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La confisca dei beni di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali: lo Stato, il creditore ipotecario ed il terzo avente causa dal prevenuto in una giostra di contese. - Judicium

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MASSIMILIANA BATTAGLIESE

La confisca dei beni di soggetti appartenenti ad organizzazioni criminali: lo Stato, il creditore ipotecario ed il terzo avente causa dal prevenuto in una giostra

di contese.

1.- Introduzione. 2.- Profili normativi. 3.-Una fattispecie paradigmatica. 4. - Natura dell’acquisto a titolo derivativo e conflitto tra la misura della confisca e il diritto reale di garanzia. 5.- Conflitto tra la misura della confisca e il diritto di proprietà del terzo estraneo al procedimento penale a carico del dante causa- L’onere della prova. 6.- Sulla competenza a decidere. 7.-Il diritto del debitore esecutato. 8.- L’inesistente pubblicità sanante di cui all’art. 2652 n. 6 c.c.. 9.- Gli ultimi interventi legislativi e giurisprudenziali. 10.- Conclusioni

1. Introduzione

Tra le varie questioni che nelle procedure espropriative pongono al giudice dell’esecuzione problemi interpretativi per la soluzione di una fattispecie concreta al suo esame, si profila, ancora, insidiosa e frastagliata, la tematica della confisca dei beni eseguita in virtù della legge 31 maggio 1965 n. 575 recante disposizioni contro la mafia.

Invero, il quadro di riferimento non è significativamente mutato nonostante le numerose integrazioni normative, fino agli ultimi decreti legge del febbraio e del

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novembre del 2010 e all’ultimo arresto della Suprema Corte dell’ottobre 2010:

legislatore e giudice pare non siano riusciti a fissare ancora un punto di arrivo ai dubbi interpretativi che continuano a volteggiare a spirale nelle aule giudiziarie dal primo grado sino alla Suprema Corte.

Per tentare una semplificazione del tema tenteremo di tracciare uno schema delle problematiche che interessano la materia, tutte connotate dalla sopravvenienza del provvedimento di confisca in una procedura di pignoramento in corso.

La presenza di tale circostanza pone al giudice il fondamentale problema della proseguibilità o meno della procedura esecutiva sul bene confiscato.

Lo schema problematico è il seguente:

1. si tratta di individuare il rapporto di prevalenza tra il provvedimento di confisca, per effetto del quale il bene è acquisito allo Stato, e il diritto reale di garanzia del creditore ipotecario, procedente o intervenuto nella procedura esecutiva;

2. la soluzione del primo quesito spesso dipende dalla qualificazione che si dia all’acquisto in capo allo Stato per effetto della confisca, vale a dire se esso sia da intendersi a titolo originario o a titolo derivativo, e solo l’idea di un acquisto di questo secondo tipo riesce ad appoggiare la scelta del giudice di tutelare il creditore ipotecario poiché, la concezione opposta, secondo cui la confisca opera un acquisto a titolo originario, determina la naturale conseguenza che sia essa confisca a prevalere, in virtù dei principi di diritto secondo cui l’originarietà

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dell’acquisto determina il trasferimento in capo al nuovo acquirente libero da ogni gravame;

3. altro aspetto problematico è l’incidenza del terzo proprietario, quando cioè la misura della confisca colpisce, non più il prevenuto nel procedimento penale che sia pure lo stesso debitore esecutato nel pignoramento, bensì l’avente causa del prevenuto, nuovo proprietario e debitore sottoposto al pignoramento; vale a dire, soggetto del tutto estraneo al rapporto tra il soggetto malavitoso e lo Stato che abbia ragione di bloccare ogni successiva circolazione del bene, foss’anche per mezzo di un’aggiudicatario;

4. nel binario sostanziale della problematica, come se non bastasse, appare un’altra strisciante questione, questa volta di carattere processuale, connotata dall’oscillazione della Suprema Corte nell’individuare il giudice competente ad occuparsi delle tre fondamentali questioni, cioè se il giudice penale in sede di incidente di esecuzione o il giudice civile in sede di opposizione all’esecuzione.

Ciò posto, prima di entrare nell’analisi delle tematiche così contrassegnate, è il caso di fornire un accenno ricostruttivo della normativa, in guisa da comprendere la ragione proprio del conflitto che da anni ha visto lo Stato e i creditori ipotecari, ma anche il terzo avente causa dal prevenuto, contendersi la prevalenza delle proprie ragioni.

2. Profili normativi

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La legge 13 settembre 1982 n. 646, più nota come legge Rognoni-La Torre, che ha dettato i provvedimenti di prevenzione contro le organizzazioni criminali, indicò strumenti e percorsi di assoluta novità per aggredire le ricchezze delle associazioni mafiose, colpendone la superiore forza delle risorse economiche accumulate con le attività illecite e costituenti la prima fonte di finanziamento dell’organizzazione criminale.

E così, in tale consapevole utile strategia, i legislatori che si sono succeduti nel tempo hanno ricostruito la normativa dettata dalla legge 31 maggio 1965 n. 575, di volta in volta arricchita di nuovi articoli, a partire dall’inserimento degli artt. 2- bis e 2-ter da parte della citata legge 646/82, in cui si introducevano le indagini sul tenore di vita, sulle disponibilità finanziarie e sul patrimonio dei soggetti indiziati di appartenere alle associazioni criminali, con il potere statuale, per mezzo dell’autorità giudiziaria, di disporre il sequestro e la confisca come misura di prevenzione patrimoniale, e financo il sequestro anticipato ove vi fosse il concreto pericolo che i beni confiscabili potessero essere sottratti o alienati; e ciò anche per i beni di cui l’indiziato poteva disporre anche solo indirettamente.

Successivamente, con la legge 7 marzo 1996 n. 109 vennero introdotti gli articoli 2-nonies e seguenti della legge 31 maggio 1965 n. 575, che aggiunsero le norme sulla destinazione dei beni confiscati, contemplandone la devoluzione allo Stato e la successiva destinazione mediante provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle Finanze, oggi, a seguito della nuovissimo intervento legislativo, con il D.L. 4 febbraio 2010 n. 4, come convertito dall’art. 1, comma 1,

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Legge 31 marzo 2010 n. 50, che ha istituito l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, il provvedimento è emesso con delibera del Consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati a cui, la Cancelleria dell’Ufficio giudiziario che ha emesso il provvedimento di confisca deve dare comunicazione (contemporanea comunicazione è prevista per l’Agenzia del demanio competente per territorio in relazione al luogo dove si trovano i beni).

Ricapitolando, la ratio del legislatore era, ed è, la sottrazione dei beni accumulati dalle associazioni criminali per restituirli alla collettività allo scopo di ottenere una vera e propria riconversione della ricchezza a finalità sociali.

Questa, in sostanza la primaria ragione del conflitto esigenze statuali- tutela dei diritti ipotecari: volendosi efficacemente colpire il bene “all’origine mafioso”, con l’affermazione del principio della prevalenza delle ragioni repressive di politica criminale sul successivo titolare di ogni diritto, di proprietà o di garanzia, al fine proprio di rendere il bene inutilizzabile nel circuito commerciale ed unicamente fruibile a fini socialmente utili, per così ottenere una concreta riaffermazione positiva dell’autorità dello Stato.

Tuttavia, il primario principio della certezza dei diritti impone la salvaguardia dei soggetti estranei alla logica criminale che si sono resi acquirenti di diritti reali (proprietà o ipoteca) sul bene appartenuto al soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione penale; diritti regolati da una specifica impalcatura civilistica con

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profili pubblicistici rilevabili nelle finalità proprie del regime delle trascrizioni che mirano a rendere noti alla collettività la sussistenza di vincoli: l’ordinamento sancisce, in sostanza, l’intangibilità del diritto legittimamente acquistato in base al regime formale e sostanziale del diritto civile, diritto opponibile sulla base delle norme dettate in materia di trascrizione e di iscrizione ipotecaria. Si tratta di un meccanismo che cristallizza la certezza dei diritti immobiliari relativamente all’esistenza di gravami sul bene e che non prevedono l’onere a carico dell’acquirente di svolgere accertamenti, che i latini chiamavano “diabolici”, intesi a verificare la provenienza non delittuosa del bene.

In realtà nella legge 575/65 risultavano in qualche modo contemplate le posizioni dei terzi acquirenti (della proprietà o del diritto di garanzia ipotecario), prevedendo la possibilità per costoro di intervenire nel procedimento penale per svolgere le loro deduzioni, ma la disciplina, nonostante le diverse innovazioni normative, non contiene un organico regime di coordinamento tra gli interessi dello Stato-comunità ad acquisire il bene tramite la confisca e la tutela delle posizioni dei terzi, e nemmeno tra il procedimento di prevenzione penale e la procedura esecutiva in corso, in guisa che il giudice non ha potuto individuare una soluzione univoca dei conflitti più sopra tracciati.

Infatti non si sono rivelati utili suggeritori nemmeno i più chiari interventi normativi per effetto del d.l. del 23 maggio 2008 n. 92 che ha arricchito l’art. 2- ter della legge 575/65:

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- inserendo, nel 10° comma di detto articolo, il divieto di procedere alla confisca sui beni che siano stati legittimamente acquisiti dai terzi in buona fede, con lo spostamento, in questo caso, della confisca sul denaro o su altri beni di valore equivalente;

- contemplando, nel 13° comma dello stesso art. 2-ter, l’accertamento, da parte del giudice che dispone la confisca, della interposizione fittizia dei beni che non risultino intestati al prevenuto; vale a dire, il giudice deve accertare che i beni siano stati artatamente intestati e trasferiti ad altri soggetti, e in caso di accertamento positivo, deve con sentenza dichiarare la nullità degli atti dispositivi così compiuti.

Nemmeno appare risolutivo il più recente intervento del legislatore con il D.L. 4 febbraio 2010 n.4, convertito in legge 31 marzo 2010 n. 50 e D.L., che ha istituito l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, il cui art. 5 della legge di conversione, recante disposizioni sull’attività dell’Agenzia e rapporti con l’autorità giudiziaria, ha introdotto una forma di tutela dei diritti reali di garanzia contemplando la facoltà del giudice di applicare un istituto analogo a quello disciplinato nel codice civile per la liberazione delle ipoteche da parte del terzo acquirente: gli artt. 2889 e ss. c.c., prevedono la facoltà del terzo acquirente di un bene ipotecato di recuperarlo dal pignoramento mediante una procedura che gli consente di pagare i creditori ipotecari per un prezzo non inferiore a quello stabilito come base d’asta;

qui, è l’amministrazione interessata che è posta nella prospettiva del terzo avente

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interesse alla liberazione, invero, è in facoltà del giudice far conseguire al creditore ipotecario, con il consenso dell’amministrazione stessa, determinare la somma spettante al creditore per il gravame, secondo il criterio dettato per gli indennizzi previsti nelle espropriazioni di pubblica utilità e sempre nei limiti delle risorse disponibili per tali finalità.

Ebbene, emerge chiaro che il quadro per il giudice si complica ulteriormente: cosa ha voluto intendere il legislatore? Qual è la ratio? Sarebbero queste le domande del giurista. Ha voluto affermare l’orientamento della giurisprudenza che si esprime in quella tutela prevalente della garanzia ipotecaria, sancendo il principio che in ogni caso in cui sia dimostrata la buona fede e l’affidamento incolpevole tale liquidazione il giudice ha facoltà di compiere e, in caso contrario (ove il giudice non lo ritenga opportuno o a fronte del dissenso dell’amministrazione interessata), il bene deve seguire il percorso dell’escussione coattiva per la soddisfazione del diritto di credito; oppure ha inteso affermare l’intangibilità del disposto acquisto in capo allo Stato e, dunque, solo in via residuale, ove possibile, secondo il giudice, l’amministrazione interessata e le possibilità finanziarie dell’Erario, sarà possibile far luogo a detta liberazione?

E ancora. Cosa accade se il terzo non è stato chiamato a partecipare nel procedimento penale: deve ricorrere di nuovo al giudice penale, in sede di incidente di esecuzione oppure, essendosi esaurita la competenza, che si esprime nell’esercizio della funzione penale, deve ricorrere al giudice civile che ha la naturale cognizione delle questioni proprietarie?

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3. Una fattispecie paradigmatica

Per semplificare la comprensione dei tratti normativi e giurisprudenziali che coinvolgono la presente trattazione, immaginiamo una fattispecie concreta all’esame del giudice dell’esecuzione.

E’ pignorato il bene di Tizio, acquirente dal prevenuto con atto trascritto in data anteriore al provvedimento di sequestro (più di due anni prima), poi trasformato in confisca.

Il bene confiscato è poi assegnato ad un Comune il quale svolge opposizione dinanzi al giudice dell’esecuzione per chiedere l’estinzione della procedura esecutiva, ritenuta oramai improseguibile in ragione del provvedimento di confisca.

Nella fattispecie concreta inseriamo, accanto alla posizione giuridica del creditore pignorante, assistito da garanzia ipotecaria, le ragioni del proprietario, terzo acquirente rispetto al prevenuto e allo Stato, e debitore esecutato del creditore ipotecario.

Nella fattispecie così tracciata sono presenti tutte le questioni più sopra accennate, ed invero:

1. lo Stato –ora il Comune assegnatario- rivendica la proprietà del bene per effetto della confisca;

2. il creditore ipotecario si contrappone con il proprio diritto di garanzia acquisito in data anteriore al sequestro trasformatosi in confisca;

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3. il debitore esecutato, avente causa dal prevenuto, ha interesse alla prosecuzione della vendita forzata perché il valore del bene è idoneo, non solo a soddisfare il credito che ha interesse a soddisfare per liberarsi dall’obbligazione, ma, anche a garantire un residuo che, in base al rito delle esecuzioni, deve essere direttamente a lui devoluto;

4. inseriamo pure l’ipotesi che il Comune, proprietario in virtù della confisca, chiede al giudice di subentrare in luogo del debitore nella devoluzione del residuo ricavato dalla vendita forzata eseguita dal giudice dell’esecuzione.

4. Natura dell’acquisto a titolo derivativo e conflitto tra la misura della confisca e il diritto reale di garanzia

Se il giudice ritenesse di dover aderire alla tesi dell’acquisto a titolo originario operato dalla confisca, deve pronunciare l’improseguibilità del pignoramento poiché l’effetto giuridico connesso a tale forma di acquisto è l’estinzione di ogni vincolo gravante sull’immobile: in sostanza, la mancanza di una continuità tra il soggetto dante causa della titolarità del suo diritto e l’avente causa, che ne acquista la posizione giuridica comprensiva, dunque, dei vincoli costituiti sul bene, determina la caducazione di tutti i gravami e l’acquisto libero da essi in capo al nuovo titolare.

E’ quanto accade in favore di colui che acquista per intervenuta usucapione:

l’acquisto a titolo originario, incidente con l’estinzione di ogni precedente diritto sul bene, si giustifica in tema di usucapione in ragione della efficacia retroattiva

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dell’usucapione medesima (Cass. 2000 n.8792), necessitata dal comportamento inerte del titolare del diritto usucapito e prescinde, pertanto, dal rapporto esistente fra il bene e il precedente titolare; invece, nel caso della confisca, la conflittualità dei giudici, sulla qualificazione dell’acquisto a titolo originario in favore dello Stato, si è fatta strada sul binario di un oscuro elemento di dubbio: come può, l’acquisto in capo allo Stato, prescindere dalla posizione giuridica del prevenuto se è proprio la qualità malavitosa del proprietario del bene a costituire il presupposto per l’operatività della confisca?

Infatti, la confisca rappresenta una misura di carattere preventivo che comporta la devoluzione del bene allo Stato senza prescindere dal rapporto esistente fra il bene e il precedente titolare ma anzi quel rapporto presuppone (appartenenza diretta o indiretta richiesta dalla norma) e mira proprio a farlo decadere in capo al condannato o all’indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose, per ragioni di politica criminale (v. Cass. 1997 n. 5988; Tribunale di Roma 2005 n. 8294; Cass.

2007 n. 845, in motivazione);

Ebbene, in giurisprudenza sono state rese pronunce, sia di merito e sia di legittimità, che hanno riconosciuto come lo spirito della normativa sulla confisca non esige il sacrificio dei diritti dei terzi.

Tale principio è stato compiutamente ricostruito nella sentenza del Tribunale di Roma del 26 maggio 2009 n. 11555 che ha osservato come già la confisca regolata dall’art. 240 c.p.c. fa salvi i diritti dei terzi, e riguardo alla fattispecie codicistica ed a quella prevista da altre leggi speciali, le Sezioni Unite Penali

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hanno stabilito che la tutela dei diritti dei terzi non è limitata alla proprietà ma si estende anche ai diritti reali di godimento e di garanzia, che sopravvivono, quindi al provvedimento ablatorio di confisca (Cass. Sez. Un. 1994 n. 9; Sez. Un. 1999 n.

9). Nello stesso senso si è espressa la Corte di Cassazione in materia di confisca amministrativa, anch’essa connotata dalla funzione preventiva e repressiva di illeciti (Cass. Civ. Sez. Un. 1989 n. 2635). Si è precisato, in particolare che, quand’anche la confisca dovesse qualificarsi quale causa di acquisto a titolo originario, il trasferimento del diritto non può avere ad oggetto “un diritto di contenuto diverso e più ampio di quello che faceva capo al precedente titolare”

(Cass. 19 novembre 2003 n. 47887; Cass. 11 fennraio 2005 n. 12317; Cass. 9 marzo 2005 n. 13413; Cass. 10 maggio 2005 n. 22157; Cass. 3 aprile 2007 n.

34370; Cass. 21 giugno 2007 n. 2551), ed è stato affermato che lo Stato non può

“legittimamente acquisire facoltà di cui il soggetto passivo della Confisca aveva già perduto la titolarità” (Cass. Sez. Un. N.9/99 cit.)”.

Gli stessi principi operano anche rispetto alla confisca quale misura di prevenzione patrimoniale prevista dalla l. n. 575 del 1965 (Cass. Civ. 12 novembre 1999 n. 12535): lo scopo della Confisca, ai sensi della legge n. 575/65 e succ. mod., è quello di sottrarre il bene (che si assume frutto dell’attività illecita) alla sfera di disponibilità dell’autore o dell’indiziato di reato (quindi, indirettamente all’associazione mafiosa), non certo quello di fare acquistare allo Stato il bene con sacrificio dei diritti dei terzi. Sempre che questi ‘terzi’ non siano, a loro volta, collegati all’attività criminosa.

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Il giudice di legittimità ha, dunque, affermato che l’acquisto dello Stato presuppone, come proprio necessario antecedente, il rapporto tra il bene e il suo precedente titolare “ed un tale rapporto è volto a far venire meno, per ragioni di prevenzione e/o di politica criminale, con l’attuare il trasferimento del diritto, dal privato condannato o indiziato di appartenenza ad associazioni mafiose, allo Stato” (così Cass. 1997 n. 5988).

Ma ecco altro giudice di legittimità che, all’opposto, ci ha detto, in linea con l’orientamento espresso dalle Sezioni penali, che il problema del coordinamento tra il giudizio di espropriazione immobiliare e di prevenzione, in assenza di una regolamentazione legislativa, deve risolversi con l’affievolimento dell’ipoteca, poiché essa, di fronte ai beni confiscati secondo la legislazione antimafia, rimane inoperante in quanto viene meno il diritto di espropriare che ne costituisce il necessario contenuto. In questa linea la Suprema Corte ha affermato che a tale stregua deriva se non l’estinzione, la quiescenza (Cass. 30783/06).

Eppure nuovamente il giudice della Suprema Corte ha riaffermato il principio della irrinunciabile tutela del creditore ipotecario con l’ultima pronuncia del 5 ottobre 2010 n.20664 (v. infra par. 9).

5. Conflitto tra la misura della confisca e il diritto di proprietà del terzo estraneo al procedimento penale a carico del dante causa – L’onere della prova

Sul punto si può evidenziare schematicamente quanto segue:

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- la giurisprudenza di legittimità che si è pronunciata sulla vexata quaestio della natura dell’acquisto originario o derivativo, sopra illustrato, aveva in esame fattispecie in cui i diritti configgenti erano, da un lato, le ragioni pubblicistiche sottintese alla misura di prevenzione (che sono quelle di sottrarre i beni, costituenti frutto di attività illecite, dal circuito del patrimonio di soggetti appartenenti a categorie associative criminose, mediante l’avocazione allo Stato) e, dall’altro lato, le ragioni di garanzia reale, con i limiti e le modalità entro cui fossero sacrificabili, di soggetti che avevano concesso il credito direttamente ai prevenuti (v. Cass. 2009 n. 15328, ma analogamente la citata sentenza del Tribunale di Roma);

- allorchè il bene è già stato trasferito dal prevenuto in data anteriore alla misura di prevenzione patrimoniale, prima, dunque, del sequestro, sono stati affermati i seguenti principi:

l. bene deve essere nella disponibilità, anche se indiretta del prevenuto (proprio perché il presupposto del sequestro e della confisca è la sproporzione del valore economico del bene rispetto alla capacità reddituale) e la prova della sussistenza dei presupposti deve essere fornita dall’accusa (v. Cass.26.2.2009/10.3.2009 terza sezione penale, ma, in senso contrario, affermano l’onere incombente sul terzo di dimostrare non solo l’anteriorità dell’acquisto ma proprio l’assenza di qualsiasi collegamento del proprio diritto con l’attività illecita e, dunque del suo affidamento incolpevole, Cass. nn. 12317/2005; 8775/2008; 19465/2008;

2501/2009);

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2. la disponibilità indiretta può essere presunta quando il proprietario, avente causa dal prevenuto, sia in rapporto di soggezione per il vincolo di parentela, tipizzato nell’art. 2-bis, 3° co., L. 1965 n. 575 (Cass. 2000 n. 1520 e Cass. 1997 n.

4916), ma deve essere rigorosamente provata in relazione al terzo acquirente con atto trascritto in data anteriore ed estraneo, non legato da alcun rapporto con il proposto (Cass. 1997 n. 6278), avendo il giudice l’obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non solo di circostanze sintomatiche di carattere indiziario ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza (v. pure, al riguardo, Guglielmo Nicastro “La Confisca nella legislazione patrimoniale antimafia”);

3. l’affermazione della prevalenza della confisca sulle ragioni del fallimento ha come presupposto che il fallimento medesimo colpisca il prevenuto, che resta nella titolarità dei beni (Cass. 1996 n. 3528);

4. l’art. 2-ter, comma 4, L. 575/65, stabilisce che il sequestro è revocato dal Tribunale quando “risulta” che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l’indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente e il comma successivo prevede che quando i beni sequestrati appartengono a terzi, questi sono chiamati a intervenire dal Tribunale;

5. in questo caso, a fronte della titolarità del diritto di proprietà in capo al terzo deve arretrare la misura di prevenzione, posto che già si è verificata la definitiva fuoriuscita del bene dalla signoria del proposto a quella d’un terzo estraneo (Cass.

1996 e Nicastro, entrambi già sopra citati).

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In particolare, l’art. 2-ter come modificato dal d.l. 23 maggio 2008 n. 92 e dall’art.

5 del d.l. 4 febbario 2010 n. 4 introduce tre fondamentali elementi di novita’, che in parte dirimono i dubbi interpretativi, incidendo positivamente sulla tutela dei terzi estranei al prevenuto.

1.Se i beni immobili sono gravati da diritti reali di garanzia, i titolari di tali diritti, che devono essere chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento già secondo la vecchia previsione, possono nello stesso procedimento in camera di consiglio far accertare i loro diritti, la buona fede e l’inconsapevole affidamento nella loro acquisizione.

In questo caso ai soggetti per i quali siano accertate tali condizioni e’ prevista, e qui se ne deve sottolineare la novità assoluta, la corresponsione di una somma determinata dal tribunale, secondo le disposizioni per gli indennizzi previsti per le espropriazioni di pubblica utilità, a titolo di liberazione dell’immobile dal gravame.

Tale previsione costituisce una significativa assunzione di posizione del legislatore che ha in sostanza riconosciuto la tutela del diritto del creditore ipotecario, sebbene si intraveda, in detta disposizione, una sorta di riserva al potere discrezionale del giudice di liquidare il diritto del terzo con il consenso dell’amministrazione interessata.

Tuttavia, deve essere attentamente rilevato che la disposizione in parola deve intendersi come dirimente i dubbi sorti in passato relativamente alla tutela del creditore ipotecario, posto che la previsione normativa deve necessariamente

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intendersi in favore del terzo, o perchè costui potrà proseguire la vendita forzata avvalendosi del persistente diritto reale di garanzia o perchè ne otterrà un equivalente economico, sebbene secondo il più riduttivo aspetto dell’indennizzo per pubblico esproprio.

Resta, però una difficoltà che non si può tacere: la lettura espressa della norma parrebbe porre la competenza in capo al giudice penale allorchè individua in quel procedimento in camera di consiglio la sede in cui si svolge l’attività di accertamento della buona fede e dell’affidamento incolpevole.

Ma si tratta di profili normativi recanti indefettibili criteri civilistici che, proprio in ragione di essi, aveva condotto le sezioni unite del 1999 a pronunciarsi in favore della competenza del giudice civile (v. infra, par. 6).

2. E’ introdotto un chiaro divieto di colpire con la misura del sequestro e della confisca i beni che prima dell’esecuzione del sequestro sono stati trasferiti legittimamente a terzi in buona fede.

Ed allora chiaro che, con detta previsione, il legislatore ha cristallizzato nella norma gli orientamenti giurisprudenziali che statuivano l’irrinunciabile tutela della proprietà del terzo in buona fede. Sotto tale aspetto, resta solo aperta la questione relativa alla individuazione della competenza a decidere sulla legittimità del trasferimento della proprietà.

3. Il giudice con la sentenza che dispone la confisca deve dichiarare la nullità degli atti di disposizione con cui i beni vengono fittiziamente intestati o trasferiti a terzi.

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Si può osservare che, anche qui, il legislatore ha disposto in coerenza con i principi di diritto vigenti in materia di circolazione dei diritti immobiliari, presupponendo che, solo un atto tipico previsto dall’ordinamento, qual è la sentenza di nullità, può supportare il valore prevalente della confisca su un bene che risulti appartenere a un soggetto in base a un contratto trascritto in data anteriore al provvedimento di confisca.

Peraltro in talune ipotesi tipizzate nell’ultimo comma dell’art. 2-ter, vi è la presunzione di illegittimita’ fino a prova contraria: vale a dire che si presumono fittizi i trasferimenti o le intestazioni a titolo oneroso effettuate ai familiari indicati nella norma nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nonche’ i trasferimenti o le intestazioni eseguite sempre in detti due anni precedenti se sono a titolo gratuito o fiduciario.

Dal quadro che precede dovrebbe risultare evidente il regime dell’onere della prova, dovendosi ritenere, al più, che essa debba essere fornita dal terzo solo per vincere le presunzioni indicate, laddove, in tutti gli altri casi devono valere i principi generali in tema di onere della prova che è posta a carico di chi vuole il riconoscimento giurisdizionale del proprio diritto che intende far valere (in sede penale è il P.M. che deve provare i fatti dell’accusa e in sede civile è l’attore, che afferma il proprio diritto, giusta il disposto dell’art. 2697 c.c.): proseguendo nel segno opposto, promosso da parte della giurisprudenza (v., da ultimo, il provvedimento del giudice delegato di Napoli, emesso in data 24 dicembre 2010 e

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la Cassazione penale ivi citata), si finisce per attuare una vera e propria inversione dell’onere della prova, illegittima perché non normativamente prevista.

6. Sulla competenza a decidere

Sebbene un’interpretazione restrittiva della normativa come delineatasi nell’art. 2- ter, sopra descritta, farebbe indicare la competenza del giudice penale, la Cassazione con sentenza del 2007 n. 845, proprio sull’esame della titolarità del diritto di proprietà in capo al terzo estraneo, in un’ipotesi di conflitto del provvedimento di confisca con la titolarità acquisita in capo all’aggiudicatario nella vendita giudiziaria, ha statuito in generale la prevalenza dei diritti acquistati in data anteriore alla misura di prevenzione e la competenza a decidere del giudice civile.

Più recente la Suprema Corte, con sentenza del 2009 n. 20793, successivamente, quindi, alle novità, sopra viste, introdotte con il D.L. 23 maggio 2008 n. 92, ha addirittura adottato il canone analogico del “difetto di giurisdizione” del giudice penale in favore del giudice civile per evocare un criterio di incompetenza assoluta, in rapporto “ai limiti interni ed oggettivi che, alla stregua dell’ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e il ramo penale nella distribuzione della jurisdictio”(così, già, le SS.UU. della Cassazione con sentenza n. 25 del 1999).

In sostanza deve essere affermato che la giurisdizione penale esaurisce la funzione propria con la confisca- e con il conseguente trasferimento al patrimonio dello

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Stato- mentre la controversia che sorge successivamente tra l’Agenzia del Demanio (o l’Ente assegnatario) e il proprietario, che non era entrato nel procedimento penale che ha dettato la confisca, non può che appartenere al giudice civile poiché si controverte in tema di diritti reali, di norme sulla circolazione dei beni, di situazioni giuridiche in generale che sono regolate dal diritto civile (così analogamente Cass. 2009 n. 20793 e Cass. 2007 n. 845).

7. Il diritto del debitore esecutato

Nel nostro quadro paradigmatico il debitore esecutato, è soggetto non legato da rapporti di parentela o di convivenza ed è acquirente a titolo oneroso, è fuori, dunque, dalle ipotesi di presunzione di interposizione fittizia di cui all’art. 2-ter, 14° comma.

Egli ha acquistato la proprietà del bene con atto trascritto in data anteriore al provvedimento di sequestro poi trasformatosi in confisca, quando, cioè, nei registri immobiliari non risultavano gravami sull’immobile; ha dunque fatto affidamento sui principi che regolano la successione dei diritti immobiliari nel traffico commerciale ed in particolare sul principio della generale opponibilità dei diritti trascritti per prima (artt. 2644 c.c.).

Il debitore, in virtù della normativa antimafia, vede il bene di sua proprietà colpito dalla confisca disposta come misura di prevenzione nei confronti del suo dante causa.

E’ evidente che è del tutto estraneo all’ordinamento giuridico un principio in materia di compravendita immobiliare secondo cui l’intangibilità dell’acquisto è assicurato al solo soggetto che abbia svolto accurate indagini in ordine alla moralità o alla

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inesistenza di carichi pendenti (ma nemmeno di condanne) in capo al dante causa, poiché si prevede a suo carico solo che si assicuri della inesistenza di cause di prelazione risultanti da pubblici registri, ed è sulle risultanze di tali registri che l’acquirente deve fare affidamento.

Allora su questa base, non può tacersi della stortura giuridica che deriverebbe se si facesse strada il principio, affermato dalla giurisprudenza più sopra citata (v. sub par.

5), che ponga in capo al terzo l’onere di provare la legittimità del suo acquisto, e dunque la sua buona fede, al fine di ottenere la tutela prevista nel già citato 10° comma dell’art. 2-ter che preclude la confisca sul bene del terzo acquirente in buona fede.

In realtà solo le superiori ragioni di carattere pubblicistico di cui alla L. 1965 n. 575, e successive modificazioni, possono giustificare la perdita della proprietà pur in capo al soggetto estraneo al procedimento di confisca ma ciò solo quando in suo capo possa configurarsi la qualifica di soggetto per mezzo del quale il bene “appartiene indirettamente” al prevenuto.

In mancanza, il debitore esecutato, proprietario con atto trascritto in data anteriore, che non sia stato fatto partecipare al procedimento penale come disposto nell’art. 2-ter, 5° comma, deve ritenersi tutelato in virtù della normativa che regola i traffici commerciali e può ottenere tutela in sede civile. Quando, invece, il soggetto sia chiamato nel procedimento di prevenzione, dovrebbero affermarsi le seguenti regole.

1. Non può essere il proprietario-terzo estraneo al procedimento di confisca a dover provare la sua estraneità al fatto criminoso, poiché ciò sarebbe contrario sia ai principi

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civilistici, essendo il proprietario tutelato per il solo fatto che è acquirente in base ad un titolo validamente trascritto, sia ai principi penalistici, spettando all’accusa:

- di verificare la attuale appartenenza, in capo al prevenuto, del bene che si intende confiscare;

- in caso negativo, di garantire la partecipazione nel procedimento del soggetto che è proprietario in base ad un atto trascritto in data anteriore all’inizio del procedimento penale;

- di provare, i vincoli di parentela o la gratuità dell’acquisto per l’operatività delle presunzioni di interposizione fittizia, di cui al 14° comma dell’art. 2-ter;

- di provare, fuori dalle ipotesi di presunzione, la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al prevenuto.

Tuttavia, nel paradigma esplicativo adottato nella presente indagine, il debitore esecutato, nuovo proprietario in base ad atto trascritto anteriormente, e il creditore ipotecario, in base ad iscrizione ipotecaria ugualmente anteriore alle misure di prevenzione, non sono stati chiamati a partecipare nel procedimento penale;

eppure risultano legittimamente eseguite le trascrizioni del sequestro e della confisca, a norma dell’art. 2-quater della legge antimafia.

A questo punto al giudice dell’esecuzione residua ancora una kafkiana soluzione da affrontare: come risolvere l’anomalia di una pluralità di trascrizioni, ed iscrizioni tutte apparentemente legittime (la peculiarità era osservata dalla Cassazione penale n. 12317/2005).

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Ebbene qui il giudice deve innanzi tutto ricordare che può invocare il potere di disapplicazione: laddove ritenga illegittimo il provvedimento di confisca, pacificamente in giurisprudenza di carattere amministrativistico (Cass. 2007 n. 57 indica il provvedimento avente natura amministrativa di carattere ablatorio), lo disapplica, ai sensi degli artt. 4 e 5 L.A.C. (la conseguenza in termini di detta disapplicazione sarà resa più evidente quando il Governo darà attuazione alla legge di delega, in cui è previsto di disciplinare compiutamente la chiamata nel giudizio dei terzi, in guisa che l’illegittimità della confisca, adottata in assenza dei controinteressati, sarà facilmente configurabile: v. infra par. 9).

Eppure egli può ricorrere a strumenti giuridici più squisitamente civilistici: la confisca è inefficace nei confronti del proprietario-avente causa dal prevenuto, non potendo in alcun modo sortire effetti traslativi secondo l’ordinamento giuridico che regola i modi di acquisto e di perdita della proprietà.

In definitiva, quando i proprietari estranei alla confisca non hanno partecipato al procedimento penale possono far valere le loro ragioni dinanzi al giudice civile, per giurisdizione sua propria, e, ove il conflitto sorga nell’esecuzione forzata, in via incidentale dinanzi allo stesso giudice dell’esecuzione; analoga tutela deve essere affermata in capo al creditore ipotecario.

8 .L’inesistente pubblicità sanante di cui all’art. 2652 n. 6 c.c.

Nel nostro paradigma il Comune, ente assegnatario, ritiene che si sarebbe sanata la eventuale nullità della confisca ai sensi dell’art. 2652 n. 6 c.c., per non essere

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mai stata trascritta alcuna domanda volta a contestare l’originaria trascrizione effettuata a favore dell’Erario della Repubblica Italiana, ed essendo, dunque decorso il periodo quinquennale previsto dalla suddetta norma civilistica in tema di pubblicità sanante.

Tuttavia, un siffatto principio è semplicemente inapplicabile, poiché non ricorrono in alcun modo i presupposti operativi della norma.

In realtà appare chiara la confusione, in cui spesso si incorre nella pratica giuridica, tra l’effetto sanante della pubblicità e una supposta efficacia sanante che si vuole attribuire alla trascrizione sul disposto dell’art. 2652 n. 6 c.c..

Non esiste nel diritto civile il principio dell’efficacia sanante della trascrizione ed invero devono essere puntualizzati gli aspetti che seguono.

a. La trascrizione non ha efficacia costitutiva ma solo dichiarativa:

ciò significa che tra le parti l’atto è valido ed efficace secondo il regime proprio dell’atto stesso e nulla aggiunge. E’ nei confronti dei terzi che impera la trascrizione, poiché le parti dell’atto solo trascrivendolo potranno opporre l’acquisto ai terzi (è, infatti, un onere e non un obbligo);

b. La trascrizione non ha funzione sanante di eventuali vizi dell’atto:

infatti, il conflitto tra un avente causa che abbia trascritto dopo il suo atto valido e l’altro avente causa che abbia trascritto prima il proprio atto invalido, si risolve sempre in favore del primo.

Eccezionalmente si parla di pubblicità sanante ma il vizio dell’atto rimane tale solo che non è opponibile, il vizio, al terzo subacquirente.

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c. La trascrizione risolve solo conflitti tra acquirenti dal comune autore.

Chiarito il quadro di riferimento, si precisa che i requisiti della pubblicità sanante sono sei (soffermandoci sulla sola più grave ipotesi di nullità ed escludendo le ipotesi di annullabilità che aggiungono l’onerosità dell’acquisto):

1. l’esistenza di un atto nullo di trasferimento (quello in base al quale vende il primo dante causa);

2. il decorso di cinque anni dalla trascrizione;

3. la trascrizione dell’atto nullo;

4. un nuovo trasferimento dello stesso bene (dal secondo dante causa al

“subacquirente”);

5. la trascrizione del nuovo titolo;

6. la buona fede del terzo acquirente.

In sostanza può invocare l’art. 2652 n. 6 c.c. il subacquirente che ha acquistato dal dante causa il cui titolo era viziato.

Ad esempio il primo dante causa vuole riprendersi il bene mediante l’accertamento della nullità del contratto col quale ha venduto facendo, così, caducare l’acquisto del subacquirente, avente causa dal suo avente causa, ma quest’ultimo può invocare il decorso del quinquennio dalla trascrizione del suo acquisto prima della trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità.

Orbene, nel nostro esempio, il Comune non è affatto subacquirente.

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Nella prospettiva dell’acquisto del Comune rispetto all’acquisto del debitore esecutato, gli acquisti operano sullo stesso grado: non si è sul piano del conflitto del subacquirente ma di un semplice “secondo acquirente”.

In buona sostanza, e per meglio comprendere, l’art. 2652 n. 6 c.c. potrebbe risolvere il conflitto tra il Comune e il primo dante causa, il prevenuto, dante causa del debitore esecutato (e in questa prospettiva il Comune potrebbe qualificarsi subacquirente in base all’atto di assegnazione), ma il conflitto, nella fattispecie, non è tra questi due soggetti: in ipotesi il dante causa- prevenuto che invoca la nullità della confisca per riprendersi il bene dal Comune, il quale eccepisce la pubblicità sanante (eppure, deve essere precisato che, nell’esempio, l’atto di assegnazione è cosa diversa dall’atto di compravendita nel diritto privato, onde serie perplessità possono sorgere in teoria sull’estensione analogica di una norma pubblicistica avente ad oggetto ipotesi tipiche).

Nel nostro caso paradigmatico il Comune, acquirente sullo stesso piano con il proprietario-debitore esecutato, entra in conflitto con il diritto di quest’ultimo che ha acquistato in data anteriore, con la conseguenza che viene esclusivamente in applicazione l’art. 2644 c.c. sulla prevalenza dell’acquisto trascritto per primo.

Infine, deve essere evidenziato come l’art. 2652 n. 6 non può mai essere invocato quando l’acquisto è meramente inefficace, come nel caso della vendita eseguita dal falsus procurator (v. Cass. 68 n. 947 secondo cui il n. 6 dell’art. 2652 c.c.

tutela i diritti dei terzi nei casi in cui venga dichiarata la nullità o pronunciato l’annullamento dell’atto soggetto a trascrizione, ma non anche nel caso in cui

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accerti l’inefficacia di un atto di trasferimento nei confronti del titolare del diritto di proprietà, perché compiuto al di fuori della sua sfera giuridica da persona che non aveva il potere di rappresentarlo).

9. Gli ultimi interventi legislativi e giurisprudenziali

Poco incisivi, nell’animo di risoluzione della problematica, si rivelano gli ultimi intereventi del legislatore e della Suprema Corte.

Sul versante normativo, il D.L. 12 novembre 2010 n. 187, dettato in materia di

“Misure urgenti in materia di sicurezza” ha soprattutto disciplinato il funzionamento dell’Agenzia di nuova istituzione per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati.

In una luce di maggiore chiarificazione del rapporto misure di prevenzione patrimoniale - diritti ipotecari - diritti dei terzi acquirenti sembra proporsi l’intervento legislativo che ha dettato il “Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al Governo in materia di normativa antimafia”.

Infatti, la Legge 13 agosto 2010 n. 136, ha delegato il Governo per l’adozione di un decreto legislativo recante niente meno che il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, delineando le linee guide che l’Esecutivo dovrà seguire ed in particolare, per quanto interessa le nostre questioni, sembra rafforzare il potere acquisitivo della confisca con prevalenza rispetto al diritto dei terzi, creditori garantiti o acquirente, contemplando che:

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- sia disposta la confisca in ogni tempo anche se i beni sono stati trasferiti o intestati fittiziamente a terzi (rafforzando la previsione già contenuta nel 3°

comma dell’art. 2-ter della Legge 575/65);

- sia disciplinato il principio non solo della improcedibilità delle azioni esecutive sul bene già sottoposto a sequestro ma addirittura della improseguibilità delle stesse azioni esecutive per effetto dell’esecuzione del sequestro: come dire che il giudice dell’esecuzione a fronte di tale sopravvenuto provvedimento di sequestro (come misura di prevenzione patrimoniale) deve dichiarare improseguibile l’esecuzione già iniziata in data antecedente e, da quanto appare emergere, ciò deve fare anche se il provvedimento di sequestro e la successiva confisca siano successivi all’iscrizione ipotecaria;

- sia fatta salva la tutela dei creditori in buona fede: e allora, sotto tale profilo il legislatore dovrà fare attenzione nel disciplinare compiutamente l’onere della prova secondo i principi di diritto generale, ponendola a carico dell’accusa e non dei creditori ipotecari ma dovrà anche uniformarsi a un irrinunciabile criterio di ragionevolezza sulla cui base contempli la competenza a decidere le questioni civilistiche (buona fede, affidamento incolpevole, legiitimità dell’acquisto) nella sede naturale di competenza che è il giudice civile, come si è espressa la giurisprudenza delle Sezioni Unite ma anche la giurisprudenza successiva (v. sub, par. 6);

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- sia prevista una specifica tutela giurisdizionale dei diritti dei terzi, prevedendosi un termine perentorio, finora non contemplato nella norma che al 4° comma dell’art. 2-ter descrive genericamente la chiamata dei terzi, per far entrare nel procedimento di prevenzione i titolari di diritti di proprietà e di diritti reali (a anche di godimento): il legislatore deve però completare detta previsione sancendo le conseguenze della mancata chiamata nel termine, posto che la delega al Governo prevede che, entrati detti terzi, la confisca comporta l’estinzione dei loro diritti con la conseguente nascita di un diritto per equivalente; al riguardo non può sfuggire che il diritto nasce affievolito, posto che è solo previsto un equo indennizzo in favore del titolare del diritto estinto, principio giuridico, questo, ben diverso dal diritto per equivalente.

Infine, sul versante giurisprudenziale, l’ultima pronuncia della Cassazione, del 5 ottobre 2010 n. 20664, senza entrare nell’analisi della normativa aggiornata si limita a ribadire un orientamento già espresso in precedenza, con l’intento di riaffermare una posizione definitva un po’ su tutte le tematiche affrontate:

1. afferma la natura dell’acquisto a titolo derivativo in favore dello Stato per effetto della confisca, atteso che la confisca non prescinde dal rapporto già esistente tra il bene e il precedente titolare per cui “tale essendo la natura della confisca ed attesa l’estraneità della banca al relativo procedimento, consegue la prevalenza della iscrizione ipotecaria sul successivo sequestro”;

- sancisce, dunque, la prevalenza della garanzia ipotecaria;

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- non prende una chiara posizione in ordine alla competenza civile o penale, affermando non potersi fare distinzione in punto di competenza di giudice adito come se, meglio ancora, ne individuasse la competenza di entrambi atteso che in ogni caso deve farsi applicazione dell’art. 2778 c.c., in base al quale il diritto reale di garanzia si estingue per le sole cause ivi indicate (in questo senso già Cass. n.

16227/2003).

10. Conclusioni

Allo stato dell’arte bisogna augurarsi che si tengano in debito conto le posizioni giuridiche del terzo che ha acquistato la proprietà dal prevenuto e del creditore ipotecario che ha concesso ipoteca sul bene del prevenuto, nel senso sempre più avvertito di una tutela ragionevolmente conforme al diritto, senza, cioè, incorrere nel rischio di disattendere le norme regolatrici del settore civilistico per affermare la prevalente ragione sociale dell’acquisto in capo allo Stato, avendo, dunque, particolare attenzione al regime dell’onere della prova, al fine di evitare quella illegittima inversione che di fatto viene operata (v. sub 5, in fine).

Sotto i profili delle annunciate azioni delegate, non si può che sperare che l’Esecutivo legiferante tenga in buona considerazione il coordinamento con le disposizioni vigenti, peraltro di recentissima interpolazione (per effetto delle integrazioni operate alla legge 575/65 dal D.L. 23 maggio 2008), in cui è previsto, nel citato 10° comma, che non può aver luogo la confisca sugli immobili (e dovrà essere disposta sul denaro o altri beni di valore equivalente) che siano stati

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legittimamente acquisiti dai terzi in buona fede e, nel 13° comma dello stesso art.

2-ter, che il giudice che dispone la confisca deve accertare, nel caso di beni intestati a terzi, la interposizione fittizia, vale a dire che siano stati artatamente intestati e trasferiti ad altri soggetti, e in caso di accertamento positivo, il giudice deve dichiarare la nullità degli atti dispositivi così compiuti.

In sostanza è necessario per un verso continuare ad affermare la salvezza dei diritti dei terzi in buona fede, a pena di pervenire ad una vera e propria sacralizzazione dell’acquisto in capo allo Stato a scapito dei principi di diritto vigenti in materia di circolazione dei beni nei traffici commerciali; e per altro verso deve essere disciplinata l’ipotesi, non contemplata, delle conseguenze del mancato rispetto della disposizione che contempla la chiamata nel procedimento di prevenzione dei terzi titolari dei diritti reali, attraverso la indicazione espressa di una tutela residuale in sede civile, anche dinanzi al giudice dell’esecuzione ove lo Stato o l’Ente assegnatario intende far valere la sospensione per il sopravvenuto sequestro o l’improseguibilità e l’estinzione per effetto della confisca.

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