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approccio psicologico al bambino in odontoiatria infantile

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

Obiettivo di questa tesi è quello di delineare le implicazioni psicologiche nell’ambito dell’odontoiatria infantile e analizzare le metodiche a disposizione dell’odontoiatra per la gestione psicologica del piccolo paziente.

L’odontoiatria moderna non può prescindere dalla conoscenza e dalla capacità di gestire le problematiche legate alla psicologia del paziente. La bocca e i denti sono infatti ricchi di significati simbolici ed emozionali. Nell’ambito dell’odontoiatria infantile, in particolare, la gestione psicologica del piccolo paziente rappresenta un obiettivo fondamentale per poter realizzare un piano di cure appropriato. Nel bambino la paura, l’ansia e la fobia sono spesso elementi dominanti ed ostacolano l’instaurarsi di una relazione proficua e duratura con l’odontoiatra.

Prefiggendosi l’odontostomatologia come scopo il mantenimento della salute orale, diventa fondamentale il ruolo delle visite periodiche di controllo e l’insegnamento di una corretta igiene orale fin dalla prima infanzia ed è pertanto essenziale ottenere la collaborazione dei piccoli pazienti. Per tale scopo, appare chiaro come l’odontoiatria infantile, non possa prescindere dall’utilizzare strategie di promozione della collaborazione, di inquadramento precoce del paziente non collaborante e di riabilitazione comportamentale dei casi più complessi. Anche l’inquadramento del genitore è un elemento essenziale. Infine sono state esaminate le strategie cliniche per il miglioramento della collaborazione del bambino.

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1. INTRODUZIONE

Per molto tempo l’odontoiatria e la psicologia sono state considerate due specialità mediche completamente estranee l’una dall’altra. L’odontostomatologia era ritenuta una disciplina molto tecnica, nella quale l’attenzione veniva focalizzata soprattutto sugli aspetti operativo-tecnici e clinici e si teneva poco in considerazione la psicologia del paziente. Attualmente però l’orientamento della comunità scientifica si è modificato e, pur essendo il campo d’azione limitato ad una piccola zona -il cavo orale - altrettanto limitato non deve essere il campo di indagine. Quest’ultimo deve riguardare la persona nel suo insieme, con tutti gli aspetti psicologici inerenti, inclusi il timore delle patologie e delle cure, l’ansia per la nuova esperienza terapeutica che si deve affrontare, il rapporto interpersonale che si instaura tra medico, paziente e assistente, che deve basarsi sulla completa fiducia.

Tenendo conto degli aspetti suddetti, si capisce quanto complesso sia instaurare un rapporto con il paziente. L’ odontoiatra per conseguire questo obiettivo deve prepararsi culturalmente, avvicinandosi ad altre discipline come la psicologia, la psichiatria e la neuropsichiatria infantile; inoltre, deve riconoscere dove termina la sua opera e dove inizia quella di altri specialisti, affidando ad essi la risoluzione di quei casi più complessi e difficili da gestire. Pertanto la correlazione tra l’odontostomatologia e le scienze psicologiche ha acquisito notevole importanza. Se queste considerazioni sono valide in generale per tutti i pazienti sui quali l’odontoiatra deve operare, a maggior ragione sono valide nel trattamento del bambino, cioè nel campo dell’odontoiatria infantile. Con il bambino, l’atteggiamento dell’operatore, deve essere maggiormente rivolto ad analizzare la psicologia, le cause dell’ansia, della paura e talvolta della vera e propria fobia che si genera nei piccoli pazienti.

Gli errori più frequentemente commessi dall’odontoiatra nella gestione psicologica dei pazienti sono legati all’eccessiva “tecnicizzazione”, cui si è già accennato prima,

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e, sul versante opposto, all’eccessiva “banalizzazione”, ossia quel modo semplicistico di affrontare le cose, contando esclusivamente sul proprio buon senso. In questa ottica, gli ostacoli che eventualmente insorgono nella relazione con il paziente ed i relativi risvolti psicologici, vengono trascurati del tutto o minimizzati allo scopo di guadagnare la cooperazione solo sul momento. Il fine ultimo dell’odontoiatria, tuttavia, è il mantenimento della salute orale, attraverso la prevenzione, le visite periodiche di controllo, l’insegnamento di una corretta igiene orale ed altre misure preventive.

Per ottenere tutto ciò, è quindi necessaria una cooperazione duratura e non momentanea.

Un rapporto che si basi sulla fiducia e sulla collaborazione, non sempre si instaura fin dall’inizio, anzi è molto difficile che ciò accada. Quanto detto vale soprattutto con i bambini i quali, solo se avvicinati con un approccio adeguato e cauto riescono pian piano ad accordare fiducia al medico e ad allontanare i timori e le inquietudini che li pervadono nelle fasi iniziali.

Talvolta può succedere che, nonostante sia stato adottato l’approccio giusto sin dalla prima seduta, il bambino non è in grado di poter offrire la sua collaborazione, perché in preda all’angoscia.

Il compito dell’odontoiatra è di inquadrare questi casi difficili, cercare di comprendere le ragioni dalla mancata collaborazione e trasformarli in casi più semplici da gestire. Se esso non ha i mezzi per poterlo fare deve affidarsi ad uno specialista psicologo, che idealmente dovrebbe già fare parte dell’equipe di lavoro. In passato, quando si presentavano all’attenzione del medico, dei pazienti “difficili”, si ricorreva quasi sempre all’uso dei farmaci e all’anestesia generale. Oggigiorno, il ricorso alla narcosi è riservato a quei pochi casi che non offrono altra possibilità di approccio, neanche quella del trattamento psicologico personalizzato.

Sono disponibili anche altre metodiche farmacologiche, come la sedazione cosciente, ma anche in questo caso è necessario farla precedere una preparazione psicologica, in

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Quanto finora detto è a dimostrazione del fatto che una competenza psicologica si inserisce sempre nel programma terapeutico, sia con pazienti “normali” e collaboranti, per prevenire la non cooperazione, sia con i bambini già preda di ansia e di angoscia, per rimuovere questi fattori ostacolanti e creare un clima sereno di potenziale cooperazione, sia infine, con i bambini odontofobici, per i quali non si può rinunciare ai farmaci, ma in cui non si ottiene il risultato terapeutico desiderato, se non si attua un’adeguata preparazione.

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2. PARTICOLARITA’ EVOLUTIVE E SIMBOLICHE INERENTI IL CAVO ORALE

Le prime necessità fisiche, legate alla sopravvivenza e alla soddisfazione, hanno come punto di riferimento somatico, la bocca. I bisogni primitivi sono connessi alla fame e al nutrimento, ma queste necessità sono anche cariche di emozioni emotive intense. Infatti, nel neonato, troviamo sia il benessere per aver soddisfatto un bisogno primario: la fame, sia il piacere per la stimolazione della zona orale.

È attraverso la bocca che si entra in contatto per la prima volta con il mondo esterno: con gli scambi alimentari si stabiliscono le prime relazioni sociali, i primi legami affettivi. Per il lattante, il cavo orale, è quindi un luogo di interazione primaria. Egli, in questa fase di sviluppo, definita da Freud “stadio orale”, non ha ben chiaro il rapporto tra sé e il mondo circostante; non percepisce ancora i limiti tra la sua bocca (il contenitore) e il seno o il biberon (il contenuto). Il latte fa da mediatore tra queste due entità, perché fa parte al tempo stesso dell’oggetto e del soggetto (1).

Secondo una teoria freudiana, una carenza o un eccesso di affetti durante questo periodo della nutrizione, può provocare una fissazione allo “stadio orale” e lo sviluppo di caratteristiche psicologiche che possono persistere fino all’età adulta. Quando questi soggetti si presentano in cura dall’odontoiatra, possono continuare ad associare all’atto di aprire la bocca intensi significati emotivi e simbolici, in grado di interferire con la pratica terapeutica.

La bocca, per il neonato, è anche un’importante zona erogena, a causa delle terminazioni nervose in essa contenute. La stimolazione di quest’ultime procura piacere, come dimostra la tendenza dell’infante, sebbene sazio, a portare il dito alla bocca o a succhiare il “ciuccio” o qualsiasi oggetto a disposizione.

Per il bambino il nutrimento è molto importante non solo per sopravvivere, ma anche perché incorporando il cibo ed in senso lato gli oggetti del mondo esterno,

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sua evoluzione psichica, perché gli consente, idealmente, di far diventare l’oggetto esterno parte della propria costituzione e di assumerne le specificità e le qualità.

È importante sottolineare che, per il bambino, l’incorporazione è caratterizzata dall’ambivalenza, ossia acquisisce sia aspetti piacevoli (di tipo libidico), sia aspetti spiacevoli di tipo aggressivo (odio, distruzione). In pratica, il bambino, appaga i propri bisogni di sicurezza unendosi al seno che lo nutre e sentendosi così, protetto e inglobato in un oggetto più grande, rassicurante, potente, nello stesso tempo però, prova invidia e ne fantastica la distruzione.

Il concetto dell’incorporazione si ritrova anche nella vita adulta: ad esempio, durante i periodi di innamoramento, si vorrebbe “mangiare” l’oggetto amato (2); oppure presso alcuni popoli primitivi la credenza magica insegna che si possono acquisire le stesse qualità di una persona mangiandola e ciò è alla base del cannibalismo di certe tribù. Anche quando vengono utilizzati come collane o amuleti i denti di grossi animali uccisi, si vuol dimostrare, ostentandoli come trofei, di aver acquisito tutta la potenza del nemico sconfitto.

Nella cultura occidentale i denti possiedono un valore estetico notevole. Alcuni Autori hanno definito un “indice estetico” (1) che comprende anche l’aspetto della dentatura: un basso livello di tale indice significherebbe una cattiva integrazione sociale.

La psicoanalisi considera attentamente le funzioni del cavo orale e le fantasie inconsce ad esso correlate. Già Freud sottolinea la polarità amore-odio diretta verso l’oggetto: il seno materno (3).

Successivamente, proseguendo la ricerca sull’evoluzione psichica, Abraham (2) distingue due sottofasi dello stadio di sviluppo orale: una prima fase dominata dal piacere di succhiare, in cui il neonato non percepisce la distinzione tra il sé e l’oggetto; una seconda fase, dopo la dentizione, detta “sadico-orale”, nella quale egli morde il seno ed esprime per la prima volta la caratteristica ambivalenza nei confronti dell’oggetto.

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L’evoluzione psichica del bambino quindi è collegata alle fasi della crescita ed ai conseguenti mutamenti biologici.

Il periodo di crescita dei primi denti impone lo svezzamento, cioè la prima reale separazione dalla madre, per cui nasce l’ambivalenza. I denti sono sentiti dal bambino sia come uno strumento di potenza e vendetta per l’allontanamento dal seno, sia come la causa stessa della perdita del seno.

In seguito, verso i 5-6 anni, c’è la “fase edipica” di Freud (3) in cui si inserisce la caduta dei denti decidui.

Nel bambino che attraversa questa fase si verifica un’ intensa conflittualità: il bambino ha il desiderio di sostituirsi al genitore dello stesso sesso, con il quale instaura a tale scopo un rapporto competitivo, per avvicinarsi e conquistare il genitore di sesso opposto. Questa competizione finisce con l’adattamento del bambino, che si identificherà con il genitore di uguale sesso.

La perdita dei denti, simbolicamente, indica al bambino la propria debolezza nel competere e viene interpretata come punizione ricevuta per la competizione instaurata.

Da qui nasce la consuetudine popolare di “ripagare” con qualche monetina il dente caduto: un modo simbolico di offrire protezione ed indennizzare la ferita narcisistica subita dal bambino.

La ricrescita dei denti avviene in un periodo definito di “latenza” (2) in cui lo stato psicologico del bambino è caratterizzato dal cessare dei conflitti precedenti, dall’identificazione con il genitore dello stesso sesso, da nuovi interessi, come l’inizio della scuola.

La dentizione non è più strumento di aggressività, anzi, la ricomparsa dei denti ha adesso un valore estetico importante per l’integrazione nel sociale: ciò porta ad identificare nell’odontoiatra un personaggio che non solo non fa più male, ma restituisce l’efficienza e la bellezza.

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Gli accostamenti simbolici che scaturiscono dalle precedenti considerazioni sono i seguenti: dente come strumento aggressivo; dente come strumento di potenza e virilità; dente come strumento di bellezza.

L’opera del dentista è ben accetta dal paziente se questi ha completato l’evoluzione psichica e ha superato ed elaborato la “fase edipica”, altrimenti, se è fermo alle fasi evolutive precedenti, la figura dell’odontoiatra sarà vista negativamente: ora con aspetto divorante e dilaniante (“fase orale”), ora con potere castratorio e punitivo (“fase edipica”).

Quando si hanno di fronte bambini piccoli, che attraversano le fasi di sviluppo orale ed edipica, la chiave di accesso sarà, nel primo caso, identificarsi con le parti buone del genitore ed assumerne le qualità positive, nel secondo caso sarà il proposito di offrire al bambino denti forti e potenti, in modo tale da rinforzare le componenti narcisistiche.

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3. LA PAURA DELL’ODONTOIATRA

La paura è sempre stata presente nella vita dell’uomo come indicatore di pericoli e si può considerare un elemento necessario ai fini di una maggiore capacità di far fronte allo stress e per la sopravvivenza stessa dell’individuo.

Tuttavia la paura pone dei problemi quando diviene sofferenza, quando è insopportabile, quando si inserisce in tutte le attività della vita del soggetto, impedendogli di dormire, di muoversi, quando disturba i rapporti sociali o i rapporti con i medici e quindi anche con l’odontoiatra.

In quest’ultimo caso, l’angoscia impedisce al paziente di consultare il dentista oppure intralcia il suo lavoro: la maggior parte delle volte la causa è il semplice timore di provare dolore.

Molti aspetti del trattamento odontoiatrico sono in grado di scatenare una serie di reazioni biologiche di angoscia, poiché sono subito messi in relazione con il dolore che possono provocare. Tra questi ritroviamo: la vista e il rumore degli strumenti; la posizione per poter accedere alla cura, che rende il paziente passivo ed impotente; l’uso della mascherina da parte dell’operatore; l’anestesia praticata; l’eventuale perdita di sangue; la presenza dell’assistente.

Sono tutti elementi che richiamano alla mente l’immagine di un vero e proprio intervento chirurgico, con tutti i suoi aspetti terrificanti.

Nel paziente adulto, la motivazione al trattamento odontoiatrico può essere molto grande, soprattutto quando si impone un’ esigenza medica o quando sono in gioco importanti esigenze estetiche: in questi casi la “componente dolore” non peserà più di tanto.

Nel bambino invece la motivazione è inconsistente e la possibilità che il piccolo paziente presenti atteggiamenti non cooperativi è piuttosto elevata, sia a causa dell’ età, sia per il contesto operativo che è visto come rigido e aggressivo.

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Usare modalità di controllo del comportamento del bambino non adeguate accentua gli atteggiamenti negativi, intensifica le paure, che possono trasformarsi in fobie e pregiudica il rapporto con il paziente che si risolve con il rifiuto delle cure odontoiatriche anche nelle successive fasi della sua crescita.

Le paure nei confronti dell’odontoiatra sono accentuate dall’intenso simbolismo che il bambino, inconsciamente, attribuisce alla bocca e ai denti. Per questo motivo tutte le operazioni svolte dall’odontoiatra sono come ingigantite, caricate di significati molto più ampi e devastanti: l’estrazione viene vissuta come un “intervento di castrazione”; le sofferenze che prova come interventi punitivi, svolti oltretutto con il consenso dei genitori che hanno portato il piccolo dal dentista contro la sua volontà. Gli interventi sulla bocca richiedono quindi la massima attenzione perché lo specialista si accinge ad aggredire una “zona vitale” di un soggetto indifeso.

Le paure del bambino sono fondamentalmente di due tipi: la paura per la nuova esperienza e la paura di provare dolore.

Per tutte le esperienze nuove un certo grado di paura è fisiologico, perché fa parte dell’istinto di conservazione presente in tutti gli esseri viventi.

Come tale non deve essere considerata un “inconveniente” dall’odontoiatra, ma una difesa naturale messa in atto dal bambino. Alla prima visita, perciò, il medico deve aiutare il piccolo paziente a superare questo momento difficile, avvalendosi di un approccio graduale agli strumenti che dovranno essere utilizzati e operando in spazi ed ambienti adeguati alle circostanze. Il ruolo dei genitori è molto importante in questa fase, perché essi rappresentano un punto di unione tra una situazione ben conosciuta (l’ambiente familiare) e la nuova situazione (lo studio odontoiatrico) (3). Questo tipo di paura normalmente svanisce durante la prima visita se vengono attuate adeguate strategie per la motivazione del piccolo paziente; in caso contrario non si potrà procedere alla fase operativa senza incorrere in situazioni spiacevoli e sono pertanto indicate ulteriori sedute di motivazione prima di passare all’esecuzione di manovre cliniche più complesse. Infatti, affrontando la terapia con una condizione di

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ansia di base sarà molto più accentuata la seconda componente della paura, ovvero quella di provare dolore.

Bisogna precisare che un fanciullo tende a considerare come doloroso ogni stimolo avente una tonalità sgradevole, qualunque sia la sua natura: noia, fastidio, ansia, costrizione, intrusione. Prevale in lui dunque la componente psicologica del dolore rispetto alle reali cause fisiche ed organiche, che sono molto difficili da valutare quantitativamente.

Il dolore provato da un bambino è influenzato dalle esperienze personali avute in precedenza, ma anche dalle esperienze di dolore dei genitori. Il piccolo può aver subito una precedente ospedalizzazione, un intervento chirurgico, un dolore anche modesto nel corso di cure mediche e ricordare tutto ciò come esperienze negative da non ripetere.

D’altro canto, per quanto riguarda i genitori, ci sono coloro che ritengono il dolore fondamentale nella vita di un uomo e che come tale vada sopportato con serenità e dignità; e coloro i quali pensano che vada invece esaltato e manifestato ad altri, per poterlo così allontanare ed eliminare. Il bambino riceve questo patrimonio dai genitori, anche se può mediarlo con la propria personalità e con le proprie esperienze. Da quanto detto si capisce come “l’esperienza dolore” e le manifestazioni ad essa legate siano soggette a molte variabili, non tutte facilmente controllabili.

Un ultimo aspetto da considerare è l’importanza dell’ambiente esterno nell’accentuare la percezione e l’esteriorizzazione del dolore.

Concludendo, risulta più facile controllare il dolore in un bambino tranquillo piuttosto che in uno ansioso, che non ha ancora superato la paura per la nuova esperienza. Pertanto è possibile far diminuir la paura del dolore eliminando, fin dal primo incontro, la paura per la nuova esperienza attraverso un corretto approccio al piccolopaziente.

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4. IL PRIMO APPROCCIO AL BAMBINO 4.1. L’accoglienza in studio

Tutte le tecniche e gli accorgimenti che vengono usati in pedodonzia, sono rivolti a stabilire un rapporto positivo e di collaborazione con il paziente.

Molto importante innanzitutto è l’ambiente di lavoro. Questo deve infondere sicurezza al bambino, per cui deve apparire attraente ai suoi occhi: presenza di piccoli mobili, fisicamente adatti a lui, abbondanza di giochi, sale d’attesa dipinte con colori vivaci, poster, disegni, poltroncine e piccole sedie, un abbigliamento del personale semplice e con tessuti dai colori rilassanti. Tutti questi sono elementi che già al suo arrivo in studio gli comunicano che è il benvenuto.

Il passo successivo per il bambino è l’integrazione in questo spazio, dal punto di vista psicologico e questo è il compito dello staff dello studio.

Il piccolo paziente acquista familiarità con l’ambiente, se viene accolto con frasi “carine”, ma a questo scopo, anche la comunicazione non verbale è molto importante (1). Essa consiste nel fare al bambino piccoli gesti teneri (carezze) e nell’osservare ciò che ci comunica con gli atteggiamenti, i gesti, le posizioni del capo, così da entrare in sintonia con lui. Permettergli di compiere delle scelte, di comunicare le proprie sensazioni, di influenzare gli avvenimenti, di maneggiare gli strumenti, sono tutti elementi fondamentali per farlo sentire apprezzato e considerato. In pratica, si può fargli scegliere il lato dal quale sedersi sulla poltrona e dal quale cominciare per guardargli i denti; si può chiedere se vuole riposarsi o continuare. Così facendo, i bambini più piccoli, sentono soddisfatta la loro naturale curiosità ed il loro desiderio di dimostrare che sono capaci; i bambini più grandi, si sentono importanti ed hanno la sensazione che la loro cooperazione sia volontaria e non forzata. In conclusione, si traccia in essi, un’esperienza di vera partecipazione attiva, soggettiva, che li coinvolge e li invoglia a collaborare anche nel futuro.

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Informarsi sulle sensazioni provate del bambino, prima, dopo e durante il trattamento, è un altro elemento importante da considerare, perché fa capire al paziente la preoccupazione e l’interesse che l’odontoiatra prova nei suoi confronti e pone le basi per costruire un rapporto di fiducia.

Si riesce, inoltre, a stringere una proficua alleanza di lavoro con il piccolo paziente, a patto che si tenga conto delle reciproche influenze che insorgono tra i protagonisti della visita odontoiatrica: dentista, bambino e genitore.

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4.2. I ruoli dei partecipanti alla seduta

Il ruolo di ogni soggetto deve essere rispettato e mantenuto dall’inizio alla fine. Non sarebbe infatti possibile lavorare su di un paziente che volesse insegnare all’operatore le manovre da eseguire; come pure, non sarebbe accettabile un medico che manifestasse palesemente il proprio timore o la propria incompetenza nel gestire il paziente.

Per quanto riguarda invece il genitore, sarebbe molto negativa una situazione in cui il bambino viene sovraccaricato dall’ansia e dalla paura materna o paterna, mentre, al contrario, dovrebbe esserci un fisiologico scarico dell’angoscia, nel senso bambino-genitore.

4.2.1. Il genitore

Il ruolo della madre, quando il bambino è molto piccolo, è quello di fare da tramite con il mondo esterno, di contenere le ansie e le paure del figlio, di appoggio insostituibile in un momento così delicato e fonte di stress, come la prima visita odontoiatrica.

La sua presenza è utile per comprendere i problemi odontoiatrici del figlio, per potergli, in seguito, fornire spiegazioni sulla cura dentale e rafforzare in lui la motivazione al trattamento e l’atteggiamento positivo. Affinchè il genitore sia preparato ad affrontare tutto ciò, è necessario illustrargli alcuni concetti, che possono essere riassunti in una lettera informativa. Inoltre, prima dell’inizio della seduta, egli avrà un colloquio con l’assistente, affinchè gli vengano chiariti eventuali dubbi, ma soprattutto, allo scopo di elaborare ed allontanare la propria ansia, di fronte alla nuova esperienza del figlio. Solo in questo modo, potrà rappresentare un valido aiuto per il suo bambino.

I consigli da dare al genitore sono i seguenti: (3)

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- Avvertire il bambino qualche tempo prima dell’appuntamento

- Spiegare al bambino in che cosa consisterà la visita, evitando di usare termini aggressivi es.: “curare” un dente malato, anziché “togliere”

- Non minacciare di portare il bambino dal dentista se farà il cattivo

- Se il bambino è molto piccolo, quindi la madre sarà presente durante le cure, essa non dovrà interferire, così da permettere un contatto diretto tra medico e

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4.2.2. L’odontoiatra

Il ruolo dell’odontoiatra, è quello di seguire schemi precisi di comportamento e non deve variare a seconda delle mutevoli circostanze del momento.

In primo luogo deve usare la tecnica anglosassone detta “Tell-Show-Do” (3), ossia “spiegare-mostrare-fare”, prima di eseguire ogni manovra operativa. In questo modo i bambini familiarizzano con gli strumenti toccandoli, osservandoli, vedendo come funzionano. Come primo approccio si possono dare istruzioni di igiene orale e a questo scopo può essere dato al bambino uno spazzolino perché mostri in che modo si lava i denti, felicitandosi con lui se lo fa correttamente, oppure correggendolo ed indicandogli i punti più difficili da spazzolare (1).

Un’altra tecnica molto utile per rinforzare i comportamenti collaborativi, è quella del “rinforzo-punizione” (3).

Il rinforzo consiste nel premiare i comportamenti utili o anche semplicemente sottolinearli con un sentimento di approvazione (verbale o non verbale). La punizione consiste in una lieve disapprovazione, in una sospensione dei rinforzi, ogni volta che si hanno comportamenti non voluti.

Il metodo “rinforzo-punizione” viene usato durante tutte le sedute; può dare ottimi risultati se il clinico ha ben chiaro quali siano i comportamenti da premiare e quali quelli da punire, anche in relazione allo stato di evoluzione psichica del bambino. In genere, alla fine del trattamento, ci si congratula con il piccolo di fronte alla mamma, in modo da terminare l’incontro con una nota positiva. Questo atteggiamento fa provare al bambino un senso di realizzazione e lo guida all’apprendimento di schemi comportamentali consoni all’esecuzione delle cure. Un’altra tecnica è quella del “comportamento guidante” (3). Questa consiste nel guidare il paziente, spiegando ciò che si vuole da lui e non menzionando ciò che non si vuole; nel rispondere alle domande che vengono poste dal bambino dicendo

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sempre la verità, con un linguaggio adatto all’età; nell’ammettere che si potrà causargli dolore o disagio, ma che tutto sarà superabile grazie alla sua collaborazione. Questo comportamento dell’odontoiatra può essere utilizzato con facilità e successo con bambini tranquilli, ma è più difficile da attuare con pazienti timorosi, con i quali si corre il rischio di ricorrere a metodi come: (3)

- La rassicurazione: “Non preoccuparti, non ti farò male” - La costrizione: “Stai fermo, non muoverti”

- L’umiliazione: “Non ti vergogni….!”

ossia tutti sistemi inefficaci. Il risultato è un insuccesso terapeutico, del quale spesso l’odontoiatra non ammette la propria responsabilità proiettando all’esterno la causa dell’accaduto e concludendo che si tratta di un bambino particolarmente “difficile” e per il quale si deve ricorrere a soluzioni drastiche come la narcosi.

Un altro errore è quello di sottovalutare la paura di un bambino, proprio perché sembra tranquillo e collaborante, privandolo di quei rinforzi positivi necessari e adottando con lui sistemi più sbrigativi: così facendo si trasforma un bambino collaborante in non collaborante.

4.2.3. Il bambino

L’approccio al bambino è diverso a seconda delle età:

- Durante i primi tre anni di vita il bambino va incontro ad una profonda evoluzione delle sue capacità cognitive e relazionali. Durante il primo anno il neonato è totalmente dipendente dai genitori, in particolare dalla madre e manifesta le proprie emozioni con il riso o con il pianto. Nel secondo anno di vita ha inizio l’acquisizione del linguaggio ed il processo di apprendimento del bambino avviene osservando ed imitando i comportamenti degli adulti. In questa fase il bambino ha paura degli estranei e teme il distacco dai genitori, la cui presenza e cooperazione diventano quindi essenziali se devono essere

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la propria personalità ed ha la capacità di interagire in modo diretto con l’odontoiatra accettando o rifiutando determinate procedure cliniche e formulando domande. Questo è il momento più idoneo per costruire un rapporto di fiducia col bambino (4).

- Con il bambino in età prescolare (3-6 anni) si deve creare un rapporto di amicizia, prevalentemente attraverso comunicazioni non verbali e, successivamente, con frasi semplici. Tra le tecniche da usare, si predilige quella del “rinforzo-punizione”. La presenza del genitore è comunque necessaria. Un importante aspetto evolutivo dei bambini in questa fascia di età è rappresentato dallo sviluppo del self-control, ovvero il controllo delle proprie emozioni, che può essere sfruttato con successo dall’odontoiatra ad esempio facendo distrarre il bambino durante procedure sgradevoli (come l’iniezione dell’anestetico locale) focalizzando la sua attenzione su qualcosa in modo che riesca a controllare l’ansia e la paura.

- Con il bambino in età scolare (6-12 anni) è più facile stabilire un rapporto verbale ed affrontare in modo diretto le sue paure. Quest’ultimo aspetto è importante, in quanto il medico, partecipando alle ansie del suo paziente, fa aumentare in lui e nei genitori la fiducia e i consensi.

In base all’osservazione del comportamento assunto dai bambini, durante le sedute odontoiatriche, è possibile definire alcune tipologie, per ognuna delle quali, si diversifica l’approccio iniziale: (1)

- Il bambino collaborante : non dà problemi perché del tutto fiducioso

- Il bambino collaborante ma teso : non riesce a rilassarsi, nonostante gli costi un’enorme fatica psichica, si comporta bene durante la visita, ma alla fine può presentare manifestazioni tipo vomito o svenimento

- Il bambino ribelle: è viziato, in famiglia ottiene tutto quello che vuole e altrettanto vorrebbe fare con il dentista; risponde sgarbatamente ed è impertinente

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- Il bambino pauroso: ha lo sguardo terrorizzato, non si siede sulla poltrona, non si lascia trattare

- Il bambino apprensivo: è ansioso, insicuro, chiede spiegazioni, piange, non sa se acconsentire al trattamento

- Il bambino emotivo: è in genere un bambino molto piccolo, totalmente dipendente dal genitore; presenta un comportamento imprevedibile. Può avere scatti improvvisi, cambiamenti di umore e spesso interrompe la seduta

4.2.4. L’assistente

Infine anche l’assistente ha un importante ruolo: deve essere dolce e delicata nel trattare i bambini, comprensiva, rassicurante; deve spiegare con parole semplici i procedimenti e se lo ritiene, può far partecipare attivamente il bambino dandogli uno specchio per osservare; deve aiutare i genitori sostenendo con essi un colloquio; deve in conclusione, creare un ambiente caldo e familiare per essere in sintonia con il bambino.

4.3. La prima visita

La prima visita è considerata introduttiva, infatti, avvalendosi di tutti i sistemi analizzati in precedenza, serve in sintesi a far conoscenza con il piccolo paziente; ad ottenere un’anamnesi accurata, ad introdurre gradualmente il paziente nella nuova esperienza. Nella prima seduta quindi l’obiettivo non è il compimento di cure odontoiatriche.

Da un punto di vista pratico, la prima visita comprende inizialmente la raccolta dell’anamnesi. Questa si ottiene facendo compilare ai genitori opportuni questionari, i quali indicano anche se sarà possibile avere la collaborazione del bambino.

Successivamente c’è il vero momento operativo. Nella zona operativa si svolge il colloquio dell’assistente con la madre ed eventualmente della madre con il bambino,

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quando esso è ancora titubante e necessita di una ulteriore spiegazione e rassicurazione da parte del genitore.

Soltanto durante la seconda seduta si possono affrontare le cure. Naturalmente l’odontoiatra non deve mai rinunciare alle tecniche suddette, perché il rapporto non si costruisce solo durante la prima seduta, bensì deve essere consolidato di volta in volta, anche nelle sedute successive.

A questo punto sorge un quesito: come deve comportarsi il clinico, se il bambino si presenta al primo incontro per un’urgenza medica? In questa situazione il dentista non ha tutto il tempo a disposizione richiesto per il classico approccio pedodontico, ma deve risolvere il problema posto alla sua attenzione. In linea generale è preferibile astenersi da interventi cruenti, da procedimenti diagnostici complicati e dolorosi ed eseguirli, invece, in un secondo tempo, dopo un’adeguata preparazione psicologica del paziente. Tuttavia, se è strettamente necessario un intervento traumatico, bisogna operare con il massimo tatto e gentilezza, spiegare ogni cosa al bambino, per cercare

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5. IL BAMBINO NON COLLABORANTE

Il soggetto non cooperante è colui il quale ostacola il trattamento attraverso comportamenti oppositivi, rendendo impossibile l’avvicinamento dell’operatore e manifestando un totale rifiuto.

Per non giungere a questi livelli estremi bisogna individuare precocemente le forme di non collaborazione.

Questo è possibile attraverso lo studio e l’analisi delle personalità e degli atteggiamenti di numerosi bambini.

I segnali più indicativi sono quelli che riguardano la comunicazione non verbale, che è il modo più esplicito con il quale il paziente manifesta i suoi stati d’animo.

La comunicazione non verbale è importante in ogni relazione umana, ma è indispensabile nella relazione odontoiatra-paziente, dato che il dentista, lavorando in bocca, impedisce l’uso della parola.

Gli elementi della comunicazione non verbale sono: lo sguardo, la mimica, la gestualità, la postura (1).

Attraverso lo sguardo il paziente esprime l’emozione prevalente: terrore, ansia, rassegnazione oppure esprime tranquillità e rilassatezza, quando riesce a chiudere gli occhi e ad abbandonarsi, lasciando che la tensione muscolare si attenui.

Anche la mimica facciale è molto chiara nel manifestare tutte le emozioni; può servire inoltre a valutare quando un’anestesia è indispensabile o quando può essere evitata.

La gestualità è molto accentuata, fino ad arrivare all’agitazione psicomotoria, quando il soggetto è fobico; tic ed estremità che si muovono nervosamente indicano una paura meno intensa.

La postura infine è altrettanto indicativa: si può osservare se le gambe sono incrociate in segno di difesa; se le mani sono aggrappate ai braccioli della poltrona; se la

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5.1. Ansia e fobia

Attraverso l’osservazione degli elementi di comunicazione non verbale si può classificare in gradi il livello di ansia provata dal bambino: lieve, moderata, elevata, grave (3).

Al primo livello di ansia il piccolo è teso, ipervigile, con risposte esagerate a normali stimoli, e pur avendo paura del trattamento riesce tuttavia a controllarsi.

In preda ad un’ansia moderata il paziente è apprensivo, manifesta il suo costante stato d’allarme con una verbalità accentuata ed esagera i propri malesseri.

Quando il bambino prova un’ansia elevata è pallido, sudato, impaurito, agitato, ha i battiti cardiaci accelerati ed impedisce l’approccio al dentista.

Infine, nelle forme di ansia grave, c’è un rifiuto totale ad aprire la bocca e ad avvicinarsi al medico, possono esserci crisi di pianto, urla e tentativi di fuga.

L’ansia è definita come uno spiacevole stato emotivo in cui si associano un senso di impotenza nei confronti di un pericolo imminente e una notevole tensione motoria. Un certo grado di ansia è fisiologico: essa incrementa l’attività produttiva del soggetto e la sua motivazione a compiere determinate imprese; è un importante segnale di allarme nei confronti di una situazione minacciosa che fa temere per la propria incolumità.

L’individuo mette allora in atto quei meccanismi difensivi che fanno superare il pericolo e l’ansia viene così controllata, ma se ci si discosta dalla normalità, il senso di minaccia si ingrandisce e l’ansia risulta incontrollabile, sino a generare una vera e propria fobia.

Si distingue l’ansia fisiologica (ossia reale), sostenuta da una minaccia vera e oggettiva, dall’ansia nevrotica (ossia la fobia), dovuta invece ad una minaccia interna, ingigantita da rappresentazioni appartenute al passato (3).

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L’ansia che si genera durante una visita odontoiatrica, secondo alcuni Autori, è di tipo “misto”: il paziente parte da elementi reali di ansia (il timore di provare dolore o di subire un danno) ma ne attiva poi altri, sempre meno realistici e più fantastici. 5.2. Le ragioni della non cooperazione

I fattori più importanti che determinano l’impossibilità ad ottenere la collaborazione del piccolo paziente sono i seguenti: (3)

- età inferiore ai 4 anni

- precedenti esperienze negative: estrazioni eseguite senza preavviso o con costrizione fisica o altre manovre eseguite senza il rispetto della sensibilità del paziente

- ansia dei familiari verso l’ambiente odontoiatrico, soprattutto del genitore che accompagna il figlio alle cure

- precedenti ospedalizzazioni o interventi vissuti in maniera traumatica

- assoluta inesperienza nei confronti delle cure dentistiche, per cui il bambino è soggiogato dalla paura dell’ignoto e della nuova esperienza.

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6. TRATTAMENTO DEL BAMBINO ANSIOSO

L’atteggiamento neutrale o diffidente di certi bambini verso le sedute odontoiatriche deve essere convertito dal clinico in atteggiamento interessato e cooperante.

Come abbiamo visto l’odontoiatra dispone di molte tecniche per mettere in atto il giusto approccio, ma se risulta incapace ad utilizzarle o mostra una scarsa considerazione per tutto ciò, il risultato è la non cooperazione.

Un’altra situazione che può verificarsi è il passaggio dal comportamento collaborante a quello non collaborante, perché si priva il bambino dei necessari rinforzi positivi. Così facendo il piccolo paziente non si sente importante e gratificato come vorrebbe, quindi, per porsi di nuovo al centro dell’attenzione, fa in modo che si torni ad occuparci di lui, cercando di ottenere nuovamente la sua collaborazione.

E’ possibile tuttavia, nonostante l’utilizzo dell’approccio corretto, che il bambino risulti ugualmente intrattabile: questo perché siamo di fronte ad un soggetto particolarmente ansioso, con una paura di intensità talmente elevata da divenire patologica. Con questi pazienti ci sono altre vie da tentare per ottenere la collaborazione, prima di passare alle terapie farmacologiche.

L’odontoiatra deve concentrarsi sul superamento di questi ostacoli e, sospendendo provvisoriamente le cure, utilizzare quelle misure terapeutiche utili a ridimensionare l’ansia. Queste vanno al di là del normale approccio pedodontico, variano da un soggetto all’altro e presuppongono una più approfondita conoscenza psicologica del paziente.

6.1. Indagine anamnestica

Per conoscere più da vicino il soggetto occorre eseguire un’anamnesi personalizzata: si formulano al genitore una serie di domande sul bambino, rivolte a scoprirne il carattere, l’emotività, il grado di inserimento sociale, il livello intellettivo, le

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precedenti esperienze mediche, il rapporto con i genitori e l’ambiente familiare, le motivazioni verso le cure.

Da questo colloquio, che dura circa trenta minuti e si svolge al di fuori della zona operativa, emerge se il paziente è semplicemente più ansioso della norma e quindi trattabile con una tecnica sedativa, oppure se ha problemi psicologici più seri, che allora richiedono, per essere risolti, una consulenza psicologica.

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6.2 Sedazione cosciente

Una tecnica sedativa molto usata è quella denominata “sedazione cosciente” (3). Si utilizza una “mascherina” posta sul naso del bambino, attraverso la quale si fa inalare una miscela di ossigeno e protossido di azoto, che rende tranquillo il soggetto e gli fa percepire meno dolore. Per poter praticare questa metodica è indispensabile spiegarla al genitore in modo semplice e positivo, affinché questi possa accettarla e di conseguenza farla accettare anche al figlio.

Soltanto con la piena collaborazione del bambino infatti è possibile ottenere il successo terapeutico auspicato, in quanto il fanciullo rimane sveglio e deve cercare di respirare solo con il naso.

Si può far apparire tutto come un gioco, in un’atmosfera resa serena e calma dall’odontoiatra. Si descrive passo dopo passo ciò che avverrà, tenendo la mano del bambino e parlandogli sottovoce, in maniera monotona, come una cantilena.

Si anticiperà al piccolo che proverà sensazioni particolari, che il medico dovrà condizionare in senso positivo; inoltre egli deve sempre rafforzare (mediante la tecnica del “rinforzo-punizione”) le sensazioni positive provate e la collaborazione fornita dal paziente e sminuire gli aspetti negativi che eventualmente si sono presentati.

Da quanto detto si deduce che la “sedazione cosciente” è un vero e proprio trattamento psicologico, mentre sarebbe un grave errore considerarlo esclusivamente o prevalentemente farmacologico.

L’effetto farmacologico che si sfrutta è infatti minimo, potendo utilizzare miscele a contenuto di protossido di azoto ancora più basso.

Occorre invece, in questa tecnica, affidarsi in maggior misura prima, durante e dopo la sedazione, alla suggestione psicologica.

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6.3 Altre tecniche psicologiche

Suddividere un trattamento che fa paura in brevi periodi di tempo, ognuno dei quali seguito da un intervallo di riposo, è un metodo definito “strutturazione del tempo” (3).

In questo metodo, per il bambino, la terapia diventerà più sopportabile perché, sapendo quanto durerà il momento operativo, sarà facile per lui offrire una disponibilità e una collaborazione limitata nel tempo e non più indefinita.

Inoltre scandire il tempo che durerà l’intervento (contando ad esempio fino a dieci), distrae il bambino da altri pensieri negativi.

Nell’intervallo di riposo che segue si usa il “rinforzo positivo” o gli si concede una piccola quantità di tempo per giocare.

Con i bambini è anche utile la “distrazione”. Questa tecnica comportamentale può far uso di vari elementi: presentazione su schermo televisivo di un videogioco o di un cartone animato oppure, più semplicemente, parlare di un argomento affascinante per il soggetto o raccontare fiabe.

L’ “immaginazione guidata” (3) è una tecnica molto vicina all’ipnosi e che si sovrappone alla “distrazione” e può essere impiegata per rafforzare la collaborazione del piccolo paziente.

6.4 Metodiche cliniche non invasive

Negli ultimi anni grazie sono state messe a punto alcune metodiche minimamente invasive che possono essere utilizzate con successo in odontoiatria infantile, soprattutto nelle fasi iniziali del piano di trattamento, in cui si sta ancora cercando di rafforzare la collaborazione del piccolo paziente.

Tra queste, ad esempio, troviamo l’impiego dell’ozono per la gestione non invasiva ed indolore delle lesioni cariose (5). Un’apposita apparecchiatura in grado di produrre

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direttamente sul dente affetto da carie, determinando la disinfezione della lesione cariosa che arresta la sua progressione. In questo modo l’approccio più invasivo, che include la preparazione della cavità con strumenti rotanti ed il restauro conservativo, può essere rinviato e con una o più sedute, durante le quali viene effettuata la sola applicazione di ozono, si rafforzano la motivazione e la collaborazione del bambino. Un’altra strategia clinica che può essere impiegata per evitare un approccio invasivo nel bambino particolarmente ansioso è quella di realizzare restauri con la tecnica ART (atraumatic restorative treatment) (6). Questa tecnica prevede l’escavazione della lesione cariosa del dente deciduo mediante l’impiego solo di strumentazione manuale, che è accettata più volentieri rispetto a quella rotante. La cavità viene poi restaurata con un cemento vetroionomerico che grazie alla sua proprietà di rilasciare fluoro contribuisce al controllo della progressione della lesione cariosa che potrebbe verificarsi a causa dell’incompleta rimozione della dentina affetta. Con questa tecnica si riesce ad ottenere un restauro efficace senza adottare un approccio troppo invasivo che potrebbe compromette in maniera irrimediabile la collaborazione del bambino ansioso.

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7. L’APPROCCIO AI GENITORI “DIFFICILI”

L’odontoiatra, oltre ad occuparsi del problema di eseguire cure dentali in bambini “difficili”, deve considerare con altrettanta importanza, l’analoga e parallela difficoltà dei genitori che accompagnano il figlio (7). Ciò diventa un compito non facile per il professionista: deve infatti riconoscere ed accettare i comportamenti inadeguati dei genitori, cercando di arginarli con risposte equilibrate e rassicuranti; deve costruire un solido rapporto fondato sulla reciproca collaborazione.

Per un bambino piccolo, la madre è un appoggio insostituibile, è il tramite principale per i contatti con il mondo esterno, fungendo da filtro nelle relazioni del figlio. È dunque chiaro, come il comportamento di un bambino nello studio dentistico, sia strettamente dipendente da come hanno vissuto l’esperienza odontoiatrica i genitori, quando anch’essi erano bambini e da come la vivono nel presente, da adulti.

Quando c’è equilibrio all’interno della famiglia, il bambino accetta le cure abbastanza tranquillamente e, nel caso si presentino ostacoli, il genitore diventa un valido alleato del pedodontista. Al contrario, qualora la personalità dei genitori sia fragile e disturbata, non soltanto essi non sono più in grado di aiutare il medico nella gestione del figlio, ma diventano essi stessi un ostacolo, interferendo negativamente nella relazione odontoiatra-piccolo paziente.

Il giusto approccio che l’odontoiatra deve mettere in atto, consta, in primo luogo, di un colloquio con il genitore mediante il quale si illustra: la modalità di svolgimento delle cure da eseguire; che il trattamento sarà accettabile per il figlio, il quale potrà esprimere sempre le sue sensazioni e che queste verranno considerate; che i ritmi del bambino e i suoi bisogni saranno rispettati; che niente di intrusivo ed aggressivo sarà fatto. Si indaga poi, con il genitore, circa l’eventuale non cooperazione; si indicano, inoltre, le possibili soluzioni, nel caso si presentassero degli ostacoli.

Riguardo alla presenza o meno del genitore durante l’espletamento delle cure, si ritiene necessaria quando il bambino è terrorizzato, ma a patto che l’adulto mantenga

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In base all’atteggiamento disturbante prevalente, è stato possibile distinguere diverse tipologie di genitori, che più frequentemente interferiscono con il lavoro dell’odontoiatra e per ognuna delle quali è necessario un diverso approccio (1,7). Il genitore diffidente teme di essere oggetto di sfruttamento, anche se è stato perfettamente informato sull’iter terapeutico. L’odontoiatra, in questo caso, deve lasciargli il tempo per pensare ai vari tipi di cura proposti, non dare l’impressione di intrappolarlo o di influenzarlo nella scelta.

Il genitore impaziente è intollerante nei confronti di ogni cosa. Non vuol sprecare del tempo prezioso, quindi esige poche sedute e brevi, non tenendo conto dei problemi e delle difficoltà che possono insorgere nel trattamento del figlio. L’odontoiatra in questo caso deve dimostrare un notevole controllo, perché sarebbe molto sbagliato irritarsi o criticare il genitore. L’atteggiamento da tenere con quest’ultimo è quello di parlargli con calma, comprenderlo, senza mai dargli torto e spiegargli che l’avvicinamento al bambino deve essere graduale, per ottenerne la collaborazione. Il genitore ansioso scarica sul figlio ansie e paure, sovraccaricandolo di tensione, per cui non sarebbe auspicabile la sua presenza durante le cure. L’odontoiatra deve rassicurare ampiamente il genitore, facendogli presente che farà tutto ciò che è in suo potere, per evitare disagi e situazioni spiacevoli e affronterà, nel modo migliore, ogni eventuale problema.

Il genitore controllore è colui il quale accompagna sempre il figlio e vuole controllare ogni aspetto della situazione odontoiatrica, impedendo così l’instaurarsi di un proficuo rapporto odontoiatra-bambino. Il compito del medico è, in questo caso, quello di chiarire con diplomazia i ruoli dei partecipanti alla visita, tenendo sotto controllo l’intrusione del genitore.

Il genitore aggressivo attacca il pedodontista e lo colpevolizza, senza fondati motivi, per i problemi che presenta il figlio. L’odontoiatra deve fare in modo che l’aggressività venga totalmente sfogata, quindi non deve reagire ai continui attacchi, bensì rimanere calmo e infondere tale calma anche nel genitore.

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Il genitore proiettivo è definito tale, perché tende a proiettare sul dentista i propri sentimenti di aggressività e rancore, alleandosi con il figlio contro il medico. Questi deve cercare di far emergere i lati positivi e la parte più evoluta del carattere del genitore, ignorando le parti negative e distruttive.

Il genitore passivo infine, è colui il quale delega tutto all’odontoiatra, non prende parte a nessun aspetto della seduta, rimanendo costantemente in disparte. Così facendo trasmette al figlio l’atteggiamento di passività e non lo invoglia alla partecipazione attiva. È necessario, in questa situazione, che l’odontoiatra esponga i propri limiti e chiarisca che, per il completo successo della terapia, non è sufficiente la propria opera isolata, se non si associa a questa la cooperazione del genitore.

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8. IL TRATTAMENTO DEL BAMBINO ODONTOFOBICO

Un bambino è considerato odontofobico quando contrasta le cure dentistiche con qualsiasi mezzo. Già nella sala di attesa o alla sola vista dell’odontoiatra, i soggetti odontofobici urlano, piangono, stanno attaccati alla madre e non vogliono sedersi sulla poltrona. Anche se si riesce a farli sedere, non aprono assolutamente la bocca, rifiutano qualsiasi manovra di avvicinamento ed addirittura giungono a sferrare pugni e calci, in preda ad un’agitazione psicomotoria elevata.

Le cause che stanno alla base di tali comportamenti oppositivi sono, in genere, rappresentate da: una precedente esperienza odontoiatrica che ha provocato dolore; precedenti ricoveri ospedalieri; problemi psichici di varia natura.

Per trattare un paziente con gravi problemi emotivi, in passato, si ricorreva all’anestesia generale, ma attualmente si cerca, quando possibile, di ricorrere a metodiche alternative.

L’approccio psicologico e la “sedazione cosciente”, messi in atto dallo staff odontoiatrico, riescono a tenere sotto controllo una buona parte di soggetti particolarmente emotivi, ma in alcuni casi più complessi, queste tecniche sono insufficienti ed è necessario ricorrere ad uno specialista psicologo. Grazie alla sua competenza professionale, l’ostacolo può essere facilmente superato. Inoltre l’odontoiatra, inserendo uno psicologo nella propria équipe di lavoro, va incontro ad una continua esperienza formativa nel campo psicologico, che lo aiuterà a capire meglio certe situazioni e a modificare il proprio comportamento rendendolo più adeguato alle circostanze.

Quando l’odontoiatra si trova di fronte ad un paziente odontofobico deve innanzitutto rendersi conto della gravità della fobia e cercare poi di instaurare con il soggetto un rapporto fondato sulla fiducia, sulla stima, sulla familiarizzazione. Se l’operatore ritiene, dopo un primo contatto lungo e accurato con il paziente, di non essere in grado di gestirlo e ritiene inoltre, che sia utile un trattamento psicologico specifico, segnala il caso allo psicologo.

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Il compito del pedodontista quindi è, inizialmente, quello di selezionare i pazienti; le cure odontoiatriche verranno attuate in un secondo tempo, quando il livello di ansia sarà ridotto.

8.1. L’intervento dello psicologo

Lo psicologo, nell’ambito dello staff odontoiatrico, rappresenta una figura neutra per il bambino, anzi molto spesso è considerato un prezioso alleato nella lotta contro la paura.

Il bambino ha bisogno di sentirsi parte di qualcosa, anche al di fuori del rapporto con i genitori, deve cioè ritrovare, nello studio dentistico, un’atmosfera simile a quella familiare, che gli consenta di allontanare le proprie difese.

Ciò è possibile grazie al peculiare rapporto che lo psicologo instaura con il piccolo. Quest’ultimo si sente a suo agio e riesce a trasferire su questa nuova figura il buon rapporto vissuto con i genitori. Questo stesso rapporto può poi essere esteso anche agli altri operatori dell’équipe. Inoltre il bambino trova, in questa nuova relazione, uno stimolo a continuare le cure, rendendole possibili e collaborando dimostra la propria forza di volontà. Il piccolo si rende conto che se non collabora, le cure odontoiatriche si interromperanno e si incrinerà anche il solido rapporto con lo psicologo, evento questo, che il bambino non desidera e che sente come una grave perdita.

Lo specialista non deve però instaurare una relazione isolata con il paziente, ma deve cercare di coinvolgere nel dialogo anche il pedodontista e le assistenti, in modo da non separare l’ambito dell’intervento psicologico, dall’ambito del trattamento odontoiatrico. Lo scopo è quello di produrre nella mente del bambino, una fusione tra gli aspetti gratificanti della relazione con lo psicologo e gli aspetti spiacevoli legati alle cure dentistiche. Solo a questo punto il bambino è preparato ad affrontare la terapia, e si può adottare con lui il classico approccio pedodontico, in modo molto

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Anche in queste successive fasi, l’opera dello psicologo è importante: rassicurare il paziente, collaborare nelle tecniche di distrazione, contribuire a ridurre al minimo lo stress, sostenere un colloquio, a fine trattamento, con il bambino e i genitori, per raccogliere le impressioni e mettere in evidenza i risultati positivi raggiunti.

8.2. I compromessi dell’odontoiatra

Il trattamento odontoiatrico del paziente odontofobico adeguatamente preparato dallo psicologo, deve subire alcune modifiche.

Innanzitutto la durata della cura non può essere lunga, perché il paziente non riuscirebbe a sopportarla. Le prime sedute dunque, devono avere tempi di lavoro molto brevi, intervallati da pause; ciò significa che determinate manovre, molto aggressive o indaginose, vanno eseguite quando lo stato emotivo del paziente lo permette.

L’odontoiatra è costretto poi a togliersi il camice bianco che rappresenta un simbolo ansiogeno; spesso è costretto ad operare con tempi molto aumentati rispetto a quelli normali, senza poter rispettare un determinato programma terapeutico e limitarsi ad un’odontoiatria essenziale.

In un certo senso è come se l’odontoiatra mettesse alla prova se stesso e le sue capacità, poiché avendo a che fare con un paziente “difficile”, può valutare se è in grado di dare ciò che è richiesto, rinunciando al suo normale approccio operativo. Se non inquadra il problema con un’altra ottica, infatti, non riuscirà a cogliere i lati positivi che emergeranno, bensì proverà una sensazione di insoddisfazione e di

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9. CONCLUSIONI

Gli aspetti psicologici del piccolo paziente rappresentano un elemento essenziale per la realizzazione di un adeguato piano di cure in odontoiatria infantile. L’inquadramento psicologico del bambino è fondamentale affinchè l’odontoiatra possa attuare un approccio idoneo al paziente. Anche la valutazione della tipologia di genitore risulta essere un fattore determinante per il successo, in quanto il genitore trasmette al figlio le proprie emozioni che devono pertanto essere guidate positivamente dall’odontoiatra. I bambini ansiosi, la cui collaborazione non è garantita, possono essere approcciati mediante metodiche cliniche non invasive per rafforzarne motivazione e collaborazione. Anche se l’odontoiatra riesce a gestire in modo autonomo la maggioranza dei suoi piccoli pazienti occorre, nei casi più complessi, la consulenza di uno specialista in psicologia, che dovrebbe essere parte

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BIBLIOGRAFIA

1) PASINI W., HAYNAL A.: “Psicologia odontoiatrica”. Masson S.p.A.-Mi, 1992.

2) NAZZANI R., CAPPELLI N., ABATI S., CIANCAGLINI R.: “Il rapporto odontoiatra-paziente in pedodonzia”. RIS 10, p. 534-541, 1991

3) PAGLIA L., DAMIA G., CAPRIOGLIO D., TOSCHI P.: “Psicologia in pedodonzia “. Masson S.p.A.-Mi, 1993.

4) PINKHAM J.R., CASAMASSIMO P.S., FIELDS H.W.,McTIGUE D.J., NOWAK A.J.: “Pediatric Dentistry: Infancy Through Adolescence”. 4th Edition. Elsevier Saunders, St. Louis, 2005.

5) HUTH K.C., PASCHOS E., BRAND K., HICKEL R.: “Effect of ozone on non-cavitated fissure carious lesions in permanent molars. A controlled prospective clinical study”. The American Journal of Dentistry 18, p. 223-228, 2005.

6) SMALES R.J., YIP H-K.: “The atraumatic restorative treatment (ART) approach for primary teeth: review of literature”. Pediatric Dentistry 22, p. 294-298, 2000.

7) BAL FILORAMO L., GALLO VANZONE T.: “I genitori <difficili> nello studio odontoiatrico”. Il Dentista Moderno10, p. 1963-1967, 1986.

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INDICE

RIASSUNTO……….1

1. INTRODUZIONE………2

2. PARTICOLARITA’ EVOLUTIVE E SIMBOLICHE INERENTI IL CAVO ORALE……….4

3. LA PAURA DELL’ODONTOIATRA………7

4. IL PRIMO APPROCCIO AL BAMBINO………..10

4.1. L’accoglienza in studio……….10

4.2. I ruoli dei partecipanti alla seduta……….11

4.2.1. Il genitore………...11

4.2.2. L’odontoiatra……….12

4.2.3. Il bambino………..13

4.2.4. L’assistente………14

4.3. La prima visita……….14

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5.1. Ansia e fobia……….16

5.2. Le ragioni della non cooperazione………17

6. TRATTAMENTO DEL BAMBINO ANSIOSO………18

6.1. Indagine anamnestica………18

6.2 Sedazione cosciente………...19

6.3 Altre tecniche psicologiche………...19

6.4 Metodiche cliniche non invasive……….…………..20

7. L’APPROCCIO AI GENITORI “DIFFICILI”……….………….21

8. IL TRATTAMENTO DEL BAMBINO ODONTOFOBICO……….23

8.1. L’intervento dello psicologo……….23

8.2. I compromessi dell’odontoiatra………24

9. CONCLUSIONI………..26

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