• Non ci sono risultati.

1915 Luigi Sturzo al vertice dell’associazione dei Comuni

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "1915 Luigi Sturzo al vertice dell’associazione dei Comuni"

Copied!
224
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)

1915 LUIGI STURZO

al vertice dell’associazione dei comuni

A cento anni dalla nomina a vicepresidente nazionale: l’impegno riformatore

a sostegno dell’autonomia amministrativa e tributaria delle comunità locali

Presentazione di Piero Fassino Introduzione di Lucio D’Ubaldo A cura di Oscar Gaspari

(4)

Centro Documentazione e Studi Comuni Italiani ANCI-IFEL Direzione: Lucio D’Ubaldo A cura di Oscar Gaspari Coordinamento editoriale di Alessio Ditta, Riccardo Garbini e Marco Giuliani

Si ringrazia l’Archivio Storico dell’Istituto “Luigi Sturzo” di Roma per l’immagine di copertina

Progetto, grafica e illustrazioni Pasquale Cimaroli, Claudia Pacelli cpalquadrato.it

(5)

Indice

Presentazione di Piero Fassino /5 Introduzione diLucio D’Ubaldo /7 La finanza comunale negli anni Venti del secolo scorso

di Piero Giarda /19

L’autonomismo federale nell’azione e nel pensiero sturziano

di Andrea Piraino /33 Il riordino dei tributi locali:

i risvolti politici della relazione di Sturzo a Parma

di Oscar Gaspari /103 Luigi Sturzo vicepresidente dell’ANCI (1915-1923) di Alessio Ditta, Riccardo Garbini e Marco Giuliani /131

Indice dei nomi /153 APPENDICE

Associazione dei Comuni Italiani XIV Congresso Nazionale dei Comuni Parma, 19-20-21 novembre 1921 Luigi Sturzo

La riforma dell’ordinamento tributario dei Comuni /1

(6)
(7)

La pubblicazione del contributo del vicepresidente dell’Associazione dei comuni italiani, Luigi Sturzo, al XIV congresso dell’ANCI del 1921 vuole favorire la sco- perta dello Sturzo “Municipalista di ferro”, per dirla con le parole di Gabriele De Rosa(1). In altre parole questo volume non intende solo dare un contributo al ricordo di un grande uomo politico del Novecento italiano ma, soprattutto, evidenziare quanto sia stato importante per l’ANCI il ruolo di vicepresidente svolto dal sacerdo- te di Caltagirone e come questo ruolo abbia contribuito alla sua formazione di uomo politico.

Dopo aver partecipato, da protagonista, ai congressi dell’Associazione del 1902 e del 1903, Sturzo venne eletto componente del consiglio direttivo nel 1904 e

1 Gabriele De Rosa, Introduzione, in Luigi Sturzo, Politica di questi anni. Consensi e critiche (Dal gennaio 1957 all’agosto 1959), a cura di Concetta Argiolas, Gangemi, Roma, 1998, p. VII.

Presentazione

di Piero Fassino

(8)

vicepresidente nel 1915, una carica che rappresentò il culmine della sua ultraventennale esperienza nell’As- sociazione conclusasi nel 1923, sempre da vicepre- sidente. Bastano queste poche notizie per iniziare a capire quanto possa essere stata importante questa esperienza sia per la vita dell’ANCI, sia per la forma- zione di Sturzo anche perché, è il caso di sottolinearlo, il sacerdote non abbandonò l’Associazione nemmeno dopo il 1919, dopo aver fondato il Partito Popolare Ita- liano, di cui divenne segretario. Per Sturzo e per l’ANCI (quella di allora e quella di oggi), il comune era e ri- mane il nucleo fondante delle istituzioni, della politica come della società civile.

(9)

Introduzione

di Lucio D’Ubaldo

Fare storia implica la necessità di fissare una data e un punto di partenza, perché diversamente anche le analisi più accurate perdono di precisione e concretezza. È una regola da osservare sempre a scanso persino di possibili fraintendimenti. In effetti, se venisse a mancare questo primo elemento di ricognizione, non si potrebbe cogliere a pieno nel pensiero e nell’azione di Luigi Sturzo quale valore abbiano avuto le autonomie locali, cellule vitali dello Stato. Anche Luigi Taparelli d’Azeglio a metà Otto- cento aveva elaborato, in chiave esclusivamente presta- tuale, i presupposti di un potere municipale entro la sfera del diritto naturale; quindi Giuseppe Toniolo, più tardi, assumerà egli stesso la difesa di questo primato; ma è la nuova generazione cattolica a reinventare “il Comune e la funzione sociale”, titolo di un volumetto pubblicato nel 1902 da Francesco Invrea, quale premessa di un nuovo ordinamento pluralista e solidarista dello Stato.

A fornire un preciso riferimento temporale, utile ad in- quadrare l’origine e lo sviluppo della concezione stur-

(10)

ziana delle autonomie, è l’ingresso in armi dei Piemon- tesi a Roma, esattamente il 20 settembre del 1870. Con la breccia di Porta Pia finisce il potere temporale dei Papi: un evento che porterà, come è noto, il popolo fe- dele alla Chiesa a schierarsi subito all’opposizione. Ciò poteva spingere la protesta cattolica a ripudiare insie- me all’ordinamento del nuovo regno sabaudo le arti- colazioni locali dello Stato, contestando l’utilità della partecipazione elettorale a qualsiasi livello di rappre- sentanza e di governo, anche a livello comunale.

Avviene, al contrario, che la reazione della Santa Sede all’ultimo atto dell’impresa risorgimentale produca una strana combinazione di astensionismo e partecipa- zione elettorale, a seconda degli ambiti di intervento.

È solo del 10 settembre 1874 il decreto (Non Expedit) della Sacra Penitenzieria in base al quale i cattolici non avrebbero dovuto prendere parte alle elezioni politiche.

Non così a livello locale. Tant’è che nei giorni immedia- tamente successivi alla conquista di Roma da parte dei bersaglieri di Cadorna, gli stessi esponenti dell’aristo- crazia nera, che chiudevano in segno di lutto i portoni dei propri palazzi nobiliari, manifestavano lealtà agli occupanti piemontesi per garantire a livello capitolino un passaggio morbido di poteri, esplicitamente in virtù della collaborazione con l’ala meno oltranzista e più re- sponsabile della classe dirigente liberale.

Questo approccio appena sperimentato nella Capitale sarà il paradigma dell’iniziativa che il movimento cat- tolico avrebbe sviluppato nel Paese in omaggio a uno

(11)

schema clericale. Sta di fatto che la corrente egemone all’interno dell’Opera dei Congressi, ostile ad aperture di qualsiasi genere, in nome dell’intransigenza unirà due linee in apparenza contrastanti: una, sul piano lo- cale, aperta alle intese con il notabilato liberale mode- rato; l’altra, sul piano nazionale, indisponibile a ogni formale pacificazione con la Monarchia in pendenza della “questione romana”, essendosi il Pontefice pro- clamato dopo il XX settembre “prigioniero” all’interno delle Mura Leonine. Il quadro cambierà, in effetti, con la crisi del 1898 quando socialisti e cattolici si troveran- no a fronteggiare, ciascuno in base a distinte posizioni ideali e organizzative, l’azione repressiva del governo di Rudinì. A seguito dei moti di Milano e alla carnefici- na del generale Bava Beccaris, in carcere finiranno don David Albertario e Filippo Turati.

L’intransigenza cattolica doveva cambiare segno. All’al- ba del Novecento i giovani “democratici cristiani”, rac- colti attorno a Romolo Murri, apriranno una dura con- testazione contro l’impianto compromissorio che dava forma nei consigli comunali all’alleanza con i liberali.

Alla ruvida nota anti-risorgimentale subentrerà nel mo- vimento cattolico la consapevolezza circa la necessità di superare la polemica ormai sterile sulla illegittimità della soluzione data portentosamente al moto unitario nazionale. Ora i giovani, spesso seminaristi o sacerdoti appena consacrati, potevano attestare contro la corru- zione e il deperimento delle libertà locali il loro impegno per il rinnovamento civile e morale dell’Italia nell’ottica di un’autentica rivoluzione cristiana. Entrava allora nel

(12)

linguaggio comune della gioventù cattolica un’enfasi di tipo mazziniano per quella che avrebbe dovuto essere la “Nuova Italia” post-liberale, non più viziata dall’o- stracismo anticattolico e finalmente restituita alla fe- conda tradizione di amicizia tra Chiesa e popolo.

Tuttavia i tempi non erano maturi. Dopo una benevola attenzione, frutto degli entusiasmi che aveva suscita- to la Rerum Novarum (1891), l’esperienza democratica cristiana incontrerà le diffidenze e le preoccupazioni dell’anziano Pontefice Leone XIII. Il più ostico si dimo- strò il Segretario di Stato, Mariano Rampolla del Tinda- ro, pur artefice e protagonista di grandi cambiamenti nella politica della Santa Sede, specie nelle relazioni internazionali, se solo si considera la coraggiosa spinta in favore del ralliement dei cattolici francesi allo Stato laico e democratico della III Repubblica. Evidentemente le circostanze in Italia non consentivano accelerazioni.

In un crescendo di timori per il contagio della presun- ta eresia modernista a danno dei fedeli, Pio X adotterà un criterio più severo volto a contenere le nuove spinte verso l’autonomia dei cattolici in politica. A differenza di Murri, ribelle alla disciplina ecclesiastica e inquieto nella ricerca di forme più incisive d’impegno pubblico in sintonia con gli insegnamenti del Vangelo, Sturzo resisterà alla tentazione di radicalizzare “a sinistra” l’i- stanza cattolico sociale. Non romperà con la Chiesa, né cercherà di forzare le tappe.

Proprio in questa fase, caratterizzata dall’entusiasmo per l’ondata di cambiamento, Sturzo avrebbe potuto

(13)

accogliere l’invito del Cardinal Antonio Agliardi, amico e protettore dei giovani murriani, a inserirsi nella dio- cesi di Albano, di fatto rimanendo a contatto con l’am- biente romano. Fece una scelta diversa: tornò in Sicilia e nel 1905, dopo aver lanciato a capodanno del 1904 il Programma di Caltagirone destinato a rappresentare la piattaforma dei cattolici non conservatori, conquistò la guida del Comune. Riuscì a farlo sulla scia delle pro- poste - strenua difesa dell’autonomia locale, lotta agli sprechi e al malcostume, municipalizzazione dei servizi pubblici, promozione di forme e strutture di solidarietà sociale - che davano forza al movimento dei democra- tici cristiani. Restò pro-sindaco fino al 1920 dando alla sua battaglia autonomista il significato di un’alternati- va popolare al riformismo accentratore e assistenziali- sta di stampo giolittiano.

A riguardo, la riflessione sturziana si affiancò con egua- le rigore alla critica che la cultura democratico-radicale andava sviluppando contro l’aspetto più deteriore del- la politica del “Ministro della malavita”, così come nel 1909 Gaetano Salvemini sulle colonne dell’Avanti! ave- va definito Giovanni Giolitti. La polemica era tanto più penetrante quanto più rifletteva le preoccupazioni degli economisti - in primis Antonio De Viti De Marco - che individuavano nel protezionismo l’ostacolo maggiore allo sviluppo ordinato del Paese, con il rischio di vede- re compromesse le speranze del Mezzogiorno. Anche il socialismo riformista contribuiva ad alimentare questa spirale negativa fatta d’industrialismo protetto a Nord e corruzione a Sud. D’altronde, sotto il mantello protet-

(14)

tivo delle tariffe doganali e dei sussidi diretti o indiretti all’apparato produttivo delle regioni settentrionali, il gruppo dirigente raccolto attorno a Turati individuava la possibilità di realizzare – a prescindere dalle conseguen- ze generali derivanti da questo interventismo governati- vo - una prima forma di emancipazione della classe ope- raia, nonché l’avvio di politiche di tutela sociale. Tutto questo, appunto, a discapito parzialmente dei ceti medi urbani e delle masse contadine del Meridione d’Italia.

Senza dubbio l’antigiolittismo, inteso come avversione alla onnipresenza dello Stato e della corruzione della vita amministrativa locale, rappresenterà la formula ri- assuntiva della battaglia democratica di Sturzo. Avreb- be detto Piero Gobetti, nutrendo sincera ammirazione per l’integrità di condotta del fondatore del Partito Po- polare, alieno da qualsiasi cedimento verso le lusinghe e le minacce del fascismo, che in quella ostinazione mo- ralizzatrice risuonava l’annuncio di un “riformismo mes- sianico”. Il substrato di tale politica rimarrà intatto, anzi si rafforzerà nei toni e nelle argomentazioni di merito. Il ritorno, con lo sbarco a Napoli il 5 settembre 1946, sulla scena pubblica italiana dopo un lungo e penoso esilio, prima a Londra e poi negli USA, avrebbe rimodellato l’immagine del fondatore del Partito Popolare come strenuo assertore di un liberismo austero, tendente a punire l’animus riformatore delle nuove leve democrati- co cristiane di formazione maritainiana e di orientamen- to keynesiano. Ad Alcide De Gasperi non risparmierà l’assillo dei suoi timori per la tendenza dei partiti de- mocratici antifascisti a conservare nella cornice della

(15)

nuova legislazione repubblicana la logica corporativa e statalista del regime mussoliniano; del pari a Giorgio La Pira ed Enrico Mattei non farà mancare la sua ferma condanna per disegni e operazioni di tipo assistenzia- listico, con impliciti rischi di deragliamento, specie nel caso della gestione dell’ENI, da regole di corretta e tra- sparente amministrazione del denaro pubblico.

A un certo punto, però, gli toccherà respingere le accu- se di infedeltà alla originaria vocazione riformatrice e dovrà rivendicare a sé la coerenza di una visione sem- pre contraddistinta dall’esigenza di mettere a valore la responsabilità della persona umana, prima di tutto nel- la dimensione familiare e comunitaria, contribuendo così a definire il profilo di un cittadino lontano sia dal canone borghese che dal modello classista o collettivi- sta. Ecco, di libertà si nutre la sintesi sociale sturziana.

E la libertà, ogni volta da conquistare e poi ancora da riconquistare, è il motore del progresso e insieme il lie- vito morale della civiltà: tanto che l’appello “Ai liberi e forti”, lanciato il 18 gennaio 1919 all’atto di fondazione del Partito Popolare, incorpora questa filosofia di fon- do, vale a dire la sostanza di un pensiero che darà al cattolicesimo popolare e democratico una qualità inde- lebile nella lotta al “mito dello Stato panteista e della nazione deificata”.

Sturzo, negli ultimi anni, non accetta di essere consi- derato diverso da quello che era in gioventù. A Ernesto Rossi, che lo accusava (“La Via”, 6 ottobre - 1951) di es- sere un “liberista manchesteriano di cento anni fa”, op-

(16)

poneva il suo “ideale temperatamente liberista”; che tale era, precisava con puntiglio, “da quando, sull’altra sponda, mi trovavo sulla medesima linea di Napoleo- ne Colajanni, combattendo contro il dazio sul grano, e partecipando alla corrente guidata da Edoardo Giretti”.

E quindi chiariva ulteriormente: “È vero; Sturzo, l’orga- nizzatore di contadini e di operai della prima gioventù, il sostenitore del sindacalismo giuridicamente ricono- sciuto, il sociologo storicista e spiritualista, l’uomo di azione sociale e cattolica, il politico democratico, sa- rebbe in questo caso dipinto quale nemico del popolo e sarebbe messo in stato di accusa”. Invece anche nella maturità, ovvero nel periodo di apparente torsione in senso liberal-conservatore della politica da lui propo- sta, si preservava intatto un afflato di giustizia e un bi- sogno di moralità.

In definitiva, l’autonomismo di Sturzo non è mai stato un puro modello di ingegneria istituzionale, né l’astrat- to motivo dottrinario di una contrapposizione di poteri tra centro e periferia, magari con l’obiettivo di realizza- re a livello comunale una specie di anti-Stato. Su que- sto punto il “municipalismo sociale” e il “socialismo municipale” possono somigliarsi nell’essere entrambi alternativi allo Stato accentratore liberale, ma incarna- no una differenza di sensibilità politica e visione strate- gica. Sturzo affida al programma, non all’ideologia, la funzione ermeneutica della realtà sociale e quindi delle sue contraddizioni, tracciando così il sentiero di una sociologia dello sviluppo come struttura portante del progetto politico.

(17)

Il cambiamento scaturisce in misura considerevole dal- la dinamica del municipalismo in quanto serbatoio di energia primaria della statualità. Dice Sturzo: “Dai vil- laggi e dalle grandi città parte la vita di una nazione”.

Pertanto amministrare con onestà e competenza vuol dire irradiare di virtù l’ordinamento pubblico nel suo complesso. Se c’è scrupolo di moralità, allora c’è anche amore per le cose. Il politico, in base a tale presuppo- sto, mangia il pane della storia quotidiana, prende su di sé la fatica dei problemi, organizza le risposte alla luce di un sano principio di concretezza e responsabilità.

Sturzo ha dato ampia dimostrazione del suo interesse allo sviluppo di una politica aderente ai punti di critici- tà dell’ordinamento civile, capace perciò di selezionare volta a volta, con la forza del programma, un criterio di valutazione e risoluzione dei nodi più difficili della vita democratica. L’autonomia, come pure Guido Dorso avrebbe confermato, è il vestito delle classi dirigenti locali: popolarismo e azioniamo s’incontrano nella pre- figurazione di un autonomismo che funge da catalizza- tore delle istanze di riforma dello Stato.

Il cambiamento nasce dal basso, se si vuole. Nasce dal dinamismo di Comuni (e Regioni) ordinati in funzione della dialettica tra libertà e giustizia, che innerva po- sitivamente l’opera intera dello Stato. È una lezione su cui torna utile meditare, specialmente in presenza di tante debolezze che autorizzano oggi la rappresenta- zione di una politica in stato di grave disorientamento, perlopiù spogliata agli occhi della pubblica opinione di

(18)

prestigio e autorevolezza. È sicuro che dinanzi a questa emergenza, prima di tutto morale e culturale, Sturzo in- viterebbe a ripartire proprio dalle comunità locali.

P.S. Luigi Sturzo fu eletto vicepresidente dell’Anci alla fine del XIII congresso (Roma, 28 febbraio-1 marzo). Più o meno negli stessi giorni, il 25 febbraio 1915, Benedet- to XV lo volle nominare Segretario generale dell’Unione Popolare organismo organizzativo-elettorale soprav- vissuto allo scioglimento dell’Opera dei Congressi. Era definita nello statuto «istituzione di carattere generale, destinata a raccogliere i cattolici di tutte le classi so- ciali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propa- ganda e di organizzazione sociale».

Nel 1915 si adotta una riforma con la quale Benedet- to XV istituisce la Giunta centrale per l’Azione cattolica italiana (ACI), assegnando perciò all’Unione Popolare

“l’alto compito di imprimere all’Aci un indirizzo pro- grammatico e di volgere ad unità di pensiero e concor- dia di propositi i cattolici e le loro organizzazioni”.

È lecito dunque ritenere che Sturzo prepari in questo modo, lavorando al tempo stesso in due organizzazioni (ANCI e Unione Popolare) distinte ma parallele, almeno sotto il profilo del rapporto con il territorio e le rispetti- ve comunità, la costituzione del Partito Popolare (il cui simbolo - lo scudo crociato - ricordava gli stemmi dei gloriosi Comuni medievali).

(19)

La comparsa del Partito Popolare, superando il Non Expedit, restituiva le forze del movimento cattolico alla pienezza della vita politica e alla dialettica parlamenta- re del Paese.

(20)
(21)

La relazione Sturzo del 20 novembre 1921 illustra i con- tenuti di un disegno di legge che sarà poi presentato il 25 novembre a firma del Ministro delle Finanze Soleri di concerto con il Presidente del Consiglio Bonomi e del Ministro del Tesoro De Nava. Il disegno di legge si muo- ve in una tradizione di

disegni di legge presen- tati a decorrere dal ddl Majorana (1905) diretti a modificare in modo si- gnificativo l’ordinamento tributario dei Comuni ita- liani. Il disegno di legge non ha esiti in parlamen- to, al pari di quelli che lo precedettero e che porta- vano la firma di Majora-

na, Wollemborg, Meda ed Marcello Soleri

La finanza comunale negli anni Venti del secolo

scorso

di Dino Piero Giarda

Professore di Scienza delle finanze dell’Università Cattolica di Milano

(22)

altri che lo seguiranno.

Gli aspetti tributari della finanza locale continue- ranno ad essere gestiti con provvedimenti an- nuali che pure include- ranno modifiche signi- ficative di singoli tributi fino all’inizio degli anni Trenta con la costruzione del Testo Unico della Fi- nanza locale che, con va- rianti, regolerà le entrate dei comuni italiani fino

al 1972 incluso, dato che la legge 825 del 1971 (legge Visentini) eliminerà l’intero corpo dei tributi locali rin- viando la ricostruzione del sistema ad un provvedimen- to futuro che non sarà mai attuato, sboccando poi nel dicembre 1977 nel decreto Stammati Due che porta l’in- tero (in verità circa il 90-92% del) finanziamento dell’at- tività dei comuni a carico del bilancio dello Stato.

Come Gaspari suggerisce nelle righe conclusive del suo saggio in questo volume, il ruolo di Sturzo nella formu- lazione del testo del disegno di legge rimane da precisa- re; solo l’analisi degli Atti Parlamentari e degli atti di Go- verno che ne hanno preceduto la presentazione in Par- lamento potrà dare una risposta più attendibile. La nota apposta a piè di pagina sulla avvenuta presentazione del disegno di legge il 28 novembre 1921, confonde le idee perché il ddl n. 967 (Riordinamento della finanza

Ivanoe Bonomi

(23)

locale) è annunciato il 25 novembre 1921 accompagna- to da una lunga e corposa relazione del Ministro Soleri, mentre il 28 novembre è presentato un diverso disegno di legge il n. 1014 (Conversione in legge del R.D. del 7 novembre 1920 n. 1542 che proroga l’applicazione del R.D.L. 24 novembre 1919 n. 2162 per la riforma delle im- poste dirette sui redditi e dei tributi locali).

Il disegno di legge tratta, in linea con gli orientamenti culturali del periodo, il solo ordinamento tributario dei comuni italiani con interessanti proposte di modifica dell’esistente e di innovazione sulla scelta della basi im- ponibili dei tributi propri. Sono quelli i tempi dell’avvio dell’imposta complementare sul reddito complessivo delle persone fisiche (integrativa del sistema delle im- poste di ricchezza mobile sulle diverse fonti di reddito), della tassazione dei redditi di capitale, della tassazio- ne degli incrementi di capitale non realizzati. A livello di finanza locale il tema

principale era cosa fare dell’imposta di famiglia, un’imposta nata come imposta progressiva sul reddito complessivo del soggetto tassabile “fami- glia”, se sostituirla con un’imposta generale sul- la spesa anche con carat- tere di progressività, cosa fare dei contributi di mi-

glioria specifici e così via. Giuseppe De Nava

(24)

L’elemento politico che è posto all’attenzione del con- gresso dell’ANCI è se appoggiare la tesi che definirei

“romantica” della piena separazione delle basi impo- nibili dei tributi locali da quelle proprie del governo na- zionale o se accettare qualche forma intermedia, con tributi autonomi su base locale e tributi propri su basi imponibili condivise con il governo centrale. La discus- sione generale sul contenuto innovativo della riforma ideale e della riforma proposta con il disegno di legge è molto più sviluppata nella relazione del governo che nella relazione Sturzo. I contenuti sostanziali sono gli stessi. Il testo della relazione del governo è più artico- lato, fornisce qualche informazione quantitativa, svi- luppa il problema del debito dei comuni e del gap tra entrate e spese.

Entrambi i testi non sembrano però occuparsi più di tanto delle condizioni effettive della finanza locale post prima guerra mondiale. Ci sono ripetute dichiarazioni sull’inadeguatezza delle risorse a far fronte ai compiti previsti dalla legge e anche di fronte all’aumento dei prezzi prodottosi alla fine della prima guerra mondiale.

Ci sono dichiarazioni sulla necessità di ammodernare, rendendolo più coerente con l’evoluzione della situa- zione economica, il sistema tributario, soprattutto con riferimento alla scarsa elasticità del gettito dei tributi rispetto al mutato andamento dell’economia. Poi, in generale, una serie di considerazioni sul fatto che l’or- dinamento tributario vigente si presentava con un lin- guaggio tecnico inadeguato alla realtà dell’economia.

La relazione Sturzo cita solo occasionalmente qualche

(25)

dato quantitativo sulle finanze dei comuni italiani. La relazione del governo incorpora invece una serie di dati sul gettito dei tributi. I tributi comunali per il 1921 sono previsti in 1.947,7 milioni di lire. Non ci sono dati sulla spesa, ma sono riportati dati, assai disordinati, sullo stock di debito in essere e anche qualche dato sul ricor- so ai mutui previsto nel corso del 1921. In particolare il ricorso al debito viene indicato nella misura di 1.202,9 milioni di lire di cui:

364,9 per ripiano spese correnti 113,1 per rimborso debiti 58,1 per anticipazioni 666,8 per opere pubbliche

Nella relazione del governo è riportata la distribuzio- ne provinciale del gettito dei tributi propri, ma non c’è alcuna indicazione sui livelli di spesa né nazionali, né territoriali.

In effetti, per gli anni 1920-21, quando si susseguono progetti di riforma della finanza locale, non sembrano essere disponibili informazioni ordinate sulle finanze (entrate e spese) dei comuni. L’ultima pubblicazione ufficiale riporta le informazioni relative ai bilanci di previsione del 1912 e non risultano altre informazioni ufficiali se non per il 1925.

Cosa si può dire quindi della situazione della finanza comunale ai tempi della relazione Sturzo? Alcune pro- posizioni sintetiche possono farsi utilizzando i dati di- sponibili per il 1912 e il 1925.

(26)

La finanza dei comuni italiani presenta un radicale mu- tamento strutturale tra il 1897 e il 1912 in connessio- ne con il processo di industrializzazione sviluppatosi nelle regioni del centro-nord, Lombardia e Liguria in particolare. Si verifica infatti in questo periodo un for- te aumento delle entrate e delle spese nelle regioni del centro-nord e un minore aumento delle entrate proprie nelle regioni del Mezzogiorno che “trattiene” l’aumen- to della spesa e favorisce il ricorso all’indebitamento.

Con la conseguenza che si aprono, rispetto alla si- tuazione dell’intero periodo 1870-1899, i differenziali nord-sud nei gettiti pro-capite delle entrate tributarie con conseguenti effetti sulla finanziabilità delle spese correnti. In questi quindici anni si aprono i ventagli nei

Bottonificio Binda - Lombardia

(27)

gettiti pro-capite dei tributi locali che trascinano l’a- pertura di significative differenze nei livelli delle spese pro-capite. è in questo periodo che l’impianto origina- rio della legge comunale e provinciale del 1865 - ispira- to al principio delle spese obbligatorie (la versione ot- tocentesca del principio di uniformità della spesa per i servizi fondamentali dei comuni) - va in crisi per effetto dei differenziali regionali della crescita economica. Il fenomeno è presente al legislatore dell’epoca ma gli strumenti messi in atto toccano solo aspetti margina- li del fenomeno. Ancora nel 1899, l’ultima rilevazione ufficiale della finanza locale italiana del XIX° secolo, i differenziali nord-sud nei livelli di spesa corrente sono mantenuti attorno al 15 per cento della spesa corrente media pro-capite.

Nel 1912 la situazione si è modificata in modo radi- cale, nel senso che i differenziali di spesa pro-capite raggiungono livelli molto più elevati e questi diffe- renziali si protraggono, con tendenza ad ulteriori au- menti ancora negli anni Venti. Per esempio nel 1925 le entrate effettive ammontavano a 101,6 lire per abi- tante, con valori di 124 lire nel Centro-Nord e di 63,7 nel Mezzogiorno. A fronte, le spese effettive per l’Italia ammontavano a 122,3 per l’Italia con valori di 142,7 al Centro-Nord e di lire 87,8 nel Mezzogiorno. L’indebita- mento netto per abitante era superiore nel Mezzogior- no rispetto al Centro-Nord (24,2 lire contro 18,7 lire), con l’aggravante della molto maggiore incidenza della spesa per opere pubbliche nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno.

(28)

Le due relazioni, del vicepresidente dell’ANCI e del Mi- nistero delle Finanze, ignorano completamente il pro- blema delle spese al cui finanziamento i tributi in via di riforma sono destinati. Ci sono, in entrambe, allusioni alla necessità di un controllo della spesa da parte degli amministratori comunali, ma nessun dato e nessuna indicazione dell’esistenza e dell’ampliarsi dei differen- ziali nei livelli delle spese obbligatorie dei comuni nelle diverse aree del paese.

La questione è parzialmente offuscata dalla legislazio- ne avviata negli anni della prima guerra mondiale per la quale lo Stato autorizza la contrazione di prestiti per il finanziamento anche di alcune poste di spesa corren- te e per il finanziamento esplicito del disavanzo di par- te corrente. I mutui per il ripiano dei bilanci entrano nel lessico e nella prassi dei metodi di finanziamento delle spese correnti dei comuni nel corso del 1917, vi riman- gono per almeno dieci anni, sono sospesi per i comuni ma non per le province negli anni dal 1931-32 fino al 1943, anno nel quale il Comune di Roma è autorizzato a un finanziamento straordinario della spesa corrente via debito. L’anno successivo, il 1944, rientrano, per- manendovi fino al 1977, come procedura di finanzia- mento per tutti i comuni, soggetta ad autorizzazione di organi dello Stato. Anticipando procedure proprie degli anni più recenti i mutui possono essere contratti anche per finanziare aumenti in specifici componenti della spesa, dai salari alle quote di rimborso mutui.

Il titolo della relazione di Sturzo “La riforma dell’ordi-

(29)

namento tributario dei Comuni” è più fedele rispetto ai contenuti di quanto non lo sia il titolo del disegno di legge delega presentato dal governo il cui titolo è il più generale “Riordinamento della finanza locale”.

Lo spettro dei temi trattati è però sostanzialmente lo stesso. Come è possibile che relazioni aventi come og- getto un provvedimento sui tributi locali non abbiano, tra i loro contenuti, un solo commento alle attività che i tributi erano destinati a finanziare? Approssimazio- ne, negligenza o, all’estremo opposto, ideologia? Una questione molto difficile cui rispondere. è certamente vero che per i primi settant’anni di dibattito sulla finan- za locale, dal 1860 al 1930, la parola ”perequazione”

compare forse solo una volta in un oscuro articolo sul giornale “La perseveranza”, nel 1863. Riappare nelle proposte della commissione presieduta da Pironti per il nuovo Testo Unico della Finanza Locale nel 1930, ma viene espunta e non entra nel testo di legge approvato.

Ricompare in un testo di legge solo all’inizio degli anni Ottanta, con Andreatta, Ministro del Tesoro. La pere- quazione in senso sostanziale ispira tuttavia in modo molto invasivo i comportamenti politico-amministrativi del trentennio dal 1947 al 1977.

Giornale “La perseveranza”

(30)

I dati, però, del carico tributario per abitante sono stati portati all’attenzione del dibattito politico alla fine del XIX secolo, tra gli altri, da Francesco Saverio Nitti. Com’è pos- sibile, per il nostro caso, che nessuno prestasse atten- zione ai dati riportati nella relazione Soleri al disegno di legge? Tali dati davano i gettiti per provincia dei principali tributi comunali, le sovrimposte, i tributi diretti e il dato complessivo del gettito dei dazi comunali di consumo, per i quali la distribuzione provinciale era facilmente di- sponibile da altre fonti. Una sintesi di tali dati in rapporto alla popolazione regionale mostrano la variabilità dei di- versi tipi di tributo che il disegno di legge intendeva rifor- mare. Le differenze nord-sud erano relativamente basse per le sovrimposte fondiarie, di importo medio per i dazi di consumo ed invece molto elevate per i tributi diretti.

La tabella che segue propone i valori per il Centro-Nord e per il Mezzogiorno rilevabili dalla relazione del governo al disegno di legge n. 967 del 25 novembre 1921. Media- mente il gettito pro-capite dei tributi è nel Mezzogiorno poco più della metà di quello rilevato nel Centro-Nord.

Tab. Gettito dei principali tributi comunali nel Mezzo- giorno e nel Centro-Nord 1921

Regione sovrimposta tributi diretti

dazi

consumo totale indice

Mezzogiorno 9,50 4,50 12,38 26,38 64,5%

Centro-Nord 12,19 14,24 23,06 49,50 121,0%

Italia 11,19 10,63 19,10 40,91 100,0%

Fonte: Relazione sul ddl n.967 del 25 novembre 1921, la sezione su

“Entrate Tributarie degli enti locali per 1921”, pp. 44-53.

(31)

è possibile che la risposta all’interrogativo posto nei precedenti paragrafi debba fare riferimento solo a fat- tori di carattere: la riforma ipotizzata per i tributi locali era solo una componente della riforma complessiva che era stata messa allo studio per l’intero sistema tri- butario. In questo contesto forse la distribuzione regio- nale delle basi imponibili era poco rilevante, contando soprattutto le ragioni degli effetti economici (sui prezzi, sugli incentivi e sulla distribuzione del reddito) rispet- to a quelle della distribuzione territoriale e degli effetti di questa sulla offerta potenziale di servizi pubblici e, quindi, dell’adesione ai contenuti sostanziali delle di- sposizioni della Legge comunale e provinciale.

Questo approccio è stato prevalente fino ai tempi re- centi ed ha ispirato la legislazione vigente: il tributo dell’ente locale non è finalizzato a stabilire il principio di corrispondenza (in testa al cittadino del singolo co- mune) tra tasse pagate e servizi quanto a costruire un prelievo tributario con caratteri di efficienza economica o desiderabilità distributiva. Non sempre principio di corrispondenza e efficienza economica o giustizia di- stributiva sono compatibili. Storicamente le preferenze del legislatore (in verità anche degli studiosi) sono an- date a favore del primo blocco di criteri piuttosto che del secondo, con qualche problema nella costruzione di un buon sistema di finanza locale.

A giustificazione o sostegno di tale impostazione si fa spesso riferimento al vizio di origine dell’ordinamento finanziario e amministrativo della finanza locale che ha

(32)

visto, per lungo tempo, la coesistenza di testi autono- mi per la regolazione della vita amministrativa da un lato e per il finanziamento dell’attività dall’altro. Visto oggi, il doppio binario appare una vera irraggiungi- bile chimera viste le normative di settore che si sono sovrapposte nella guida amministrativa della vita dei comuni. L’orientamento politico sull’ordinamento tri- butario che Sturzo esprime nella sua relazione, in linea con la relazione Soleri, è quello che “il sistema tribu- tario degli enti locali non debba essere pienamente autonomo, ma debba avere il suo coordinamento col sistema tributario dello Stato”. Questa massima impli- ca la scelta di una struttura di tributi locali nella quale non siano necessariamente escluse le sovrimposte (la tassazione autonoma di basi imponibili comuni), ovve- ro le addizionali sul debito d’imposta del contribuente nei confronti dello Stato. Nello schema del ddl n. 967 del 25 novembre 1921, il coordinamento si presenta però con caratteri più circostanziati. è infatti ribadito:

a) il principio che le sovrimposte sono applicate entro i limiti massimi fissati dalla legge;

b) il vincolo che nel caso delle sovrimposte sui diversi tipi di reddito di ricchezza mobile, le aliquote devo- no essere tra di loro proporzionate, non mutare cioè le relativities delle aliquote statali;

c) il principio che le aliquote effettive di sovrimposi- zione sui redditi fondiari devono presentare rappor- ti definiti con le aliquote di sovrimposizione della ricchezza mobile;

d) le aliquote dell’imposta comunale progressiva

(33)

sulla spesa, costruita per classi di reddito, devono riprodurre, in proporzione, le aliquote delle classi dell’imposta complementare.

L’idea di fondo sottostante a queste disposizioni previ- ste nel ddl è quella dell’autonomia limitata nella scelta dei livelli delle aliquote e, soprattutto, un’idea di “pro- porzionalità” ad analoghi tributi statali nella fissazione delle aliquote dei tributi a base autonoma e un’idea di rispetto dei rapporti tra le aliquote statali di prelievo sulle diverse fonti di reddito.

Non è inutile concludere rilevando che il Congresso ANCI non diede appoggio, come Sturzo aveva solleci- tato, al disegno di legge. La preoccupazione che condi- zionò le mozioni conclusive riguardava la vita corrente dei comuni, condizionata com’era dal ripiano dei bilan- ci e dall’urgenza posta al governo di confermare per il 1921 l’accesso ai mutui sempre per il ripiano dei bilanci che, a fine ottobre 1921, non era ancora stato definito.

Un interessante esempio di come, oggi come allora, i progetti di riforma non basati su una diagnosi realisti- ca dei problemi, finiscano per non essere considerati perché sono intempestivi rispetto alle urgenze della sopravvivenza.

(34)
(35)

1. La nuova prospettiva politico-istituzionale dell’au- tonomismo federale e l’ingresso di Sturzo in ANCI Come ha scritto il cronista del Convegno celebrativo del cinquantesimo anniversario della morte di Luigi Sturzo di fronte ai tanti patrocini che l’evento poteva vantare, alla singolare compresenza di istituzioni civili e religio- se partecipanti e, soprattutto, alla molteplicità di per- sonalità laiche e confessionali che erano presenti: “don Luigi Sturzo, del resto, era don Luigi Sturzo”(1).

Dunque, nessuna celebrazione poteva e può essere mai veramente all’altezza del pensiero e dell’azione di quest’uomo che per tutta la sua vita fu uno straordi- nario protagonista della storia d’Italia sia sotto il pro- filo ecclesiale che sociale e politico. Ma è soprattutto

1 Giuseppe Anastasio, Attuali ed attuabili: così gli ideali di don Sturzo in La Sicilia del 29 settembre 2009.

L’autonomismo federale nell’azione e nel pensiero

sturziano

di Andrea Piraino

Professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Palermo

(36)

sotto quest’ultimo aspetto che la storia di Sturzo lascia stupefatti per la capacità anticipatoria del suo pensie- ro e la efficacia ‘rivoluzionaria’ della sua azione. Basti considerare che ancora oggi si fa molta fatica, primo, a comprendere e, poi, a declinare che l’autonomismo non è la ricerca e la celebrazione dell’autorefenzialità delle singole istituzioni ma la condizione di base per la realizzazione di un rapporto interistituzionale col- laborativo, cooperativo, federale. Luigi Sturzo, invece, questa prospettiva l’aveva ben chiara e la perseguì fin dalla sua famosa relazione in ordine al Programma municipale letto al I Convegno dei consiglieri cattolici siciliani tenuto a Caltanissetta nel novembre del 1902(2) nella quale la rivendicazione del rafforzamento dell’au- tonomia e quindi della riforma legislativa dei Comuni era avanzata “entro una precisa concezione teorica relativa al rapporto intercorrente fra lo Stato e gli al- tri organismi naturali della società”(3). In altre parole, all’interno di una visione nella quale i Comuni, con la loro autonomia, non avrebbero dovuto sostituirsi allo

2 Il programma municipale fu stampato in opuscolo per decisione del Convegno stesso e Sturzo vi antepose come introduzione un appello

“ai Consiglieri Cattolici Siciliani”. V. Programma municipale. Delibe- razioni e voti del I Convegno di Consiglieri Cattolici Siciliani, tenuto a Caltanissetta lì 5,6,7 novembre 1902, Tip. A. Giustiniani, Caltagirone, 1903.

3 Luigi Sturzo, “La Croce di Costantino”. Primi scritti politici e pagi- ne inedite sull’Azione Cattolica e sulle Autonomie locali, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 1958, p. 274. Sul punto, v. la voce Auto- nomie di Ugo de Siervo in Lessico Sturziano a cura di Antonio Parisi e Massimo Cappellano, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2013, p. 61.

(37)

Stato - come poteva suggerire un richiamo retorico all’antica condizione della tradizione medievale - ma costruirlo dal basso attraverso l’esercizio dei propri di- ritti nel rispetto, comunque, di un giusto equilibrio tra sfera comunale e sfera statale.

Sotto altro aspetto anch’esso anticipatorio, ciò costituiva poi la risposta alternativa non solo alla concezione pan- statale che aveva plasmato fin dall’inizio del Risorgimen- to, come un dogma assoluto, l’organizzazione dello Stato liberale ma anche alla sfida della prospettiva libertaria dell’autogoverno dei Comuni che il Partito Socialista Ita- liano (PSI) perseguiva d’accordo con i Radicali ed i Repub- blicani che, subito dopo l’unificazione nazionale, si erano posti alla testa di quello che alla fine dell’ottocento sa- rebbe diventato il Movimento Municipalista Italiano. Per Sturzo, insomma, la lotta per i Comuni non poteva iscri- versi all’interno dello slogan “conquistiamo i Comuni”

dei primi socialisti rivoluzionari che, sulla scia di Andrea Costa e Giovanni Rossi, teorizzavano un Comune privo di qualsiasi riferimento ai suoi compiti ed alla sua natura amministrativa(4). E né meno delle tematiche elitarie che fino ad allora erano state agitate ed avevano caratterizza- to il Movimento Cattolico.

4 Cfr. Ernesto Ragionieri, Accentramento ed Autonomie nella Storia dell’Italia unita in Id, Politica e Amministrazione nella storia dell’Ita- lia unita, Ed. Riuniti, Roma, 1979, pp. 205 ss.. In particolare, sul pen- siero municipalista di Andrea Costa, cfr. Ettore Rotelli, L’autonomia comunale nel pensiero e nell’azione di Andrea Costa in Aldo Berselli (a cura di), Andrea Costa nella storia del socialismo italiano, Il Muli- no, Bologna, 1982, pp. 109 ss..

(38)

Per il prete di Caltagiro- ne, invece, il pensiero autonomista ed il Movi- mento delle Autonomie dovevano occuparsi dei problemi concreti della gente, concepiti come di- ritti inviolabili funzionali agli interessi municipali.

Così come avevano co- minciato a fare i socialisti riformisti che con Claudio Treves ormai sosteneva- no la nuova funzione mo-

dernizzatrice del Comune non più prolungamento della politica governativa ma artefice autonomo del progres- so civile ed economico del territorio e, che, soprattut- to, con i Radicali ed i Repubblicani avevano dato vita il 17 ottobre 1901, nel I Congresso celebrato a Parma, all’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), abbandonando l’idea dei loro compagni massimalisti di costituire la Lega dei Comuni quale organismo di “resi- stenza collettiva” ed imboccando la via della mediazio- ne politica tra centro e periferia (5).

5 Com’è noto, dopo una prima iniziativa assunta (il 21 febbraio 1900) dal consigliere socialista di Parma, Ferdinando Laghi, che propose la costituzione di una Lega dei Comuni per contrastare l’invadenza sem- pre più accentratrice dello Stato e la successiva delibera (del 7 marzo 1900) del Consiglio comunale di Milano adottata su proposta dei consi- glieri repubblicani, Bortolo Federici e Placido Marensi, perché la Giunta si adoperasse al fine di costituire un’Associazione di Comuni, il sinda-

Claudio Treves

(39)

Ed è infatti proprio quest’ultima la vera prospettiva politico-istituzionale nuova che Luigi Sturzo porta al proscenio della storia del Paese con il suo ingresso nell’agone politico nazionale, fino ad allora dimidiato tra i sostenitori della linea di accentramento statale sostenuta dalle forze governative guidate dalla Destra storica e dai Partiti liberali moderati ed i fautori dei Partiti estremisti che in funzione antiborghese perse- guivano il trasferimento della macchina statale nelle

co radicale di Milano, Giuseppe Mussi, inviò una lettera ai sindaci dei Comuni italiani con la quale comunicava loro l’intenzione di costituire un Movimento per affermare l’autonomia comunale aldilà delle diver- se posizioni politiche ricoperte. Successivamente, il 23 giugno 1900, si tenne a Firenze una riunione di sindaci dove, però, la diffidenza tra moderati ed estremisti paralizzò ogni decisione. Finalmente il Comitato promotore, che nel frattempo si era costituito a Milano, dette incarico al sindaco di Parma, Giovanni Mariotti, di convocare nella sua città per il giorno 17 ottobre 1901 il I Congresso dei Comuni italiani. All’assise ade- rirono 1044 Comuni mentre la partecipazione diretta fu di 674 Comuni.

Alla fine dei lavori furono eletti: presidente, il radicale Mussi; vicepresi- denti, il radicale Mariotti ed il repubblicano Martino (sindaco di Messi- na); segretario, il socialista Caldara. Per la ricostruzione delle vicende fondative dell’ANCI, v. Gabriele De Rosa, La nascita dell’Associazione dei Comuni, Cinque lune, Roma, 1962 ed Id., L’ANCI nella lotta per le Autonomie locali in Roberto Ruffilli e Maria Serena Piretti (a cura di), Per la storia dell’ANCI, Stampa StilGraf, Roma, 1986, pp. 13 ss. ; Roberto Ruffilli, Alle origini dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani in Roberto Ruffilli e Maria Serena Piretti (a cura di), Per la storia dell’ANCI, cit., pp. 23 ss.; Maria Serena Piretti (a cura di), La fondazione dell’ANCI.

Rassegna di documenti in Roberto Ruffilli e Maria Serena Piretti (a cura di), Per la storia dell’ANCI, cit., pp. 37 ss.; Oscar Gaspari, L’Italia dei Mu- nicipi, Donzelli Editore, Roma, 1998, pp. 41 ss.; Id., Cento anni di storia dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani: 1901-2001, Società Ti- pografica Romana, Pomezia (Roma), 2001; Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’ANCI, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2004, pp. 28 ss..

(40)

mani del proletariato e, come “aspetto specifico di una concezione ‘inte- grale’ del socialismo”, l’affermazione dell’au- togoverno locale(6). Per Sturzo, come cennato, invece, l’obiettivo da per- seguire è il riconoscimen- to dell’autonomia dei Co- muni e la realizzazione del decentramento dello Stato nell’ambito dell’or- dinamento nazionale e secondo un criterio di armonizzazione dei reciproci interessi. In ciò riprendendo un vecchio insegnamento del suo ideale maestro, Gioacchino Ventura, che propo- neva il decentramento non tanto come strumento tec- nico di carattere politico-amministrativo per realizzare un ordinamento (italiano) di tipo federale o confederale ma quale declinazione del principio di sussidiarietà ap- plicato ante litteram(7).

6 Maurizio Degli Innocenti, Il Comune nel socialismo italiano dalla fine dell’800 al primo dopoguerra in Id. (a cura di), Le sinistre ed il governo locale in Europa dalla fine dell’800 alla seconda guerra mon- diale, Nistri Lischi, Pisa, 1984, p. 12.

7 Per una diretta base di conoscenza del pensiero del filosofo paler- mitano, v. Gioacchino Ventura, Il potere pubblico. Le leggi naturali dell’ordine sociale (1859), nell’edizione a cura di Eugenio Guccione, Ila Palma, Palermo, 1988.

Gioacchino Ventura

(41)

Come ha scritto al tal proposito Eugenio Guccione, Ven- tura e Sturzo insistevano “sulla convenienza che Socie- tà e Stato garantissero la specifica attività dei gruppi e degli enti minori e intermedi, ne regolassero il rispetti- vo funzionamento per assicurare, nell’armonia genera- le dei mezzi e dei fini, la realizzazione del bene comune e prestassero loro ogni aiuto e protezione per metterli in grado di operare in condizioni di autosufficienza”(8). Anzi, per Ventura è nell’ordine naturale delle cose la

“conciliazione tra il Potere supremo e il potere delle mi- nori e inferiori comunità”, il “rispetto per tutte le asso- ciazioni e tutti i poteri subalterni del paese”, il “ricono- scimento della libertà e dell’autonomia della famiglia, del Comune, di altri enti e società maggiori o minori”(9). Sturzo parte da qui, da questa certezza. Dalla convin- zione che è “tempo ormai di comprendere come gli organismi inferiori dello Stato - Regione, Provincia, Co- mune - non sono semplici uffici burocratici o enti dele- gati, ma hanno e devono aver vita propria, che corri- sponda ai bisogni dell’ambiente, che sviluppi iniziative popolari, di impulso alla produzione ed al commercio locale”. Che, in altri termini, siano enti autonomi, centri

8 Eugenio Guccione, Dal federalismo mancato al regionalismo tra- dito, Giappichelli, Torino, 1998, pp. 10 ss.. Di Eugenio Guccione v.

anche Municipalismo e federalismo in Luigi Sturzo, Società Editrice Internazionale, Torino, 1994. Sul punto v. pure Francesco Malgeri, Il meridionalismo di Luigi Sturzo in Luigi Sturzo - Antonio Gramsci, Il mezzogiorno e l’Italia a cura di Giampaolo D’Andrea e Francesco Gia- si, Edizioni Studium, Roma, 2013, in particolare p. 38.

9 Gioacchino Ventura, Il potere pubblico, cit. , pp. 221 e ss..

(42)

di autogoverno. Con potere proprio. Ma non divergen- te dallo Stato. Bensì convergente. Insomma, che siano dotati di autonomia federalista in grado di tenere unite le varie parti del territorio all’interno di un ordinamento comunitario che li colleghi finanziariamente ed econo- micamente e soprattutto assicuri loro una legislazione omogenea(10).

Queste sono le linee fondamentali del binario su cui Sturzo si lancia, prima, per entrare e, poi, per guidare l’Associazione dei Comuni Italiani nella lotta divenu- ta indifferibile contro lo Stato. Egli si presenta come il partigiano delle rivendicazioni autonomistiche ma nell’attenta ricerca del giusto equilibrio tra competenze comunali e statali. Afferma la necessità che ai Comuni si riconosca l’autonomia ma la collega alla responsa- bilità. Considera il Comune “con estremo riguardo, in quanto ente più concreto tra quelli pubblici in ragione dello stringente legame che qui unisce il popolo all’au- torità legittima”(11). Valuta che si tratti di un patrimonio che non deve essere perduto riducendo il Comune a mero “organo amministrativo”.

10 Luigi Sturzo, Nord e Sud. Decentramento e Federalismo in Il Sole del Mezzogiorno, 31 marzo - 1 aprile 1901 ora in Id., La Regione nella Nazione (1949), Zanichelli, Bologna, 1974, pp. 318 ss..

11 Luigi Sturzo, Consiglieri, assessori, sindaci in Il Popolo, 25 giugno 1948 ora in Id., La Regione nella Nazione, cit., pp. 388 ss..

(43)

2. Il realismo politico-amministrativo di Sturzo carta vincente della nuova ANCI contro il massimalismo e lo statalismo

Per tutto questo, dopo l’impegno diretto nell’ammi- nistrazione comunale di Caltagirone e molto prima di scommettersi nell’organizzazione del Partito Popolare Italiano (PPI), Sturzo invita, proprio al Convegno di Cal- tanissetta, i consiglieri comunali siciliani ad impegnarsi direttamente nell’ANCI ed a fare aderire anche i loro colleghi con l’obiettivo, che per il sacerdote calatino è già un fine strategico, di affermare “le nostre idealità in nome del partito democratico cristiano e di concorrere alla rivendicazione di diritti così importanti e vitali per la vita municipale”. Nonostante l’Associazione fosse stata promossa e fosse diretta da persone aderenti a

“partiti estremi” è doveroso - affermava Sturzo(12) - par- teciparvi e sostenerla “perché l’ideale che essa prosie- gue è il nostro ideale, prima che da essi, sostenuto da noi, che abbiamo sul riguardo criteri più esatti, mire più obiettive e disinteressate, principi solidi, una gloriosa tradizione storica e, per quanto platoniche in pratica, affermazioni non di ieri dei diritti dei Comuni contro la invadenza dello Stato”.

L’adesione dei Comuni all’ANCI e la crescita di quest’ul- tima non furono però poco ostacolati. Innanzitutto, dall’azione di numerosi prefetti che pretestuosamente

12 Il Crociato (pseudomino di L. Sturzo), Autonomie comunali in La Croce di Costantino, 8 giugno 1902, p. 1.

(44)

bocciavano la spesa dei Comuni per il pagamento della quota d’iscrizione all’Associazione e, poi, dall’indirizzo di una parte (quella socialista) della stessa dirigenza dell’ANCI che, per un verso, portava avanti una linea politica di contrapposizione frontale allo Stato così alimentando la scarsa fiducia che già molte ammini- strazioni cattoliche e moderate nutrivano nei confron- ti dell’Associazione dei Comuni e, per un altro verso, tendeva - nella speranza di preservarne una presunta purezza - a mantenere lontane le altre componenti po- litiche e segnatamente quella cattolica. Ne fu un esem- pio emblematico, di quest’ultima linea, lo scontro pro- vocato al II Congresso di Messina (1902) dal senatore socialista e pro-sindaco di Catania, Giuseppe De Felice Giuffrida, che durante il suo intervento sulle municipa- lizzazioni interruppe Sturzo gridando: “ecco l’uomo di Palagonia”, intendendo con senso di scherno additarlo all’Assemblea per la sua responsabilità di non essere ri- uscito a chiudere la trattativa a favore dei contadini che si erano a lui affidati per l’affitto dei fondi rustici dell’ex Stato di Palagonia. Sturzo, come riportano le cronache del tempo(13), nel trambusto generale che si determinò al riecheggiare dell’accusa del De Felice, balzò su una sedia ed in piedi si rivolse all’Assemblea per spiegare come erano andati i fatti e così smentire il parlamentare socialista. Il suo discorso fu così puntuale ed al tempo stesso così appassionato che gli applausi scrosciarono calorosi al punto tale da costringere l’incauto pro-sin-

13 V. La Gazzetta di Messina del 10-11 novembre 1902.

(45)

daco di Catania a cercare di recuperare quella che si era rivelata una infelice invettiva, dichiarandosi addirittura disponibile a votare l’ordine del giorno che Sturzo aveva annun- ciato sulle municipalizza- zioni se il prete di Caltagi- rone avesse consentito di includere anche le terre di proprietà comunale e delle Opere pie.

Naturalmente, quest’esito alla fine conciliante dello scontro assembleare tra i due amministratori sicilia- ni non significò il superamento da parte di De Felice, e della sua componente politica, del settarismo che li caratterizzava e che impediva loro di cogliere le inno- vative soluzioni che Sturzo portava avanti come, ad esempio, la proposta di cooperazione che, seppure a Palagonia era fallita per l’intervento ostativo della mala politica, avrebbe costituito lo strumento per risolvere

“nell’avvenire molti dei problemi riguardanti i rapporti tra capitale e lavoro”(14). Fece chiaramente intendere,

14 Luigi Sturzo, Strascichi del Convegno dei Sindaci in La Gazzetta di Messina, 14-15 novembre 1902 ora in ID., La Regione nella Nazione, cit., p. 342. Sull’idea di cooperazione in Sturzo v. quanto scrive Eugenio Guccione in Luigi Sturzo nella collana Il pensiero dei Padri costituenti de Il Sole 24 ore, Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD), 2013, pp. 20 ss..

Giuseppe De Felice Giuffrida

(46)

però, che la linea sturziana non era per nulla velleitaria e soprattutto che poteva riscuotere il consenso, oltre che della gente, anche degli amministratori locali. Con- senso che, però, non fu sufficiente a Sturzo per entrare negli organi direttivi dell’ANCI né meno a seguito del III Congresso, celebratosi a Roma dal 22 al 24 novembre 1903, che vide la linea moderata ancora soccombente anche se su alcuni punti specifici socialisti e democri- stiani avevano fatto registrare una certa convergenza.

Convergenza che era stata possibile perché Sturzo ave- va ancorato la sua lotta municipalista non alla procla- mazione astratta “dei mali che ci rovinano” o “del tocca sana costituito dal Movimento cattolico”, ma alla con- cretezza dei problemi che investono la società e le sue istituzioni a cominciare da quelle comunali.

E qui viene alla ribalta un altro fondamentale aspetto caratterizzante l’azione politica di Sturzo: il suo reali- smo amministrativo che lo avrebbe portato ad opporsi allo statalismo su un terreno affatto nuovo e ‘vincente’.

Il problema diventava però, allora, l’assunzione di questa prospettiva e la sua trasformazione in indiriz- zo strategico da parte dell’ANCI. Sturzo vi lavorava già dal Congresso di Messina ma la svolta avviene con il IV Congresso di Napoli nel 1904.

Qui per la prima volta, la linea di privilegiare sem- pre e comunque lo scontro con lo Stato viene messa in discussione e, sempre per la prima volta, si pone il problema di dare all’Associazione una rappresen-

(47)

tanza non di parte ma costituita da tutti i partiti po- litici: “perché tutti i partiti sono nelle amministrazio- ni comunali d’Italia”(15). Per Sturzo era indubbio che i socialisti si fossero impegnati molto a favore delle autonomie locali ma ciò non era sufficiente a fargli accettare la loro posizione. Che pur tuttavia restava sempre quella di aderenti a “partiti estremi” e quindi incompatibile con la tattica che avrebbe dovuto segui- re l’ANCI e che non poteva essere quella di assumere un colore politico rivoluzionario e di dichiarare guerra allo Stato unitario. Sulla base di questa contrapposi- zione, in seno al Congresso, si andò alla costituzione di due blocchi rispettivamente formati dai socialisti e dai repubblicani, il primo, e dai democratici, dai radi- cali e dai liberali, il secondo, che si misurarono, per un verso, nel sostegno a due diversi ordini del giorno presentati con riguardo alla famosa gestione della eli- minazione delle spese statali dai bilanci dei Comuni e, per un altro verso, nella votazione di due liste con- trapposte per l’elezione del nuovo Consiglio direttivo dell’Associazione. In entrambe le circostanze ebbe la meglio la coalizione formata dai radicali, dai liberali e dai democratici cristiani e così Sturzo, assieme a Giu- seppe Micheli, in rappresentanza di quest’ultimi, poté entrare nel Consiglio direttivo dell’Associazione re- standovi ininterrottamente fino al 1915 come semplice ma autorevolissimo consigliere e poi, da allora fino al

15 Luigi Sturzo, Sulla partecipazione al IV Congresso dell’Associazio- ne dei Comuni Italiani in La Croce di Costantino, 4 dicembre 1904.

(48)

1923, anche come vicpre- sidente(16).

Come ha scritto Umberto Chiaramonte(17), entra- to nel gruppo dirigente dell’ANCI, Sturzo spri- gionò una energia orga- nizzativa, tecnica e cul- turale impressionante, dimostrando conoscenze e competenze giuridiche che pochi altri avevano in campo amministrativo.

Ma ciò non poté cambiare subito la linea dell’ANCI an- che se, a partire dal Congresso straordinario di Firenze (25-27 marzo 1905), dove si confermarono gli schiera- menti di Napoli, fu chiaro che l’Associazione dei Comu- ni non sarebbe stata più quella dei fondatori perché da oggi - scriveva il prete di Caltagirone - “si può credere sul serio a una rinascenza della vita del Comune se si con- tinua nel lavoro, nella propaganda, nella concordia: se i

16 Per una ricostruzione della vicenda del IV Congresso dell’ANCI e di tutta l’esperienza di Sturzo nell’ANCI, v. il puntualissimo testo di Um- berto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’ANCI, cit., al quale faremo costan- te riferimento. Altrettanto importanti sono, per la conoscenza di questi eventi, gli studi di Oscar Gaspari, La storia dell’ANCI in ANCI Rivista, 1996 nn. 4-5-6 e 10, rispettivamente pp. 47, 49, 41 e 75; Id., I primi anni di Sturzo nell’Associazione dei Comuni Italiani (1902-1905) in Sociolo- gia, 1997 n. 2, p. 143; Id., L’Italia dei Municipi, cit., pp. 119 ss..

17 Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’ANCI, cit., pp. 73 ss..

Giuseppe Micheli

(49)

Comuni mantengono fermi i propositi manifestati; se i molti consigli comunali ancora estranei all’Associazione vi aderiscono e si interessano di tutto il programma del- le autonomie locali”(18). E quindi, pure se alcuni Comuni amministrati dai “partiti dell’Estrema” ritirarono l’ade- sione all’ANCI, la rappresentanza dei partiti all’interno dell’Associazione si allargò a “tutte le gradazioni della vita e del pensiero italiano, dall’estrema destra all’estre- ma sinistra, unanime nella forza di un grande diritto che si risvegliava nella coscienza pubblica, il diritto dei Co- muni (corsivo nostro)”(19).

Ma non era una questione di occupazione di spazi poli- tici l’allargamento a tutti i partiti della guida dell’ANCI.

Era per Sturzo, innanzitutto, una quistione culturale di democrazia e di partecipazione popolare pluralista. Che proprio per questo aveva bisogno di uno strumento di esternazione capace di dare voce alle posizioni di tut- ti. Questo strumento non poteva che essere la “Rivista municipale”, organo dell’Associazione dei Comuni, che però era diretta da un socialista intransigente, Giovanni Lerda, e risultava sbilanciata a favore della linea dell’E- strema(20). Al V Congresso di Torino, allora, i suoi conte- nuti e la sua stessa esistenza vennero messi in discus- sione da una precisa relazione del cattolico Giuseppe

18 Luigi Sturzo, Il IV Congresso dei Comuni Italiani a Napoli ora in La Regione nella Nazione, cit., p. 171.

19 Luigi Sturzo, Il Congresso dei Comuni a Firenze in La Croce di Co- stantino, 2 aprile 1905 ora in La Regione nella Nazione, cit., p. 193.

20 Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’ANCI, cit., p. 88.

(50)

Micheli, che aveva una certa esperienza pubblici- stica e condivideva la cri- tica di Sturzo alla rivista, e soprattutto venne pro- posta la ripresa delle pub- blicazioni della “Autono- mia comunale” (che era stata la vecchia testata dell’organo dell’Associa- zione) con il sottotitolo di

“Rivista mensile dell’As- sociazione dei Comuni”, il cui primo numero della

nuova serie uscì a luglio 1906(21). Come scrisse la nuova Direzione della rivista (formata dal direttore Emilio Cal- dara e dal condirettore Giuseppe Micheli), essa ambiva ad “essere l’eco cosciente di tutti i pensieri, le aspirazio- ni, i ricordi, le lotte, i trionfi ed i dolori dei Comuni ita- liani”, ambiva “a risvegliare e organizzare il sentimento comunale, a formare nel paese la coscienza e l’ambiente che favoriscono i processi della vita municipale”(22). In- somma, ambiva a promuovere quella svolta che aveva in testa Sturzo e che, per altro verso, doveva riguardare, come cennato, l’ancoraggio dell’azione dell’ANCI (ma anche dei singoli Comuni) ai problemi reali della società.

21 Umberto Chiaramonte, Luigi Sturzo nell’ANCI, cit., p. 89.

22 Direzione, Ripresa in Autonomia comunale, nuova serie, a. I, aprile 1906.

Emilio Caldara

Riferimenti

Documenti correlati

Proseguendo verso sud si accede alla cappella di San Carlo Borromeo (11 in Figura 38), anche questa posta sotto il patronato della famiglia Torriani, che viene qui

[r]

L’Azienda Napoletana Mobilità (ANM) S.p.A., partecipata totalmente e indirettamente, per il tramite di Napoli Holding, dal Comune di Napoli, è affidataria in “house providing” dei

I tegoli sono stati verificati come elementi semplicemente appoggiati soggetti ai carichi verticali presenti nella loro zona di competenza: su di essi sono state

con chiusura ermetica e tappo con clip, opzioni disponibili: bordeaux con decorazioni color oro o nera con decorazioni color argento, stampa con licenza originale Harry Potter,

assegna alla Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica (costituita da rappresentati dello Stato e delle am- ministrazioni regionali e locali) la «definizione

Allora esiste una funzione lineare a z per cui ˆz

Si tratta del più popolare mariachi italia- no che fa parte di un gruppo, creato anche questo in Italia, che porta il nome di 'Maria- chi Romatitlan' le cui origi- ni, come è