• Non ci sono risultati.

1. Non ho alcuna esitazione nel difendere con piena convinzione la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Englaro (Cass., 16 ottobre 2007, n. 21478),

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "1. Non ho alcuna esitazione nel difendere con piena convinzione la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Englaro (Cass., 16 ottobre 2007, n. 21478),"

Copied!
4
0
0

Testo completo

(1)

1. Non ho alcuna esitazione nel difendere con piena convinzione la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Englaro (Cass., 16 ottobre 2007, n. 21478), frettolosamente bollata come “infausta”. Difendo, con lo stesso vigore, le altre decisioni che, nel breve volgere di un anno, hanno dato il loro apporto solo apparentemente dissonante alla costruzione di regole giurisprudenziali sulla autodeterminazione in materia di trattamento sanitario, con particolare (ma non esclusivo) riferimento alle problematiche di fine vita: alludo alla sentenza del Tribunale di Roma sul caso Welby (Trib. Roma, 23 luglio 2007); alla sentenza della Suprema Corte sul caso Grassato, testimone di Geova (Cass., 15 settembre 2008, n.

23676); un po’ meno, per le ragioni che dirò in seguito, alla sentenza emanata questa estate dalla Corte d’Appello di Milano sul caso Englaro (App. Milano, 9 luglio 2008).

Su di esse, ed in particolare sulla sentenza della Corte di Cassazione sul caso Englaro, può a mio avviso fondarsi il nucleo essenziale di una legge sul c.d. testamento biologico, reclamata ormai a gran voce da più parti: dal fondatore della Consulta della bioetica (da ultimo, nel suo libro “Soglie. Medicina e fine vita”) al Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (nella prolusione di pochi giorni fa all’apertura del Consiglio permanente), da autorevoli costituzionalisti (Baldassarre, che auspica

“un intervento del legislatore per chiarire la portata dei principi costituzionali”) ad altrettanto autorevoli editorialisti (il prof. Sartori, secondo cui “il Parlamento si dovrebbe svegliare nel consentire il testamento biologico; anche il legislatore

“papista” lo potrebbe benissimo fare”).

Condizione imprescindibile perché ciò avvenga è che si proceda ad un’interpretazione rigorosa, o meglio non strumentalizzata. Prima di cimentarci in questo tentativo, val la pena di evidenziare criticamente le strumentalizzazioni, per così dire ideologiche, che sono state prospettate in direzioni varie e contrapposte.

2. Si è detto, e scritto, che le sentenze in esame avrebbero incrinato il principio di indisponibilità della vita umana, aprendo all’eutanasia (Oppo). Non è così. Si legge, infatti, nella motivazione della decisione romana che il principio dell’indisponibilità della vita “rappresenta quella difesa avanzata che l’ordine appresta anche contro lo stesso titolare del bene protetto”. E si aggiunge che “parlare di eutanasia nel caso di specie [caso Welby] appare del tutto fuorviante da un punto di vista del rigore concettuale e della comprensione dei fatti”; “Il rifiuto delle terapie, anche quando conduce alla morte, non può essere scambiato per un’ipotesi di eutanasia”: questa è la secca smentita della Corte di Cassazione sul caso Englaro.

3. Si legge, in direzione opposta, che “la Suprema Corte accoglie il substituted judgement test” nella sentenza sul caso Englaro. Ora, è vero che tale criterio viene menzionato, ricollegandolo alla sentenza sul caso in re Quinlan. Ma, se è per questo, viene menzionato anche il caso Bland, specificando che qui la tecnica è quella del best interest.

(2)

Tuttavia non si va deliberatamente al di là di una rassegna, evidenziando peraltro la

“diversità dei percorsi argomentativi seguiti nelle decisioni adottate in altri ordinamenti”. Il criterio adottato è comunque nettamente diverso. “Nella ricerca del best interest, il rappresentante legale deve decidere non “al posto” dell’incapace né

“per” l’incapace, ma “con” l’incapace”, fermo restando che “la scelta del tutore deve essere a garanzia del soggetto incapace, e quindi rivolta, oggettivamente, a preservarne e tutelarne la vita”.

4. Non è vero, poi, che la Corte di Cassazione nella decisione sul caso Englaro si discosti dalle altre sentenze, che predicano un rifiuto “espresso, inequivoco, attuale, informato” (Cass. 23676/08, caso Grassato) in quanto “a nessuno è consentito decidere sulla vita altrui senza incorrere nei divieti della legge anche penale” (Trib.

Roma sul caso Welby). Vero è, piuttosto, che anche la sentenza della Cassazione sul caso Englaro (assai meno, App. Milano sullo stesso caso) riconosce che, in linea di principio, il rifiuto deve essere “autentico e attuale”. “In caso d’incapacità del paziente” - si precisa – il ricorso al rappresentante avviene “soltanto in casi estremi”;

e ciò comunque avviene perché “l’istanza personalistica alla base del principio del consenso informato ed il principio di parità di trattamento tra gl’individui, a prescindere dal loro stato di capacità, impongono di ricreare il dualismo dei soggetti nel processo di elaborazione della decisione medica: tra medico che deve informare in ordine alla diagnosi e alle possibilità terapeutiche, e paziente che attraverso il legale rappresentante possa accettare o rifiutare i trattamenti prospettati”.

Occorre, in ogni caso, che l’istanza “sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato” e che si versi

“in uno stato vegetativo giudicato irreversibile”. Altrimenti, in mancanza di direttive anticipate, deve “essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, d’autonomia e di capacità d’intendere e di volere del soggetto interessato, dalla percezione, che altri possono avere, della qualità della vita stesa, nonché dalla mera logica utilitaristica dei costi e dei benefici”.

5. Non è vero, allora, che con tale sentenza “il testamento c’è già”. E’ vero semmai il contrario: quella decisione si impone proprio per “la attuale carenza di una disciplina legislativa”, la quale dovrebbe essere modellata, dunque, non su misure per i “casi estremi” affrontati senza l’ausilio del legislatore, ma sulla base dei principi enunciati in termini generali dalla stessa decisione, in piena concordanza con le altre sentenze.

Ecco, dunque, i principi (tratti dalle motivazioni delle sentenze in questione) su cui dovrebbe fondarsi una legge sul testamento biologico che intendesse recepire la giurisprudenza formatasi in materia:

a) “Chi versa in stato vegetativo permanente è, a tutti gli effetti, persona in senso pieno, che deve essere rispettata e tutelata nei suoi diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita … a maggior ragione perché in stato d’estrema debolezza e non in grado di provvedervi autonomamente”.

b) “La salute è un diritto personalissimo”.

(3)

c) Il diritto all’autodeterminazione deve intendersi rigorosamente, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 32, c. 2 Cost., “come diritto all’autodeterminazione in materia di trattamento sanitario” (Trib. Roma); l’autodeterminazione non può quindi essere intesa “nel senso di attribuire a un individuo la facoltà di scegliere la morte piuttosto che la vita”.

d) L’autodeterminazione, così intesa, può esprimersi “attraverso dichiarazioni di volontà anticipate” con le quali venga “specificatamente identificato …quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato d’incoscienza”.

e) In tali casi, l’autodeterminazione deve risultare da “un documentato rifiuto di persona capace” (argomentando ex art. 35 Codice deontologico) che assicuri un rifiuto “autentico”.

f) “Non potranno esercitare tale diritto per conto del malato il rappresentante dell’infermo di mente, in quanto ha titolo solo per effettuare interventi a favore e non in pregiudizio della vita dell’infermo”.

g) “L’idratazione e l’alimentazione artificiali costituiscono un trattamento sanitario; non costituiscono oggettivamente una forma di accanimento terapeutico; rappresentano, piuttosto, un presidio proporzionale rivolto al mantenimento del soffio vitale”.

h) D’altra parte la terapia a cui la persona intende sottrarsi non necessariamente si deve sostanziare in una situazione estrema d’accanimento terapeutico “perché egli possa esercitare il diritto di farla cessare” (Trib. Roma).

6. L’itinerario dalla giurisprudenza al legislatore sembra allora tracciato in modo univoco e può essere sintetizzato in 5 punti.

I. Se il principio della indisponibilità della vita viene confermato, e chiaramente distinto dal diritto di rifiutare i trattamenti sanitari (autodeterminazione), è su tale principio che deve fondarsi l’eguaglianza tra gli individui; e non come si legge in alcune fondamentali decisioni nordamericane (Saikewics) sulla possibilità di accomunare tutti gli individui originariamente capaci o da sempre incapaci, estendendo a tutti un right to die esercitabile se necessario mediante appositi strumenti di rappresentanza.

In dubio pro vita, dunque, fermo restando beninteso il divieto d’accanimento terapeutico. In questo senso, non sembra condivisibile – e soprattutto non conforme all’indirizzo della Corte di Cassazione – l’accenno della Corte d’Appello milanese all’asserito “rischio di ravvisare un vuoto di tutela ingiustificato del malato incapace (potenzialmente tale da concretare una lesione al paradigma di cui all’art. 3 Cost.) nei casi in cui sia impossibile ricostruire una sua volontà presunta chiaramente rivolta al rifiuto del trattamento”.

Assai pericolosa – e comunque lesiva del principio di indisponibilità della vita – sembra infatti la soluzione - che la Corte d’Appello attribuisce opinabilmente a una intenzione non esplicitata ella Corte di Cassazione – di far ricorso in simili casi “al criterio generale del best interest, il quale, avendo sempre come referente l’utilità del

(4)

malato, non può restare confinato in senso meramente soggettivistico solo nell’area di un’indagine riguardante la volontà/personalità”.

II. Se il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari è espressione del diritto alla salute, e non espressione della privacy; e se il diritto alla salute è un diritto personalissimo, il legislatore non dovrà indulgere a uno slippery slope attraverso un substituted judgement diretto “to divine individual interest” (in re Brophy). Il legislatore dovrà assicurare il passaggio dall’evidence (ossia dalla inevitabile fragilità dell’apparato probatorio di cui dispone il giudice) alle directives (ossia alla solidità delle dichiarazioni anticipate), senza lasciare spazi di ambiguità o zone d’ombra.

III. Se, dunque, il diritto di rifiutare anticipatamente i trattamenti sanitari dovrà esprimersi esclusivamente attraverso dichiarazioni (appunto) anticipate, il ruolo della persona eventualmente indicata come fiduciario non dovrà mai decampare da quella istituzionale “di operare, sempre e solo secondo le legittime intenzioni esplicitate dal paziente nelle sue dichiarazioni anticipate, per farne conoscere e realizzare la volontà e i desideri” (Dichiarazioni anticipate ai trattamenti, Consiglio Nazionale Bioetica, 2003).

IV. Se il rifiuto di trattamenti sanitari esplicitato in una dichiarazione anticipata è naturalmente diretto a un (futuro) medico, costui dovrà considerarlo impegnativo, senza peraltro abdicare alla propria autonomia professionale e deontologica; dovrà dismettere le vesti del dominus (retaggio del tradizionale paternalismo medico) senza peraltro necessariamente divenire servant. In questa direzione, sembra la formula più equilibrata quella suggerita un lustro fa dal C.N.B. che attribuiva alle direttive anticipate al trattamento “carattere non (assolutamente) vincolante, ma nello stesso tempo non (meramente) orientativo”; o anche quella, più articolata, contenuta nel Disegno di legge d’iniziativa dei senatori Marino e altri (art. 10, c. 5).

V. Se la dichiarazione anticipata al trattamento è l’unico strumento che garantisce l’autenticità di un intento consapevolmente orientato al rifiuto di trattamenti sanitari, il legislatore – posto nell’alternativa tra il prevedere eventuali surrogati (il ricorso al criterio del substituted judgement o del best interest) e il diffondere la cultura della insurrogabilità delle dichiarazioni anticipate – dovrà coerentemente optare per questa seconda soluzione, apprestando idonei strumenti di informazione e pubblicità.

In quest’ultima direzione, sembra da approvare la previsione, contenuta in alcuni disegni di legge, della istituzione di un registro nazionale telematico o di archivio unico nazionale informatico.

7. A conclusione di una conferenza italiana Charles Baron, dopo aver raccontato come negli Stati Uniti “legislatori e Corti giocano entrambi ruoli importanti nel processo di sviluppo dei principi in materia di decisioni di vita o di morte”, ed avere quindi evidenziato come “l’elemento di forza di questo processo è il fatto che nell’ordinamento americano nessuno dei poteri dello Stato si sente veramente subordinato all’altro dal punto di vista istituzionale” ha posto al pubblico presente la domanda “se questo fenomeno ha dei paralleli nell’esperienza italiana in questo campo”. Oggi, alla stregua della giurisprudenza che qui ho cercato di difendere, mi piacerebbe rispondere affermativamente.

Riferimenti

Documenti correlati

Insieme a analoghe iniziative svolte a Milano, Roma, Bologna, Belluno, Novi Ligure, Napoli, l’incontro si inserisce nel mese dell’autodeterminazione, un periodo

Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora,

5.Avuto riguardo alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in grado d’appello ed ai successivi chiarimenti resi dal perito l’Inps evidenzia che questi, pur

Peraltro, anche nel testo attualmente vigente, l’indicazione dei casi e delle "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai

Con ricorso del 27-1-2010 la Presidenza della Regione Siciliana e l'Assessorato delle Autonomie Locali e della Funzione Pubblica proponevano impugnazione avverso

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ragione della

Per quanto riguarda il vizio di motivazione, il ricorrente rammenta che, in riferimento al fatto controverso costituito dalla subordinazione, e quindi

Ad avviso del Collegio, la funzionalizzazione del potere di rappresentanza, dovendo esso essere orientato alla tutela del diritto alla vita del rappresentato, consente di giungere