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Corte dei conti e principio costituzionale di unicità della giurisdizione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI DOTTORATO IN SCIENZE GIURIDICHE

CURRICULUM IN GIUSTIZIA COSTITUZIONALE E DIRITTI FONDAMENTALI

Coordinatore: Ch.mo Prof. Roberto Romboli

TESI DI DOTTORATO:

Corte dei conti e principio costituzionale di unicità della giurisdizione

Relatore: Candidato:

Ch.mo Prof. Francesco Dal Canto Dott. Stefano Magnani Matr. 541022

Anno accademico 2018/2019

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ad Alessia,,

le parole più belle

e un ringraziamento sentito

a Vittorio

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PREMESSA METODOLOGICA

Affrontare la VI° disposizione transitoria della Costituzione è come avere di fronte un atomo di storia d’Italia e, al contempo, un frammento di storia costituzionale.

E’ un atomo di storia d’Italia perché in quelle poche righe il legislatore costituente ridusse a sintesi una parte della storia istituzionale del Regno d’Italia di cui si intese preservarne la continuazione, almeno provvisoriamente; è altresì un frammento di storia costituzionale poiché gli organi cui è indirizzata la disciplina transitoria condizionarono lo sviluppo e l’evoluzione dello Stato sin dal momento della sua unificazione.

Tuttavia, quale che sia la sua grandezza o dimensione, tale disposizione, pur se transitoria, non è da considerarsi mero pulviscolo che si disperdeva nell’area costituzionale, bensì un granello che si unisce a tanti altri e che potrebbe, se mal collocato, anche far inceppare o rallentare la complessa

“macchina dello Stato”.

Fuori da ogni suggestione, si tratta pur sempre di una disposizione transitoria e cioè servente ad altre disposizioni contenute nella Carta fondamentale e, quindi, funzionale o strumentale a gestire il passaggio dal precedente ordinamento a quello repubblicano.

Si potrebbe aggiungere, altresì, che una volta raggiunto il suo scopo tale disposizione avrebbe dovuto cessare i propri effetti e così consegnarsi alla storia costituzionale. Ciò non è avvenuto e allora bisogna comprendere le ragioni della sua perdurante attualità.

L’uso di metafore può allora essere riproposto considerando a questo punto l’oggetto della VI°

disp. trans.: esso potrebbe essere descritto come un caleidoscopio le cui multiple e diversificate riflessioni evocherebbero altrettante giurisdizioni speciali pronte a mutare forma o consistenza in modo imprevedibile e variabile nel tempo, salvo alcune espressamente menzionate e di cui se ne prevedeva l’esenzione dalla revisione e che sono quelle di maggiore intensità e consistenza. Occorrerà riprendere i paradigmi che la tradizione ci ha proposto e seguirne le tracce.

Gli spunti di riflessione sono molteplici: una prima impressione è che la trattazione della VI° disp.

trans. sia stata offuscata dal tema che per decenni ha ciclicamente riguardato lo stato di attuazione della VII° disp. trans. riguardante la riforma dell’ordinamento giudiziario. Al contrario, solo sporadicamente, e per esigenze del tutto contingenti, ci si è occupati in dottrina della VI° disp. trans.

e la ragione potrebbe risiedere nel differente peso delle questioni trattate. Occorrerà verificare se un tale stato di cose si sia verificato anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale.

Una seconda impressione è direttamente connessa alla prima e cioè che vi sia un legame o interazione tra la VI° e la VII° disp. trans., ognuna delle quali, pur tracciando sentieri costituzionali paralleli e distinti, presupporrebbero una base costituzionale comune.

Il rapporto tra le due citate disposizioni è quello in cui la prima appare come “la sorella minore”

della seconda: del resto, il tema della riforma dell’ordinamento giudiziario e dell’avvento dell’organo di giustizia costituzionale rappresentavano aspetti decisivi nell’evoluzione dello Stato costituzionale di diritto più di quanto non avrebbe potuto esserlo la revisione delle giurisdizioni speciali cc. dd.

minori.

Nel corso di questa ricerca, però, si vuole non solo porre in relazione le due citate disposizioni ma, altresì, valorizzare la VI° disp. trans. con cui il Costituente tracciò un sentiero costituzionale ancora oggi poco battuto e scandagliato e che evoca un itinerario ancora da completare.

Da queste coordinate generali si intende prendere le mosse e cioè partire con l’esame della VI°

disp. trans. e delle ragioni storiche, giuridiche e costituzionali che portarono alla sua stesura in Assemblea Costituente.

Si tenterà di offrirne una lettura “costituente” con particolare riferimento alle magistrature speciali

esentate dalla revisione costituzionale, mentre la VII° disp. trans. sarà presa in considerazione solo

per le interazioni con quella che la precede, ossia per la circostanza di avere con la VI° disp. trans.

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una base costituzionale comune sui cui occorrerà indagare e che potrebbe essere rappresentata dall’unicità della giurisdizione “nazionale”

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.

Si tratta di un valore costituzionale che il dettato della Carta fondamentale irradia sulla pluralità delle magistrature, quale principio direttamente ricavabile sul piano scritto e formale: per tale ragione, l’unicità della giurisdizione costituirà il leitmotiv del presente lavoro quando ci si appresterà a percorrere il sentiero tracciato dalla VI° disp. trans. con particolare riferimento all’ordinamento e alla giurisdizione della Corte dei conti.

A seguire, sul piano del c.d. “potere costituito”, si tenterà di evidenziare il ruolo strategico che la Corte di cassazione a Sezioni Unite potrebbe assolvere nella valorizzazione dell’unicità della giurisdizione da intendersi nella declinazione dell’unità della tutela giurisdizionale.

La premessa metodologica necessaria per compiere tali operazioni è, in primo luogo, comprendere la portata costituzionale e storica della VI° disp. trans.

In questo senso, sul piano prettamente costituzionale occorrerà metterla in relazione sia con quelle che si riferiscono al tema della giurisdizione (Titolo IV° e, in particolare, gli artt. 102, 103, comma 2 e 108, comma 2, Cost., oltre che la citata VII° disp. trans.); sia con quelle che contraddistinguono l’attività della Corte dei conti sul piano del controllo in materia di contabilità pubblica (Titolo III° e, in particolare, l’art. 100, Cost.).

Per giungere a un tale risultato, però, occorrerà agire anche sul piano storico nel tentativo di comprendere il modello di istituzione contabile di cui si è dotato dapprima il Regno d’Italia e che in seguito il Costituente intenderà preservare.

In secondo luogo, affrontare il dibattito in Assemblea costituente sulle disposizioni costituzionali riguardanti l’ordinamento e le funzioni della Corte dei conti in rapporto a quelle contenute nel Titolo IV° della II° parte della Costituzione (artt. 102, 103, 108, comma 2, Cost.); e, a seguire, i lavori dell’Assemblea che portarono all’approvazione della VI° e VII° disp. trans.

Sulla base di tali coordinate storiche e costituzionali, si potrà procedere a verificare lo stato di attuazione della VI° disp. all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione con riferimento alle giurisdizioni speciali, anche attraverso l’esame della giurisprudenza della Corte costituzionale.

Si cercherà di comprendere, anzitutto, le ragioni che portarono il Costituente a prevedere nel comma 1 della VI° disp. trans. una clausola che definiremo “eccettuativa” dell’obbligo di revisione con riferimento alle principali giurisdizioni speciali fra cui è compresa la Corte dei conti.

Nel compiere tale operazione si procederà a verificare le eventuali interazioni della VI° disp. con la VII° disp. trans. e a tale ultimo riguardo, il possibile ruolo che la Suprema Corte di cassazione avrebbe potuto svolgere nel nuovo ordinamento costituzionale essendo ad essa assegnato il ruolo di arbitro nel riparto di giurisdizione. A questo punto, si potrebbero comprendere le ragioni dell’attuazione o meno della VI° disp. trans. negli anni immediatamente successivi all’avvento della Carta costituzionale e nei tentativi di riforma costituzionale che si sono susseguiti nel tempo, con particolare riferimento ai lavori della Commissione bicamerale del 1997.

Si potrà così giungere alla parte finale di questa ricerca che si svilupperà attraverso l’individuazione delle principali criticità che attualmente si riferiscono alle giurisdizioni speciali, anche in rapporto alle interazioni di esse con quella ordinaria non solo sul piano dei rispettivi ordinamenti, ma anche su quello delle funzioni giurisdizionali con particolare riferimento a quelle nomofilattiche esercitate dalle Supreme magistrature.

Il tentativo è evidenziare, da un lato, le aporie dell’attuale sistema giurisdizionale e di comprenderne le cause in punto di: dimidiata indipendenza del singolo magistrato e degli organi di autogoverno nelle giurisdizioni speciali rispetto a quella garantita direttamente dalla Costituzione nell’ordinamento giudiziario; il difetto di coordinamento fra i plessi giurisdizionali considerati;

nonché, i fattori di disordine e di incoerenza fra gli orientamenti giurisprudenziali espressi dalle magistrature ordinaria, amministrativa e contabile.

1 Per un recente commento alla disposizione in parola è utile rifarsi alla ricostruzione operata da F. DAL CANTO, Lezioni di ordinamento giudiziario, Giappichelli, Torino, 2018, pag. 59.

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Dall’altro, infine, si tenterà di valorizzare l’unicità della giurisdizione come risultato a cui tendere in un ordinamento che ha riconosciuto, sia pure entro certi limiti, il pluralismo delle magistrature esaltando così la funzione nomofilattica delle supreme magistrature e il loro coordinamento da parte delle Sezioni Unite della Corte di cassazione qualora fosse necessario comporre le questioni più complesse.

Così intesa, attraverso la funzione nomofilattica verrebbero affrontate le questioni di maggior

rilievo nelle quali entrerebbero in gioco tanto la tutela dei diritti fondamentali quanto la necessità di

garantire il coordinamento in chiave unitaria delle magistrature fra loro in potenziale conflitto.

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Capitolo 1°

Le giurisdizioni speciali dal dibattito in Assemblea Costituente ai recenti sviluppi sulla loro incompiuta indipendenza.

Sommario: 1. Considerazioni preliminari. 2. La legittimazione costituzionale delle giurisdizioni speciali e il vulnus della loro indipendenza. 3. Commento alla clausola eccettuativa (comma 1, VI° disp. trans.) all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione. 4. La rilevanza costituzionale del termine quinquennale rispetto alla garanzia dell’indipendenza delle giurisdizioni speciali. 5. Il “nodo gordiano”

della piena indipendenza dei giudici speciali. Premessa. 5.1. L’indipendenza “interna” nella giurisdizione amministrativa tra luci e ombre: in particolare, la nomina dei consiglieri di provenienza governativa e quella del Presidente … 5.2. … e la sua evoluzione nella giurisdizione contabile: dall’abolizione della giustizia domestica alle attuali prerogative del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti e del suo Presidente. 5.2.1. L’abolizione della c.d. giurisdizione domestica. 5.2.2. I lavori preparatori di approvazione della legge n. 117/1988: l’ineluttabile inserimento degli articoli aggiuntivi al progetto di legge originario sulla responsabilità disciplinare e sull’organo di autogoverno della Corte dei conti. 5.2.3.

I persistenti margini di incertezza sull’indipendenza della magistratura contabile tra le modifiche apportate dal legislatore (art. 1, comma 1, l. n. 202/2000 e art. 11, comma 8, l. 15/2009) e la giurisprudenza della Corte costituzionale (Sent. n. 87/2009 e Sent. n. 16/2011). 5.2.4. Considerazioni conclusive sul tasso o livello di indipendenza nelle giurisdizioni speciali: le implicite direttive contenute nella Sent. n. 16/2011.

1. Considerazioni preliminari.

Il tema delle giurisdizioni speciali è stato affrontato raccogliendo e rielaborando la documentazione riguardante i lavori delle Sezioni della seconda sotto-commissione e dell’Assemblea costituente accompagnata dalla lettura di editoriali e articoli pubblicati sui principali quotidiani e riviste nazionali che, all’epoca, descrissero le fasi più significative del percorso “costituente”.

Dall’iter di approvazione dell’art. 100, Cost, sono emersi spunti di riflessione tanto sul piano dell’attività di controllo svolta dalla Corte quanto sul delicato equilibrio nei rapporti tra l’istituzione contabile e il potere esecutivo che fecero porre al centro dell’attenzione il tema dell’indipendenza del magistrato contabile dal Governo.

Altro punto rilevante è costituito dall’esame della funzione giurisdizionale espletata dall’istituzione contabile, espressione della deroga, sul piano costituzionale, al principio dell’unità della giurisdizione e il cui iter assembleare porterà all’approvazione dell’art. 103, Cost., rispetto alla regola generale posta dall’art. 102, Cost.

Attraverso l’esame dei lavori della Costituente è stato possibile comprendere le vicende storiche, politiche e costituzionali che portarono il legislatore a prevedere per la Corte dei conti una duplice disciplina: quella del controllo, nell’ambito del potere esecutivo e giurisdizionale, nella parte dedicata al potere giudiziario.

Logico corollario è la trattazione della VI° (e VII°) disp. trans. su cui ci si soffermerà per comprenderne le peculiarità, ma anche le disomogeneità rispetto all’impianto costituzionale complessivo nel tentativo di giungere a tratteggiarne il carattere “meramente provvisorio

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” di esse.

Ad un primo esame delle due disposizioni può cogliersi, da un lato, il carattere comune per la circostanza di essere entrambe “transitorie” e di avere, unitamente a quelle “finali”, una differente collocazione e una diversità di numerazione rispetto a quelle contenute nel testo della Carta costituzionale.

Dall’altro, le conseguenze cui esse diedero origine in sede attuativa tracciarono, per le rispettive magistrature, sentieri costituzionali paralleli, ma distinti, destinati a non incontrarsi ma che presupponevano una base costituzionale comune.

Interrogarsi su tali disposizioni significa chiedersi se con esse il legislatore costituente si fosse prefigurato una rottura radicale con il sistema pre-vigente o avesse voluto intraprendere la strada della continuità costituzionale; e, a seguire, se tali disposizioni avessero contribuito alla loro attuazione,

2 Dizione mutuata da R. TARCHI, Disposizioni transitorie e finali, Premessa in Comm. Cost., BRANCA continuato da PIZZORUSSO, Bologna, 1995, pag. 5.

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anche attraverso l’approfondimento degli aspetti legati ai tempi della loro approvazione e del valore, natura ed efficacia di esse rispetto alle altre disposizioni contenute nella Carta fondamentale.

L’esame dei lavori preparatori proseguirà sui progetti che avrebbero portato all’approvazione dell’art. 108, Cost, in cui il Costituente faceva esplicito riferimento alle magistrature speciali e alla necessità che ad esse fosse garantita l’indipendenza su un duplice livello: il primo, presupposto, che è quello che riguarda il piano del controllo e della tutela della pubblica finanza; il secondo, presupponente, che afferisce all’esercizio della giurisdizione.

La tutela dell’indipendenza sul piano dell’attività di controllo (pre o para-giurisdizionale) faceva sì che l’ente Corte dei conti potesse porsi nella condizione di veder garantite le sue prerogative anche su quello prettamente giurisdizionale: quest’ultima, infatti, conferisce al magistrato contabile uno status che, sia pure indirettamente, lo avrebbe tutelato anche allorquando egli fosse deputato all’esercizio del controllo.

Al contempo, l’attività di controllo contabile e di tutela della finanza pubblica, rappresentando il minimo comune denominatore del personale magistratuale, rappresenta anche un limite del suo spettro d’azione: di qui una giurisdizione “speciale” che, pur se espressione dell’esercizio della giurisdizione, non potrà dirsi equiparabile all’ordine giudiziario proprio perché “condizionata”

dall’essere preordinata ad una peculiare funzione che trova la sua fonte ispiratrice nella storia istituzionale dell’ente cristallizzata nell’art. 100, Cost.

Le “due indipendenze” sono qualitativamente differenti rispondendo a logiche e interessi pubblici molto diversi pur se fra loro implicitamente connessi giacché entrambi contraddistinguono la funzionalità dell’ente cui ineriscono.

Tutto ciò lascia aperto il tema della collocazione istituzionale della Corte dei conti che l’Assemblea Costituente non sembra aver affrontato, preferendo assecondare l’ambiguità di fondo che l’accompagna tuttora.

All’alternativa di ritornare alle origini quali meri funzionari tecnici preposti al controllo con devoluzione delle altre competenze giurisdizionali a sezioni specializzate o all’impraticabile soluzione di riproporre un sistema di controllo nuovamente in capo alle Assemblee Legislative, si poteva, al contrario, enfatizzare il tratto giurisdizionale dell’ente. Con il rischio, però, che se non fossero stati posti adeguati limiti alle sue prerogative giurisdizionali, esso avrebbe potuto estendere oltre misura la propria sfera di azione, scolorendone così la vocazione originaria.

Eventualità, questa, che in parte si verificò: si consideri che la Corte costituzionale arginò la vis espansiva della Corte dei conti inaugurando, a partire dalla fine degli anni ’60, il filone giurisprudenziale dell’interpositio legislatoris.

La clausola eccettuativa posta dalla seconda parte del comma primo della VI° disposizione transitoria sembra dimostrare questo stato di cose, soprattutto se posta in confronto con la disposizione contenuta nel comma 1 della VII° disp. trans. e con le disposizioni contenute nella Carta costituzionale agli artt. 100, comma 2; 102, 103, comma 2 e 108, comma 2, Cost.

L’aver escluso con la formula eccettuativa la Corte dei conti dalla revisione della propria giurisdizione e la circostanza che essa sia altro da quella ordinaria per il tratto di specialità che la connota, potrebbe aver contribuito a porre in un cono d’ombra il tema dell’adeguamento dell’ordinamento dell’ente mentre le disposizioni costituzionali esistenti (in primo luogo, l’art. 108, comma 2, Cost.) erano troppo blande per costringere il legislatore ordinario a mutare uno stato di cose che, a ben vedere, conveniva non modificare al pari del potere esecutivo. Entrambi, potere esecutivo e legislatore, avrebbero continuato, per parte propria, ad esercitare di fatto un ingerenza nell’operato della Corte.

Le interrelazioni fra funzioni di controllo e giurisdizionali, l’acceso dibattito sull’unità o meno

della giurisdizione; e, a seguire, le ricadute del dibattito sia sull’ordinamento (e posizione

costituzionale) della Corte dei conti sia sulla sua indipendenza, rappresentarono gli aspetti più

significativi affrontati in sede costituente.

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2. La legittimazione costituzionale delle giurisdizioni speciali e il vulnus della loro indipendenza.

Nel periodo statutario non si faceva alcun cenno ai giudici speciali ma la loro proliferazione

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durante il periodo fascista costituirà il leitmotiv delle discussioni che si svolsero in seno alla seconda Sezione della Seconda sottocommissione anche con riferimento al tema dell’unità o pluralità della giurisdizione.

Presso la Commissione studi riguardante la riorganizzazione dello Stato presieduta da Forti

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, l’on.

Calamandrei presentò un progetto di sistema giurisdizionale ispirato ai principi di statualità, unicità

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ed autogoverno secondo il modello della Magistratura ordinaria

6

.

Il 5 dicembre 1946 la relazione dell’on. Calamandrei fu presentata in Assemblea Costituente e discussa nelle successive sedute (17, 18, 19 e 20 dicembre e il 9 gennaio 1947)

7

; e, infine, in Assemblea plenaria, essa fu discussa nelle sedute del 21 e 27 novembre 1947

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.

L’inizio dei lavori in Assemblea Costituente fu contraddistinto dall’approccio rigoroso assunto dall’on. Calamandrei nel solco di quanto già da egli espresso in precedenza, ribadendo la proposta di abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, compresi il Consiglio di Stato e la Corte dei conti

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; posizione condivisa anche dall’on. Leone

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, mentre l’on. Mortati ebbe un approccio più moderato proponendo una formulazione che lasciava aperta la possibilità per il legislatore ordinario di istituire nuovi organi speciali di giurisdizione.

In omaggio al principio dell’unità della giurisdizione, l’on. Nobili Tito Oro propose di vietare l’istituzione di altre magistrature speciali e propose il mantenimento di quelle esistenti,

3 Dalla raccolta ufficiale del Regime curata da Caliendo (1925), nel periodo compreso tra le due guerre furono istituiti circa 300 collegi di natura giurisdizionale, oltre a tribunali speciali come la magistratura del lavoro. L’on. Merlin nella seduta del 20 novembre 1947, ribadì i risultati di quella ricerca: “Sapete voi quanti sono in Italia i giudici speciali? Se voi andate in biblioteca e consultate il Caliendo, che oggi se non erro è Primo Presidente della Corte di Appello di Roma, voi trovate che i giudici speciali in Italia sono 300”.

4 I lavori della Commissione Forti, che costituirono una prova generale del dibattito che si svolse in seguito nelle Commissioni per la Costituzione e in Assemblea Generale, influenzarono significativamente le scelte non solo dell’Assemblea ma, altresì, della Commissione per la riforma dell'amministrazione (anch’essa presieduta da Forti) che fu istituita all’indomani del varo della Carta costituzionale. Per un ulteriore approfondimento, E. BALBONI, Le riforme della pubblica amministrazione nel periodo costituente e nella prima legislatura, in Scelte del costituente e cultura giuridica.

Protagonisti e momenti del dibattito costituzionale, a cura di U. DE SIERVO, Il Mulino, Bologna, 1980, pag. 249.

4 Per la ricostruzione di tale posizione, A. POGGI, Il sistema giurisdizionale tra “attuazione” e “adeguamento” della costituzione, Jovene, Torino, 1995, pag. 116.

5 L’affermazione teorica dell’unità della giurisdizione fu propugnata dal Primo Presidente della Corte di cassazione D’Amelio che aprì il Congresso giuridico svoltosi a Roma nel 1932 e in seguito ribadita nella Relazione di presentazione del Codice di procedura civile dal Ministro Grandi.

6 Si insistette sulla formula dell’universalità delle competenze della Magistratura ordinaria, affermata nel primo articolo del Progetto, e ribadita nell’art. 12, per cui l’unicità della giurisdizione si sarebbe espressa nell’attribuzione della qualità di appartenenti al potere giudiziario “esclusivamente ai giudici ordinari, … istituiti e regolati dalla legge sull’ordinamento giudiziario”. L’eccezionalità dei giudici speciali venne sottolineata dalla norma secondo cui “Non potranno essere creati neanche per legge organi speciali di giurisdizione”.

7 Il riferimento è agli atti dell’Assemblea Costituente, in Commissione per la Costituzione, rispettivamente a pag. 1889 ss., 1929 ss., 1938 ss., 1941 ss., 1955 ss. e 1983 ss.

8 Atti dell’Assemblea Costituente, Discussioni, rispettivamente a pag. 3993 ss. e 4194 ss.

9 Nel proporre la soluzione più rigorosa egli si espresse anche a favore della soppressione delle sezioni giurisdizionali speciali del Consiglio di Stato, pur avendone riconosciuto prove di fermezza, indipendenza ed attaccamento ai delicati compiti, anche durante il periodo fascista. Il Consiglio di Stato, secondo l’on. Calamandrei, avrebbe dovuto rimanere solo quale organo consultivo mentre i Consiglieri di Stato sarebbero divenuti Consiglieri di cassazione; analogo discorso fu fatto per la Corte dei conti che avrebbe dovuto svolgere attività di controllo contabile. La sua posizione fu sostenuta – sia pure con qualche cautela - anche dall’on. Targetti che nella seduta del 19 dicembre 1946 affermò di essere tutt’altro che favorevole alla fioritura di giurisdizioni speciali e che fosse necessario sfrondare questo grosso albero, senza però reciderlo, ossia senza chiudere la strada alla creazione, per speciali materie, di giurisdizioni speciali poiché non era aprioristicamente contrario alla permanenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, benché non fossero organi intangibili.

10 Condivise il pensiero dell’on. Calamandrei aggiungendo che il frazionamento avrebbe potuto prestarsi a pressioni di carattere politico e a sollecitazioni di carattere extragiudiziario.

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demandandone la regolamentazione alle singole leggi sui vari istituti. Per l’on. Grassi la disciplina del Consiglio di Stato e della Corte del conti avrebbe dovuto formare oggetto di un separato articolo auspicando una disciplina meno indefinita di quella di un mero rinvio alla legge.

La difesa delle giurisdizioni speciali e con essa di un sistema giurisdizionale fondato sulla pluralità delle giurisdizioni fu sostenuta soprattutto dall’on. Mortati in Assemblea Plenaria

11

.

L’on. Calamandrei dovette rinunciare al progetto iniziale di abolizione di tutte le giurisdizioni diverse da quella ordinaria auspicando però che fosse garantito il carattere unitario della giurisdizione nazionale - quasi fosse “un’unità della giurisdizione nella diversità delle sue declinazioni” (corsivo mio) - identificando nella Corte di cassazione il terminale ultimo della funzione giurisdizionale

12

. Posizione, questa, propugnata da quanti argomentavano che il mantenimento di tali giurisdizioni speciali, costituendo un’eccezione, non avrebbe intaccato il concetto di unità della giurisdizione a cui si ispirava l’on. Calamandrei

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.

Altri relatori, invece, pur dichiarandosi in parte d’accordo con l’affermazione dell’unicità, presentarono proposte “mediane

14

”, altri ancora, come l’on. Castiglia, si mostrarono contrari all’abolizione delle giurisdizioni speciali affiancandosi alla posizione dell’on. Mortati.

Per il Presidente della Commissione Ruini occorreva decidere quale percorso argomentativo percorrere circa la sorte delle giurisdizioni speciali ancora tutta da scrivere

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ponendo sul tappeto le possibili soluzioni affermando che “Vi possono essere teoricamente due posizioni limite. Quella di sopprimere la giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti; tesi svolta nella Commissione dei Settantacinque da Calamandrei; ma sarebbe non rendere un buon servizio alla causa dell’unicità della giurisdizione, perché si sconvolgerebbero e disordinerebbero ad un tratto rami particolari di giurisdizione; e il metodo stesso delle possibili unificazioni verrebbe messo in dubbio. Vi è poi un'opposta tendenza, di cui mi pare di scorgere traccia nel pensiero di Mortati, che, affermata l'unicità in materia penale e nelle controversie civili fra privati, lascia mano libera per creare nuove giurisdizioni speciali nelle controversie fra amministrazione pubblica e privati”.

L’ostilità alle giurisdizioni speciali venne motivata nella carenza di indipendenza dei giudici e sul loro eccessivo sviluppo quantitativo nonché sull’uso strumentale che di esse aveva effettuato il regime fascista, esprimendo un giudizio critico sull’operato di tali istituti ormai ritenuti storicamente

“compromessi”

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. Ragioni di natura tecnica avrebbero portato ad accogliere il paradigma dell’unicità

11 Per la ricostruzione di tale posizione, POGGI, Il sistema giurisdizionale tra “attuazione” e “adeguamento” della costituzione, Torino, Jovene, 1995, 116 ss.

12 L’idea di riconoscere e mantenere una pluralità di magistrature sotto l’egida della Corte di cassazione a cui riconoscere una centralità nel disegno costituzionale della giurisdizione nazionale, non elideva una certa diffidenza per le giurisdizioni speciali che avrebbero comunque dovuto sottoporsi a revisione da parte del legislatore ordinario non potendo escludersi anche la soppressione per alcune di esse.

13 On. Di Giovanni, seduta del 6 dicembre 1946.

14 L’on. Leone aderiva alla proposta di soppressione delle giurisdizioni speciali esistenti ma, dall’altro, propendeva per la conservazione della Corte dei Conti dichiarandosi perplesso al progetto di un sistema giurisdizionale in cui la pubblica amministrazione risultasse assoggettata alla giurisdizione ordinaria (seduta del 6 dicembre 1946), mentre l’on. Patricolo affermò l’unicità della giurisdizione per il futuro, salvando le giurisdizioni speciali preesistenti.

15 Seduta del 5 dicembre 1946: “… Vogliamo andare verso la unicità di giurisdizione, ma lo spirito di concretezza che ci deve animare, per far sì che la nostra riforma sia attuabile e non susciti turbamenti ed inconvenienti, deve tener conto di una effettiva realtà: che esistono due organi che hanno funzioni giurisdizionali, il Consiglio di Stato e la Corte dei conti”.

E aggiunse che ancor più esplicitamente che “non potrebbero sopprimersi tali loro funzioni senza perturbare e creare difficoltà al funzionamento della giustizia, nell'interesse dei cittadini...”.

16 Nella seduta dell’11 marzo 1947 l’on. Togliatti espresse un giudizio severo sull’opera della Corte dei conti come organo di controllo affermando che durante il ventennio della tirannide fascista essa non ha controllato niente, né avrebbe impedito che venisse dilapidato il pubblico denaro, e ora pone ostacoli su ostacoli a indispensabili misure democratiche, è qualcosa che deve essere profondamente rinnovato.L’”opera costituente” che egli propose fu quella di esaminare nuove forme organizzative per gli istituti di controllo, in modo che essi fossero in un modo o nell’altro appoggiati dalla sovranità popolare e collegati con la comunità. Ed accennò al fatto che l’ordinamento autonomistico potesse rispondere a tale esigenza auspicando che ci si dovesse muovere in questa direzione se si voleva fondare una democrazia moderna, respingendo istituti e formule ormai superati.

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della giurisdizione nella magistratura ordinaria poiché in linea con i principi supremi del nuovo ordinamento costituzionale.

Nel dibattito in Assemblea Plenaria prevalsero, a differenza di quanto accadde nella seconda sezione della sottocommissione, elementi di natura politica anziché tecnica.

Il clima del periodo storico, politico ed istituzionale che seguì all’unificazione nazionale fu favorevole al Consiglio di Stato e alla Corte dei conti (i tribunali militari richiederebbero un discorso a parte) alle quali fu riconosciuta una “funzione storica ed una funzione propria che fu conquistata, si noti, non sottraendo la propria competenza alla magistratura ordinaria, ma conquistando nuovi campi di diritto e di libertà ai cittadini”

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. Fu respinto il presupposto teorico di unità della giurisdizione poiché ciò avrebbe implicato la cancellazione, anzitutto, delle giurisdizioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti o la loro trasformazione in sezioni della Magistratura ordinaria

18

.

Si decise così di costituzionalizzare in maniera “imperfetta” il principio di unità

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della giurisdizione in grado di conferire alla Magistratura ordinaria un ruolo centrale e rimarcando una rilevante differenza tra questa e i giudici speciali

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.

Con l’unità della giurisdizione sarebbe stata espunta la tradizione storica delle principali giurisdizioni amministrative in un periodo di difficile transizione costituzionale in cui occorreva provvedere tanto alla riforma dell’ordine giudiziario quanto all’istituzione del nuovo organo di giustizia costituzionale. La Corte di cassazione fu candidata ad assolvere il ruolo di unificazione delle giurisdizioni, come ebbe a dichiarare l’on. Persico nel suo intervento in Assemblea

21

.

Un salto nel buio che, però, si preferì evitare licenziando un testo costituzionale che secondo autorevole dottrina presentava una contraddizione interna nel senso che in esso si preferì privilegiare non già un’unità organica, bensì un’unità della giurisdizione sul piano funzionale, ossia “l’intima identità dei fini e dei risultati, in linea giuridica e in linea politica, dell’atto di giurisdizione in qualunque sede compiuto”

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, in cui il ruolo della Corte di cassazione non poté dirsi certo unificante.

L’unico modesto risultato di tale aspirazione all’unità della giurisdizione può essere considerata la

17 Il progetto dei Settantacinque impiegava un’espressione generica: “nei casi e modi stabiliti dalla legge”. Vari emendamenti, in particolare quello dell’on. Grassi, chiesero di meglio delineare tali competenze che per la Corte dei conti sarebbero consistite nel nucleo e nella fonte delle sue funzioni giurisdizionali da individuarsi “nelle questioni attinenti alla contabilità pubblica; cui si ha da aggiungere, e così fa l'articolo, le materie che la legge stabilisce per la connessione alla competenza speciale della Corte dei conti” (A. C. pag. 2338).

18 Nella seduta del 9 gennaio 1947 Calamandrei propose una modifica al progetto proponendo la revisione, entro 5 anni, degli organi speciali di giurisdizione motivando l’esigenza di trasformare le giurisdizioni amministrative speciali in sezioni specializzate di quella ordinaria ritenendo opportuno ricostituire l’istituto in base a criteri più razionali e che considerava ormai esaurite le ragioni storicheche giustificarono la creazione di Sezioni giurisdizionali: occorreva a questo punto trasferire alla magistratura ordinaria le funzioni giurisdizionali che finora l’ente aveva adempiuto.

19 Se il divieto di istituzione di giudici straordinari è assoluto, poiché si fonda sull’esigenza di assicurare il rispetto dei principi fondamentali del sistema democratico, il divieto di istituzione di giudici speciali è correlato al rispetto del principio dell’unità della giurisdizione che la Costituzione accoglie come un criterio direttivo ma suscettibile di subire una serie di deroghe. A differenza di quanto avviene per i giudici straordinari, quindi, nulla impediva che si avessero giudici speciali sia pure nel rispetto dei principi generali e a condizione che sia la stessa Costituzione ad autorizzarne l’istituzione o la conservazione.

20 E’ peraltro coeva la confutazione dell’unicità della giurisdizione in funzione della protezione dell’interesse legittimo ad opera di una Commissione che in quel periodo concluse i suoi lavori. Si trattò della Commissione incaricata dello studio per la riforma del Consiglio di Stato composta da soli giudici amministrativi e presieduta dall’on. Meuccio Ruini, presidente in Commissione presso l’Assemblea Costituente (A. ROCCO, Il Consiglio di Stato nel nuovo ordinamento costituzionale, Relazione della Commissione speciale all’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, in Foro amm.vo, 1946, pag. 3).

21 Nella seduta del 6 novembre 1947 affermò che “Quando faremo le leggi speciali per stabilire le funzioni e l’organizzazione della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, potremo in qualche modo coordinare le loro attribuzioni con quella della Magistratura ordinaria, soprattutto attraverso il ricorso alla Corte di Cassazione unica di Roma, che dovrà decidere anche le questioni riguardanti il diritto amministrativo. E questo sarà uno dei modi per unificare la giurisdizione”.

22 L. MORTARA, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, I, Casa Editrice Vallardi, Milano, 1923, pag.

51.

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11

disposizione inserita nell’art. 111, Cost. che configura il ricorso per cassazione come rimedio esperibile contro le decisioni di qualunque giudice, benché tale regola sia svuotata di contenuto dalla deroga prevista per le pronunce dei giudici amministrativi e contabili che sono ricorribili soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione. La ratio dell’(allora) 3° comma (ora 6° comma, dopo la riforma della legge cost. n. 2/1999) dell’art. 111, Cost., secondo la migliore dottrina va rinvenuta nel sistema delineato dall’art. 103, che fonda sulla natura delle situazioni giuridiche tutelate l’attribuzione del potere giurisdizionale ai giudici ordinari o amministrativi

23

.

In Assemblea Costituente prevalsero ragioni di natura politica che condussero a percorrere il sentiero della continuità costituzionale evitando l’attribuzione di tutta la giurisdizione all’autorità giudiziaria perché ciò avrebbe contrastato “con la realtà storica e con le esigenze della giustizia amministrativa

24

”.

Con l’approvazione dell’art. 102 (art. 95 del progetto di costituzione elaborato dalla Commissione) la funzione giurisdizionale fu conferita alla magistratura ordinaria individuando quest’ultima come l’insieme dei magistrati istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario.

Altri articoli della Costituzione (artt. 100, 103, 108, comma 2, 113 e 134) introdussero però una serie di deroghe al divieto di giudici speciali implicito nella regola stessa e reso esplicito dal secondo comma dell’art. 102, Cost.; tuttavia, la pratica portata di tale disposizione è stata grandemente attenuata dalla benevola

25

interpretazione della VI° disposizione transitoria adottata dalla giurisprudenza e dalla prevalente dottrina.

L’esistenza di altre magistrature, oltre quella ordinaria, è del resto confermata dalla formulazione dell’art. 108, comma 2, Cost.

La rinuncia al principio di unità della giurisdizione in senso assoluto diede luogo ad una vera e propria disarticolazione

26

del “potere giudiziario” ponendo delicate questioni sul piano dell’indipendenza dagli altri poteri dello Stato: il Consiglio superiore della magistratura, benché riformato già nel 1946 avrebbe continuato ad essere disciplinato dalla normativa previgente ai sensi del comma 1 della VII° disp. trans.

Al di là dei problemi attuativi che la VII° disp. trans. portò con sé, il siffatto organo di autogoverno non avrebbe comunque potuto occuparsi delle magistrature speciali come del resto era già implicito nelle stesse disposizioni costituzionali.

La previsione di un potere giudiziario contrapposto agli altri poteri è desumibile anzitutto dall’art.

104, comma 1, Cost. che contiene un’affermazione di principio avente una portata talmente elevata da poter rappresentare la norma di apertura del corpo di articoli dedicati alla giurisdizione. Il suo spettro d’azione, tuttavia, non poteva che abbracciare la magistratura ordinaria, l’unica che può definirsi ordine dotato di autonomia e indipendenza da ogni altro potere.

A tale affermazione di principio si affiancano i restanti commi (dal 2° al 7°) integralmente destinati all’istituzione del Consiglio superiore della magistratura.

L’esigenza di una tendenziale parificazione o equivalenza quanto meno sull’aspetto indefettibile dell’indipendenza si sarebbe dovuta porre anche con riferimento alle magistrature speciali, anzitutto di quelle tradizionalmente radicate come Consiglio di Stato e Corte dei conti.

All’indomani del varo della Carta costituzionale, dalla lettura dei lavori preparatori e dal dibattito in Assemblea può scorgersi la mancata previsione di un raccordo tale da estendere la rappresentanza

23 V. DENTI, Commentario della Costituzione (a cura di G. BRANCA), Ordinamento giurisdizionale, La magistratura, Tomo IV, Zanichelli, Bologna, 1987, pag. 35.

24 L’on. Bozzi confutò la tesi di Calamandrei sostenendo che i giudici amministrativi non avessero affatto esaurito la loro funzione storica e che avessero, al contrario, una loro precisa ragion d’essere e la loro soppressione avrebbe suscitato nella coscienza giuridica nazionale una pessima impressione. L’on. Di Giovanni, nel condividere la posizione dell’on.

Bozzi, reputò che fossero da confermare nel nuovo ordinamento costituzionale tanto le Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato quanto quelle della Corte dei conti più per ragioni di opportunità che non per necessità.

25 Espressione utilizzata da A. PIZZORUSSO, Commentario della Costituzione Artt. 101-103 (a cura di G. BRANCA), Ordinamento giurisdizionale, La magistratura, Tomo I, Zanichelli, Bologna, 1981, pag. 195.

26 A. PIZZORUSSO, Commentario della Costituzione, op. cit., pag. 195.

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12

e la tutela delle prerogative costituzionali alla restante espressione del potere giurisdizionale diverso da quello appartenente all’ordinamento giudiziario.

Alla scelta di prevedere una pluralità di funzioni giurisdizionali, quali deroghe al principio di unità, avrebbe dovuto seguire la previsione di altrettanti collegi rappresentativi dei diversi corpi di magistrati che esercitassero professionalmente funzioni giurisdizionali e che, in vista dell’esercizio di tali funzioni, avrebbero assunto stabilmente la qualità di funzionari dello Stato assistiti da un complesso di garanzie particolari, specificamente connesse allo status di giudice (magistrati ordinari, amministrativi, contabili, tributari, militari). Oppure, alternativamente, si sarebbe potuto prevedere che il Consiglio superiore della Magistratura fosse costituito da rappresentanti di tutte le magistrature, con ciò garantendo il nucleo essenziale ed ineliminabile di indipendenza che deve essere assicurata ad ogni giurisdizione, ferme restando le rispettive peculiarità.

In sede costituente si passò dalla radicale proposta di Calamandrei di abolire le giurisdizioni speciali ad una disciplina (VI° disp. trans.) che nel suo testo definitivo, prevedeva, da un lato, un termine per la revisione (o per l’eventuale soppressione/conversione in sezioni specializzate) di quelle cc.dd. minori; e, dall’altro, un’espressa esenzione da riforme per Tribunali militari, Consiglio di Stato e Corte dei conti

27

.

La clausola eccettuativa prevista per tali giurisdizioni speciali potrebbe non essere stata adeguatamente meditata lasciando aperta la possibilità che residuassero aporie non compatibili con il sistema costituzionale della funzione giurisdizionale, al di là della formulazione dell’art. 108, comma 2, Cost.

Già all’indomani del varo della Carta costituzionale, potrebbe rinvenirsi un vulnus sul piano dell’indipendenza delle giurisdizioni speciali.

Se è vero che ad esse non possono riconoscersi le stesse prerogative di quella ordinaria

28

, il riconoscimento di un adeguato livello di indipendenza avrebbe dovuto rappresentare non già un punto di inizio bensì un punto di approdo da parte dello stesso costituente.

L’affermazione secondo cui vi sia stata una interpretazione benevola della VI° disp. trans. in combinato disposto con l’art. 108, Cost., è un commento che vale come mera presa d’atto di una perdurante in-attuazione del dettato costituzionale.

In questa sede, però, si tenta di andare al di là del dato normativo, anticipando le riflessioni sull’evoluzione della giurisdizione contabile.

Ci si può domandare se le scelte del costituente fossero state “incomplete” ovvero se fosse

“incompiuta” l’opera del legislatore ordinario in sede attuativa ovvero ancora se fosse dipeso da entrambi i fattori e se il cono d’ombra che interessò per lungo tempo il tema dell’indipendenza delle giurisdizioni speciali possa essere attribuito all’attenzione riposta dal decisore politico ad altri temi di maggiore attualità politica.

Dagli atti preparatori

29

risulta l’attenzione dei Costituenti alla legge sull’ordinamento giudiziario più volte richiamata (artt. 102, 1° comma, 105, 106, 2° comma, 107, commi 1 e 4, 108, comma 1, VII, disp. trans.) concepita come la normativa di riferimento quadro con cui dare necessaria attuazione in modo organico ai principi costituzionali

30

.

27 Il testo coordinato dal Comitato di redazione prima della votazione finale in Assemblea e distribuito ai Deputati il 20 dicembre 1947 fu il seguente: VI. Entro cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all'articolo 103.

28 La giurisprudenza costituzionale sanzionò a più riprese la legislazione previgente che non garantiva l’indipendenza dei magistrati delle giurisdizioni speciali che, al riguardo, non furono sottoposti ad alcuna revisione in linea con quanto previsto dalla Vdisp. trans..

29 Nei progetti presentati alla Costituente (on. Calamandrei, Leone, Patricolo) era stata inizialmente prevista, in materia di ordinamento giudiziario, una riserva di legge costituzionale, poi sostituita da una riserva di legge ordinaria ma rinforzata dalla previsione di una maggioranza assoluta.

30 Come noto, l’art. 70 dello Statuto albertino riservava alla legge la materia dell’organizzazione giudiziaria disciplinata dal R.d. 2626/1865 nel segno di un accentuato controllo del potere esecutivo sull’ordine giudiziario. Questa disciplina fu

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13

In uno di questi richiami l’art. 108, comma 1 (art. 95, comma 4 del progetto di costituzione) riservava l’intera disciplina dell'ordinamento giudiziario (e di ogni altra magistratura) alla legge.

Al cospetto delle novità introdotte dal titolo IV°, fu subito evidente che il modello di ordinamento giudiziario disciplinato dal decreto Grandi dovesse apparire difforme e incompatibile con quello prefigurato nella Carta.

E’ significativo rammentare che se il Costituente decise di costituzionalizzare il problema attraverso l’approvazione del comma 1 della VII° disp. trans., una simile raccomandazione non fu estesa alle giurisdizioni speciali, nemmeno a quelle maggiori come il Consiglio di Stato e la Corte dei conti.

Il doppio profilo dell’indipendenza dei magistrati può già scorgersi in questa scelta del Costituente che trova una conferma se si procede ad una valutazione complessiva delle ambiguità, contraddizioni ed antinomie disseminate nel titolo IV°, specie per quanto attiene ai profili ordinamentali.

Eppure un elemento di comunanza avrebbe dovuto esserci sugli aspetti di primaria importanza per l’esercizio della giurisdizione, come il tema dell’indipendenza.

La riserva di legge di cui all’art 108, comma 1, Cost. non dovrebbe riguardare solamente le norme sull’ordinamento giudiziario ma estendersi anche a tutte le altre magistrature dello Stato, giacché il tema dei profili ordinamentali delle giurisdizioni speciali è strettamente connesso con quello della garanzia della loro indipendenza, al quale fa riferimento il comma successivo.

Il riconoscimento dell’unità solo in senso funzionale della giurisdizione (art. 102, comma 1, Cost.) e il divieto di istituire nuovi giudici speciali (art. 102, comma 2, Cost.) nonché l'obbligo di procedere alla revisione delle giurisdizioni speciali esistenti (VI° disp. trans.), diverse dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei Conti e dai tribunali militari, conferma il disallineamento tra giurisdizioni che non può trovare giustificazione sull’allora persistente ostilità verso quelle speciali ovvero a causa dei tempi stretti di approvazione del testo costituzionale.

Tuttavia, le giurisdizioni speciali continuarono a reggersi essenzialmente sulla base della legislazione anteriore alla Costituzione e solo in seguito si succederanno una serie di interventi legislativi resi non più eludibili da numerose pronunce di incostituzionalità.

Anche quando verrà a maturazione un progressivo processo di trasferimento dal potere esecutivo ai rispettivi organi di autogoverno delle varie competenze in materia di nomine, promozioni, trasferimenti e di tutto quanto attiene più in generale, allo status dei magistrati, tale adeguamento continuerà a risentire di quel vizio originario.

Il giudice costituzionale valorizzò la struttura aperta dell’art. 108, comma 2, Cost., finendo per attribuire all’indipendenza una funzione di definizione dei requisiti minimi, adeguata alla varietà dei tipi di giurisdizione

31

ma, a parere di chi scrive, con il limite indiretto posto dalla clausola eccettuativa di cui alla seconda parte del comma 1 della VI° disp. che esonera dall’obbligo di revisione le maggiori giurisdizioni speciali.

Una conferma potrebbe giungere dalla stessa giurisprudenza costituzionale che si mosse con eccessiva cautela, soprattutto quando passò a valutare l’indipendenza interna dei giudici appartenenti

solo parzialmente toccata dalle riforme introdotte dalle leggi Orlando del 1907 e del 1908 che prevedevano, tra l’altro, l’istituzione di un organo di autogoverno (Consiglio Superiore della Magistratura) dei cui componenti la successiva riforma del 1921 ne stabiliva l’elettività. Nel passaggio dal regime liberale a quello fascista non si registrarono significativi elementi di discontinuità, fatta eccezione per l’abolizione dell’elettività dei componenti del CSM con la riforma disposta con T.U. 30.12.1923, n. 2786. Con R.d. 12/1941 fu approvata una nuova legge organica sull'ordinamento giudiziario che rappresentò lo sviluppo del modello autoritario. Già all’indomani del caduta del fascismo e alla vigilia del referendum istituzionale, l’ordinamento Grandi del 1941, fu fatto oggetto di importanti correzioni contenute nel R.d. lgt.

n. 511/1946 (legge sulle guarentigie della magistratura), con le quali si ripristinò la garanzia dell'indipendenza dei magistrati.

31 Il nucleo fondamentale di tale garanzia è stato rinvenuto nella necessaria assenza di vincoli di soggezione formale o sostanziale ad altri organi o poteri dello Stato. Il rispetto della disposizione costituzionale imporrebbe che l’esecutivo non possa esercitare poteri discrezionali in ordine allo status e alla carriera dei giudici speciali ai quali va assicurata l'inamovibilità.

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14

al Consiglio di Stato, alla Corte dei Conti e ai tribunali militari quando escluse l’illegittimità del sistema di nomina governativa dei magistrati contabili e amministrativi.

Anzi, si dubitò

32

dell’applicabilità dell’art. 108, comma 2, Cost., in quanto tali organi troverebbero la loro disciplina esclusivamente in altri articoli della Costituzione (artt. 100 e 103, Cost.). Anche in questo caso, la clausola eccettuativa potrebbe aver indirettamente confermato la tesi secondo cui l’art.

108, comma 2, Cost. non dovesse riferirsi a tali giurisdizioni.

La differenziazione o meno dei livelli di indipendenza delle diverse magistrature evoca la contrapposizione in dottrina tra una tesi tradizionale, secondo la quale l’autonomia sarebbe stabilita obbligatoriamente dalla Costituzione solamente per la magistratura ordinaria e una in cui si sostiene che il principio dell’auto-governo sia un connotato essenziale e necessario dell’indipendenza di qualunque magistratura e che le leggi istitutive di tali organi costituiscano una soluzione costituzionalmente obbligata.

Per questo fu sottolineato il dato positivo secondo cui ai sensi dell’art. 108, comma 2, “la legge assicura, e non semplicemente regola (o altre espressioni di questo tipo) l’indipendenza delle giurisdizioni speciali”

33

.

3. Commento alla clausola eccettuativa (comma 1, VI° disp. Trans.) all’indomani dell’entrata in vigore della Costituzione.

Si giunse alla formulazione definitiva della VI° disp. trans. a tappe, seguendo un ideale percorso parallelo a quello più generale riguardante il tema dell’unità o pluralità della giurisdizione.

Nella seduta del 20 dicembre 1946 l’on. Ambrosini riteneva che la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, … non si potevano sopprimere in considerazione dei servigi resi fino a quel momento ma che, al contempo, non si potesse precludere al futuro legislatore la facoltà di farlo.

Tuttavia, l’on. Calamandrei, promotore dell’abolizione di tutte le giurisdizioni speciali, si mostrò cauto distinguendo le sorti che avrebbero contraddistinto le migliaia di piccole giurisdizioni allora esistenti da quelle più importanti la cui conservazione o soppressione era da considerarsi questione di tale importanza politica da dover essere necessariamente affrontata nella Costituzione.

E anche l’on. Uberti reputò eccessivo stabilire l’obbligo della revisione per tutti gli organi di giurisdizione speciale, anche nei casi in cui il Parlamento non lo ritenesse opportuno.

Nella seduta del 9 gennaio 1947 l’on. Calamandrei in qualità di relatore aggiunse un comma al progetto di articolo riguardante la revisione proponendo per le giurisdizioni più importanti (in particolare, Corte dei conti in funzione giurisdizionale e Sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato) la loro trasformazione in sezioni specializzate degli organi ordinari, includendo le norme ad esse relative nella legge sull'ordinamento giudiziario.

Si fece così strada un primo orientamento secondo cui entro cinque anni il legislatore ordinario avrebbe dovuto rivedere le giurisdizioni speciali esistenti al fine di esaminare l’opportunità delle sopravvivenze dichiarando quali fossero quelle che avrebbero dovuto permanere e quelle da riformare.

Nella seduta del giorno 11 gennaio 1947 fu approvato il testo riformulato dall’on. Di Giovanni:

per la prima volta si proponeva una distinzione tra le giurisdizioni speciali più rilevanti (Corte dei conti, Consiglio di Stato, ecc.) rispetto a quelle cc.dd. minori prevedendo per le prime l’esenzione dall’obbligo di procedere ad una loro revisione dettato per le seconde da compiersi entro un determinato termine. Si giunse così al testo definitivo del Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione, allora rubricato: VII° disp. trans.

34

.

32 A. D’ALOIA, L’autogoverno delle magistrature “non ordinarie” nel sistema costituzionale della giurisdizione, Edizioni Scientifiche italiane, Napoli, 1996, pag. 13.

33 D’ALOIA, op. cit., pag. 159.

34 Nelle successive sedute (6, 12, 13 e 27 novembre 1947 e 5 dicembre1947) non furono apportate significative modifiche confermandosi così la clausola eccettuativa prevista per la Corte dei conti. Il 20 dicembre 1947 si passò alla votazione finale da parte del Comitato di redazione prima della votazione finale in Assemblea e distribuito ai Deputati per il giorno 22 dicembre 1947, con la sola modifica formale, ossia Vanziché VII° disp. trans.

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15

L’approfondimento del comma 1 della VI° disp. trans. non è agevole perché sono circoscritti i commenti in dottrina e sporadica è la giurisprudenza costituzionale

35

.

In entrambi i casi, inoltre, ci si è soffermati prevalentemente sull’in-attuazione

36

della disposizione transitoria con riferimento alle giurisdizioni speciali cc. dd. minori

37

che non furono sottoposte a revisione nonostante il termine quinquennale pacificamente ritenuto ordinatorio

38

e non già perentorio

39

, benché fosse da intendersi termine sollecitatorio o acceleratorio.

Riguardo alla clausola eccettuativa, invece, ci si è limitati a riportarne l’esistenza con riferimento alla Corte dei conti (e al Consiglio di Stato e ai tribunali militari) senza indagarne le implicazioni sull’ordinamento, funzioni e status di ognuna di esse.

L’argomento oggetto della presente ricerca pone al centro dell’approfondimento proprio questa parte della disposizione transitoria con riferimento alla giurisdizione contabile.

E’ però necessario cogliere le linee evolutive della citata disposizione partendo dal suo valore storico e dal rapporto di strumentalità con alcune disposizioni comprese nella Carta costituzionale (cfr. 108, comma 2, Cost.) e con altre riguardanti le diverse magistrature (artt., 100, 102, 103, comma 2, VII°, comma 1, disp. trans.).

Dall’esame dei lavori preparatori e dal dibattito in Assemblea può dirsi che a differenza di quanto era previsto nello Statuto Albertino

40

le disposizioni transitorie e finali annesse alla Costituzione del 1948 non si occuparono esplicitamente, se non in rare occasioni, del diritto previgente

41

.

Tuttavia, la critica della dottrina dell’epoca mossa ai Costituenti per aver licenziato disposizioni prive di clausole abrogative espresse non poteva estendersi alla VI° disp. trans. la quale, invece, rientrava fra quelle dotate di previsioni di carattere specifico incidenti sull’efficacia abrogativa del testo costituzionale essendo espressamente riferita solo ad alcune leggi anteriori.

Analogo discorso vale per il comma 1 della VII° disp. trans. benché, riguardo ad essa, il Costituente non indicò espressamente un termine entro cui provvedervi.

Le due citate disposizioni sembrano così tracciare “sentieri costituzionali distinti” ma “paralleli”

e tra loro “affini sul piano teleologico” (corsivo mio) poiché entrambe paiono contenere previsioni aventi natura eccezionale con cui si disponeva la sopravvivenza - sia pure limitata nel tempo - della legislazione pre-costituzionale relativa ora all’ordinamento giudiziario, ora alle giurisdizioni speciali.

Si sostenne

42

che ciò avrebbe comportato indirettamente l’immediata prevalenza della Costituzione sulla legislazione anteriore ad essa confliggente nel senso che è ragionevole ritenere che laddove si fosse voluto ottenere un diverso risultato sarebbe stato necessario introdurre una previsione espressa.

L’operatività delle citate disposizioni transitorie si pose sul piano dell’abrogazione tacita da accertarsi in concreto con riferimento ad ogni singola norma come chiarito dalla Corte costituzionale già nella sentenza n. 1 del 14 giugno 1956

43

.

35 La giurisprudenza costituzionale più significativa attiene alla discrezionalità del legislatore in ordine alla scelta dei tempi di attuazione dei principi costituzionali in materia giurisdizionale: Sent. Corte cost. n. 41/1957; 42/1961; 92/1962;

17/1965; 135/1975.

36 La sanzione in tali casi non avrebbe potuto che essere politica poiché il destinatario della disposizione non avrebbe potuto che essere il legislatore.

37 Sull’incostituzionalità della legislazione che prevedeva e disciplinava giurisdizioni speciali in violazione dei principi di imparzialità e indipendenza dei giudici e del diritto di difesa: Sent. Corte cost. n. 133/1963; 17/1965; 93/1965; 55/1966;

39/1967; 69/1969; 6/1970; 121/1970 e 128/1974.

38 I.M. PINTO, Disposizioni transitorie e finali, Disp. VI, Torino, Utet, 2006, pag. 2764.

39 In particolare, con riferimento alla perentorietà del limite temporale indicato nella disposizione transitoria: Cass.

25.11.1949, n. 276; ma contra Cass. 17.2.1954, n. 402.

40 L’art. 81 statuiva che “ogni legge contraria al presente statuto è abrogata”.

41 G. BASCHIERI, L. BIANCHI D’ESPINOZA, C. GIANNATASIO, La Costituzione italiana. Commento sistematico, Firenze, Noccioli, 1949, pag. 454.

42 R. TARCHI, Disposizioni transitorie e finali - Premessa, in Comm. Cost., G. BRANCA, continuato da A. PIZZORUSSO, Bologna, 1995, pag. 5.

43 Si veda il commento su Foro it., 1956, I, pag. 833.

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La migliore dottrina

44

inquadra così il comma 1 della VI° disp. trans. fra quelle che impongono l’adeguamento della legislazione per l’attuazione delle nuove previsioni costituzionali.

Si tratta di una disposizione transitoria in senso stretto

45

, a carattere eccezionale; in senso stretto, perché la sua funzione fu quella di scandire tempi e modalità di attuazione di talune previsioni costituzionali particolarmente innovative poste al vertice del sistema normativo in profonda contraddizione con i radicali mutamenti che i costituenti avevano inteso introdurre; eccezionale, poiché essa fu preordinata a confermare l’immediata prevalenza della Costituzione sulla legislazione anteriore confliggente.

Laddove si fosse ritenuto opportuno conseguire un risultato diverso, come accadde per alcune giurisdizioni speciali minori, si sarebbe fatto ricorso all’introduzione di una previsione espressa.

L’esame della VI° disp. fu così condotto sulla sua efficacia sospensiva e sull’implicita sopravvivenza, sia pure limitata nel tempo, della normativa pre-costituzionale con riferimento alle giurisdizioni speciali.

Il fine di tale disposizione fu quello di farsi carico di disciplinare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, benché non sia ancora chiaro a quale sistema pre-vigente ci si sarebbe dovuti riferire

46

. Un elemento di criticità evidenziato fu che il destinatario della disposizione transitoria fosse il legislatore poiché ciò avrebbe reso difficile ipotizzare, in caso di inadempienza, una sanzione diversa da quella politica.

I contenuti normativi cui occorreva dare attuazione, si sarebbero risolti in un obbligo di facere rientrante nell’ampia discrezionalità del decisore politico e ciò avrebbe reso arduo un intervento suppletivo da parte di altri soggetti dell’ordinamento

47

.

Sorgono però ulteriori dubbi interpretativi se si confronta la clausola contenuta nel comma 1 della VI° disp. trans. che esonera alcune giurisdizioni speciali dalla revisione rispetto alla descritta tesi dell’immediata prevalenza della Costituzione sulla legislazione previgente.

Da un lato, è vero che la clausola eccettuativa non avrebbe in alcun modo comportato l’intangibilità della disciplina pre-costituzionale e in proposito l’art. 108, comma 2, Cost. militerebbe in questo senso.

Dall’altro, però, è altrettanto vero che la disciplina pre-vigente riguardante l’ordinamento, lo status e le attribuzioni, ad esempio, della Corte dei conti, potrebbe essere stata contraddistinta da un carattere di ultrattività, proprio in forza della clausola eccettuativa.

Si potrebbe sostenere che la sopra descritta abrogazione tacita non avrebbe operato con riferimento alle disposizioni che riguardavano le maggiori magistrature speciali.

La clausola eccettuativa, sottraendo in modo espresso la disciplina pre-costituzionale dalla revisione, avrebbe impedito in claris la caducazione delle disposizioni incompatibili.

Pertanto, solo l’iniziativa del legislatore di adeguamento costituzionale ovvero l’intervento del giudice costituzionale a fronte di norme palesemente contrastanti con i principi costituzionali in materia giurisdizionale avrebbero potuto elidere le antinomie esistenti.

La conferma alle perplessità evidenziate sono i riferimenti alla riforma dell’ordinamento giudiziario e alla nota querelle che la VII° disposizione ha generato e che in parte ancor oggi solleva.

44 R. TARCHI, Disposizioni transitorie e finali - Disp. I-XVIII, in Comm. Cost., op. cit., pag. 35.

45 R. TARCHI, Disposizioni transitorie e finali - Premessa, in Comm. Cost., op. cit., pag. 5.

46 Per G. BASCHIERI, L. BIANCHI D’ESPINOZA, C. GIANNATASIO, op. cit., pag. 445, il trapasso avrebbe avuto luogo tra l’ordinamento provvisorio configurato dai decreti legislativi luogotenenziali 25 giugno 1944, n. 151 e 16 marzo 1946, n.

98 e dalla successiva instaurazione della Repubblica e quello costituzionale definitivo configurato dalla Carta del 1947.

Per R. TARCHI, Disposizioni transitorie e finali - Premessa, op. cit., pag. 3, sembra più corretto evidenziare una correlazione tra la Costituzione repubblicana e l’ordinamento costituzionale anteriore comprensivo delle varie fasi storiche che lo avevano contraddistinto. In quest’ultimo caso, infatti, l’Autore sostenne che il nuovo ordine costituzionale avrebbe inciso su tutto il complesso della legislazione anteriore rimasto in vigore e non soltanto sugli atti di valore costituzionale adottati nella fase costituzionale provvisoria.

47 Parafrasando V. CRISAFULLI, Sull’interpretazione del par. VIII delle disposizioni transitorie e finali della costituzione, in Foro amm., 1948, IV, pag. 33; M.S. GIANNINI, Sul valore giuridico di alcuni termini stabiliti dalla costituzione, in Cons. Stato, 1953, II, pag. 159; I.M. PINTO, op. cit., pag. 2765.

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