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“ La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente ”

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“La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente”

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Sommario

Introduzione ... 4

CAPITOLO 1 – Manifestare il proprio pensiero liberamente ... 7

1.1 Cosa si intende per libertà di manifestazione del pensiero in Italia .. 7

1.2 Manifestare il proprio pensiero in Europa e negli Stati Uniti ... 19

1.3 La libertà di espressione in una società multiculturale. ... 31

CAPITOLO 2 – La necessità dell’intervento del diritto nella società. ... 35

2.1 Le minoranze in una società multiculturale. ... 35

2.2 Discriminazioni e discorsi d’odio. ... 39

2.3 Regolamentazione del discorso d’odio online ... 43

2.4 Casi e sentenze sulla libertà di espressione ... 48

CAPITOLO 3 – Libertà di espressione e politicamente corretto ... 53

3.1 Cos’è il politicamente corretto ... 53

3.2 Applicazioni del politicamente corretto ... 59

3.3 Problematiche scaturite dal politicamente corretto ... 61

3.4 La cancel culture ... 67

3.5 Il politicamente corretto sui social ... 71

CAPITOLO 4 – Incontro tra diritto e società. ... 75

4.1 Pro e contro del politicamente corretto ... 75

4.2 L’incontro tra società e diritto ... 82

APPENDICE: La vicenda del DDL Zan ... 88

Conclusione ... 92

Bibliografia e sitografia ... 95

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Introduzione

“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.”

Albert Einstein non aveva tutti i torti. Come si sa gli atomi non possono essere scissi, ma i pregiudizi, così come gli stereotipi, si radicano così a fondo nella mente umana che diventa impossibile sradicarli. I pregiudizi possono essere considerati come teorie della personalità implicite relative a gruppi di persone definiti attraverso la categorizzazione sociale, indipendentemente dal fatto che si tratti dei gruppi ai quali apparteniamo o di quelli ai quali non apparteniamo;

questi pregiudizi possono essere sia positivi sia negativi, il razzismo, per esempio, è un pregiudizio che si basa innanzitutto sul processo psicologico di categorizzazione ed ha un risultato implicito della percezione visiva sull’inconscio. Gli stereotipi e i pregiudizi contribuiscono a definire la società.

Una società pluralistica e multiculturale avrà più categorizzazioni e di conseguenza più pregiudizi legati ai vari gruppi. L’uso di stereotipi è un segno di pigrizia mentale e aumenta quando si ha meno tempo per giudicare qualcuno, soprattutto nelle persone che hanno una visione semplicistica del mondo; pertanto, in una società che si trova in un periodo di transizione in cui ci sono ondate immigratorie, innovazioni o nuove categorie che si affermano sarà molto facile imbattersi in stereotipi e creare pregiudizi su ciò che non si può conoscere a pieno. Ciò che viene categorizzato e ritenuto diverso spesso subisce discriminazioni basate sugli stereotipi creati. Al fine di riuscire a vivere in una società multiculturale e pluralistica, mantenendo un clima armonioso e senza discriminazioni è necessario che ci siano delle regole etiche, morali e non solo che delineino quale dovrebbe essere un comportamento adeguato e rispettoso nei confronti degli altri individui, soprattutto verso le minoranze.

Nella società contemporanea, l’opinione pubblica è sempre più frammentata e divisa in schieramenti che si ritrovano non più basandosi solo su interessi comuni, ma facendosi forza a odiare un nemico comune.

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5 Sicuramente l’intervento del diritto nella società ha aiutato a difendere e riconoscere la libertà e la dignità di ogni individuo laddove veniva meno a causa di discriminazioni importanti nei confronti delle comunità più deboli.

La società contemporanea è regolamentata dal diritto che in senso oggettivo si riferisce al complesso delle norme che costituiscono l’ordinamento giuridico, mentre in senso soggettivo fa riferimento alla possibilità di agire per un proprio interesse, come difendere una propria libertà o un proprio diritto appunto. In questo elaborato inizialmente si troverà infatti come sono normate alcune delle libertà e dei diritti fondamentali dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Costituzione degli Stati Uniti d’America, in particolare la libertà di manifestare il proprio pensiero liberamente. Nonostante esistano già delle norme a difesa delle minoranze e contro le discriminazioni, che esse siano perpetrate per motivazioni di etnia, cultura, sesso, età, posizione sociale e così via, questo non è sufficiente per porre fine a tali atti.

Come si dovrebbe agire perciò al fine di creare un ambiente inclusivo e senza discriminazioni?

Una soluzione potrebbe essere quella di rieducare la società a partire dalla comunicazione e dal linguaggio cercando di cambiare i termini offensivi e discriminatori con parole accettate dalle comunità al fine di eliminare gli stereotipi e i pregiudizi; è questo lo scopo principale del politicamente corretto. La scelta di spiegare come è normata la libertà di espressione nella giurisprudenza americana serve proprio a comprendere meglio in quale ambiente e contesto sia nato il politicamente corretto e perché sia visto in modo così negativo dall’opinione pubblica americana. Per quanto sia nobile il fine di questa ideologia occorre capire le motivazioni che la rendono tanto discussa;

il politicamente corretto è infatti accusato di porre delle limitazioni della libertà di espressione e di creare una dittatura del pensiero rendendolo conforme e annullandone la pluralità. Se così fosse spetterebbe al diritto intervenire per difendere tali libertà, ma allo stesso modo spetta al diritto difendere coloro che si ritrovano offesi o discriminati con atti di violenza

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6 verbale o fisica. Perciò il diritto potrebbe intervenire ulteriormente a difesa delle minoranze senza ledere le libertà fondamentali?

L’obiettivo di questa tesi è appunto analizzare le condizioni della società contemporanea e le problematiche che risiedono in un ambiente multiculturale cercando di capire come il politicamente corretto potrebbe contribuire nella creazione di una comunità libera da discriminazioni. In una società democratica le leggi stabiliscono quali comportamenti sono accettabili e quali no e dal punto di vista sociologico è importante analizzare il rapporto tra norme, valori e leggi per poter comprende in quale modo e quantità spetti al diritto subentrare per regolamentare le situazioni di criticità.

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CAPITOLO 1 – Manifestare il proprio pensiero liberamente

1.1 Cosa si intende per libertà di manifestazione del pensiero in Italia

La libertà di pensiero è il diritto a coltivare e a sviluppare il proprio modo di pensare, non condizionato e non soggiogato dalla volontà di chi detiene il potere. Alla libertà di pensiero si accompagna la libertà di parola, che garantisce l’espressione di ciò che si pensa e l’ascolto di ciò che pensano gli altri. Già dall’antica Grecia la libertà di manifestare il proprio pensiero indicava la presenza di una democrazia; tutti i cittadini avevano la libertà di dire quello che pensavano, c’era la libertà di discussione e di critica di ciò che non funzionava all’interno della polis. Era cioè una garanzia che proteggeva il sistema da degenerazioni tiranniche e dispotiche, garantendo la democrazia.

Ancora oggi questa libertà è alla base delle democrazie e rappresenta un diritto difeso e regolamentato.

In Italia la libertà di manifestazione del pensiero è tra le principali libertà e diritti fondamentali proclamati e protetti dalla nostra Costituzione1. Tale libertà viene normata nell’articolo 21 della stessa e nasce dall'evoluzione subita della libertà di espressione in Italia nel corso della storia a partire dallo Stato liberale fino all'attuale Stato social democratico, con particolare riferimento all'eredità negativa lasciata dal fascismo.

Già nello Statuto Albertino2, emanato nel 1848, il tema della diffusione del pensiero era presente nell’articolo 28 che sanciva la libertà di stampa concedendo la possibilità tramite specifica legge di reprimerne gli abusi.

Successivamente tale libertà, viene repressa nel ventennio fascista, durante il quale il capo del governo Benito Mussolini controllava la stampa imponendo

1 Senato della Repubblica, Costituzione della Repubblica italiana, Roma, ed. 2021.

2 Carlo Alberto, Lo Statuto Albertino, Torino, 1848.

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8 ai direttori il consenso del prefetto sulle pubblicazioni e il sequestro preventivo.

Nel maggio del 1946 viene emanato il Regio Decreto numero 5613 che abolisce il sequestro preventivo e restituisce alla stampa il suo diritto di libertà.

Con l’entrata in vigore della Costituzione italiana il primo gennaio 1948, tale decreto viene assorbito e rielaborato nei commi terzo e quarto dell’articolo 21 che tuttora stabilisce le norme sulla libertà di manifestazione del pensiero e regolamenta la libertà di stampa.

La nozione di libertà, sino ad allora, era intesa come qualcosa di astratto che poteva applicarsi a una molteplice varietà di concetti. Dare al concetto di libertà un significato giuridico significa arrivare a una distinzione tra ordine politico, inteso come libertà dei popoli nei rapporti con le istituzioni, e ordine giuridico, che attraverso le leggi serve a definire proprio tali rapporti e le loro conseguenze.4

Il primo comma dell’articolo 21 della Costituzione italiana recita:

“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” 5

Tale norma costituzionale viene considerata una norma aperta, in quanto permette di far rientrare nella tutela anche situazioni che al momento della stesura della Carta non esistevano ne erano pensabili. Inoltre, la particolare ampiezza della formula costituzionale garantisce la titolarità del diritto a tutti i cittadini senza distinzione.

L’articolo 21 stabilisce il diritto di un soggetto di manifestare il proprio pensiero, ma non l’obbligo; pertanto, è garantito sia in positivo che in negativo.

Nessuno può essere costretto a manifestare il proprio pensiero, né può subire sanzioni per non averlo fatto. Quanto detto significa che ognuno è libero di manifestare il proprio pensiero, ma non è obbligato a farlo.6

3 https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:::1946;561 (Data di ultima consultazione:

9/01/2022).

4V. E. Orlando, Teoria giuridica delle guarantigie della libertà, in A.Brunialti (a cura di), Torino, Biblioteca di scienza politica, 1890, p. 920.

5 Senato della Repubblica, Costituzione della Repubblica italiana, Roma, ed. 2021, p. 15.

6 A. Pace, M. Manetti, Commento all’art. 21 della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 2006, p.76.

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9 Occorre però distinguere la libertà di pensiero dalla comunicazione del pensiero. La seconda infatti viene tutelata dall’articolo 15 della Costituzione:

“La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.” 7

La libertà di comunicazione del pensiero consiste nel diffondere ciò che si pensa ad una o più persone determinate, mentre la libertà di manifestazione del pensiero ha uno spettro più ampio e consiste nel comunicare il proprio pensiero a una collettività e a una pluralità di soggetti indeterminati.

La libertà di espressione si riferisce alla capacità di un individuo o di un gruppo di esprimere le proprie credenze, pensieri, idee ed emozioni su diverse questioni senza censura, ma tale libertà non è assoluta, bensì ha delle limitazioni. La libertà consiste nel poter fare ciò che viene permesso e non ciò che si vuole. I limiti a cui è sottoposto l’art. 21 sono previsti dalla norma stessa o da altre norme ricavabili dall’intera impalcatura costituzionale; sono presenti, pertanto limiti impliciti e limiti espliciti, l’art. 21 non consente però

“limitazioni interne”, cioè la libertà di pensiero e di espressione è intesa come garanzia, al di là che si tratti di opinioni, di fatti veri o falsi, di manipolazione della realtà.

Per quanto riguarda i limiti espliciti la norma stessa recita:

“Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.” 8

Il limite esplicito è il buon costume che rimane molto vago per adattarsi al contesto sociale di riferimento che muta nel tempo come l’evoluzione del costume sessuale e della moralità. Fatta eccezione per la satira, l’arte e la scienza, discipline normate nell’articolo 339 della Costituzione. Il limite, secondo la giurisprudenza, si riferisce all’esigenza di proteggere il pudore sessuale, con particolare riferimento alla situazione in cui si trovano i minori,

7 Senato della Repubblica, Costituzione della Repubblica italiana, Roma, ed. 2021p. 13.

8 Senato della Repubblica, Costituzione della Repubblica italiana, Roma, ed. 2021, p. 15.

9 Ivi, p. 19.

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10 cui la Costituzione dedica particolare attenzione. La nozione stessa di buon costume è molto discussa. Tale espressione appariva già nel diritto romano come “boni mores”, che riconosceva il divieto “degli atti di autonomia privata contrari ai boni mores accanto al divieto ulteriore e diverso dei negozi contrari al diritto inderogabile”10. Secondo questa accezione però il buon costume finisce per essere un limite eccessivamente ampio dei diritti costituzionali, sia perché il campo che copre è immenso, finendo per toccare qualunque convincimento etico e per coincidere con la morale comune, sia perché l’indeterminatezza dell’espressione è tale da lasciare un margine amplissimo all’interprete, che è incompatibile con una garanzia efficace dei diritti. Per questo motivo a partire dagli anni Settanta si è riscontrata una trasformazione della nozione di buon costume da parte della giurisprudenza che ha indicato la sua definizione all’interno dei principi generali dell’ordinamento e dei valori costituzionali, poiché tramite il rinvio alla coscienza diffusa, risulterebbe incompatibile con l’ispirazione pluralista della Costituzione.11 La formula ora presente in Costituzione era stata immaginata sin dall’inizio come un mezzo per cogliere contemporaneamente due risultati: evitare di ricadere negli eccessi repressivi del fascismo, che aveva inteso tutelare la morale nazionale reprimendo ogni forma di dissenso; impedire il pervertimento delle coscienze soprattutto dei più giovani, che si voleva non fossero esposti ai messaggi osceni. Inoltre, nella giurisprudenza costituzionale appare un legame tra buon costume e dignità umana sicché il primo limite sembra risolversi in quello dell’intangibilità della seconda.

Prendendo in considerazione la dignità, l’onore e la reputazione altrui, la manifestazione del pensiero viene a scontrarsi inevitabilmente con i valori della persona. Tali limiti, come il reato di diffamazione, possono essere regolamentati dal Codice penale, questo nello specifico all’articolo 59512 che

10 A. Guarneri, Buon costume, in Dig. disc. priv. (Sez. civ.), Torino, UTET, 1988, p. 121.

11 G. Terlizzi, Buon costume e ordine pubblico (in diritto comparato), in Dig. disc. priv. (Sez. civ.), Torino, UTET, 2016, p. 15.

12 https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-ii/art595.html (Data di ultima consultazione 9/01/2022).

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11 punisce colui che offende la reputazione altrui comunicando con più persone e in assenza del soggetto leso, con un’aggravante se la diffamazione avviene a mezzo stampa.

Per quanto riguarda la stampa infatti l’articolo 21 recita:

“La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo d'ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.” 13

Tale norma comprende quindi il diritto di cronaca che appunto non può essere soggetto ad autorizzazioni o censure e pertanto il reato di diffamazione non sussiste qualora il giornalista riporti fatti veri, in modo oggettivo e che vi sia un interesse pubblico delle notizie narrate. Da tenere in considerazione c’è anche l’equilibrio tra libertà di stampa e tutela della reputazione della persona.

L’onore e la reputazione sono diritti rappresentati negli articoli 2 e 3 della Costituzione e tutelati nella legislazione ordinaria con la sanzione del reato di diffamazione, inteso come offesa perpetrata ai danni di una persona assente tramite comunicazione con due o più persone. L’equilibrio consiste nel garantire un’adeguata tutela della reputazione delle persone senza dissuadere i media dallo svolgimento delle proprie funzioni.

Pronunciandosi sul contrasto tra l’articolo 21 della Costituzione e l’articolo 15 della legge sulla stampa del 1948, che vieta le pubblicazioni con contenuto tale da “turbare il comune sentimento della morale o l’ordine familiare o da poter provocare il diffondersi di suicidi o delitti”, la Corte ha sostenuto che la

13 Senato della Repubblica, Costituzione della Repubblica italiana, Roma, ed. 2021, p. 15.

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12 norma tutela non soltanto ciò che è comune alle diverse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto minimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’articolo 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata, ed ha aggiunto che solo quando la soglia dell’attenzione della comunità civile è colpita negativamente, e offesa, dalle pubblicazioni di scritti o immagini con particolari impressionanti o raccapriccianti, lesivi della dignità di ogni essere umano, e perciò avvertibili dall’intera collettività, scatta la reazione dell’ordinamento. Una problematica importante è stabilire cosa si intende per

“lesione della dignità umana” o meglio qual è l’idea di dignità quando non ci fi riferisce ad una sola persona. Alcuni temi hanno dato vita ad accesi dibattiti politici, culturali e giuridici. Parlano in difesa della dignità umana per ragioni etiche e morali, sia coloro che sono a favore dell’eutanasia, sia chi ne è contrario; sia chi contesta la cosiddetta legge sulla procreazione medicalmente assistita, sia che la ritiene non lesiva di alcun diritto; chi difende e chi condanna l’aborto, e così via. La prima tutela della dignità della persona consiste nel non cagionarne la morte; ma la tutela deve anche assicurare il diritto di vivere dignitosamente, con la capacità di intendere e volere, di esprimere la tanto reclamata libertà di pensiero, ammettendo quindi la libertà di pensiero è anche pretendere di non sottoposti a trattamenti medici capaci di annullare o condizionare la possibilità di dire, di pensare, di comunicare. Se si ritiene che il pensiero sia elemento caratterizzante dell’essere umano, allora la libertà di pensiero è un dato essenziale costitutivo della dignità della persona.

L’esigenza di tutelare la dignità della persona può contrapporsi alla libertà di pensiero che si individua nella tutela della dignità. Gli organi giudiziari, nell’applicazione delle leggi, dovrebbero valutare caso per caso, il valore della libertà di pensiero e della dignità umana dell’individuo. Nella sentenza la n. 9 del 1965, la Corte, pur salvando le disposizioni che punivano la divulgazione, l’incitamento e la propaganda di pratiche contro la procreazione, si precisava

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13 di non vietare comunque la libera discussione pubblica su questi temi, né di utilizzare tali argomentazioni per limitare la libertà del pensiero scientifico.14

Dunque, ciò che non va trascurato è che sia garantita anche attraverso la stampa una pluralità di informazioni che porta al cosiddetto pluralismo ideologico e che permette una possibilità di confronto dialettico ed è una libertà che consente di contrastare un pensiero uniforme. La libertà di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni contribuisce quindi ad un arricchimento della collettività per questo è una libertà fondamentale per una società democratica. In Italia la libertà di manifestazione del pensiero si colloca a metà tra le libertà individuali e le libertà collettive, nel senso che la ragione della sua tutela risiede sia nell’interesse individuale di testimoniare i propri convincimenti, sia nell’interesse generale al progresso in qualsiasi campo attraverso il libero confronto delle opinioni; pertanto, è stata definita una condizione del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale.

Oltre al limite del buon costume e della tutela della dignità umana, la Corte ha ritenuto opportuno che altre limitazioni fossero poste alla libertà di manifestare il pensiero. Troviamo infatti come limiti la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, la prevenzione dei reati, la sicurezza dello Stato, la giustizia, l’esigenza di impedire la ricostituzione del partito fascista e la tutela del metodo democratico che prevede il rispetto della sovranità popolare e la tutela dei diritti delle minoranze. Questi limiti sono volti alla protezione di interessi costituzionalmente rilevanti e che quindi possono prevalere sulle esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero; tali limiti detti impliciti possono essere dedotti dalla Costituzione e sono funzionali alla protezione di altri bene costituzionali, resta invece preclusa al legislatore l’introduzione di limiti ulteriori discrezionalmente individuati.15

14 A. Ambrosi, Libertà di pensiero e manifestazione di opinioni razziste e xenofobe, Quaderni costituzionali, Fascicolo 3, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 531-535.

15 M. Manetti, La libertà di manifestazione del pensiero, in AA. VV., I diritti costituzionali, a cura di R. Nania e P. Ridola, Torino, Giappichelli, 2006, vol. II, cit., p. 767.

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14 Il livello della protezione giuridica della libertà di espressione ha seguito puntualmente il livello di sviluppo dei rapporti sociali e il progresso o il regresso del pluralismo politico. La questione fondamentale, che la Costituzione non affronta esplicitamente, è quella della triangolazione fra liberalismo, democrazia e libertà di espressione. Come abbiamo visto inizialmente, la libertà di manifestazione del pensiero è una caratteristica fondamentale della forma di Stato liberale e il quesito che viene posto è:

considerato che tale libertà è essenziale sia per il liberalismo che per la democrazia, quale dei due princìpi politici la caratterizza maggiormente in una Costituzione come quella italiana?16

Le Costituzioni di questo tipo hanno sempre avuto difficoltà a conciliare i due principi sui quali si fondano, come dimostra la vicenda della più antica Costituzione, ovvero quella degli Stati Uniti, di cui si parlerà più avanti in questo capitolo, in cui il pendolo ha costantemente oscillato dall’uno all’altro estremo, con conseguenze molto importanti anche sul piano pratico delle modalità di protezione dei diritti costituzionali e degli effettivi spazi di decisione lasciati al potere politico. A seconda dell’oscillazione di questo pendolo si è vista la libertà di manifestare il pensiero come individualistica, ovvero uno spazio intangibile della personalità di ciascun individuo, o come funzionalistica, ovvero un elemento costitutivo dei processi decisionali democratici.17 In realtà, la Costituzione italiana ha al suo interno un equilibrio fra le due concezioni ed è il pluralismo. La dinamica sociale e il processo di decisione politica hanno come fondamento il riconoscimento di spazi di libertà inviolabili a favore degli individui e dei gruppi sociali. La democrazia che la Costituzione intende non è quella dei più forti perché più numerosi, ma una democrazia del pluralismo, che considera una ricchezza la molteplicità delle opinioni, dei valori, degli stili di vita, sebbene non escluda che alcuni di essi

16 M. Mazziotti, Appunti sulla libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Padova, Cedam, 1985, p. 517.

17 C. Mortati, Articolo 1, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna - Roma, Zanichelli - Il Foro Italiano, 1975, p.8.

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15 possano essere ritenuti non tollerabili proprio perché incompatibili con il pluralismo o con la dominante concezione della dignità umana.18

Per percorrere storicamente la costruzione di tale concezione occorre partire dal periodo fascista. Durante questo evento, la tutela giuridica delle libertà individuali subisce un ridimensionamento, causato dalle rigide delle posizioni politiche del regime, che arrivano quasi a cancellare ogni forma di autonomia e di conseguenza l’individuo non sarà più difeso dall’ingerenza dello Stato, anzi ne diventa succube. Successivamente a questo periodo, grazie alla posizione dell’Assemblea costituente, si raggiunge un compromesso tra le forze politiche, che con l’art. 2 della Costituzione, segna una profonda distanza da ciò che il regime fascista aveva instaurato. Si riafferma il valore e la centralità dell’uomo, come individuo reale, in tutte le sue espressioni, umane, lavorative e sociali, avvicinando la spiritualità delle forze cattoliche con le posizioni materialistiche delle sinistre. L’impegno di Dossetti e Togliatti, all’interno della Costituente, fu quello di superare il rapporto Stato-individuo, così come inteso nel periodo fascista e arrivare a trovare un’ideologia comune, che non fosse apertamente cattolica o marxista, su cui costruire una concezione umanistica, fondata sulla centralità della persona e dei suoi diritti fondamentali. Questo compromesso viene definito “giuspersonalismo”. La persona umana è considerata soggetto di diritto, concepita in funzione di una società organizzata. La persona deve essere giuridicamente considerata non come un essere isolato, ma in rapporto alla sua vita sociale, sia materiale che spirituale, e anche in relazione al suo passato, al presente e per quanto possibile al suo futuro. Il modello che più aiuta a capire questa organizzazione istituzionale è quello di una piramide rovesciata, al cui base è posto l’individuo con le sue dinamiche sociale e a salire i suoi diritti di libertà.19 Il precedente ordinamento liberale era inteso come custode di ogni diritto e fonte di legalità, che mirava alla sicurezza e all’ordine costituito. Nel testo

18 A. Baldassarre, Libertà di stampa e diritto all’informazione nelle democrazie contemporanee, in Pol. dir., Roma, 1986b, p. 587.

19C. Mortati, Relazione sui diritti pubblici subiettivi, in ID., Raccolta di scritti, vol. I, Milano, 1972, pp. 603-605.

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16 costituzionale si trova una maggiore specifica che descrive ogni singolo diritto di libertà, definendone oggetto, garanzie e limiti. La Costituzione, vera e propria fonte delle fonti, rafforza e protegge le garanzie dei diritti, che non possono essere modificate da atti normativi del governo statale o periferico.

La garanzia dell’inviolabilità, richiamata dall’art. 2 Cost., include una dimensione percettiva di favor per le libertà, che si esplica in una interpretazione stretta dei limiti realizzati dal potere legislativo.20 La gestione della legalità è stata improntata dai Costituenti su due canali paralleli: da un lato, la legalità costituzionale affidata alla Corte costituzionale, dall’altro la legalità ordinaria assegnata ai giudici comuni. L’elenco dei diritti di libertà specifica quali concetti rientrano nell’ambito dei confini delle disposizioni costituzionali, per poi verificarne la compatibilità o i contrasti. La coincidenza tra legalità costituzionale e diritti di libertà riporta a un sindacato di legittimità fondato sulla divisione tra validità e invalidità, dove ciò che non rientra nella norma costituzione è illegittimo. Per questo le disposizioni costituzionali sui diritti di libertà sono ritenute vere e proprie regole di condotta, alle quali rifarsi nella valutazione dei diversi casi. Il sistema dei diritti di libertà si può dire sia un sistema chiuso, nel quale si trovano specifiche garanzie in relazione a predeterminati oggetti. Individuare l’oggetto è un’operazione interpretativa fondamentale, in grado di far sì che ogni diritto di libertà possa diventare un concetto di natura dogmatica.21 Le garanzie costituzionali limitano i poteri dello stato. La teoria positivistica dei diritti delle libertà ha uno stretto legame con le prerogative individuali in termini liberali. Le norme positive hanno una presunzione di prevalenza rispetto ai diritti di libertà, che ne richiedono un’applicazione automatica, creando l’astensione da parte del legislatore di tutti i poteri pubblici. L’aspetto negativo che emerge è quello di tenere giuridicamente distinte le libertà costituzionali dai diritti sociali. La teoria positiva dei diritti di libertà ha come scopo la salvaguardia del contenuto normativo del diritto stesso. Tale teoria, da una parte ha il pregio di esaltare il

20 G. Peces Barba, Teoria dei diritti fondamentali, Milano, Giuffrè, 1993, p. 16.

21 A. Pace, Metodi interpretativi e costituzionalismo, in Quad. cost., Bologna, Il Mulino, 2001, p.

35.

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17 senso normativo e il contenuto dei diritti di libertà, dall’altra non tiene in opportuna considerazione la natura dei valori propri della Costituzione, che differisce sostanzialmente dai comuni testi legislativi.

Se questo poteva essere basilare nello Stato di diritto, fondato sul concetto di sovranità popolare, è invece superato in uno Stato costituzionale, dove la realtà è articolata in una molteplicità di organi istituzionali, che svolgono le loro funzioni in un sistema “poliarchico”, ossia con una pluralità di soggetti politici.22

Fra i temi di maggiore attualità che riguardano la politica e la libertà di manifestare il pensiero si trovano un ritorno all’apologia al fascismo, i reati d’odio e il politicamente corretto.

Questa libertà garantista mette in difficoltà, il rispetto della XII disp.

trans. e finale Cost., che al primo comma vieta “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. La propaganda razzista è stata contemplata dal legislatore nella Legge 20 giugno 1952, n. 645, successivamente modificata dalla Legge 22 maggio 1975, n. 152 che integra il delitto di apologia la pubblica esaltazione di “idee o metodi razzisti”, in aggiunta all’esaltazione di “esponenti, principi, fatti e metodi del fascismo” o delle “sue finalità antidemocratiche”. L’apologia di fascismo non rientra nell’incostituzionalità, per violazione dell’art. 21 se viene rappresentata solo come manifestazione del pensiero; è invece punibile quando si ravvisa un’esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista.23

L’ordinamento italiano vede come origine delle normative contro i reati d’odio la Convenzione Internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, la cui ratifica da parte dell’Italia è stata autorizzata il 13 ottobre 1975. gli Stati firmatari si dichiaravano allarmati dalle manifestazioni di discriminazione

22E. Cheli, Lo Stato costituzionale. Radici e prospettive, Bologna, Il Mulino 2006, p. 22.

23 A. Ambrosi, Libertà di pensiero e manifestazione di opinioni razziste e xenofobe, Quaderni costituzionali, Fascicolo 3, Bologna, Il Mulino, 2008, p. 525.

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18 razziale che hanno ancora luogo in certe regioni del mondo e dalle politiche dei governi fondate sulla superiorità o sull’odio razziale, quali le politiche di

“apartheid”, di segregazione o di separazione e ogni propaganda ed ogni organizzazione che si ispiri a concetti e a teorie basate sulla superiorità di una razza o di un gruppo di individui di un certo colore o di una certa origine etnica, o che pretendano di giustificare o di incoraggiare ogni forma di odio e di discriminazione razziale. In questa sede interessano, tra i reati d’odio, specificamente quelli che sono commessi nell’esercizio della libertà di espressione, ovvero l’hate speech o discorso d’odio. Quest’ultimo ha per contenuto la manifestazione di un pensiero influenzato da pregiudizi che non si ferma alla mera critica, ma porta con sé disprezzo e offesa o la propaganda di idee che istigano all’odio razziale, il problema è riuscire a distinguere le due azioni e quale sia effettivamente punibile. A tal riguardo, la giurisprudenza italiana ha affermato che la propaganda di idee consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni, l’odio razziale o etnico è integrato non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione, ma solo da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, e la discriminazione per motivi razziali è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, non invece sui suoi comportamenti.24 Ciò che occorre verificare è quindi l’effettivo pericolo della determinazione di comportamenti discriminatori ovvero la concreta pericolosità del fatto, che deve essere riconosciuta anche in ragione della semplice “esternazione di una condizione di inferiorità o di indegnità, attribuita a soggetti determinati e fatta derivare all’appartenenza ad una determinata razza, con conseguente natura di pericolo dell’elemento circostanziale”25. Oggetto fondamentale della determinazione del reato è anche il contesto in cui le espressioni sono portatrici di odio razziale.

24 Così la cit. sent. Cass. pen., Sez. V, 30 luglio 2019, n. 34815.

25 L. n. 205 del 1993, art. 3, comma 1.

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19 Dunque, è chiaro che la libertà di manifestare il pensiero viene meno nel momento in cui diventa istigazione alla discriminazione e alla violenza di tipo razzista; in definitiva: l’ordinamento italiano sembra possedere strumenti piuttosto solidi per la repressione dell’odio razziale, a tutela di molti beni costituzionalmente rilevanti.

Passando a un dibattito molto attuale nemmeno l’Italia è rimasta immune al il politicamente corretto (che verrà approfondito nel capitolo terzo) e agli effetti che ha avuto sulla società e sull’opinione pubblica, mettendo la libertà di espressione all’angolo.

1.2 Manifestare il proprio pensiero in Europa e negli Stati Uniti

L’ordinamento giuridico italiano, com’è noto, si colloca all’interno di un più ampio formante legislativo e giurisprudenziale. Questi ultimi disegnano un vero e proprio modello integrato di tutela volto ad ampliare la portata di protezione degli individui. In Europa la libertà di manifestare il proprio pensiero è regolamentata dalla CEDU26, ovvero la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Tale trattato internazionale entrato in vigore nel 1953 è la prima convenzione europea a stabilire e tutelare i diritti fondamentali dell’uomo. Nonostante ogni Stato Membro abbia una propria disciplina, che integra quella comunitaria, il principale punto di riferimento normativo per i Paesi dell’Unione Europea sono gli articoli 9 e 10 che regolamentano rispettivamente il diritto di libertà di pensiero e il diritto di libertà di espressione. L’articolato della CEDU in merito alla libertà di manifestazione del pensiero comprende anche la “pubblica sicurezza”, la “protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica”, la “protezione dei diritti e della libertà altrui”, nonché le “condizioni, restrizioni o sanzioni” ricollegabili alla “sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla

26 Corte Europea dei diritti dell’uomo, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Strasburgo, ultimo aggiornamento agosto 2021.

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20 difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui”.27

L’articolo 928 della CEDU riconosce ad ogni individuo il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione e di manifestare tali convinzioni individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato. L’universalità del diritto è chiarita fin dalle prime parole, ne gode infatti “ogni persona”.

I diritti di libertà di espressione e di informazione sono normati nell’articolo 1029; ogni persona ha diritto alla libertà di espressione intesa come libertà di opinione, di comunicazione, di idee senza limiti di frontiera.

Naturalmente gli stati possono intervenire su queste libertà ponendo condizioni, restrizioni o sanzioni al fine di tutelare la sicurezza nazionale, la difesa dell’ordine e la prevenzione di reati. Le imprese radiofoniche, cinematografiche e televisive possono essere sottoposte a un regime di autorizzazione per impedire la divulgazione di informazioni riservate e l'imparzialità del potere giudiziario, nonché la protezione della reputazione e dei diritti altrui. La libertà di espressione non è applicabile solo alle informazioni e alle idee che sono ricevute con favore o considerate inoffensive, ma anche a quelle che disturbano i singoli soggetti o non sono ben accette per lo Stato responsabile. L’articolo 10, infatti, non protegge solo la sostanza, ma anche la forma in cui sono espresse, tema importante per quanto riguarda la manifestazione di pensiero scientifica, da parte di artisti, in letteratura, nella satira, dove spesso l’esternazione provocatoria incorpora messaggi sociali e politici di interesse generale.

Il principale limite esterno all’esercizio della libertà di manifestare il pensiero è costituito dall’articolo 17 il quale sanziona l’abuso di un diritto umano riconosciuto dalla Convenzione. Il criterio fondamentale è che non è

27 P. Stancati, Il diritto fondamentale comunitario alla libera manifestazione del pensiero: profili critici e ricostruttivi, Politica del diritto, Fascicolo 3, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 424.

28 Corte Europea dei diritti dell’uomo, Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Strasburgo, ultimo aggiornamento agosto 2021, p. 11.

29 Ivi, p 12.

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21 possibile valersi di una libertà come quella protetta dall’art. 10 per mettere in pericolo e tentare di distruggere altri fondamentali diritti protetti dalla CEDU.

Gli organi del consiglio d’Europa, condividendo la posizione assunta dalla Corte EDU, esortano gli stati membri a rinunciare all’applicazione di sanzioni detentive per il delitto di diffamazione, allo scopo di tutelare più efficacemente la libertà di espressione dei giornalisti e allo stesso tempo il diritto dei cittadini ad essere informati. Con specifico riferimento all’Italia, l’Assemblea ha chiesto alla Commissione di Venezia (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) di predisporre un parere sulla conformità della normativa italiana rispetto all’art. 10 CEDU. Il risultato ha evidenziato che la vigente legislazione italiana non sempre si allinea con gli standard del Consiglio d’Europa in materia di libertà di espressione, individuando la problematica di maggior rilievo nella previsione della pena detentiva in relazione alla diffamazione a mezzo stampa. Si rende pertanto necessario ed urgente provvedere a rimodulare, in un’ottica maggiormente garantista, la relazione tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione individuale, nell’ambito dell’attività giornalistica. Come detto precedentemente, l’importanza di trovare un equilibrio rappresenta una salvaguardia contro ogni ostacolo diretto o indiretto al legittimo svolgimento del ruolo di informare. Al contrario deve comunque conciliarsi con i possibili limiti dettati da interessi e diritti ugualmente legittimi.

Facendo riferimento al caso “Rujak c. Croazia”, la Corte di Strasburgo si è espressa con una decisione di inammissibilità, l’oggetto del ricorso era la presunta violazione dell’art. 10 CEDU sulla libertà d’espressione a seguito della condanna subita da un cittadino croato che aveva proferito frasi lesive dell’onore del suo paese. La Corte europea ha dichiarato inammissibile la questione per incompatibilità ratione materiae ex art. 35, par. 2 della CEDU. Ha cioè ritenuto che non rientrano nella libertà di espressione, difesa dall’art. 10, quelle frasi oltraggiose usate con il solo intento di offendere le istituzioni e non per esprimere le proprie opinioni critiche. Il tema riporta ad analizzare se uno Stato abbia la possibilità di vietare la diffusione di opinioni, che in qualche

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22 modo offendono la sua personalità. La giurisprudenza si è espressa moltissimo per delineare il confine tra quanto rientra nel lecito e quanto va oltre, fino ad arrivare all’offesa. Nonostante la manifestazione del pensiero sia sempre stata considerata come il più grande diritto di libertà, soprattutto in risposta ai regimi totalitari, il reato d’opinione, come il vilipendio alle istituzioni e ai simboli dello stato, non è mai stato abrogato.

Attualmente sia la magistratura ordinaria che la corte Europea sembrano più propense a maggiori deroghe alla libertà di pensiero, considerando reati d’opinione quelli legati ai casi di hate speech, ossia palesemente riferiti a minoranze etniche con cultura e religione differenti da quelle occidentali. Atteggiamenti diffusi soprattutto a seguito degli imponenti fenomeni migratori degli ultimi decenni. Chi ritiene ingiustificata la sanzione giuridica verso il reato d’opinione affermando che non si è certi della sua pericolosità, sostiene invece una risposta di tipo sociale e culturale. La storia ha insegnato come sia facile diffondere e far accettare idee discriminatorie e razziste; ed è proprio la paura del ritorno al passato che induce molti fra gli operatori giuridici a sacrificare la libertà d’espressione per tutelare il valore della dignità umana, verso casi di propaganda e incitamento all’odio razziale.

La Corte di Strasburgo, nelle sue sentenze, ha sempre fatto riferimento alla giurisprudenza che dava la massima tutela al diritto di espressone, per questo i reati d’opinione giudicati rispetto all’art. 10 sulla libertà di pensiero non venivano accolti, eccetto i casi di evidente abuso di diritto come proclamato dall’art. 17 CEDU. Per questo motivo ha fatto discutere la sentenza “Feret c.

Belgio”30 del 2009, un caso di odio razziale, in cui la Corte di Strasburgo ha messo al di sopra del diritto di opinione l’evidente minaccia alla convivenza pacifica della cittadinanza. Nella fattispecie, un uomo politico nel suo discorso in campagna elettorale ha usato toni offensivi verso una parte di cittadini con culture e tradizioni differenti. I giudici avevano evidenziato come per alcuni soggetti dotati di potere, sia facile attraverso mezzi di comunicazione

30 https://globalfreedomofexpression.columbia.edu/cases/feret-v-belgium/ (Data di ultima consultazione: 10/03/2022).

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23 manipolare e incitare le masse. La Corte ha motivato il proprio giudizio in un’ottica preventiva intesa ad evitare che discorsi xenofobi fomentassero odio e intolleranza.

Nel sopra citato caso Rujak, invece, le frasi offensive pronunciate non arrecavano alcun danno alla comunità. L’episodio vede un militare di leva, che dopo una rissa con altre reclute, si rifiuta di far rapporto ai superiori, anzi inveisce contro di loro, contro lo Stato e contro la religione. Dopo la condanna dei giudici nazionali a sei mesi di pena detentiva per lesione alla reputazione dello Stato, considerando gli insulti come vilipendio alle istituzioni, la Corte ha espresso il suo giudizio commutandola in due anni di libertà condizionale, dichiarando inammissibile il ricorso per non aver motivato l’incostituzionalità del caso. La chiave di questa sentenza è che un’offesa allo Stato può non definirsi tale, ma essere considerata libertà di espressione, qualora vi sia una reale critica al potere, o un atto volto a sensibilizzare l’opinione pubblica, o sia la pura espressione di sentimenti personali legati alle proprie credenze o a valori sociali e morali. Nella normativa il vilipendio è considerato come l’espressione più grave di disprezzo nei confronti di un’istituzione, che ha il fine di provocare in chi ascolta sentimenti altrettanto spregevoli tanto da poter indurre all’azione. È in questi termini che si è sempre parlato di limite logico alla manifestazione del pensiero. Nel caso Rujak però, l’insulto non è un elemento di propaganda o incitamento, quindi resta abbastanza incomprensibile perché la Corte non abbia voluto valutare il ricorso, ribaltando la sentenza dei giudici di primo grado. Sembrerebbe quasi che un’offesa allo Stato non possa essere considerata tale, se la stessa non sia una seria e concreta minaccia alla pace della collettività. Quando si parla di norme che vietano opinioni xenofobe, ci si riferisce a manifestazioni di pensiero che crearono o potrebbero creare reali pericoli non solo all’esistenza a razze umane diverse biologicamente, ma anche culturalmente, comprendendo quindi etnia, religione, valori morali, ecc., soprattutto per violazione dell’art. 21. Il legislatore deve garantire la libertà di espressione, intesa come un valore cardine di una società democratico-liberale, ma deve anche far rispettare la

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24 verità, la memoria storica, e il dolore e la dignità delle persone offese da crimini contro l’umanità.31

L’Unione Europea tende a tutelare maggiormente l’individuo a scapito della libertà d’espressione, arrivando a punire alcune tipologie di discorso senza che esse debbano essere provate in giudizio, in quanto ritenute per loro natura dannose e offensive nei confronti della società. La Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha avuto un atteggiamento particolarmente attento, impegnandosi sia in passato che tutt’oggi nella ricerca di un equilibrio nel garantire a tutti gli individui il diritto di poter esprimere la propria opinione e allo stesso tempo tutelare gli altri diritti. Appare chiaro che l’orientamento prevalente in Europa sia quello della tolleranza e del rispetto per l’eguaglianza tra gli individui, come fondamento per una società democratica e pluralistica, ma senza escludere la necessità di limitare e sanzionare la manifestazione di qualunque espressione che diffonda, inciti, promuova o giustifichi l’odio a qualsiasi titolo e verso qualsiasi soggetto. Tra gli Stati membri dell'unione europea non esiste ad oggi una precisa definizione nel diritto di hate speech, ovvero discorso d'odio, nonostante frequentemente il termine venga usato anche dalla giurisprudenza rimane sempre difficile determinare le fattispecie punibili. L’approccio europeo e quello adottato nelle convenzioni per i diritti umani rappresenta, riprendendo i termini della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, una risposta agli “atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. I risultati dall’ideologia nazista avevano incrinato la fiducia illimitata nell’idea che la ragione e la verità alla fine si raggiungano sempre. Pertanto, la convinzione è che i discorsi di istigazione all’odio e alla discriminazione razziale erodono le basi dell’ordinamento democratico e i diritti delle persone colpite e che, di fronte a questo pericolo, le democrazie non devono restare passive.32 Per tutelare i valori di libertà, uguaglianza e dignità umana l’ordinamento giuridico europeo non ha soltanto la facoltà di arginare i discorsi d’odio, bensì anche il dovere di farlo. La concretizzazione

31 P. Tanzarella, Rujak c. Croazia: il limite logico alla manifestazione del pensiero secondo la Corte europea dei diritti, Quaderni Costituzionali, Fascicolo 1, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 172-175.

32 D. Kretzmer, Freedom of Speech and Racism, 8 CARDOZO L. REV. 445, 1987, p. 450.

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25 dei diritti umani delle minoranze etniche, linguistiche o religiose richiede, da parte dello Stato, è l’attuazione di misure preventive e repressive mirate a garantire una protezione non soltanto nei confronti delle autorità pubbliche, ma anche dei privati.

Per quanto riguarda la regolamentazione di tali libertà e diritti oltreoceano prenderemo in riferimento la Costituzione degli Stati Uniti d’America poiché anche territorio in cui hanno origine l’hate speech e il politicamente corretto per poter comprendere al meglio l’ambiente dove nascono. La libertà di espressione è una nozione che costituisce una delle pietre miliari della democrazia americana. Le libertà sono però concetti senza una definizione precisa, sono indicazioni di uno stile di vita, che punta a far sì che il buon senso comune della popolazione sia la migliore difesa verso i comportamenti scorretti che possono arrecare un danno alla società; non a caso quando si parla di libertà di espressione negli Stato Uniti si fa riferimento a una comunicazione quasi illimitata delle idee.33

La libertà di manifestare il proprio pensiero è discussa nelle istituzioni statunitensi già dal 1787, dibattito che porterà alla stesura del Bill of Rights34 nel 1791. Quest’ultimo è la Carta dei diritti degli Stati Uniti d’America e comprende i primi dieci emendamenti della Costituzione federale americana che sanciscono i diritti e le libertà fondamentali e limitano i poteri del governo.

Il I Emendamento recita:

“Il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d'inoltrare petizioni al governo per la riparazione di ingiustizie.”35

Tale norma ha rappresentato un principio caratterizzante e fondamentale del sistema democratico liberale americano; nessun diritto rappresenta meglio l'essenza stessa della società di uomini liberi incarnata nella nazione

33 C. O. Gregory, Peaceful Picketing and Freedom of Speech, 26 A.B.A. J. 709 1940, p. 714.

34 https://www.archives.gov/founding-docs/bill-of-rights-transcript (Data di ultima consultazione 9/01/2022).

35 Ibidem.

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26 statunitense. Il dilemma costituzionale centrale è che la Carta dei diritti tutela sia l’autonomia individuale che alcuni obiettivi collettivi, come l’uguaglianza.36

Con il primo emendamento il diritto di espressione va oltre la soglia dell’offesa e dell’ingiuria e di conseguenza della salvaguardia della reputazione. La libertà di espressione è fortemente radicata nelle tradizioni morali e legali della società americana; in particolare, come ha affermato lo studioso Michel Rosenfeld, cioè che il radicamento profondo della libertà di espressione quasi assoluta deriva dal pensiero secondo il quale gli Stati Uniti sarebbero la terra delle opportunità per tutti coloro che sono stati perseguitati nei paesi di appartenenza a causa delle proprie convinzioni e credenze e all’idealizzazione del cittadino americano come un individualista capace di superare ogni tipo di nuova frontiera.37

Le discriminazioni raziali, religiose o di genere sono sempre ammesse e non possono essere punite, perché la libertà di espressione viene sempre tutelata. Il diritto di esprimere odio e disprezzo verso gli altri porta a “tollerare l’intollerabile” e quindi anche azioni che in Europa ravvisano il vilipendio, l’apologia di reato, la diffamazione, per gli americani sono solo un modo di far conoscere il proprio pensiero. Alcuni gesti, che verranno analizzati nel capitolo successivo, come bruciare croci nei cimiteri, insultare la memoria dei morti di diverso orientamento sessuale, calpestare la bandiera in segno di dissenso con le decisioni del governo, gioire pubblicamente con manifesti e volantini per stragi razziali o religiose, ghettizzare le minoranze etniche all’interno delle università, e molti altri, possono essere puniti non perché commessi, ma solo in relazione alle modalità di esecuzione, qualora si riscontri la necessità di porre un limite per un forte interesse pubblico. Qualunque opinione venga espressa, se considerata politicamente inopportuna o lesiva

36 T. M. Massaro, Equality and Freedom of Expression: The Hate Speech Dilemma, 32 WM. &

MARY L. REV. 211, 1991, p.14.

37 M. Rosenfeld, cit. in V. Cuccia, La libertà di espressione nella società multiculturale, Università di Navarra, REV. Persona y Derecho, Vol. 59, 2008.

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27 degli altri sentimenti, viene limitata, ma sempre e solo, se ritenuto politicamente necessario.

Non sono invece protette dal Primo Emendamento le manifestazioni di oscenità, la pornografia minorile, la diffamazione e i discorsi dannosi nei confronti di minori.

Considerato che la tutela della libertà di espressione non deve scontrarsi con il rispetto dei diritti altrui, diventa particolarmente complesso proprio quando si deve determinare un

confine da non oltrepassare, affinché una semplice opinione personale non si trasformi in un discorso d’odio, anche in considerazione del fatto che le soluzioni cambiano a seconda dei tempi, delle modalità, del luogo, e del mezzo attraverso cui il messaggio viene trasmesso.

Nonostante oggi il Primo Emendamento sia per la cultura statunitense un punto centrale, all’’inizio del XX secolo non era così; la Corte Suprema, infatti, prima del 1919 non aveva mai accolto richieste di libertà di parola e i tribunali di grado inferiore approvavano normalmente censure di libri e film o il divieto di proteste sindacali e parole profane. Anche le critiche al governo potevano essere punibili, soprattutto se minacciavano l’ordine pubblico e la moralità. Il punto più basso fu raggiunto durante la Prima Guerra Mondiale.

A soli due mesi dalla dichiarazione di guerra il Congresso approvò

“l’Espionage Act” che considerava un crimine ostacolare la leva o causare insubordinazione dell’esercito.38 Un anno dopo fu approvata la legge sulla sedizione, che vietava qualsiasi discorso ritenuto sleale o scurrile da parte delle autorità, nonché qualsiasi discorso inteso a incoraggiare la resistenza alla guerra, a ridurre la produzione di armi o a ostacolare la vendita di titoli di guerra. I pubblici ministeri federali applicarono vigorosamente queste nuove norme, portando a quasi duemila incriminazioni alcune con i più futili dei pretesti. Alcuni furono condannati per aver fatto propaganda chiedendo la fine della guerra, altri per aver detto che quest’ultima avvantaggiava i

38 E. S. Corwin, Freedom of Speech and Press under the First Amendment a Resume, 30 YALE L.J.

48, 1920-1921, p. 50-54.

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28 capitalisti e i tribunali stabilirono che il Primo Emendamento non offriva protezione per i discorsi che avessero una “cattiva tendenza”, in sostanza qualsiasi discorso che non piacesse al governo.

Questa repressione continuò anche dopo la fine della guerra poiché quella che prima era la paura per i simpatizzanti tedeschi divenne paura per i bolscevichi, finchè nell’autunno del 1919 il procuratore generale ordinò una serie di incursioni nelle case e nei luoghi di lavoro degli immigrati russi e successivamente fu pubblicato un elenco con i nomi di sessantadue “radicali”

considerati nemici dello stato. Fu durante questa isteria che il giudice della Corte Suprema O. W. Holmes diede vita al Primo Emendamento come lo si conosce oggi.39 Egli inizialmente sosteneva che la libertà di parola fosse logicamente indifendibile, in quanto il governo doveva essere autorizzato a punire azioni che potessero essere dannose per lo stesso avvalorato dal fatto che rappresentava una maggioranza eletta. Dopo gli eventi del 1919 però Holmes cambiò il suo pensiero, turbato dall’ondata di persecuzioni che travolse il paese. I due casi che videro Holmes assumere una posizione di condanna verso le norme imposte del governo durante la guerra furono il caso

“Schenck v. United States”40 e “Abrams v. United States”41. Il primo vedeva condannato il socialista C. Schenck per aver violato l’Espionage Act del 1917 tentando di scoraggiare i reclutati nel rispondere agli avvisi di reclutamento nell’esercito. Riconoscendo che l'interferenza con la capacità del governo di reclutare truppe potrebbe costituire una legittima eccezione al Primo Emendamento, Holmes introdusse il test di pericolo chiaro e presente42. Tentò di determinare quali forme di discorso non fossero protette dal Primo Emendamento suggerendo che si dovrebbe determinare in base a "se le parole usate sono usate in tali circostanze e sono di natura tale da creare un pericolo

39 https://www.nytimes.com/2019/11/09/opinion/free-speech-holmes-supreme- court.html (Data di ultima consultazione: 25/02/2022).

40 https://www.britannica.com/event/Schenck-v-United-States (Data di ultima consultazione: 25/02/2022).

41 J. H. Wigmore, Abrams v. U. S.: Freedom of speech and freedom of thuggery in wartime and peace-time, Illinois Law Review, 1920.

42 P. B. Kurland, The Irrelevance of the Constitution: The First Amendment's Freedom of Speech and Freedom of Press Clauses, 29 DRAKE L. REV. 1, 1979, p. 5.

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29 chiaro e presente e possono provocare mali sostanziali che il Congresso ha il diritto di prevenire”; tali mali erano definiti come cospirare contro il governo, incitare a rivolte e distruggere vite e proprietà. La seconda sentenza vide la condanna da parte della Corte Suprema di diversi individui per la distribuzione di volantini a sostegno delle proprie opinioni politiche contro l’intervento degli Stati Uniti nella guerra civile russa. Holmes dichiarò che le azioni di Abrams e degli altri quattro immigrati russi non presentavano alcun pericolo reale per la sicurezza della nazione. Questo caso è importante per un’altra questione, ovvero il concetto avanzato da Holmes sul “libero mercato delle idee”43, teoria originata dal J. S. Mill che affermava che nessuno da solo conosce la verità e che la concorrenza delle idee sia il modo migliore per separare la verità dalla menzogna e si raggiunga con lo scambio di idee attraverso dibattiti e discussioni e quindi affermando la libertà di espressione.

Tale teoria condanna quindi la censura e incoraggia il libero flusso di opinioni come modo migliore per interpretare il Primo Emendamento.

Il fatto che il governo non possa restringere la libertà di espressione perché contraria alle idee espresse dal governo non significa che non possa mai farlo in alcun caso, ma per farlo deve usare i mezzi che lo consentono.

Ciascuno dei test utilizzati dalla Corte nei casi in cui venga messa in discussione la libertà di espressione ha una sua applicazione a seconda della situazione. Il test del "pericolo chiaro e presente" è uno standard per determinare se la restrizione della libertà parola ed è necessaria ai fini di proteggere il governo. I test come quelli delle "fighting words", del

"riferimento predominante all'interesse osceno" e della "conoscenza delle falsità" vengono utilizzati per determinare se l'interesse del governo è la soppressione di qualcosa di diverso dalla libera espressione. Infine, il test di

"bilanciamento" e le dottrine accessorie di “censura preventiva", "vaghezza",

"prelazione", "delega impropria" e "eguale protezione" guardano tutti sia al

43 C. E. Baker, Scope of the First Amendment Freedom of Speech, 25 UCLA L. REV. 964, 1978, p.

968.

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30 sostanziale interesse del governo sia alla necessità della restrizione alle libertà sostenute dal Primo Emendamento.44

La giurisprudenza statunitense garantisce la libertà di espressione dell’individuo, quasi al limite della tutela degli altri diritti, e la regolamentazione dell’hate speech tende ad imporsi nella comunità internazionale. La Suprema Corte americana ha ribadito in diverse sentenze che impedire la diffusione di discorsi unicamente per i loro contenuti, senza considerare il contesto e le circostanze, va contro il Primo Emendamento; esso, infatti proibisce di vietare espressioni sulla sola considerazione che il Governo disapprovi il contenuto espresso. Questo modo di intere la libertà di espressione proviene da un contesto storico e sociale differente da quello europeo. Lo status particolare della libertà di espressione quale libertà suprema e icona culturale costituisce in parte una reazione alle repressioni del popolo afroamericano e quella nei confronti dei membri del partito comunista durante la Prima Guerra Mondiale e successivamente durante la Guerra Fredda.

Questa visione, in cui c’è quasi un divieto di principio di limitare la libertà di espressione in ragione del contenuto delle idee espresse o del punto di vista ideologico difeso. Applicato ai discorsi d’odio, tale approccio ha portato alla situazione attuale per cui non è tollerata pressoché alcuna restrizione ai discorsi d’incitamento all’odio o alla discriminazione.

L’hate speech ha origine proprio nel contesto statunitense degli anni Venti del Novecento in un periodo storico-sociale contraddistinto da una forte teorizzazione della superiorità della razza e allo stesso dalla diffusione delle prime teorie antirazziste. Per hate speech si intende un’offesa fondata su una qualsiasi discriminazione (razziale, etnica, religiosa, di genere o di orientamento sessuale, di disabilità…) ai danni di una persona o di un gruppo.

La giurisprudenza statunitense, applicata ai discorsi d’odio, ha portato alla

44 D. S. Bogen, The Supreme Court's Interpretation of the Guarantee of Freedom of Speech, 35 MD.

L. REV. 555, 1976, p.558.

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31 situazione attuale per cui non è tollerata pressoché alcuna restrizione ai discorsi d’incitamento all’odio o alla discriminazione.

1.3 La libertà di espressione in una società multiculturale

La società di oggi è fortemente caratterizzata da un pluralismo culturale. La globalizzazione economica ha intensificato gli scambi e la libera circolazione non solo di beni, merci e denaro, ma anche di persone creando così comunità multiculturali. Dal pluralismo delle idee e delle credenze nascono però delle divergenze e discussioni all'interno della società per cui si inizia a porre il problema di come regolamentarle per poter vivere civilmente.

Questa condizione di pluralismo culturale fa sì che ogni gruppo cerchi una forma di riconoscimento e rispetto di certi diritti e della propria concezione della vita.

Il dibattito sulla possibile convivenza di idee, credenze e abitudini cercando di superare le diversità è stato discusso a lungo e da diversi studiosi, ma anche dall'opinione pubblica. Considerando che le principali differenze emergono proprio dalle relazioni personali più che nell’ambito politico è all’interno della sfera pubblica che si viene a creare un’arena istituzionale in cui le persone comuni possono impegnarsi in un dibattito ragionevole al fine di trovare punti di incontro e risposte al problema pubblico a cui vengono sottoposte.

Jurgen Habermas, filosofo tedesco rimase molto affascinato dalla capacità della sfera pubblica di riuscire a deliberare in modo razionale la volontà della collettività. Nel suo scritto “Teoria dell'agire comunicativo”45, Habermas espone due tipi di razionalità quella pratica-morale e quella strumentale. La prima descrive l'agire comunicativo come fondato sulla ricerca della reciprocità e orientato all'intesa dei parlanti; attraverso la

45 J. Habermas, Teoria dell’agire comunicativo, Bologna, Il Mulino, 2017.

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