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1.1 Esame microscopico

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Academic year: 2021

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La leishmaniosi canina può essere sospettata dal medico veterinario in presenza di rilievi anamnestici (es:dimagramento), fisici (es. dermatopatie forforacee, linfoadenomegalia) e clinici (iperglobulinemia, ipoalbuminemia e proteinuria).

Non esistono segni caratteristici o ancor meno patognomonici e di conseguenza il clinico deve ricorrere ad esami specifici per diagnosticare o escludere questa grave patologia.

Segnalamento e anamnesi

Alcune razze come il Pastore tedesco e il Boxer sembrano essere predisposte alla malattia (Abranches et al., 1991; Sanchez-Robert et al., 2005). Potrebbe inoltre esistere una predisposizione di sesso per i maschi che presentano un maggiore rischio di sviluppare la malattia (Brandonisio et al., 1992; Fisa et al.,1999) come descritto nella specie umana (Shiddo et al., 1995) e nel criceto (Travi et al., 2002). Inoltre, la malattia ha una distribuzione bimodale, con un picco nei soggetti di età inferiore a 3 anni e un secondo picco tra gli 8 e i 10 anni (Alvar et al.,2004). Di fondamentale importanza è conoscere se il cane vive o ha soggiornato in aree endemiche e/o se è esposto ai vettori, se ha ricevuto trattamenti preventivi potenzialmente efficaci contro i flebotomi o terapie in grado di interferire con l’efficienza del suo sistema immunitario.

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Esame fisico

I segni clinici più frequentemente rilevabili sono quelli cutanei, linfadenopatia periferica e lesioni oculari. È però potenzialmente rilevabile una gamma vasta ed eterogenea di segni clinici e lesioni (Slappendel, 1988; Ciaramella et al., 1997;

Koutinas et al., 1999; Solano-Gallego et al., 2001) (Tabella 1.1).

Generali Dimagrimento Ipotrofia muscolare Letargia

Pallore delle mucose Epistassi

Aumento di volume da lieve a moderato dei linfonodi esplorabili

Epistassi

Epato-splenomegalia

Zoppie e tumefazioni articolari Febbre

Cutanei e muco-cutanei

Dermatite desquamativa (localizzata/generalizzata) Dermatite ulcerativa con aspetto e distribuzione variabili Dermatite papulare

Dermatite nodulare

Lesioni nasali simil-lupus/pemfigo Onicopatie

Ipercheratosi naso-digitale

Oculari Lesioni palpebrali: vedi reperti cutanei e mucocutanei Lesioni congiuntivali diffuse e/o nodulari.

Lesioni corneali per lo più associate a quelle congiuntivali (cheratocongiuntivite). Presenti anche forme di cheratite nodulare e di cheratocongiuntivite secca.

Lesioni della sclera: episclerite e sclerite diffusa e/o nodulare.

Lesioni dell’uvea anteriore diffuse e/o granulomatose e

lesioni dell’uvea posteriore (corioretiniti, emorragie e distacchi retinici). Possibili complicanze delle forme uveali,

il glaucoma e la panoftalmite.

Lesioni orbitali granulomatose, miositi dei muscoli estrinseci.

Altri Gastrointestinali, neurologici, ecc

Tabella 1.1. Segni clinici in corso di leishmaniosi canina (G.S.L.C, 2007)

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Diagnosi eziologica

La diagnosi eziologica di infezione da leishmania consiste nel mettere in evidenza il parassita o parti di esso (DNA protozoario) all’interno dei tessuti dell’ospite o il risultato di una risposta di tipo umorale (anticorpi specifici) o cellulomediata (test allergici, valutazione del rapporto tra le popolazioni linfocitaria CD4+/CD8+) da parte dell’animale infetto/ammalato.

In generale la presenza di parassiti all’interno di tessuti lesionati è già di per sé sufficiente ad emettere di diagnosi di infezione da Leishmania, ma non sempre consente di impostare un follow-up terapeutico, e d’altra parte l’esame microscopico non è sempre risolutivo in tutti i soggetti malati in quanto preparati citologici e istologici possono dare dei falsi negativi specialmente se presente un basso carico parassitario.

A tale proposito si distinguono test diretti (esame microscopico diretto, volto alla messa in evidenza di amastigoti in sedi elettive, esami colturali) test molecolari (PCR qualitativa e quantitativa) test sierologici e prove allergiche.

Diagnosi diretta

Esami specifici diretti

Questi sono finalizzati all’identificazione e alla tipizzazione del parassita.

 Parassitologici

 Strisci di materiale colorato per evidenziare gli amastigoti;

 Esami colturali (isolamento delle leishmanie: promastigoti);

 Xenodiagnosi (rilevazione della Leishmania negli insetti vettori);

 PCR

 Prove biologiche

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1.1 Esame microscopico

In corso di leishmaniosi canina molti tessuti ed organi sono interessati da infiammazione granulomatosa e/o da fenomeni immunomediati. La messa in evidenza di amastigoti nei tessuti infetti è risolutiva: i parassiti possono essere identificati in preparati citologici o istopatologici. Di solito gli animali asintomatici hanno un carico parassitario più basso, pertanto tali esami risultano meno sensibili. I tessuti più parassitati sono cute, tessuto splenico, linfonodo midollo osseo e fegato negli animali con sintomatologia conclamata e, indipendentemente dallo stato clinico, cute e milza sono siti di maggior densità di amastigoti.

La densità parassitaria osservata in preparati allestiti da midollo e da milza può essere considerata un marker affidabile per valutare lo stato clinico del paziente (Reis et al., 2006, Reis et al., 2009). L’identificazione diretta degli amastigoti all’interno del citoplasma dei macrofagi o liberi nel campione, viene eseguita su strisci ottenuti da ago-aspirato linfonodale (in genere linfonodi prescapolari e poplitei), midollare, epatico, splenico, biopsia cutanea, e per impressione diretta o raschiamento di ulcere e granulomi (Gomes et al., 2006). La messa in evidenza di amastigoti nei tessuti infetti è risolutiva: i parassiti possono essere identificati in preparati citologici o istopatologici.

Gli strisci del materiale bioptico possono essere colorati con il May-Grumvald- Giemsa che permette un’agevole evidenziazione degli amastigoti localizzati sia in sede intracellulare che extracellulare ad un ingrandimento di 1000-1200X, ma anche con altre tecniche quali la colorazione di Wright e la colorazione di Leishman. La maggior parte degli Autori ritiene che vi sia una correlazione diretta tra la gravità del quadro clinico ed il numero di parassiti che si rinviene nello striscio. Barrouin-Melo et al. (2004), hanno effettuato uno studio sulla comparazione tra l’efficacia del metodo parassitologico a partire da aspirati splenici e linfonodali nell’infezione da L.

infantum nel cane, suggerendo che l’uso dell’aspirato splenico al posto del linfonodo rappresenta il metodo di elezione per la diagnosi parassitologia. Il campionamento di fegato e milza, richiede interventi invasivi, e non è di solito eseguito nella pratica clinica. In medicina umana l’OMS sconsiglia la biopsia splenica, soprattutto quando il tempo di protrombina è aumentato, nel cane invece indagini condotte su numerosi campioni hanno sottolineato come il prelievo di polpa splenica sia privo di seri rischi

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ed abbia il vantaggio di una sensibilità molto elevata (Barroiun-Melo et al., 2004 e Barrouin-Melo et al., 2006).

Contrariamente a quanto avviene per pazienti umani in cui la milza è il tessuto di elezione per la diagnosi citologica, studi recenti hanno individuato nel midollo osseo i tessuti più sensibili (93%) nel cane.

Tessuti linfoidi che presentano buona sensibilità e che possono essere campionati senza manovre invasive sono linfonodi e midollo osseo. Quest’ultimo può essere agevolmente prelevato dalla giunzione costo condrale con un comune ago, oppure da sterno o da cresta iliaca con ago spinale. Si stima che la sensibilità di un esame microscopico condotto su soggetti con sintomatologia patente possa raggiungere circa il 95% se vengono esaminati linfonodi e midollo osseo. Tale valore scende al 30% negli animali asintomatici (Manolis et al., 2005). Il test risulta quindi estremamente specifico, ma relativamente poco sensibile, anche se le alterazioni citologiche possono essere suggestive di una flogosi cronica associata ad una forte plasmocitosi.

La rilevazione di amastigoti nel sangue periferico, pur possibile è molto rara (a meno di non utilizzare particolari tecniche di concentrazione), sia nell'uomo immunocompetente, che nel cane. Quando questa è possibile, si tratta in genere di fasi precoci d'infezione, anche se è stato segnalato il ritrovamento di un numero notevole di amastigoti nel sangue circolante di un cane in un periodo diverso da quello di piena infettività (Foglia et al., 2005).

Esame citologico

Questo esame consente di rilevare la presenza di amastigoti all’interno dei macrofagi o in sede extracellulare in campioni prelevati con biopsia dalle sedi di localizzazione convenzionali (organi linfoidi, lesioni cutanee) o da fluidi biologici (essudati cavitari, CFS, liquido sinoviale) in caso di patologie localizzate (Fig. 1.1).

Fig. 1.1:Amastigoti nel citoplasma di un macrofago.

Colorazione Diff Quick Staining 1000X.

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I tessuti possono inoltre presentare alterazioni citologiche compatibili con leishmaniosi come flogosi linfoplasmacellulare e/o granulomatosa-piogranulomatosa ed iperplasia linfonodale.

Il test citologico risulta quindi estremamente specifico, ma relativamente poco sensibile, anche se le alterazioni citologiche possono essere suggestive di una flogosi cronica associata ad una forte plasmocitosi. Una citologia linfonodale anomala è più comune negli animali con leishmaniosi clinicamente patente rispetto a quanto si verifica nei soggetti con forme subcliniche (Mylonakis et al., 2005).

Mentre un risultato positivo è sicuramente indice di infezione, un risultato negativo non permette di escluderla con certezza e quindi, soprattutto in caso di soggetti con sintomatologia riferibile, sarà opportuno ricorrere ad un test di conferma (sierologia, PCR).

In generale un campione dovrebbe essere considerato negativo quando vengono esaminati 1000 campi con obiettivo 100X senza alcun riscontro parassitologico.

Ciò evidenzia che tale esame, pur altamente specifico, è relativamente sensibile, e quindi di scarsa utilità nelle ricerche di massa, con un numero di campioni elevato (Mancianti, 2001).

Esame istologico

L’istologia permette di rilevare la presenza di amastigoti in sezioni di tessuto, di solito milza, fegato, midollo osseo e linfonodi. I parassiti sono individuati con localizzazione per lo più intracellulare, nelle cellule macrofagiche presenti negli infiltrati. Tale esame consente di mettere in evidenza le lesioni microscopiche e più in generale l’intero quadro istopatologico

(Fig. 1.2) In associazione al parassita infatti possono essere anche evidenziate le alterazioni compatibili con Leishmania rappresentate da infiammazioni linfoplasmacellulari o granulomatose- piogranulomatose e/o vasculiti a carico di diversi organi, dermatopatie ischemiche,

dermatiti linfoplasmacellulari dell’unione Fig.1.2: Sezione istologica di milza: visibili numerosi amstigoti di Leishmania.

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dermo-epiteliale, iperplasia linfoide a carico di milza e linfonodi.

L’esame microscopico non è molto sensibile, ma, se condotto su sezioni istologiche, consente di valutare il quadro patologico (ad esempio la plasmocitosi) e, su tale base, di sospettare lo stato di infezione anche in assenza di amastigoti. Questo rilievo tuttavia non è specifico mentre la messa in evidenza del parassita ha valore diagnostico. Il ricorso all’esame istologico è sempre consigliabile quando, nonostante un esame citologico negativo, permane il forte sospetto di leishmaniosi, soprattutto in presenza di dermatiti e nelle forme cutanee caratterizzate da lesioni focali. Nel caso si rilevino alterazioni istologiche quali quelle sopra descritte, ma non fosse possibile identificare il parassita in sezioni colorate con ematossilina-eosina, sarà opportuno procedere con colorazioni immunoistochimiche utilizzando anticorpi diretti contro antigeni di Leishmania. Preparati istologici allestiti da linfonodi, processati con tecniche immunoistochimiche hanno mostrato una sensibilità del 43.9% in animali sintomatici. Anche se la situazione varia a seconda del grado di endemia della zona di provenienza degli animali e dello stadio di visceralizzazione dell’infezione, sembra che esista una correlazione positiva tra carico parassitario ed intensità delle manifestazioni cliniche, pertanto è più probabile ottenere preparati microscopici positivi da animali con leishmaniosi clinicamente manifesta. Qualora anche questo approccio risulti negativo, il campione bioptico può essere utilizzato per la ricerca del genoma di Leishmania mediante PCR.

1.2 Esame colturale

Gli stessi campioni indicati per l’esame microscopico possono essere impiegati come inoculum in terreni di coltura o tramite inoculazione in animali da laboratorio, per lo più criceto (Herwaldt, 1999) tecnica comunque indaginosa e soggetta a restrizioni legislative. Il prelievo deve essere assolutamente eseguito nel modo più sterile possibile. I terreni prevalentemente usati per la crescita della leishmania, sono terreni bifasici, costituiti da uno slant di agar sangue, di solito sangue di coniglio al 10%, e di una fase liquida contenete sali, glucosio ed alcuni Fig aminoacidi, il più diffuso è EMTM

(Evans modified Tobie medium)(Evans,1978(9)). Fig.1.3: Promastigoti metaciclici in coltura

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Un omogenato d’organo o un campione di altra natura verrà seminato e mantenuto a 22°C per 10 giorni. Dal 4°giorno p.i. in poi le colture verranno esaminate con il microscopio per la ricerca di promastigoti meta ciclici (Fig.1.3).

Il campione può essere considerato definitivamente negativo soltanto dopo alcuni passaggi ciechi.

La coltura dei parassiti presenta specificità e sensibilità elevate, ma tempi di risposta piuttosto lunghi, che mal si conciliano con le esigenze della pratica clinica. Inoltre si possono verificare inquinamenti batterici o fungini, nonostante la supplementazione antibiotica/antimicotica.

1.3 Prova biologica

Questa tecnica consiste nell’inoculazione di materiale biologico proveniente da animali sospetti infetti, in animali di laboratorio, come l’hamster (Mesocricetus auratus), perché incapace di far fronte al parassita, per via endovenosa o intraperitoneale. In caso di positività si assiste allo sviluppo della malattia sotto forma viscerale in 1-3 mesi.

Questa metodica di esecuzione, più sensibile rispetto all’esame colturale, non trova larga applicazione nella pratica a causa dei lunghi tempi di risposta (superiori a 60 giorni) e delle difficoltà connesse con la sperimentazione animale e la necessità di disporre di uno stabulario a norma di legge.

Da un punto di vista diagnostico esame colturale e prova biologica sono stati ampiamente superati dall’uso degli esami molecolari. Tuttavia esse trovano applicazione quando necessario stabilire la vitalità del parassita (ad esempio dopo un trattamento farmacologico o per stabilire se una positività alla PCR è dovuta alla presenza di solo DNA parassitario e non al parassita integro e vitale) oppure per allestire colture di massa del parassita, per avere a disposizione grandi quantità di antigene.

1.4 Xenodiagnosi

Consiste nel fare alimentare sul paziente vettori ciclici allevati in condizioni di laboratorio. Dopo qualche giorno dal pasto di sangue, i flebotomi verranno dissezionati ed al loro interno verranno messi in evidenza eventuali promastigoti. Il test ha ottime sensibilità e specificità, ma trova scarsa applicazione nella pratica

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clinica, a meno che non si tratti di saggiare l’efficacia di un farmaco oppure, come più spesso accade, di valutare la capacità di una determinata specie animale di fungere da serbatoio nei confronti del parassita.

1.5 Tecniche molecolari

1.5.1Generalità

Tra le prove diagnostiche microbiologiche più recentemente messe a punto, quelle molecolari sono senza dubbio tra le più promettenti (Roura et al.,1999). Si basano sulla messa in evidenza di DNA parassitario in campioni di origine diversa.

Sono impiegati test di PCR, nested PCR e real time PCR. Esistono numerosissimi protocolli di PCR per mettere in evidenza DNA di leishmania (Reithinger &

Dujardin, 2007).

Possono essere utilizzati diversi tessuti con sensibilità variabili. È opportuno che in ogni saggio di PCR siano esaminati almeno 3 differenti tessuti, considerando che linfonodo, in alternativa midollo osseo (per soggetti senza linfoadenomegalia), tampone congiuntivale e prelievo cutaneo presentano buona sensibilità.

PCR allestite da campioni di sangue intero danno risultati variabili e falsi negativi soprattutto negli animali asintomatici. I campioni ottenuti da tampone congiuntivale e da aspirato linfonodale consentono un’elevata sensibilità del test e possono essere ottenuti con manovre scarsamente invasive.

Considerando che spesso tecniche molecolari sono usate nel follow-up terapeutico e pertanto possono essere ripetute nel tempo con relativa frequenza, è importante privilegiare tessuti sensibili, ma che non richiedano manualità di prelievo dolorose, né invasive.

Anche campioni di midollo osseo e di cute rendono il metodo estremamente sensibile. I campioni cutanei però richiedono procedure di estrazione più lunghe ed è necessario tenere presente che possono dare risultati falsamente positivi in zona endemica, dove gli animali sono frequentemente punti da vettori infetti ed infine sono piuttosto invasive e spesso considerate deturpanti dai proprietari.

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I campioni provenienti dal buffy-coat ed ancor più da sangue intero riducono molto la sensibilità del test, ma hanno il grosso vantaggio di potere essere ottenuti con grande facilità, per cui possono essere aggiunti al pannello di tessuti da esaminare, avendo l’accortezza di non impiegarli mai da soli.

Le tecniche molecolari sono di particolare utilità come test di conferma per quei quadri che risultano dubbi (quadro istopatologico suggestivo in assenza di parassiti, sierologia negativa o con anticorpi a basso titolo) in animali sintomatici o per determinare la carica parassitaria (tecnica di real time-PCR). Esse possono essere usate anche allo scopo di valutare l’efficacia del trattamento farmacologico (Roura, 2001). In genere questa tecnica rileva, in maniera più attendibile e con maggiore precisione, gli stadi precoci della malattia, e quindi anche casi transitori ed autolimitanti, cioè quei cani che in qualche modo risolvono l’infezione (Gradoni, 2002). Si utilizzano universali di Leishmania oppure specie specifici (questi ultimi permettono di evidenziare la specie esatta di Leishmania).

I limiti della PCR sono: non permettere di distinguere un parassita “vivo” da uno

“morto” (perché può rilevare la presenza di DNA parassitario non vitale, con la possibilità di risultati falsamente positivi) e richiede un personale più che qualificato, al fine di evitare le contaminazioni crociate, sia durante i prelievi sia al laboratorio (col rischio di falsi positivi) (Guetta, 2000; Moreira et al., 2004).

Si tratta di test estremamente sensibili, che in zona endemica svelano un numero molto elevato di soggetti sani, ma portatori di DNA in diversi tessuti (Leontides et al., 2002; Aoun et al., 2009), indicati come animali infetti. La sensibilità aumenta, se vengono amplificate sequenze genomiche “multicopia”, ovvero presenti in numero elevato in ogni singolo parassita, come il DNA dei minicircoli del cinetoplasto.

Quindi è in grado di identificare piccolissime quantità di DNA presente nel materiale biologico in esame (Paltrinieri et al., 2007).

L’uso di tecniche molecolari inoltre trova applicazione nei paesi dove è commercializzato un vaccino anti Leishmania, essendo in grado, a differenza dei test sierologici convenzionali, di discernere un’infezione attiva (Pilatti et al., 2009).

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Per l’analisi e l’elaborazione dei prodotti della PCR si possono usare:

• Elettroforesi: il metodo comune è l’utilizzo dell’elettroforesi su gel di agarosio (Fig. 1.4) seguita dalla colorazione con etidio bromuro.

L’elettroforesi capillare aumenta significativamente la risoluzione analitica che può permettere la discriminazione di una differenza di dimensioni di un singolo nucleotide

Fig. 1.4: esempio di corsa elettroforetica per PCR qualitativa

• Restrizione dei prodotti della PCR;

• Ibridazione oligonucleotidica sequenza-specifica (metodo molto efficace per rilevare la presenza di polimorfismi in una regione amplificata dalla PCR);

• Clonazione dei prodotti della PCR (può avvenire facilmente utilizzando la tecnologia DNA-ricombinante convenzionale);

• Spettrometria di massa;

PCR real-time: può essere incorporata nella reazione PCR una sonda fluorescente ibridizzata ad una regione compresa tra i terminali 3’ dei primer. Durante ogni ciclo della PCR, le sonde fluorescenti dovrebbero aderire, aumentando l’intensità della fluorescenza stessa, che è proporzionale al numero dei frammenti di nuova sintesi (Fig. 1.5).

Quindi il vantaggio più evidente della PCR real-time è che permette la determinazione della quantità dei template iniziali (Lo & Chan, 2006).

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Fig. 1.5: esempio di PCR real-time

Complessivamente le tecniche molecolari possono essere considerate piuttosto versatili in quanto consentono l’impiego di campioni provenienti da tessuti freschi, refrigerati congelati e fissati in alcol. Sebbene la fissazione in formalina diminuisca la sensibilità del test, la PCR su materiale fissato in formalina ed incluso in paraffina può dare utili indicazioni nel corso di indagini retrospettive, soprattutto qualora vengano utilizzati primer ad hoc (Muller et al., 2003). Va considerato però che i dati epidemiologici così ottenuti dovranno essere valutati per difetto, od affiancati ad esami istopatologici allestiti con metodi immunoistochimici.

1.5.2 PCR qualitativa

La PCR qualitativa e stata testata con successo su diversi campioni biologici di cani, uomini ed anche volpi affetti da leishmaniosi (sangue, linfonodi,cute, midollo, urine, tamponi congiuntivali), mostrandosi altamente specifica ma non altrettanto sensibile (Gomes et al., 2006).

La PCR qualitativa manifesta una specificità, sensibilità ed affidabilità maggiore rispetto all’osservazione diretta (strisci e colture) ed alla sierologia, rendendola il metodo gold standard nella diagnosi dell’infezione da Leishmania sia negli uomini che nel cane (Gomes et al., 2006).

In genere la PCR qualitativa rileva, in maniera più attendibile e con maggiore precisione di altri metodi diagnostici, gli stadi precoci della malattia, e quindi anche i casi transitori ed autolimitanti dei quei soggetti che in qualche modo risolvono l’infezione (Gradoni, 2002).

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Fondamentalmente la PCR si divide in tre fasi:

1) Denaturazione termica del DNA target.

2) Appaiamento (annealing) dei primer, sequenze di basi complementari alla sequenza bersaglio contenuta nel DNA di Leishmania (Paltrinieri et al., 2007).

3) Estensione dei primer appaiati da parte di una DNA-polimerasi tipicamente eseguita a 72 °C, che è vicino all’optimum di temperatura della Taq polimerasi.

Una causa frequente di fallimento della PCR è l’inadeguata denaturazione del DNA bersaglio. Lo e Chan (2006) consigliano di eseguire una prima denaturazione a 94 °C per 8 minuti (Hot start PCR), durante i quali può essere attivata una Taq polimerasi modificata (come l’AmpliTaq Gold®). Questo ciclo viene ripetuto un certo numero di volte, in ognuna delle quali si ha approssimativamente la duplicazione dei prodotti molecolari.

Il fattore di amplificazione è dato dall’equazione x(1 + E)n: x è il numero dei target iniziali

E è l’efficienza dell’amplificazione n è il numero dei cicli della PCR.

Dopo pochi cicli, le dimensioni del prodotto sono determinate dalla distanza tra i terminali 5’ dei due primer.

La PCR convenzionale in genere è eseguita in volumi di 10-100 µl. Nella composizione dei reagenti sono compresi: trifosfati desossinucleosidici (dATP, dCTP, dGTP e dTTP) alla concentrazione di 200 µM ciascuno, da 10 a 100 pmol di ciascun primer, sali, tamponi e DNA-polimerasi. I primer sono allestiti per affiancare la sequenza bersaglio ed in genere hanno una lunghezza compresa tra 18 e 30 basi, con un contenuto in GC del 50% circa. Deve essere evitata la complementarietà al terminale 3’, al fine di diminuire la probabilità che si formino artefatti primer-dimeri.

In certi casi l’appaiamento di alcuni primer fallisce senza alcun motivo apparente; in questi casi la soluzione più semplice è quella di sostituire uno dei due od entrambi i primer. In una singola reazione PCR possono essere inclusi diversi set di primer per l’amplificazione simultanea di differenti target di uno stesso DNA (PCR multiplex);

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in tale circostanza, per ottenere un’efficienza elevata in tutte le reazioni, le temperature di fusione devono essere il più possibile simili. La quantità dei prodotti molecolari ottenibili in una reazione PCR è limitata dall’effetto plateau che è determinato dall’accumulo delle molecole stesse, con un grado significativo di appaiamento tra filamenti prodotti complementari, piuttosto che tra primer e template; inoltre la quantità finita delle molecole enzimatiche, ad un certo punto, non è più in grado di estendere tutti i complessi primer-template. inserita in un tampone apposito, cioè in un ambiente a bassa complessità.

Nelle situazioni in cui la complessità è elevata, l’affidabilità della PCR-singola molecola si abbassa e debbono essere applicati metodi particolari, come la PCR nested e la real time PCR.

1.5.3 PCR nested

La PCR nested consiste in due PCR successive eseguite utilizzando coppie di primer differenti, allo scopo di aumentare così la specificità e il tasso di amplificazione.

Bisogna però tenere presente che dal momento che questa metodica prevede un maggiore numero di passaggi si possono verificare amplificazioni indesiderate (di DNA non appartenente a Leishmania), con possibile perdita di specificità. Laddove esiste la possibilità che le specie parassitarie siano diverse, possono essere eseguite anche tecniche di RFLP PCR, che si avvalgono di enzimi di restrizione che producono pattern di frammenti di diverse dimensioni e discriminanti tra specie (Quaresma et al., 2009; Oshaghi et al., 2009).

1.5.4 real time PCR

La PCR standard richiede l’analisi elettroforetica dei prodotti di amplificazione e non permette la quantificazione del DNA target del campione in esame; può essere dunque di limitata utilità, soprattutto nei casi in cui sia richiesto il monitoraggio del parassita.

La PCR quantitativa invece permette la misurazione della carica parassitaria in pazienti affetti da malattie croniche e risulta di particolare importanza nel follow-up

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terapeutico, per valutare l’efficacia parassiticida del farmaco impiegato follpw up terapeutico dei soggetti malati e discriminare fra pazienti rispondenti e non rispondenti alla terapia (Colucci, 2000).

In questo senso, risulta particolarmente utile la possibilità di sottoporre ad esame il sangue periferico, la cui raccolta è di facile esecuzione e poco invasiva. La PCR real- time: permette il monitoraggio dei prodotti ciclo per ciclo, in tempo reale appunto, per cui è possibile determinare in quale ciclo tali prodotti cominciano ad accumularsi in maniera esponenziale.

È così possibile quantificare, in termini relativi, il DNA template presente all’inizio della reazione, con precisione e riproducibilità. Da questa quantificazione deriva la stima della carica parassitaria relativa nei diversi campioni in esame; la quantificazione assoluta viene ottenuta in riferimento ad uno standard interno, amplificato contemporaneamente al DNA campione, oppure in riferimento ad uno standard esterno, ottenuto tramite amplificazione di diverse concentrazioni note di un campione di riferimento in reazioni parallele.

In genere, per il monitoraggio dei prodotti che si formano durante la reazione, vengono impiegate sonde fluorescenti. Un sistema di rilevazione aspecifico, che può essere potenzialmente applicato ad ogni target, è quello che si basa sulla tecnologia SYBR® Green, la quale impiega un intercalante fluorescente del DNA a doppia elica.

Il sistema TaqMan® è più specifico, permettendo la misurazione diretta della quantità di DNA amplificato, tramite una sonda fluorescente, che viene scelta in modo da ibridare con un tratto di sequenza target interna al bersaglio delimitato dalla coppia di primer. La sonda è formata da un oligonucleotide con, alle estremità, una molecola reporter (fluorescente) ed una quencher, la quale assorbe il segnale generato dal reporter.

Il protocollo termico è impostato in modo che la sonda fluorescente si leghi alla sequenza bersaglio prima dei primer, ovvero prima che inizi la polimerizzazione da parte della Taq polimerasi; durante quest’ultimo processo, la sonda viene scalzata e digerita liberando il reporter e rendendo possibile la rilevazione della fluorescenza, la cui intensità aumenta ad ogni ciclo, in dipendenza della quantità del prodotto della PCR (Mortarino et al., 2004).

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La misurazione della carica parassitaria di Leishmania infantum tramite PCR real- time può costituire un valido metodo per il monitoraggio della terapia nei cani leishmaniotici, così come per la previsione delle recidive, associate ai parassiti che restano vitali dopo il trattamento (Mortarino et al., 2004). Infatti, nella patologia umana con coinfezione Leishmania-HIV, è stato dimostrato che i livelli di DNA del parassita sono in correlazione con il decorso della patologia e che il monitoraggio dei livelli dell’acido nucleico nel sangue periferico, prima e durante la terapia, è utile nella gestione clinica dei pazienti (Bossolasco et al., 2003).

I vantaggi della metodica di real-time PCR, rispetto alle tecniche di PCR standard, consistono nella rapidità della produzione dei risultati, nell’eliminazione delle manipolazioni post-amplificazione per la rilevazione degli amplificati (con riduzione dei tempi e dei rischi di contaminazione), e nell’aumento della sensibilità (Gomes et al., 2006). E’ ipotizzabile, inoltre, che la quantificazione della carica residua parassitaria in corso di terapia possa essere usato come metodo di controllo dell’efficacia della stessa ed, eventualmente, di predizione delle recidive dopo la sospensione del trattamento, oltre che come strumento in supporto alla valutazione della necessità di effettuare un trattamento preventivo in soggetti infetti asintomatici, come suggerito da ricerche comparse in letteratura a proposito di patologie virali (Griscelli et al., 2001).

La real-time PCR può anche essere usata per l’identificazione e la diagnosi di microrganismi appartenenti allo stesso genere, permettendo la differenziazione di specie o ceppi di importanti microrganismi patogeni mediante l’analisi delle curve di melting dei prodotti fluorescenti di PCR.

Cosi, la L. major può essere differenziata dalla L. donovani, dalla L. tropica e dalla L. infantum, a seconda delle temperature di melting, che dipendono dalla percentuale di GC/AT, dalla lunghezza e dalle sequenze nucleotidiche dei prodotti amplificati.

Tale aspetto della metodica di real-time PCR rappresenta una rapida alternativa per l’identificazione delle specie in diagnostica e negli studi epidemiologici della leishmaniosi o di altre parassitosi asintomatiche (Gomes et al., 2006).

Si tratta comunque di un test di conferma, che non deve mai essere usato singolarmente per fare diagnosi.

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Diagnosi indiretta

Esami specifici indiretti

Hanno la caratteristica di valutare la risposta immunitaria dei soggetti infetti.

 Sierologici

 IFAT (IFI)

 ELISA

 Dot ELISA

 IHAT (emoagglutinazione indiretta)

 CIEP (controimmunoelettroforesi)

 Fissazione del Complemento

 Test all'inchiostro di china

 Valutazione risposta cellulo-mediata

 Skin test

 CD4/CD8

1.6 Esami sierologici

Leishmania, come qualunque altro parassita, induce una risposta anticorpale che può essere valutata attraverso vari test diagnostici. Gli esami sierologici sono metodi indiretti che evidenziano la presenza del parassita tramite la rilevazione degli anticorpi specifici. In relazione ai metodi diretti parassitologici, offrono il vantaggio della sensibilità superiore e della maggiore praticità soprattutto nel caso di screening di massa. In linea generale il test sierologico ideale dovrebbe essere contraddistinto da un’ elevata specificità e sensibilità, economicità, rapidità di esecuzione. facilità di lettura, ripetibilità dei risultati (Mancianti, 2001).

La sieroconversione si realizza mediamente entro 5 mesi (1-22) dall’infezione in condizioni naturali e 3 mesi (1-6) in condizioni sperimentali (Paltrinieri et al., 2007).

È chiaro quindi che un test sierologico effettuato quando l’infezione è avvenuta ma non si è ancora verificata la sieroconversione, sarà negativo (falso negativo). Del resto gli anticorpi possono essere rilevabili anche nei casi in cui nessun altro test

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diretto (esame parassitologico, PCR) risulta positivo, e quindi, in assenza di sintomi, può trattarsi di casi non infetti attualmente (Lachaud et al., 2002; Maia et al., 2007).

Solo alcune delle tecniche diagnostiche sierologiche approntate nel corso del tempo vengono utilizzate attualmente - IFAT, ELISA e kit ambulatoriali rapidi di immunomigrazione. Alcuni di queste infatti, come la fissazione del complemento non sono più usati perché indaginosi, altri come l’emagglutinazione indiretta sono di solito scartati perché poco sensibili e soggetti al fenomeno di prozona, altri, come l’agglutinazione al latex, sono infine sconsigliati per la loro scarsa specificità. Il Western Blotting, pur mostrando ottime prestazioni diagnostiche (Riera et al.,2004), non viene utilizzato su larga scala per ragioni di tempi di esecuzione e di costi. Sono indicati come più affidabili tecniche che si basano sull’impiego dei parassiti interi.

Inoltre è opportuno ricordare che la presenza di anticorpi specifici rivela soltanto uno stato di infezione pregressa o in atto, che tuttavia può non evolvere verso la malattia.

La comparsa di una temporanea positività sierologica dopo la stagione di trasmissione è stata più volte segnalata in soggetti che hanno trascorso tale periodo in zona endemica. Infatti risulta che circa il 14% degli animali sierologicamente positivi dopo una stagione di trasmissione, si negativizzano dopo la stagione successiva. Ciò porterebbe ad ipotizzare che sono necessari diversi contatti tra il parassita e l’ospite affinché si stabilisca un’infezione persistente o che i parassiti possono essere eliminati dall’ospite in virtù del suo sistema immunitario e che i parassiti si localizzano in qualche sede da cui non stimolano la produzione di anticorpi rilevabili.

Per questi motivi, nelle indagini di screening, le rilevazioni sierologiche iniziano a gennaio e terminano a maggio, prima dell’inizio della stagione di trasmissione.

Inoltre, per quanto riguarda IFAT e ELISA, la definizione di risultati positivi o dubbi va sempre riferita alle soglie di positività riportate dal laboratorio di riferimento. I test che più frequentemente sono impiegati nella diagnostica di leishmaniosi canina sono di seguito riportati.

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IFAT

(Immunofluorescenza indiretta)

Rappresenta il test sierologico di referenza per la diagnosi di leishmaniosi canina (Mancianti & Meciani, 1988).

Si basa sulla messa in evidenza di anticorpi specifici nel siero del soggetto in esame (Dye et al., 1993).

É una metodica piuttosto versatile, che ha un’ottima specificità per titoli superiori ad 1:80 e che presenta sensibilità variabile anche se non sempre è correlabile alla gravità della malattia. Per questo test sono riportate sensibilità comprese tra 21.6% e 100%.

Impiegando promastigoti di coltura la sensibilità è elevata prossima al 100%

(Mancianti et al.,1995; Gradoni, 2002; Mettler et al., 2005) e perciò l’IFAT viene considerato dall’ OIE il test sierologico di riferimento (Gradoni & Gramiccia, 2000).

La metodica utilizza:

Come antigeni, promastigoti di Leishmania infantum, fissati per 10 minuti con acetone su vetrini multitest;

• diluizione del siero in esame per raddoppio in base 10, con iniziale diluizione 1:40;

• aggiunta di 10µl di siero da esaminare;

• incubazione del tutto per 30 minuti a 37°C ;

• lavaggio per 10 minuti con soluzioni saline di fosfato tamponato (PBSS);

• asciugatura all’aria;

• aggiunta di un’ antigloblulina specifica coniugata con isotiocianato di

fluorescina;

• incubazione a 37 °C per 30 minuti;

• lavaggio con PBSS per altri 10 minuti;

• montaggio dei vetrini con glicerina;

• osservazione dei vetrini con

microscopio a fluorescenza (fig.1.6)

Fig.1.6: IFAT positiva: si osserva la fluorescenza dei promastigoti

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Dalla suddetta procedura di allestimento, si mette in evidenza la semplicità e rapidità del test, anche se, come nel caso dell’ELISA, è necessario, per la lettura dei risultati, uno strumento particolare qual è il microscopio a raggi ultravioletti.

Si tratta di una tecnica sicura, in quanto dotata di specificità del 100% per titoli anticorpali maggiori o uguali di 1:160, valore che attualmente viene accettato dagli autori come titolo soglia per diagnosticare un’infezione in atto da leishmania, e sensibilità del 98,4-99 %; pur potendosi riscontrare un 5-6% di falsi negativi (Bizzeti et al., 1989):

• nei casi precoci d’infezione quando gli anticorpi della classe IgG non sono ancora reperibili,

• in forme evolutive, quando possono instaurarsi meccanismi di immunorepressione

• in soggetti sottoposti ad un trattamento terapeutico con cortisonici (anche questi immunodepressivi ) o farmaci specifici ( antimoniali) , causando shift della risposta immunitaria da Th2 a Th1 e conseguente riduzione del titolo anticorpale.

E’ opportuno accertarsi che il laboratorio di riferimento esegua sempre delle titolazioni “end point” cioè fino all’ultima diluizione positiva e non semplicemente fino ad un predeterminato valore soglia di positività. Sebbene non sempre il titolo anticorpale sia correlato alla gravità dei segni clinici (soprattutto per valori medio- bassi), in linea di massima la determinazione del titolo anticorpale permette di differenziare i cani infetti ma non malati, che avranno tendenzialmente un titolo basso, da quelli malati e con disseminazione del parassita, che avranno un titolo tendenzialmente elevato.

La definizione di titolo “basso” o “elevato” va sempre rapportata alle soglie di positività riportate dal laboratorio di riferimento. La gran parte dei laboratori considera negativi i cani con titoli IFAT inferiori a 1:40, positivi quelli con titoli uguali-superiori ad 1:80 e dubbi i cani con titolo compreso tra 1:40 e 1:80. Alcuni laboratori usano titoli-soglia diversi, per tale motivo è sempre opportuno, soprattutto nel caso in cui si voglia verificare un eventuale aumento o diminuzione dei titoli anticorpali, fare riferimento sempre allo stesso laboratorio. In ogni caso, visto l’alto coefficiente di variazione tra e intra-test che caratterizza le prove sierologiche, come

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in molte altre malattie infettive è opportuno considerare come “elevati” solo i titoli che si discostino di almeno 4 volte rispetto al valore soglia di positività del laboratorio di riferimento.

I risultati positivi dei test sierologici indicano soltanto un’infezione, la quale non necessariamente coincide con uno stato di malattia (differenza fra infezione e malattia). Del resto non è detto che alla puntura di un vettore infetto consegue uno stato d’infezione persistente; forse questa si realizza solo in conseguenza di diversi contatti tra il parassita e l’ospite (Mancianti, 2001).

I soggetti asintomatici con titolo anticorpale basso (1/40 o 1/80) rappresentano la classe di pazienti più difficile da interpretare e gestire da un punto di vista terapeutico In questi soggetti, l’esame deve essere considerato dubbio, e devono essere consigliati controlli bimestrali per monitorare l’evoluzione o meno della Leishmaniosi (Mancianti et al., 2004). Si tratta di animali che verosimilmente sono entrati in contatto col parassita, hanno prodotto gli anticorpi e possono evolvere sia verso la guarigione spontanea, sia verso la malattia; può trattarsi quindi di uno stato passeggero del quale non si può prevedere l’evoluzione. Potrebbe anche trattarsi di forme particolari latenti che prima o poi svilupperanno la patologia.

Può accadere che alcuni soggetti asintomatici presentino un titolo “altalenante”, che varia da basso a positivo a negativo: questi cani vanno esaminati più di due volte per accertare che il titolo sia scomparso effettivamente: un primo controllo negativo non può far escludere l’infezione. Ci possono essere anche casi di soggetti chiaramente sintomatici ma sierologicamente negativi: l’IFAT ha una sensibilità molto alta, ma esiste sempre la possibilità che un’esigua percentuale di cani infetti non venga rilevata. Questo può avvenire nei casi in cui la risposta immunitaria del soggetto è diretta verso altri determinanti antigenici, per immunosoppressione indotta dal parassita stesso o nei rari casi di immunodeficienza congenita con deficit dello switching isotipico (incapacità di passare da IgM a IgG, IgA ed IgE).

Deve essere comunque sottolineato che non c’e una proporzionalità diretta tra titolo sierologico e gravita della malattia, e ancora tra titolo sierologico e tasso di immunoglobuline messe in evidenza dall’esame elettroforetico.

La valutazione del titolo anticorpale, come marker nel monitoraggio della terapia, risulta pertanto di scarso significato anche perchè qualsiasi terapia si associa ad una

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riduzione del titolo, a prescindere dalla reale "guarigione" e dal rischio di recidiva (Koutinas et al., 2001).

Un aiuto in tal senso può derivare non tanto dalla modificazione del titolo sierologico in corso di terapia, quanto dalla sua negativizzazione al termine dei diversi cicli terapeutici e, anche, dalla ricomparsa di sieroconversione, indice precoce di malati.

ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay)

Si tratta di un test immunoenzimatico che utilizza antigeni solubili adsorbiti su micropiastre. La formazione del complesso antigene-anticorpo viene evidenziata mediante l’aggiunta di una antiglobulina di cane coniugata con un enzima che, in caso di positività, rivela una reazione colorimetrica che viene letta da uno spettrofotometro, quindi non soggetta a variabili legate all’operatore È un test specifico e con sensibilità medio-alta (70-100%). La sensibilità è molto elevata quando vengono utilizzati test basati sull’associazione di più antigeni dei promastigoti, in modo da aumentare il numero di epitopi che possono fissare eventuali anticorpi presenti (Mancianti et al., 1995; Soto et al., 1998; Riera et al., 1999; Gradoni, 2002; Reithinger et al., 2002). Inoltre permette di quantificare gli anticorpi specifici.

Esistono numerosi protocolli di ELISA in piastra (Fig.1.7) e di Dot- ELISA che si avvalgono dell’impiego di diversi tipi di antigeni e che hanno dato buoni risultati con elevate specificità (100%) e sensibilità (94.1%-100%).

Fig. 1.7:Esempio di test ELISA

In particolare l’ELISA è risultata maggiormente sensibile in animali asintomatici (95.6%) rispetto a quelli oligo e sintomatici (68% ed 87.8%).

L’antigene crudo, essendo costituito dall’insieme di tutti gli antigeni proteici del parassita, ha il pregio di poter essere prodotto facilmente ed in elevate quantità, ma

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conferisce un’affidabilità relativamente scarsa al test immunoenzimatico, a causa delle possibili risposte aspecifiche (Ciaramella e De Luna, 1999).

E’ stato descritto un nuovo metodo che si basa sull’ELISA e che impiega una proteina ricombinante ottenuta dall’unione dei principali determinanti antigenici di amastigoti di Leishmania infantum: in comparazione con l’IFAT escludendo i titoli dubbi di 1/40, il metodo ha mostrato una sensibilità del 93,9%, una specificità del 97% ed una concordanza del 95.5%, mentre i risultati di un altro kit commerciale sono risultati rispettivamente: 94,9, 78,2 ed 86,5 (Boarino et al., 2008).

Sovrapponibile alla tecnica ELISA, e quella della DOT ELISA, che utilizza promastigoti interi fissati su un supporto in nitrocellulosa e collocati sul fondo di micropiastre: la reazione si svolge come una normale ELISA, ma per la lettura non e necessario lo spettrofotometro. I vantaggi rispetto all’ELISA tradizionale sono numerosi: essa e più rapida, richiede minori quantità di antigene e la lettura non e influenzata da sieri emolitici o lipemici.

Per superare i problemi suddetti, alcuni gruppi di ricercatori hanno valutato l’uso di anticorpi monoclonali (Mabs) per la diagnosi della leishmaniosi viscerale. Jaffe and Mcmahon-Pratt (1987), hanno messo a punto un’ELISA competitiva, usando tre Mabs prodotti contro la L. donovani (D2, D13 e D14), in pazienti affetti da leishmaniosi viscerale, mostrando una sensibilità ed una specificita del test rispettivamente del 90% e del 100%. Sebbene i Mabs siano diretti contro epitopi specifici, non sono escluse le cross-reazioni.

Test di immunomigrazione rapida

Si tratta di kit diagnostici monouso commercializzati per uso ambulatoriale in quanto non richiedono di particolari attrezzature né di personale particolarmente specializzato (Fig. 1.8 e 1.9).

Presentano specificità e sensibilità diverse e quindi un’efficienza diagnostica sensibilmente inferiore alle metodiche sierologiche tradizionali (Rivò et al., 2000;

Mancianti, 2001; Paltrinieri et al., 2007).

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In genere la specificità è medio-alta, mentre la sensibilità è bassa (30-70%) (Gradoni, 2002; Reithinger et al., 2002; Mettler et al., 2005) e può quindi fornire risultati falsi negativi. In questi casi, se permane un forte sospetto diagnostico, l’indagine sierologica va approfondita con uno degli altri test di riferimento (IFAT, ELISA).

In caso di positività, non viene fornita alcuna informazione sul titolo anticorpale, di potenziale utilità, per esempio, nel monitoraggio della risposta alla terapia (Mancianti, 2001; Paltrinieri et al., 2007).

Visto il potenziale notevole di questi test, quanto a praticità, facilità e velocità d’esecuzione, sarebbe opportuno un miglioramento delle metodiche per aumentarne specificità e sensibilità (Alvar et al., 2004). L’antigene rK39 è stato impiegato anche con questo genere di metodi. Il primo saggio sul campo però, allestito sulla scorta dei buoni risultati ottenuti nella diagnosi di leishmaniosi viscerale umana, in comparazione con l’ELISA e la PCR, fornì risultati poco confortanti (sensibilità 72- 77%, specificità 61-75%,) (Reithinger et al., 2002), probabilmente, a causa di una cross-reazione con un fattore sconosciuto nel sangue dei cani (Alvar et al., 2004).

Fif. 1.8 1.9: Esempi di test rapidi ambulatoriali

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Le caratteristiche dei principali test diagnostici sono riportate in tabella 1.2.

Tabella 1.2: Caratteristiche dei test diagnostici di più frequente impiego nella pratica clinica.

Test Vantaggi Svantaggi Note

Esame microscopico Elevata specificità (messa in evidenza del parassita)

Sensibilità relativa e variabile sulla base del tessuto e della tecnica di processazione

Deve essere sempre eseguito sul paziente sospetto

Esame colturale Sensibile e specifico, consente di disporre dell’isolato

Lunghi tempi di attesa Discrimina la vitalità dei parassiti

PCR Sensibile e specifica Non distingue DNA

vitale da quello non vitale

È un test di conferma da eseguire in seconda istanza, devono essere esaminati almeno tre diversi campioni di tessuto

Real time PCR Sensibile e specifica, consente di

quantificare il DNA in esame

Non distingue DNA vitale da non vitale

È utile nel follow-up terapeutico

IFAT Buona specificità

soprattutto in Italia dove non si trovano altri emoflagellati

Sensibilità variabile, ma nel complesso buona

Richiede personale esperto nella lettura e nella

preparazione dell’antigene ELISA con antigene

totale

Ottima specificità e sensibilità per antigene totale, possibilità di automatizzazione

Risultati discordanti per diversi antigeni e classi di animali

Costosa richiede personale esperto nella preparazione dell’antigene

ELISA con antigene ricombinante

Buona sensibilità Specificità

relativamente buona con possibilità di cross-reazioni in corso di ehrlichiosi canina Test

immunocromatografici

Rapidità dell’esecuzione

Scarsa affidabilità Risultati indicativi, devono essere affiancati da test convenzionali (IFAT, ELISA)

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1.7 Valutazione dell’immunità cellulo-mediata

Studi sperimentali nell’uomo e nel modello murino hanno dimostrato che l’esito dell’infezione e strettamente correlato al tipo di risposta immunitaria che viene innescata. In particolare, il controllo dell'infezione o l'evoluzione della malattia sono legate alle popolazioni di linfociti T, CD4+ e CD8+, responsabili del riconoscimento degli antigeni (Ag) presentati dai macrofagi e dell'attivazione dell'immunita cellulo- mediata o umorale. E’ stato dimostrato che nei cani naturalmente infetti con L.

infantum si assiste ad una riduzione sia dei linfociti CD4+ che dei CD8+, ed ad un loro aumento dopo trattamento farmacologico (Barbieri, 2006).

Nel modello murino di infezione da Leishmania, le citochine prodotte dalle cellule T CD4+ sono determinanti nello sviluppo dell’infezione: le cellule T helper-1 (Th1) producendo interferone-γ (IFN-γ) ed interleuchina-2 (IL-2) forniscono protezione contro il parassita, mentre le cellule T helper-2 (Th2) producendo interleuchina-4 (IL-4) e interleuchina-10 (IL-10) permettono la comparsa della malattia.

L’esistenza di linee genetiche di topi sensibili o resistenti all’infezione dimostrerebbe, inoltre, la natura prettamente genetica multifattoriale della predisposizione alla malattia. A tal proposito, Locksley et al. (1999) hanno dimostrato che la sensibilità dei topi BALB/c alla L. major, e conseguenza di un riconoscimento aberrante degli epitopi antigenici di Leishmania (in particolare di LACK) da parte dei linfociti T CD4+, con conseguente produzione esagerata di IL-4 e alterata produzione di IL-12 da parte delle APC (Antigen Presenting Cells).

A tutt’oggi non e ancora ben chiaro il meccanismo con cui la Leishmania modula le diverse sottopopolazioni di linfociti CD4+ e gran parte delle conoscenze attuali sulla immunopatogenesi della malattia sono frutto di sperimentazioni condotte in vitro sul topo e dalle conoscenze di immunologia umana. Per questi motivi trasportare queste nozioni sul comportamento del sistema immunitario del cane potrebbe portare a degli errori di interpretazione (Prelaud, 2003).

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Altri importanti fattori che influiscono sulla polarizzazione verso la risposta Th1 o Th2 sono:

• Genetici: alcune razze sono più colpite (ad es. pastore tedesco), altre sono considerate resistenti (ad es. Ibizan Hound)

• Carica antigenica: alte cariche antigeniche inducono una risposta Th2 (Uzonna et al., 2001)

Variazioni nella patogenicità di L. infantum (Garin et al., 2001)

• Ormoni: estrogeni, progesterone e cortisolo stimolano la risposta Th2 (Spellberg & Edwards, 2001)

• Patologie concomitanti (liberazione di catecolamine) stimolano la risposta Th2 (Spellberg & Edwards, 2001). Ad es. un cane può ospitare il protozoo per mesi/anni, senza manifestare segni clinici. La contemporanea presenza di un'infezione da Ehrlichia canis può sconvolgere tale equilibrio e indurre una leishmaniosi in forma clinica

• Infestazione da zecche, che indirizza verso una risposta Th2.

E risaputo che nell'ambito della popolazione di linfociti CD4+ si hanno due sottopopolazioni fenotipiche: i Th1 ed i Th2. La resistenza alla leishmaniosi viscerale e stata associata con l’attivazione del fenotipo linfocitario T helper 1 (Th1). I linfociti Th1, agendo mediante un meccanismo autocrino di proliferazione IL-2 dipendente, inducono la proliferazione cellulare e la secrezione di linfochine tipiche di questo subset linfocitario (IL-2, INF-γ, TNF-α e IL-12).

Essi cosi si rendono responsabili della risoluzione dell’infezione e quindi della protezione dei soggetti infetti (Barbieri, 2006; Manna et al., 2006). L’IL-2 stimola la proliferazione e/o differenziazione degli altri subset linfocitari, ad eccezione dei linfociti Th2. L’INF-γ agisce in particolare sui macrofagi attivandoli ed inducendo un’efficace azione diretta nei confronti di Leishmania. I macrofagi, a loro volta, producono l’IL-12 che favorisce l’espansione dei Th1 protettivi ed inibisce quella dei Th2 non-protettivi (Manetti et al, 1993).

E opportuno sottolineare che il ruolo dell’IL-12 nell’induzione e nel mantenimento della risposta immunitaria di tipo Th1 e stato poco studiato nella leishmaniosi viscerale canina (Barbieri, 2006).

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Al contrario, la prevalente produzione di IL-4, IL-5, IL-6, IL-10 e del fattore di stimolazione dei linfociti B (BSF-1) ad opera del fenotipo Th2, e responsabile della progressione dell'infezione verso la malattia, in seguito all’attivazione di una risposta immunitaria prevalentemente di tipo umorale non protettiva, esitante nella produzione di anticorpi specifici (IgG). La risposta anticorpale che si innesca non e protettiva per il cane infetto, dal momento che la continua sollecitazione delle cellule immunocompetenti, indotta dai parassiti posti al riparo nei fagociti, comporta uno squilibrio del sistema immunitario, con iperfunzione della risposta umorale, anomalie in quella cellulo-mediata e conseguente produzione di uno stato immunopatologico caratterizzato essenzialmente da immunodepressione e dalla produzione di immunocomplessi (Ic) circolanti.

Pochi studi sono stati condotti sul ruolo dei linfociti CD8+ nel meccanismo di resistenza alla leishmaniosi canina. Questi linfociti sono stati evidenziati nei cani asintomatici sperimentalmente infetti con L. infantum ma non nei soggetti sintomatici, suggerendo che la lisi diretta dei macrofagi infettati con L. infantum mediante i linfociti T citotossici rappresenta un meccanismo aggiuntivo nella resistenza alla leishmaniosi viscerale canina (Barbieri, 2006).

Recenti studi inoltre affermano che nel caso del cane e dell’uomo sembra che questa dicotomia nella risposta immunitaria non sia caratterizzata, come nel topo, da una chiara risposta Th1e Th2.

In essi infatti sembra che siano individuabili una risposta immunitaria di tipo misto Th1-Th2 con predominanza di citochine di tipo Th1 come INFγ (Pinelli et al.,1994;

Chamizo et al., 2005) nei soggetti resistenti alla malattia, mentre una ridotta produzione di citochine (Santos-Gomes et al., 2002; Alvar et al., 2004) o una predominanza di citchine di tipo Th2, nei soggetti sensibili (Quinell et al., 2001;

Brachelente et al., 2005).

Una ricerca dell'Università della Pennsylvania, guidata da Phillip Scott del Department of Pathobiology, School of Veterinary Medicine e pubblicata su Nature Medicine, afferma che esiste una forma di "memoria centrale" costituita da linfociti T helper che può fornire un'immunità di lunga durata verso la leishmaniosi.

Nella pratica clinica sarebbe molto utile disporre di tecniche semplici, veloci e di basso costo, che permettano di determinare l’intensità della risposta immunitaria cellulare nei cani leishmaniotici, al fine di stabilire la prognosi e di valutare la risposta alla terapia.

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“Skin test” (Test di Montenegro)

Consiste in un’intradermoreazione valutata inoculando leishmanina. Questa prova ha una elevata sensibilità risultando positiva negli animali esposti, ma spesso negativa nei soggetti ammalati, quindi riveste per lo più un’importanza epidemiologica e prognostica.

La tecnica prevede:

a) Produzione leishmanina

Isolamento e coltura dell’antigene;

Lavaggio e diluizione della coltura;

▪ Concentrazione finale con 3*108 promastigoti/ml di soluzione;

b) Inoculo leishmanina

▪ Inoculazione intradermica di 0,1 ml di leishmanina in una zona glabra del corpo(es.inguine);

c) Lettura reazione

Dopo 48-72 ore dall’ inoculazione intradermica;

▪ Si valutano le dimensioni della reazione,delineando i margini del pomfo con una penna;

Misurazione:se il pomfo è maggiore di 5 mm:reazione positiva.

Questo tipo di test svela i soggetti con una risposta di tipo Th1. Il suo utilizzo è quindi principalmente di studio retrospettivo epidemiologico.

Infatti in soggetti trattati che rispondono alla terapia, avviene lo “shift” Th 2→Th1, e quindi risulterebbero positivi al test di Montenegro.

Questo test è certamente un metodo più facilmente applicabile in campo, anche se la necessità del controllo a 72 ore dall’inoculo e la possibilità di indurre falsi positivi iatrogeni in seguito a test ripetuti, ne riducono l’utilizzo (Fernández-Bellon et al., 2005).

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Determinazione del rapporto dei linfociti T CD4+/CD8+

Una tecnica alternativa potrebbe essere la determinazione della variazione delle diverse sottopopolazioni linfocitarie ematiche; ci sono diverse pubblicazioni sull’utilizzo in questo senso della citofluorimetria di flusso (Rosypal et al., 2005;

Cruz et al, 2006) Alti livelli di linfociti CD4+ e CD8+ con conseguente inversione del rapporto tra le concentrazioni di tali cellule nel sangue periferico sembrano la chiave di una risposta immunitaria efficace. Infatti in animali asintomatici con più bassa carica parassitaria sono stati messi in evidenza alti livelli di queste popolazioni linfocitarie, a differenza di quanto osservato in soggetti sintomatici con elevata carica parassitaria dove si osservasi una riduzione della percentuale dei linfociti T CD4+ e del rapporto CD4/CD8+, che si normalizzano in seguito alla terapia ed alla guarigione clinica (Bourdoiseau et al., 1997; Moreno et al., 1999; Guarga et al., 2000, 2002). Molti di questi studi, però, sono stati condotti su un numero di casi esiguo e con follow-up brevi o assenti.

Anche questa determinazione risulta maggiormente utile per fini epidemiologici e prognostici, più che diagnostici.

L’indicatore di prima scelta per lo studio dell’evoluzione della malattia e dello stato immunologico individuale, molto probabilmente è rappresentato dal profilo delle citochine espresse dalle cellule mononucleate del sangue periferico, in particolare IL- 4, IFN-γ ed IL-2 (Miranda et al., 2007). de Lima e coll. (2007) hanno dimostrato che nel sangue dei cani con malattia attiva, aumentano i livelli di IL-6, non correlati direttamente con il titolo anticorpale. Moreno e Alvar (2002) hanno dimostrato che nell’infezione sperimentale da L. infantum l’immunità protettiva è associata alla produzione di IL-2, IFN-γ e TNF-α da parte delle cellule mononucleate del sangue periferico. Manna e coll. (2006) hanno dimostrato che i soggetti infetti asintomatici che esprimono alti livelli di IL-2 e IFN-γ, tendono anche a restare asintomatici durante il follow up di 2 anni; invece altri soggetti infetti asintomatici, il cui sangue periferico non esprime le dette citochine, nel corso del follow-up diventano sintomatici, con la comparsa delle stesse: gli Autori suggeriscono che la rilevazione di IL-2 e IFN-γ, in assenza di sintomi, può essere associata con la protezione nei confronti della progressione dell’infezione verso la malattia conclamata, e quindi

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affermano che le due citochine possono rappresentare dei buoni marker per predire l’evoluzione dell’infezione in soggetti asintomatici.

Vista la complessità della patologia la diagnosi di leishmaniosi deve essere basata su un approccio integrato che tenga in considerazione segnalamento, anamnesi, esame clinico e risultati dei test di diagnosi eziologica diretti ed indiretti appena descritti (Tabella 1.3, Algoritmi 1.4,1.5).

Tabella 1.3: Eventualità clinico-diagnostiche che possono presentarsi al veterinario

Stato clinico

Periodo dell’anno

Motivo della diagnosi

IFAT/

ELISA

PCR/

citologia

Esame clinico e di Laboratorio

Ulteriori indagini:

Risultato

Note

A Febbraio-

aprile

Screening epidemiologico

Positivo N.E. Positivo Stadio clinico

evolutivo

Positivo N.E. Negativo Controlli

trimestrali

Dubbio Positivo Positivo Stadio clinico

evolutivo

Dubbio Positivo Negativo Controlli

trimestrali

Dubbio Negativo N.E.

Test sierologico ulteriore a tre mesi di distanza:

Positivo

Stadio clinico evolutivo

Dubbio Negativo N.E.

Test sierologico ulteriore a tre mesi di distanza:

Negativo

Screening quando necessario

O/S Durante tutto l’anno

Visita clinica per sospetto malattia

Positivo N.E. Positivo Stadio clinico

evolutivo

Dubbio Negativo Negativo Altra

patologia

Dubbio Positivo Positivo Stadio clinico

evolutivo

Negativo Positivo Positivo Stadio clinico

evolutivo

Negativo Negativo Negativo Altra

patologia

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Algoritmo 1.1 Iter diagnostico in cani sospetti

Algoritmo 1.2: Iter diagnostico in can sottoposti a screening epidemiologico

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Esami aspecifici

Si tratta di esami che hanno l’utilità di segnalare una qualche sofferenza d’organo o d’apparato che possa essere, direttamente o indirettamente, correlata alla leishmaniosi. Inoltre le indagini diagnostiche aspecifiche hanno sicuramente importanza per il follow up, consentendo una duplice informazione: valutazione delle condizioni generali del paziente in senso dinamico ed apprezzamento della risposta alla terapia.

1. Esame emocromocitometrico

In corso di leishmaniosi si evidenziano frequentemente:

▪ anemia normocitica normocromica solitamente non rigenerativa,

leucopenia (Paltrinieri et al., 2007) o leucocitosi neutrofilica (reperto incostante),

▪ trombocitopenia,

▪ alterazione profilo coagulativo.

Questa alterazione può essere sospettata già in corso di esame clinico, sia per il pallore delle mucose apparenti, sia per l’astenia generale (Boni et al., 1999). Bizzeti e coll. (1989) la riportano in circa il 53% dei casi sintomatici, mentre Ciaramella e coll.

(1997) in circa il 60% . Altre segnalazioni invece riportano percentuali più modeste (20-30%: Amusategui et al., 2003).

La patogenesi dell’anemia è piuttosto complessa e multifattoriale. I fenomeni immunomediati e/o autoimmuni sembrano giocare un ruolo di particolare rilievo, sebbene siano state avanzate altre ipotesi patogenetiche (Agu et al., 1982). In alcuni studi e stato chiamato in causa il possibile ruolo dei radicali liberi dell’ossigeno, che, prodotti in grandi quantità anche dai fagociti circolanti, provocherebbero alterazioni della membrana plasmatica degli eritrociti, favorendone la demolizione da parte del sistema reticolo-istocitario (Biswas et al., 1992).

Nelle fasi più avanzate della malattia, quando subentra l’insufficienza renale, un ruolo importante è rivestito dalla ridotta secrezione di eritropoietina da parte dei reni.

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