del polinomio adottato per descrivere il campo di spostamenti. Per chiarezza specifichiamo che T E 1 prevederà le tre seguenti funzioni Fτ: F1 = 1, F2 = x F3 = z. Mentre, ad esempio, T E 2 prevede 6 funzioni Fτ, saranno quindi da includere nell’espansione anche i seguenti termini: F4= x2, F5= xz, F6= z2.

All’interno dei modelli TE vengono inclusi come casi particolari i modelli di trave di Eulero Bernoulli e di Timoshenko, indicati rispettivamente con TE -1 e TE 0.

Per la trave di Eulero Bernoulli (EBBT) vengono fatte le seguenti ipotesi:

1. La sezione trasversale è rigida nel suo piano

2. La sezione può ruotare nel piano xy senza deformarsi 3. La sezione rimane perpendicolare all’asse della trave Allora si può scrivere il campo di spostamenti:

ux = ux1(y)

uy = uy1(y) + φz(y)x + φx(y)z uz = uz1(y)

(2.28)

Dove φz e φx sono rispettivamente, la rotazione attorno all’asse z e all’asse x. La terza ipotesi, però implica che γyz = γxy = 0. Questo ci permette di riscrivere le rotazioni φ:

(γxy = uy,x+ ux,y = φz+ ux1,y = 0

γyz = uy,z+ uz,y= φx+ uz1,y= 0 (2.29) Perciò il campo di spostamenti diventa:

ux= ux1

uy = uy1− ux1,yx + uz1,yz uz = uz1

(2.30)

D’altra parte per il modello trave di Timoshenko (TBT) viene meno un’ipotesi formulata in Eulero-Bernoulli: la sezione della trave può ruotare liberamente anche senza essere perpendicolare all’asse: γxy = 0/ γyz= 0/

Perciò viene mantenuta la linearità per quanto riguarda lo spostamento lungo y, ma le rotazioni φz φx non sono vincolate da nessuna condizione:

ux= ux1

uy = uy1+ φzx + φxz uz= uz1

(2.31)

(21)

2.2 – Carrera Unified Formula

Per un modello LE, le funzioni dell’espansione in serie Fτ coincidono con i polinomi di Lagrange. Solitamente i polinomi di Lagrange sono definiti in termini di coordinate normalizzate, perché rispetto alle coordinate fisiche danno alcuni vantaggi. Le coordinate normalizzate, definite in modo che la sezione sia contenuta tra -1 e 1, permettono più facilmente l’utilizzo dei polinomi di Lagrange e la loro successiva integrazione. Per riportare un esempio semplice, ma che fa capire la struttura del modello LE, si riportano i polinomi di Lagrange per una sezione a quattro nodi (L4)

Fτ =1

4(1 + αατ)(1 + ββτ) τ = 1,2,3,4 (2.32) Avendo chiamato α e β le coordinate normalizzate, mentre ατ e βτ sono le coordinate dei nodi. Un secondo tipo di LE model, che useremo più spesso nell’ambito di questa tesi, è quello che adotta nove nodi (L9) ed è descritto dalle seguenti espansioni:

Fτ = 1

42+ αατ)(β2+ ββτ) τ = 1,3,5,7 Fτ = 1

2βτ22+ ββτ)(1 − α2) + 1

2α2τ2+ αατ)(1 − β2) τ = 2,4,6,8 Fτ = (1 − α2)(1 − β2) τ = 9

(2.33)

Di conseguenza, il campo di spostamenti con un modello a nove nodi (L9 ) è:

ux = F1ux1+ F2ux2+ ... + F9ux9

uy = F1uy1+ F2uy2+ ... + F9uy9

uz = F1uz1+ F2uz2+ ... + F9uz9

(2.34)

Dove le incognite ux1, ux2, ..., uz9 sono le tre componenti di spostamento di ogni nodo definito dal modello. Un vantaggio nel modello LE è che i gradi di libertà del modello agli elementi finiti sono gli spostamenti fisici dei nodi e questo mantiene un alto livello di accuratezza e aderenza alla realtà.

(22)
(23)

Capitolo 3

Modello Aeroelastico

3.1 Divergenza in un profilo bidimensionale

Consideriamo l’esempio esplicativo riportato da Hodges e Pierce 2011 di un modello di un profilo generico a un grado di libertà, per cui è prevista solo la rotazione θ attorno a un punto O attraverso una molla torsionale di rigidezza k. Scrivendo quindi l’equilibrio dei momenti attorno al punto O posizionato a una distanza xo dal bordo d’attacco si può scrivere:

Mac+ L(xo− xac) − W (xo− xcg) − kθ = 0 (3.1) Dove Macè il momento aerodinamico attorno all’aerodynamic center che è posizionato alla distanza xac dal bordo d’attacco. L invece è la portanza agente sul profilo e W è il peso.

Per proseguire la trattazione possiamo esprimere il momento aerodinamico e la portanza nel seguente modo:

Mac= qScCM ac (3.2)

L = qSCα (3.3)

Dove abbiamo indicato con q la pressione dinamica, con S la superficie in pianta, con CM ac il coefficiente di momento, con C la pendenza della curva di portanza in funzione dell’incidenza α. Inoltre, quest’ultima può essere espressa come somma di un’incidenza dell’ala rigida e un’incidenza data dalla torsione θ. Allora l’equazione3.1può essere riscritta nella forma:

qScCM ac+ qSCR+ θ)(xo− xac) − W (xo− xcg) = kθ (3.4) Ora possiamo facilmente ricavare la torsione θ

θ = qScCM ac+ qSCαR(xo− xac) − W (xo− xcg)

k − qSC(xo− xcg) (3.5)

Dall’equazione3.5notiamo che sotto una particolare condizione, il denominatore può ten- dere a zero e quindi far tendere la torsione a infinito θ → ∞. La condizione appena citata è la condizione di divergenza e si verifica quando

k − qSC(xo− xac) = 0 (3.6)

(24)

Da ciò si ricava la pressione dinamica di divergenza

qD = k

SC(xo− xac) (3.7)

E dato che la pressione dinamica è definita come q = 1/2ρU , allora è immediato ricavare la velocità di divergenza

UD =

s 2k

ρSC(xo− xac) (3.8)

Affinché questa velocità esista deve essere ovviamente un numero reale positivo, perciò deve valere:

xo− xac> 0 (3.9)

Ovvero il punto attorno a cui avviene la torsione deve essere posteriore all’aerodynamic center. Se invece il punto xo è anteriore all’aerodynamic center, allora non esiste una velocità di divergenza e il sistema è stabile per qualsiasi velocità. Dalla relazione 3.8 si nota anche che la velocità di divergenza è funzione della densità dell’aria che investe il profilo, più precisamente la velocità di divergenza aumenta con la quota di volo.

Vogliamo ora ottenere una relazione che leghi in modo diretto l’angolo di torsione θ e la pressione dinamica q e per fare ciò facciamo delle ipotesi che ci permettano di semplificare l’equazione3.5. Ipotesi:

• Il profilo è simmetrico e questo implica che CM ac= 0

• Il centro di taglio coincide con il baricentro: xo ≡ xac

Si ottiene quindi che:

θ = qSCαR(xo− xac)

k − qSC(xo− xac) (3.10)

Ora dividendo numeratore e denominatore per qSC(xo− xac) e utilizzando l’equazione 3.7si giunge alla relazione cercata

θ = αR

qD/q − 1 (3.11)

Sapendo che la variazione di portanza per effetto della torsione θ è:

∆L = qSCθ (3.12)

E invece la portanza data dall’incidenza della semiala rigida è

Lrig = qSCαR (3.13)

Si può riscrivere l’equazione3.11per esprimere la variazione di portanza in funzione della pressione dinamica

∆L Lrig

= q/qD

1 − q/qD

(3.14) A questo punto può essere utile diagrammare ∆L/Lrig in funzione di q/qD utilizzando l’equazione3.14.

Dalla Figura 3.1 notiamo che l’incremento di portanza ∆L è una grandezza sempre crescente all’aumentare di q e in particolare, si osserva che per q/qD > 0.7 la torsione elastica e il conseguente aumento di portanza sono molto importanti e potrebbero anche portare a rottura.

(25)

3.2 – Flutter

0 5 10 15 20 25

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1

L/Lrig

q/qD

Figura 3.1: Andamento della portanza per torsione al variare della pressione dinamica

3.2 Flutter

A questo punto consideriamo un esempio semplice che ci permetta di mostrare come si svolge un’analisi di flutter di un modello con due gradi di libertà. Il modello adottato è costituito da un profilo alare generico, rigido che si può muovere nel piano per mezzo di una molla torsionale e una traslazionale. Sul profilo possiamo distinguere quattro punti importanti:

• P: punto attraverso cui passa l’asse elastico

• C: centro di massa

• Q: aerodynamic center

• T: punto posto a 3/4 della corda, utile per i metodi a superfici portanti

Inoltre per definire la posizione di C e P si utilizzano i parametri adimensionali e, a.

Quindi la distanza di C e di P dal bordo d’attacco saranno rispettivamente:

xc= (1 + e)b

xp= (1 + a)b (3.15)

Con b che rappresenta la metà della corda del profilo considerato. La rigidezza della molla traslazionale è kh, mentre di quella torsionale è kθ. Per ricavare le equazioni del moto sfruttiamo le equazioni di Lagrange che richiedono la scrittura dell’energia potenziale e cinetica. L’energia potenziale deriva dall’energia elastica delle due molle che si esprime come:

P = 1

2khh2+1

2kθθ2 (3.16)

Per l’energia cinetica, invece dobbiamo prima esprimere la velocità del baricentro:

VC = − ˙hˆi2+ b ˙θ(a − e)ˆb2 (3.17)

(26)

Dove il primo termine indica la velocità del punto P, mentre il secondo termine rappresenta la velocità di rotazione del punto P attorno al punto C, infatti la distanza tra i due è r = (a − e)b. L’espressione per l’energia cinetica è:

K = 1

2mVC· VC+1

2ICθ˙2 (3.18)

Utilizzando quindi l’equazione3.17e ipotizzando che θ sia sufficientemente piccolo da poter confondere il versore ˆb2 con il versore ˆi2 l’energia cinetica diventa:

K = 1

2m ˙h2+ b2x2θθ˙2+ 2 ˙h ˙θbxθ

+1

2ICθ˙2 (3.19)

Che per comodità può essere riscritta sfruttando l’uguaglianza tra momenti di inerzia IP = IC+ mb2x2θ

K = 1

2m ˙h2+ 2 ˙h ˙θxθb) + 1

2IPθ˙2 (3.20)

Per ricavare le forze generalizzate dei due gradi di libertà consideriamo il lavoro compiuto dalla portanza e dal momento aerodinamico. Per fare ciò scriviamo prima lo spostamento dell’aerodynamic center Q:

δpQ= −δhˆi2+ (1/2 + a) bδθˆb2 (3.21) Quindi il lavoro virtuale dei carichi aerodinamici è:

δW = L



−δh +

1 2+ a

 bδθ



+ M1/4δθ (3.22)

E le forze generalizzate sono:

Qh= − L Qθ=

1 2+ a



bL + M1/4

(3.23)

A questo punto riportiamo le equazioni di Lagrange che ci permettono di arrivare all’equa- zione del moto:

d dt

∂(K − P )

∂ ˙qi



∂(K − P )

∂qi

= 0 (3.24)

In cui qi è il grado di libertà i-esimo. Perciò, avendo considerato un sistema a due gradi di libertà, avremo il seguente sistema di due equazioni del moto:

(m¨h + bxθm¨θ + khh = −L

mbxθ¨h + IPθ + k¨ θθ = M1/4+ b 12 + aL (3.25) Nel caso di modello aerodinamico stazionario valgono le seguenti uguaglianze:

L = 2πρU2θb M1/4 = 0 (3.26)

Mentre in modelli più complessi L = f (θ, ˙θ, ˙h, ¨θ, ¨h) e questo ci permette di dire che le equazioni del moto rimangono delle equazioni differenziali ordinarie e omogenee.

(27)

3.3 – Modello Aerodinamico

In generale quindi, le equazioni del moto in forma matriciale saranno esprimibili in questo modo:

[M + Max + [Ca] ˙x + [K + Ka]x = 0 (3.27) Dove x è il vettore dei gradi di libertà, M è la matrice di massa, C è la matrice di smor- zamento e K è la matrice di rigidezza. Il pedice a indica invece che sono termini derivanti dai carichi aerodinamici.

La relazione 3.27, essendo un sistema di equazioni differenziali omogenee deve essere risolta con un problema agli autovalori. Si dice quindi che la soluzione sarà nella forma:

x = xeλt e derivando rispetto al tempo e sostituendo nell’equazione3.27si ottiene:

[(M + Ma2+ Caλ + (K + Ka)]xeλt= 0 (3.28) A questo punto si ricava il polinomio caratteristico facendo il determinante della matrice e uguagliandolo a zero: det[ ] = 0. Le incognite sono gli autovalori complessi λi. La condizione per cui si presenta il fenomeno del flutter è che almeno uno degli autovalori ha parte reale positiva, mantenendo parte immaginaria non nulla.

λi= λRi± λIi (3.29)

Questo perché la parte reale dell’autovalore rappresenta lo smorzamento, mentre la parte immaginaria rappresenta le oscillazioni. Nello specifico:

• se λR < 0 le oscillazioni sono smorzate

• se λR = 0 il moto del sistema è puramente armonico

• se λR > 0 le oscillazioni sono amplificate: siamo in condizione di flutter

Inoltre, sappiamo che gli autovalori dipendono dalla velocità di volo e di solito si osserva che aumentando la velocità le frequenze di oscillazione di due gradi di libertà iniziano ad avvicinarsi. La condizione di flutter si verifica quando avviene la coalescenza di due frequenze di oscillazione. Quest’ultima però non è una regola fissa perché può accadere, con modelli aerodinamici non stazionari, che si presenti il flutter anche quando due modi di vibrare hanno frequenze simili, ma non c’è una vera coalescenza.

3.3 Modello Aerodinamico

Per eseguire delle analisi aeroelastiche bisogna definire, oltre al modello strutturale, anche un modello aerodinamico e in un secondo momento far dialogare i due modelli in modo che i risultati ottenuti tengano conto della mutua influenza tra carichi aerodinamici e deformazioni elastiche della struttura.

La teoria utilizzata nell’ambito di questa tesi è il Doublet Lattice Method, che viene descritta dettagliatamente nella tesi di dottorato del prof. Petrolo 2011. Le ipotesi che caratterizzano questa teoria sono le seguenti:

• Le superfici portanti sono modellizzate come superfici infinitamente sottili su cui vengono poste delle singolarità

(28)

• La viscosità viene trascurata

• L’effetto dello spessore viene trascurato

• Le condizioni al contorno, ovvero le condizioni di tangenza del flusso, vengono imposte su un punto caratteristico di ogni pannello detto control point

• Viene risolto un sistema di equazioni lineari algebriche per determinare l’intensità delle singolarità

A questo punto è importante legare la componente normale della velocità (normalwash velocity) al salto di pressione su ogni pannello per poter poi conoscere quanto valgono i carichi aerodinamici sulla struttura. Questo legame in realtà deriva dall’equazione del potenziale aerodinamico linearizzato, di cui si trova una descrizione completa in Blair1992.

Definendo W come il normalwash perpendicolare a una superficie oscillante, ∆P come il salto di pressione, possiamo scrivere le seguenti relazioni per introdurre delle grandezze adimensionali:

w = W

V ∆p = ∆P

1

2ρV2 (3.30)

Dove ρè la densità dell’aria, e Vè la velocità di free stream. Nel caso di moto armonico si può scrivere:

w = weiωt ∆p = ∆peiωt (3.31)

Allora la componente normale della velocità, in un punto di coordinate x, y dovute al salto di pressione ∆p nel punto ξ, η sarà data dalla seguente equazione:

w = 1

Z

A

∆pK(x0, y0, ω, M ) dA (3.32) Dove K è la funzione kernel del potenziale di accelerazione che dipende dalla pulsazione ω, dal numero di Mach e dalla distanza (x0, y0), quest’ultima definita come:

x0 = x − ξ y0= y − η (3.33)

3.3.1 Vortex Lattice Method

A questo punto è bene fare una precisazione: il Vortex Lattice Method (VLM) è un metodo che può essere utilizzato per il calcolo della parte stazionaria del modello aerodinamico, mentre il DLM è adatto al calcolo dell’aerodinamica instazionaria. Il VLM, come il DLM, modellizza le superfici portanti come delle lamine infinitamente sottili su cui vengono poste delle singolarità di tipo vortice, nell’ambito del VLM, o doppietta, nell’ambito del DLM, per poter calcolare la distribuzione di portanza e la resistenza indotta. Più precisamente la superficie viene divisa in un certo numero di pannelli quadrilateri e a ogni pannello viene assegnato un vortice a ferro di cavallo (horseshoe vortex) di una certa intensità e posizionato nel load point, ovvero a un quarto della lunghezza della corda.

L’equazione chiave per il VLM è la seguente:

aΓij =VijT · ni (3.34)

(29)

3.3 – Modello Aerodinamico

Dove si è indicato con Vij la velocità indotta nel control point del pannello i-esimo a causa dal vortice posizionato sul pannello sorgente j-esimo. Inoltre, aΓij viene detto coefficiente di influenza e ni è il versore ortogonale al pannello i.

La condizione di tangenza deve essere imposta per ogni pannello della superficie consi- derata in modo che il flusso rimanga sempre tangente ad essa. Assumendo che la direzione del flusso indisturbato a monte sia parallela all’asse x, per il pannello i la condizione di tangenza viene scritta in questo modo:

aΓi1Γ1+ aΓi2Γ2+ ... + aΓiNΓN+ ViT · ni= 0 (3.35) Dove Γ1, Γ2, ..., ΓN sono le circuitazioni degli N pannelli sorgente e i è il versore parallelo all’asse x. Allora assumendo l’ipotesi di piccole perturbazioni, possiamo scrivere:

iT · ni = sinαi= −dZi loc

dx (3.36)

È immediato osservare che −dZdxi loc è uguale alla componente normale della velocità al pannello i, perciò possiamo riscrivere l’equazione3.35come:

aΓi1Γ1+ aΓi2Γ2+ ... + aΓiNΓN = Vwi (3.37) Il salto di pressione a cavallo di un pannello è una grandezza importante della teoria di VLM e DLM, quindi è bene utilizzare la relazione che lega la circuitazione del pannello sorgente j con il relativo salto di pressione:

Γj = 1

2V∆xj∆pj (3.38)

Allora la condizione al contorno di tangenza per il pannello i-esimo verrà scritta come:

1

2∆x1aΓi1∆p1+1

2∆x2aΓi2∆p2+ ... +1

2∆xNaΓiN∆pN = wi (3.39)

3.3.2 Doublet Lattice Method

Il Doublet Lattice Method è un metodo agli elementi finiti per la risoluzione dell’integrale che definisce la normalwash velocity per quanto concerne la sua componente instazionaria.

Seguendo l’esaustiva trattazione riportata da Rodden, Taylor e McIntosh 1998, si può scrivere l’equazione3.32in forma matriciale:

{w} =D{∆p} (3.40)

Dove D è una matrice chiamata normalwash factor e ogni suo elemento ha la seguente forma:

Dij = ∆xj

Z +ej

−ej

Kijj (3.41)

Avendo indicato con ej la metà della lunghezza del pannello j-esimo in direzione ηj che è la coordinata locale del pannello in direzione spanwise.

Riferimenti

Documenti correlati

A new interest to favour popular training in different European languages can be observed in all member states, in the global context represented by the policy lines directed to

Sapendo che alla voce 22 del Conto Economico le imposte imputate sono l’Imposta sul reddito delle Società e l’imposta Regionale sulle Attività produttive, di norma la prima

135 del TUID (Testo Unico delle Leggi sulle imposte dirette), sulla determinazione analitica del reddito complessivo netto, alla lettera c) prevedeva che “i redditi derivanti da

(E–G) Paired plots for baseline and 6 month lymphoid (E), myeloid (F) and fibroid (G) eigengene scores in patients who achieved good or poor clinical responses to DMARD treatment at

Brinkman’s equation with variable permeability, [7], has been of great utility in the analysis of a transition layer between a Darcy porous layer and a channel

I quark e i leptoni sono davvero fondamentali, o sono a loro volta composti di particelle più elementari. Sappiamo che nell'universo ci deve essere molta più materia di quella

The conventional battery used in electric vehicle is a lithium-ion battery with graphite as the anode material, but the use of graphite as an anode component has

When one thinks in terms of a composite facelift, the vectors are dramatically different from the vectors of a conventional facelift since there is a strong superior