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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il lavoro è stato svolto nel Laboratorio di Ricerca e Sviluppo per la diffrattometria a raggi X presso il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, Via S. Maria 24, dove sono presenti alcuni diffrattometri a raggi X dotati di dispositivi non usuale ed in particolare dove opera saltuariamente il primo prototipo italiano di diffrattometro mobile a raggi X. Per il lavoro della tesi ci siamo avvalsi anche di altre apprecchiture presenti nel laboratorio di raggi X dello stesso Dipartimento.

Nel corse di questa attività ho imparato l’esistenza di un nuovo mestiere di cui non avevo percezione prima di affrontare questo lavoro. Il mestiere del diffrattometrista, quando è indirizzato ad attività pertinenti le Scienze della Terra, richiede una buona conoscenza di geologia, petrografia, mineralogia, ma anche una specifica competenza in diffrattometria a raggi X.

Questa specificità permette di riconoscere tracce caratteristiche nel diffrattogramma che diano l’avvio ad una interpretazione quanto più possibile inequivoca.

Ho imparato che esiste una lunga tradizione nel riconoscere le tracce di sostanze cristalline e un numero molto elevato di sostanze sono collezionate in archivi elettronici facilmente consultabili (PDF, ICDD) e che i tempi sono maturi per una standardizzazione dei vari tipi di analisi diffrattometrica. Su questo il CEN è particolarmente attivo e l’opportunità di lavorare a contatto con il team XRD-Tools,

responsabile per questo processo di standardizzazione, mi ha permesso di affrontare problemi non altrimenti percepibili. Mi riferisco ad esempio all’uso della Diffrazione a raggi X come metodo strettamente non distruttivo.

Obbiettivi del lavoro

Al fine di perseguire gli obiettivi assegnati ho pertanto dedicato la maggior parte del mio tempo allo studio, per quanto possibile

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approfondito, della metodologia e tecnologia della diffrazione a raggi X da polveri ed ho riportato la sintesi di questo studio nel Capitolo 1.

Nel Capitolo 1 descrivo il metodo e la tecnologia con cui ho avuto l’opportunità di lavorare (i.e. diffrattometri Bragg Brentano verticali ed orizzontali, diffrattometro mobile per prove non distruttive), ed altre attrezzature collegate alla preparazione di campioni.

Nel Capitolo 2 riporto in sintesi nozioni che derivano dal mio bagaglio di studi geologici e che ho potuto applicare nel contesto di questa tesi specifica. In particolare alcuni aspetti di riconoscimento di minerali nei sistemi litologici, il metodo d’inquadramento geo-petrografico d’interesse per il campionamento oggetto del lavoro, i metodi di ritrovamento d’informazioni microscopiche e di raccolta dei dati diffrattometrici.

Nel Capitolo 3 riporto invece la discussione dei dati e le conclusioni del lavoro specifico della tesi. La discussione si avvale dei metodi di elaborazione appresi nel corso del lavoro e riguardano principalmente: 1. Il metodo di identificazione delle fasi, detto metodo di Hanawalt.

Questo è condotto in una fase davvero preliminare dell’interpretazione e serve ad avere un’idea della composizione del provino da analizzare. 2. Il metodo d’interpolazione denominato DISVAR96 che permette di

ottenere gli elementi di composizione del pattern.

3. Il metodo di verifica della consistenza interna, presente in DISVAR96 che permette di usare alcune informazione di natura diffrattometrica per rendere l’interpolazione meno ambigua di quella ottenibile da una semplice analisi numerica.

4. il metodo di valutazione di contributi sistematici per l’identificazione di campioni di riferimento.

Questo aspetto risulta di particolare importanza quando si confrontano dati proveniente da campioni trattati con metodi diversi, analizzati con strumenti diversi etc.

Il concetto di campione di riferimento è un aspetto che ricorre in letteratura con molte differenze concettuali e d’uso. Invece

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non ho trovato in letteratura ma che pone un sostanziale semplificazione nelle procedure di analisi diffrattometria, specialmente per quelle destinate ad uso non distruttivo.

Molta parte del lavoro è stato svolto per cercare un campione adatto a questa funzione anche se le sue caratteristiche dovranno essere maggiormente approfondite in futuro.

In conclusione il lavoro che mi è stato proposto è stato condotto a compimento con la dimostrazione che i risultati ottenuti da un diffrattometro mobile per prove non distruttive sono riconoscibili come segnali di origine “diffrattometrica”. Il vantaggio è che detti segnali derivano da materiali non manipolati ed operanti sul posto d’impiego d’interesse geo-petrografico e mineralogico.

Il livello di conoscenza di questa nuova applicazione non distruttiva della Diffrattometria a raggi X non permette diidentificare molti dettagli nei diffrattogrammi, ma permette comunque di dare dei punti fermi da cui partire per sviluppi successivi.

I risultati ottenuti indicano dunque che lo strumento denominato DifRob è un diffrattometro che può essere utilizzato per scopi geo-petrografici per ottenere informazioni da campioni posti in località di difficile campionatura o dove il monitoraggio richiede una

campionatura continua.

I risultati indicano anche il percorso da seguire per ottenere elevate prestazioni diffrattometriche da detto strumento. Infatti, le differenze tra DifRob e strumenti da laboratorio, dotati di ottica molto raffinata (quali ad esempio il monocromatore o lenti policapillari) possono essere identificate, modelliate e introdotte in un sistema di

calibrazione a distanza.

Osservando i diffrattogrammi ottenuti dai provini in polvere, si osservano corrispondenze tra i picchi significativi. Queste corrispondenze sono maggiori rispetto al confronto tra polveri e sezione. In particolare si osserva che lo spostamento dei massimi è sensibilmente inferiore a quanto osservato nel confronto

Una importante considerazione che si deve fare riguarda il volume di campione interessato dall’interazione dei raggi X e, di conseguenza,

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all’interno di questo volume, la quantità di materiale coinvolto nella diffrazione.

Nel processo di diffrazione a raggi X, l’aggregazione in polvere finemente suddivisa svolge un ruolo diverso da un materiale i cui cristallini sono invece contenuti in un blocco compatto. Questo aspetto è in relazione alla trasparenza del campione che ha un andamento descritto da Berti (1995) nella modellazione del monitoraggio

strumentale della diffrazione. Poiché questa trasparenza del campione produce uno spostamento del massimo di diffrazione che è una funzione del seno di 2θ, abbiamo provato a scrivere la relazione

∆θ =h1 + h2 sen 2θ (7)

Detta relazione è stata riportata nel grafico di Figura 28. In esso si osserva che il diffrattogramma, ottenuto mediante DifRob, dal campione in sezione mostra un coefficiente di proporzionalità (h2)

maggiore rispetto quello ottenuto dalla polvere. Senza considerare i segni in gioco, il detto coefficiente, a parità di strumento dipende dal coefficiente di assorbimento di massa e di conseguenza dalla densità di materiale coinvolto nel processo di diffrazione.

Questo risultato è particolarmente significativo perché indica uno dei punti chiave con cui è necessario osservare i diffrattogrammi ottenuti con tecniche non distruttive e confrontare con i risultati ottenuti da diffrattometria tradizionale. Indica che l’effetto di trasparenza del campiuone è certamente molto importante.

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