CAPITOLO 1
AREA DI STUDIO
1.1 Inquadramento geografico
L’area in studio è situata lungo la fascia litoranea della Versilia meridionale, nel comune di Viareggio (LU) in Toscana settentrionale (Figure 1.1 e 1.2) seguendone il suo orientamento NW‐SE; nella fattispecie interessa il tratto di costa compreso tra il Canale Burlamacca a Nord e il Fosso della Bufalina a Sud, mentre i limiti occidentali ed orientali sono marcati, rispettivamente, dal Mar Ligure e dal Fosso Le Quindici. Nello specifico la porzione di territorio in studio si estende per circa 3.7 km verso l’interno e per circa 6 km longitudinalmente alla linea di riva descrivendo un’area di circa 23 kmq.
Figura 1.2: Carta dei limiti amministrativi: comuni e province (www.parcosanrossore.org)
La maggior parte dell’area in studio ricade nel territorio di competenza dell’Ente Parco Regionale Migliarino – San Rossore – Massaciuccoli che in totale si estende per circa 30 km lungo la costa Toscana e va da Viareggio a Livorno con una superficie di oltre 23.000 ettari (Figura 1.2). All’interno dell’area protetta si trovano il Lago di Massaciuccoli e le Tenute Borbone, Migliarino, San Rossore, Tombolo e Coltano (Figura 1.3). Il Parco è suddiviso in “tenute”, ovvero porzioni di territorio con caratteristiche naturali, storiche e architettoniche diverse le une dalle altre, nello specifico la Tenuta Borbone e la Macchia Lucchese sono quelle che ricadono nel territorio di studio e rappresentano una vasta area boschiva litoranea a pineta frammista a lecceta e boschi umidi.
Le restanti porzioni di territorio sono costituite da aree urbane residenziali, che comprendono la periferia di Viareggio e il centro abitato di Torre del Lago, e da aree ad uso agricolo, in particolare agricolture ortive e floricole di pieno campo e di serra (Figura 1.4). In figura 1.4 è riportata la carta dell’uso del suolo dell’area in esame, elaborata sulla base delle indicazioni fornite dalla cartografia tematica regionale CTR (1:10000).
Figura 1.3: Le tenute del Parco (modificata da www.parcosanrossore.org)
Figura 1.4: carta dell'uso del suolo (da Giusti 2006)
1.2 Inquadramento geomorfologico
L’area di studio è ubicata nella porzione meridionale della pianura costiera versiliese che si sviluppa parallelamente alla linea di costa in direzione NO‐SE, da Marina di Massa fino al bacino del Massaciuccoli, mentre, verso est, si estende per circa 5 km fino ad incontrare i primi rilievi delle Alpi Apuane. Da un punto di vista geomorfologico è possibile suddividere la suddetta pianura in quattro diverse fasce fisiografiche a partire dalla costa e poste parallelamente ad essa (Antonioli et al. 2000, Devoti et al. 2003):
1. una spiaggia piatta e sabbiosa larga da qualche decina di metri (a nord di Forte dei Marmi) fino ad un massimo di 700 m (a sud di Viareggio); la zona di retrospiaggia è caratterizza, a sud di Viareggio, dallo sviluppo di un cordone dunale largo una trentina di metri con quote da 3 a 5 m s.l.m., interessato da una copertura floristica a vegetazione psammofila pioniera;
2. una fascia di cordoni dunali relitti, in parte smantellati dall’intensa urbanizzazione, che presentano sviluppo parallelo alla linea di riva e si attestano su quote medie di 2 m s.l.m.; l’estensione trasversale varia da 2 Km a poche decine di metri ed, inoltre, tale area è in parte ricoperta da selve mesofile costiere;
3. una zona depressa interna, con quote che variano tra 1 a ‐3 m s.l.m., discontinua e poco estesa nel settore settentrionale della piana, uniforme e larga circa 1 Km da Viareggio fino al Bacino del Massaciuccoli;
4. una fascia più interna con quote di circa 6 m s.l.m. larga circa 1 Km in corrispondenza del fiume Frigido, che si assottiglia verso sud fino a scomparire in corrispondenza del Bacino del Massaciuccoli, è una zona fortemente antropizzata che funge da raccordo ai rilievi apuani tramite falde di detrito o con le conoidi alluvionali e di deiezione.
Non esistono soluzioni geomorfologiche che permettano di differenziare una piana versiliese da una piana pisana, quindi, questa unica pianura prende il nome di “Pianura Versiliese‐Pisana” e giunge fino ai Monti Livornesi. La suddetta pianura si estende su una più ampia depressione tettonica a conformazione triangolare (Figura 1.5), per la gran parte sommersa dal mare, che continua verso NO in Val di Magra e verso Sud nelle colline delle valli di Tora e di Fine e nella Valdera (Mazzanti, 2001). Lo sviluppo longitudinale di questa depressione è quindi circa di 100 Km, mentre quello trasversale supera i 30 Km arrivando alle dorsali sommerse di Maestra e della Meloria all’altezza dell’abitato di Livorno. Figura 1.5: depressione tettonica Versiliese‐Pisana (da Mazzanti e Pasquinucci, 1983)
Figura 2.6: trasporto longitudinale alla costa
(da Milano, 1994)
1.2.1 Evoluzione della linea di riva
Al fine di descrivere i cambiamenti della linea di riva nella zona di nostro interesse è opportuno collocare questa all'interno dell'unità fisiografica di riferimento, ciò permette di avere una precisa caratterizzazione delle dinamiche litoranee e dei corsi d’acqua che
alimentano, con il loro apporto solido, la costa.
L’ unità fisiografica di riferimento è lunga 65 Km ed è delimitata a Nord da Punta Bianca e a Sud dal porto di Livorno (Figura 1.6). Attualmente il materiale che si movimenta sulla costa in esame deriva essenzialmente dal trasporto solido dei fiumi Serchio ed Arno e dallo smantellamento di parte della foce di quest’ultimo. Nello studio di Milano (1994) viene descritta la dinamica litoranea dell’unità di riferimento, in particolare, come possibile osservare dalla figura 1.6, il senso del trasporto longitudinale dei sedimenti non è lo stesso lungo tutta l’unità, questo perché l’orientamento del litorale risulta leggermente variabile per cui cambiano l’esposizione ai venti e l’incidenza delle mareggiate che vanno direttamente ad influenzare la direzione e l’entità dello spostamento. Nello specifico da Bocca d’Arno fino a circa Forte dei Marmi la direzione del trasporto è da Sud a Nord, oltre questa località fino a Punta Bianca il senso è, invece, da Nord a Sud come per il tratto di litorale che va da Bocca d’Arno fino al porto di Livorno. Quest’ultima inversione di senso del trasporto nella parte meridionale dell’unità è con molta probabilità dovuto alla presenza delle secche della Meloria che danno luogo a fenomeni di rifrazione del moto ondoso (Nardi 1994). Vi è poi una zona compresa tra la foce del Cinquale e Marina di Pietrasanta in cui non vi è un verso prevalente nel trasporto dei sedimenti (Nardi, 1994).
Nell’area di studio dal Miocene superiore fino al Pleistocene inferiore (1.6‐0.7 milioni di anni fa) è stata la tettonica ad avere il ruolo principale nella formazione del bacino Versiliese‐Pisano, mentre a partire dal Pleistocene superiore e per tutto l’Olocene (10000 anni fa) nella costruzione del litorale attuale hanno assunto importanza le oscillazioni climatiche e le conseguenti variazioni del livello del mare. Negli ultimi 6000 anni questa tendenza è cambiata, ed a giocare un ruolo fondamentale è l’impatto antropico (Mazzanti, 1994). Ciò risulta evidente se si considera che l’innalzamento del livello del mare avrebbe dovuto far regredire la linea di riva invece di mostrare un continuo avanzamento (7 km fino al 1850) (Figura 1.7). La spiegazione di questo andamento contradditorio va ricercata nell’aumento dell’apporto detritico dei fiumi, come conseguenza della deforestazione dei terreni da parte dell’uomo (per l’agricoltura, l’allevamento e lo sfruttamento del legname) favorendo l’erosione dei suoli. Con molta probabilità anche lo spostamento della foce dell’Arno verso nord, iniziato nel 1606, ha contribuito localmente all’avanzamento della liea di riva (Figura 1.7).
Figura 1.7: Variazione della linea di riva da Livorno a Bocca d’Arno (a) e da Bocca d’Arno a Viareggio (b)in epoche passate (da Nardi, 1994) A partire dal 1850 si assiste ad una diminuzione dell’apporto solido fluviale ed all’inizio di fenomeni di erosione con il disfacimento del delta dell’Arno (Figura 1.8), fenomeno che è tuttora in corso. Tra le cause della riduzione del contributo detritico Mazzanti (1994) ne individua tre principali: la fine della piccola età glaciale (1550‐1850), lo sviluppo di tecniche in agricoltura finalizzate alla riduzione dell’erosione dei suoli e la diffusione delle bonifiche per “colmata”. In tempi più recenti 1960‐1970 si è registrato un ulteriore calo nel trasporto solido dovuto all’eccessivo prelievo di materiale dall’alveo del fiume, successivamente vietato.
Figura 1.8: L'erosione del delta dell'Arno (da Pranzini, 1987) Il tratto di litorale oggetto di questo studio risulta in continuo avanzamento da oltre due secoli ed in misura sempre maggiore man mano che ci si avvicina a Viareggio (Figura 1.9). Figura 1.9: Avanzamento del tratto di costa in esame (da Milano, 1994)
Nella fattispecie, questo tratto di costa risente della presenza del porto di Viareggio che blocca il trasporto solido che si muove verso Nord portando a fenomeni di ripascimento che si spingono oltre la foce del fiume Serchio e allo stesso tempo fenomeni di erosione sulla spiaggia a Nord del porto. Bisogna sottolineare, comunque, che tale situazione si verificava anche prima della costruzione del porto di Viareggio per la presenza di due pennelli alla foce del canale Burlamacca la cui realizzazione risale al 1576 (Milano, 1994). Dei 191 Km di costa sabbiosa compresi tra Bocca di Magra e la Foce del fiume Chiarone (Figura 1.10), il tratto in studio risulta quindi in avanzamento mentre circa 67 Km sono invece in erosione. È un dato molto preoccupante tenendo conto del fatto che nonostante i tratti in avanzamento siano più estesi di quelli in erosione (65% contro 35%), i primi hanno tassi di variazione di pochi centimetri all’anno mentre quelli in arretramento arrivano anche a superare i 10 m annui (Cipriani, 2004).
Figura 1.10: tendenze evolutive del litorale toscano (Regione Toscana, 2006)
1.3 Lineamenti geologici e idrogeologici
L’attuale assetto geologico della Toscana nord‐occidentale è il risultato di due fasi principali: la prima che ha portato alla costruzione dell’edificio montuoso delle Alpi Apuane‐Monti d’Oltre Serchio‐Monte Pisano e la seconda, caratterizzata da una tettonica distensiva, che ha portato alla formazione di un bacino di sprofondamento a partire dal Miocene superiore, la cui porzione orientale è occupata dalla pianura Versiliese‐Pisana. A questa fase tettonica tardo‐neogenica sono riferibili le strutture rintracciate nel sottosuolo della Pianura pisano‐versiliese, rappresentate da una serie di faglie dirette (Della Rocca et al., 1987).
La pianura versiliese‐pisana può essere definita una pianura “intermontana” in quanto trae origine dagli sprofondamenti tettonici all’interno della Catena Paleoappenninica e data questa sua natura, il “substrato profondo” sul quale è avvenuto il riempimento sedimentario può essere conosciuto con lo studio dei monti che la circondano non interessati da tali sprofondamenti delle “fosse” (Fancelli et al. 1986). Le successioni litologiche depostesi nel periodo compreso tra il Trias medio (210 MA) e il Miocene inferiore (25 MA) per la Serie Toscana e quelle depostesi fra il Giurese superiore (150 MA) e l’Eocene (40 MA) per le Serie Liguri vengono definiti da Fancelli et al. (1986) con il termine di “substrato profondo” della pianura. L’entità dello sprofondamento tettonico del bacino pisano‐versiliese è rilevante: a nord di Viareggio i sondaggi profondi eseguiti nella pianura (pozzi Poggio, Zannone e Pontedera eseguiti dall’AGIP Mineraria) intercettano il substrato, ovvero il “tetto” delle successioni litologiche pre‐mioceniche, a circa 2000 m di profondità. Al fine di rintracciare l’andamento di questo orizzonte tali sondaggi non sono sufficienti, a causa della loro validità puntuale, e vanno necessariamente affiancati ad indagini indirette, quali, ad esempio, prospezioni geofisiche. Sulla base di un rilievo sismico a riflessione a profilo continuo effettuato dall’AGIP MINERARIA è stato possibile ricostruire l’andamento del substrato profondo (Figura 1.11). I dati desunti da tali prospezioni geosismiche, indicano che i depositi neogenici e
quaternari, che hanno colmato questa “fossa”, presentano una grande variabilità verticale con aree relativamente poco profonde ed altre che raggiungono i 2 Km, come, ad esempio, in prossimità della costa pisano‐versiliese (Federici, 1987; Federici e Mazzanti, 1995). Molto importante è anche il modo con cui queste profondità vengono raggiunte: il ravvicinarsi delle isobate in alcuni tratti indica la presenza di pareti subverticali sepolte corrispondenti con molta probabilità a fasci di faglie responsabili dell’apertura e dello sprofondamento delle “fosse” (Fancelli et al., 1986).
Figura 1.11: isobate del tetto del substrato profondo (da Mazzanti, 1994)
La subsidenza di quest’area e il sollevamento generale dei rilievi montuosi è stata controbilanciata dalla sedimentazione marina e fluvio‐lacustre a partire dal Miocene superiore. Questi sedimenti sono stati suddivisi in due serie successive: un “substrato intermedio” più profondo (Miocene superiore‐Pleistocene inferiore) ed un “substrato superiore” (posteriore alla fine del Pleistocene inferiore). Il substrato intermedio è costituito da sedimenti “neoautoctoni” deposti in presenza di una subsidenza di origine tettonica. La successione corrispondente a questo strato può essere osservata in superficie sulle Colline Pisane dove questi terreni formano una monoclinale che si immerge al di sotto della pianura di Pisa (Fancelli et al., 1986). Mentre il substrato superiore è formato da sedimenti posteriori al Pleistocene inferiore che si sono deposti in presenza di variazioni del livello del mare e di mutazioni del regime dei fiumi il cui trasporto solido cambiava, in seguito alle variazioni del clima, sia nella sua entità che nella granulometria più o meno fine dei clasti (Della Rocca et al., 1987).
La stratigrafia tardo‐quaternaria della piana versiliese‐pisana, che costituisce il sistema acquifero in esame, è stata descritta in numerosi studi (tra i principali: Ferrari & Duchi, 1984; Federici 1987 e 1993; Federici & Mazzanti, 1995; Antonioli et al. 2000; Devoti et al. 2003) nei quali viene ricostruita la successione alluvionale‐marina e marina transizionale tipica di quest’area sulla base delle osservazioni scaturite dall’analisi di alcuni sondaggi (Figura 1.12) e alcune datazioni radiometriche effettuate su frammenti di legno, torba e gusci di molluschi.
Figura 1.12: Sondaggi e loro ubicazione (da Federici 1993)
La successione stratigrafica è di seguito descritta dall’alto verso il basso (Federici, 1993): Depositi di torba attuali (P) • Argille torbose lacustri (C1) • Sabbie silicee (S1) • Argille lacustri con livelli di torbe (C2) Sabbie e ghiaie fini (S2) • Argille lacustri con livelli di torbe (C3) • Sabbie marine e ghiaie (S3) • Argille cineree lacustri (C4) • Ghiaia e conglomerato (G) Depositi di torba attuali (P)
Si ritrovano con spessori compresi tra 1 e 7‐8 m nelle aree limitrofe al lago di Massaciuccoli, mancano invece nella parte occidentale. Il livello testimonia l’ultima regressione avvenuta in epoca storica. Nella parte superiore la torba è tuttora in formazione ed è composta da residui di resti di vertebrati e resti pollinici indicanti un habitat vegetativo simile all’attuale. Questo livello può considerarsi a permeabilità pressoché nulla (Acquicludo).
Argille torbose lacustri (C
1)
Formazione continentale sovrastante le sabbie versiliane ed attribuibile all’oscillazione fredda che si è verificata circa 25 mila anni fa. Osservate solo in due sondaggi (presso il limite orientale della pianura) per uno spessore di 2‐3 m contengono un’associazione pollinica (Abies, Picea e Pinus), indicativa appunto di un raffreddamento climatico. La base dello strato è posta a ‐10 m. Questo livello, come il precedente, può essere considerato un acquicludo.
Sabbie silicee (S
1)
Rappresentano uno spesso orizzonte che si ritrova ovunque nella pianura versiliese. Lo spessore tende a decrescere dal mare verso terra con spessori che raggiungono i 70m nel pozzo di Viareggio. Questo orizzonte rappresenta la trasgressione versiliana. All’interno di questa litofacies sono state distinte altre subfacies, in base alle caratteristiche granulometriche: una costituita da sabbia grossolana eolica con diametri leggermente decrescenti verso il basso e l’altra da sabbia marina, sabbie più fini che verso il basso diventano limose con alto contenuto in silice (oltre il 90%) ed abbondante malacofauna (tra cui Thais haemastoma mollusco che si è sviluppato nel Mediterraneo tra la fine del Tirreniano e l’inizio del “Versiliano” (Devoti et al. 2003)). Nel complesso questo orizzonte rappresenta un acquifero di notevole importanza che si estende per tutta la pianura con una permeabilità medio‐alta.
Argille lacustri con livelli di torbe (C
2)
Sono argille grigio‐azzurre con presenza di letti e lenti torbose e livelli di ghiaietto e sabbia; si trovano a partire da profondità comprese tra 15 e 30 metri e si spingono in alcune zone fino a 70 metri dal piano campagna. Le argille sono ricche di pollini (Abies, Picea excelsa, Pinus, Quercus) posti in relazione all’ultima oscillazione fredda (Wurm III) che ebbe il suo massimo circa 18000 anni fa. Nell’insieme svolgono il ruolo di acquicludo.
Sabbie e ghiaie fini (S
2)
Sabbie prevalenti e ghiaie fini di ambiente marino in cui sono state riscontrate tracce di Vitis vinifera (Blanc et al. 1953). Interpretati come deposti corrispondenti ad un episodio trasgressivo per innalzamento del livello del mare durante l’interstadio temperato fra il Wurm II e il Wurm III (circa 40 mila anni fa). Si tratta di un livello acquifero con permeabilità da media a medio‐alta.
Argille lacustri con livelli di torbe (C
3)
Sono riferite ad un ambiente lagunare di retroduna, testimoniano la presenza di una nuova pianura costiera, caratterizzate da molluschi dulcicoli e terricoli caratteristici di clima continentale freddo (picco glaciale del Wurm II, 45 mila anni fa). Costituiscono un livello di acquicludo.
Sabbie marine e ghiaie (S
3)
Si tratta di sabbie e ghiaie con bioclasti di gasteropodi marini che testimoniano una fase trasgressiva marina. Si sarebbero deposte durante l’interstadiale temperato tra il Wurm I ed il Wurm II. Sono spesse pochi metri e si ritrovano a profondità superiori agli 80 m. Il grado di permeabilità di questo termine acquifero è da ritenersi da medio a medio‐alto.
Argille cineree lacustri (C
4)
Sono argille di color cenere, si presentano molto compatte, con molluschi terrestri e lacustri che indicano un clima molto freddo e continentale. Interpretati come dovuti alla formazione di un lago di sbarramento costiero. Queste argille sono spesso associate ad argilla gialla compatta. Si tratta di un livello impermeabile (acquicludo).
Ghiaia e conglomerato (G)
Questa formazione è costituita da ghiaie miste a materiale più fine come argilla, limi e argille sabbiose. Essa rappresenta il livello più antico (Pleistocene Superiore) fino ad oggi raggiunto con le perforazioni; il materiale continentale che la costituisce è tipico di conoidi alluvionali, lobi da debris‐flow e apparati deposizionali misti. La formazione della “Ghiaia e conglomerato” è affiorante praticamente su tutta la fascia pedemontana, mentre spostandosi verso mare e da Nord verso Sud è presente, a profondità via via maggiori, al di sotto della successione finora descritta. Questo livello costituisce un termine di
acquifero con permeabilità alta, localmente passante a medio‐alta per la presenza di materiali argillosi.
In Antonioli et al. (2000) e Devoti et al. (2003) è stato analizzato un sondaggio a carotaggio continuo effettuato dall’ENEA (Figura 1.13) ubicato poco a sud del Lago di Massaciuccoli (Figura 1.12); le indagini paleontologiche, geochimiche e stratigrafiche hanno consentito di effettuare una dettagliata ricostruzione cronologica dei sedimenti marini, lagunari e continentali individuati con il sondaggio e di correlare gli orizzonti individuati in questo sondaggio con quelli descritti precedentemente (Figura 1.13). Figura 1.13: Rappresentazione stratigrafica dei principali sondaggi effettuati nella pianura versiliese con relativa ipotesi si correlazione (Giusti 2006 modificata da Devoti et al. 2003) In particolare sui campioni di torba, legno, carbone, gusci di molluschi e coralliti prelevati dalle carote estratte dal sondaggio ENEA sono state effettuate un totale di 19 datazioni radiometriche (Devoti et al. 2003). Nello strato di sabbie marine della porzione superiore del sondaggio (da ‐34 a ‐1m s.l.m.) tali misurazioni hanno restituito età comprese tra
10.568 e 2.128 anni B.P. (stadio isotopico 1) mentre per il livello di sabbie più profondo (da ‐90 a ‐68m s.l.m.) tra 132.000 ± 15.000 e 129.000 ± 15.000 anni B.P. (sottostadio isotopico 5e). Da questi dati scaturisce un’ipotesi di ricostruzione paleostratigrafica dei terreni attraversati qui di seguito sintetizzata (Devoti et al. 2003):
‐ P, C1, S1 rientrano nello stadio isotopico 1; in particolare S1 rappresenta
l’ingressione marina olocenica:
‐ I depositi continentali C2 sarebbero riconducibili allo stadio 2;
‐ La formazione delle sabbie marine S2 è stata attribuita per estrapolazione allo
stadio 3;
‐ La formazione C3 è stata attribuita allo stadio 4;
‐ La formazione di sabbie marine S3 è stata attribuita al MIS 5 (Tirreniano) e non più
ad un’età approssimativa di 100‐80 mila anni B.P. (interglaciale Wurm I‐II di Federici 1993);
‐ I sottostanti depositi continentali argillosi e ghiaiosi (C4 e G) rappresenterebbero
pertanto depositi pre‐tirreniani.
In figura 1.14 è riportata la carta geologica dell’area in esame, elaborata a partire dalla cartografia geologica esistente alla scala 1:10000 (Regione Toscana‐Servizio Geologico Toscano; Provincia di Pisa), dalla quale è possibile osservare le litologie affioranti, nella fattispecie:
Depositi di spiaggia e attuali (Olocene): sabbie sciolte a granulometria variabile che vanno a formare la spiaggia attuale. In Federici (1987) indicati con la lettera “s” (Figura 1.12)
Depositi eolici recenti (Olocene): sabbie con granulometria non uniforme, presentano a volte intercalazioni di livelli limo‐sabbiosi e torbosi‐argillosi; rappresentano le dune costiere di retrospiaggia alte fino a 5‐6 m s.l.m. e sono datate all’epoca post‐romana. In Federici (1987) indicati con la lettera “d” (Figura 1.12).
Depositi fluvio‐palustri di retroduna, interduna e di colmata (Olocene): sono terreni da limosi ad argillosi occupanti le depressioni esistenti tra un cordone dunale ed il successivo e passano, sia lateralmente che in profondità, alle sabbie di duna; sono, inoltre, disposti lungo fasce arcuate che verosimilmente rappresentano antiche linee di riva.
Depositi lacustri e torbosi (Olocene) Nel lavoro di Federici (1987) sono stati
semplificati e indicati con la lettera “p” (Figura 1.12).
Riassumendo sulla base delle litologie appena descritte ed utilizzando i toponimi riportati in Federici (1987), nei primi 100‐150 metri di profondità, il sistema acquifero della Pianura Versiliese è definito da una copertura impermeabile (P e C1) e da quattro livelli acquiferi,
di cui tre in sabbia (S1, S2, S3) ed uno in ghiaia (G), da ritenersi separati per la presenza
degli acquicludi C2, C3
e C4 che esercitano l’azione di substrato impermeabile
rispettivamente per i livelli S1, S2, S3.
La copertura impermeabile non è estesa a tutta la pianura, ma è presente principalmente nella parte interna della stessa, su una fascia longitudinale passante per la zona del Lago di Massaciuccoli. Il primo acquifero in sabbia (S1), oggetto di questo studio e di seguito
denominato acquifero, nella zona costiera in cui si sono svolte le indagini non risulta quindi confinato, ma assume le caratteristiche di acquifero freatico.
Da Duchi (1985), in cui vengono riportate una serie di prove di emungimento alcune delle quali ricadenti nell’area di studio, si possono reperire alcuni valori di permeabilità, trasmissività e coefficiente di immagazzinamento che possono darci un’indicazione delle caratteristiche idrauliche del sistema in studio. L’acquifero presenta una permeabilità che varia da 2x10‐6 m/s a 3.7x10‐4 m/s a seconda della percentuale di sabbie fini o addirittura sabbie‐limose presenti in acquifero. I valori di trasmissività e coefficiente di immagazzinamento riportati nello stesso studio sono rispettivamente di 1.04x10‐2 mq/s e 2.06x10‐2.
1.4 Assetto idrografico
I principali corsi presenti nell’area sono i fiumi Arno e Serchio (Figura 1.15). Figura 1.15: Bacini dell'Arno e del Serchio (www.autorita.bacinoserchio.it) Il bacino del Serchio comprende il bacino imbrifero del fiume stesso e il bacino del lago di Massaciuccoli fino al fosso Camaiore a Nord e il fiume Morto a sud per un’area totale di 1565 Kmq, con una quota media che si attesta intorno a 700 m s.l.m. (www.autorita.bacinoserchio.it). La lunghezza complessiva dell’asta fluviale è di 102 Km. Il ramo principale del Serchio scende dalle pendici del monte Sillano (m. 1.864) e si riunisceal ramo denominato "Serchio di Gramolazzo", presso il comune di Piazza al Serchio, percorre la Garfagnana da nord a sud per poi continuare nella Media Valle costeggiando il territorio del comune di Barga e Bagni di Lucca. Riceve da destra l'Edron, il Tùrrite Secca, il Tùrrite di Gallicano, il Turrite Cava, il Pedogna e la Celetra e da sinistra il Fiume, il Castiglione, il Sillico, e la Lima, il suo principale affluente che nasce dal Passo dell'Abetone raccogliendo le acque dell'Appennino Pistoiese nord occidentale con un volume medio di oltre 20 metri cubi al secondo. Giunto nella piana di Lucca, dove raccoglie anche le acque del torrente Freddana, volge a ovest dove, attraverso la stretta di Ripafratta, entra in provincia di Pisa scorrendo nei comuni di San Giuliano Terme e Vecchiano, fino a terminare il suo corso gettandosi nel Mar Ligure, dopo circa 12 Km, nella zona del Parco di San Rossore. Nel suo tratto montano viene più volte sbarrato e le sue acque vengono utilizzate per la produzione di energia elettrica. Tale antropizzazione del Serchio si riflette sia sul regime delle portate che sul trasporto dei sedimenti che vengono trattenuti dai bacini artificiali. Il deflusso annuo medio del Serchio alla foce è stimato in circa 1.750 milioni di m3. In condizioni di regime naturale, questo fiume avrebbe una portata mensile massima di circa 100 m3/s in dicembre ed una minima di 13 m3/s in agosto, e trasporterebbe alla foce mediamente ogni anno circa 380 mila ton di sedimenti, i quali contribuirebbero al ripascimento dei litorali (Cavazza, 1984).
Sicuramente di maggiore importanza è il bacino del fiume Arno il quale, come definito per gli effetti della legge 183/89, comprende, oltre al bacino idrografico in senso stretto, anche, nella parte terminale, la zona compresa tra lo Scolmatore a Sud, ed il Fiume Morto a Nord, inclusa l’area di bonifica di Coltano‐Stagno ed il bacino del torrente Tora che oggi confluisce nello Scolmatore. Il territorio del bacino interessa la Regione Toscana (98,4%) e la Regione Umbria (1,6%) per un’area complessiva di 9116 Kmq con una quota media di 353 m s.l.m. e una lunghezza complessiva dell’asta fluviale di 241 Km. Anche esso è sottoposto ad una forte antropizzazione, la quale influenza non tanto il regime delle portate, quanto la quantità e la qualità delle acque. Allo stato attuale, quindi, modesta è la differenza tra il regime delle portate naturali e quello delle portate reali. Maggiore è,
invece, l’influenza esercitata dalle prese di acqua per usi antropici e, soprattutto, dagli scarichi di tipo urbano, industriale e agricolo. Per il primo di tali aspetti, si osserva che le acque sottratte annualmente all’Arno, e non più restituite, sono stimate per il bacino in 51 milioni di m3, pari ad una portata di 1,62 m3/s (Giusti 2006).
Un altro elemento idrografico molto importante è rappresentato dal Lago di Massaciuccoli, ultimo residuo dei numerosi specchi d’acqua e acquitrini che occupavano tutta la pianura fino al XVI secolo d.C. (Azzari, 1993). Il lago è alimentato da un bacino idrografico di 114 kmq e con un bacino idrogeologico di 170 kmq. La superficie dello specchio d’acqua è di circa 13 Kmq, per una profondità media di 2 metri, il suo livello medio si attesta quasi sempre intorno a 0 m s.l.m., ma presenta frequenti oscillazioni. È limitato dalle dune costiere ad ovest, mentre, la rimanente superficie è circondata da circa 16 Km di argini artificiali che lo separano dalle aree bonificate circostanti. I livelli idrici della pianura sono regolati dalla rete idrografica minore, canali di drenaggio gestiti dal Consorzio di Bonifica Versilia‐Massaciuccoli (Figura 1.16). Tale rete di drenaggio svolge la duplice funzione di drenaggio sia delle acque superficiali, a seguito di piogge forti ed intense, sia delle acque dei livelli superiori della falda.
Figura 1.16: Idrografia dell’area in studio
Nello specifico, i canali presenti nella zona sono: Canale Burlamacca, Fosso Le Quindici, Fosso della Bufalina, Fosso Guidario, Fosso Lama Lunga, Fosso della fontanella e Fosso Frabola. Questi vanno a costituire una rete di drenaggio di origine quasi esclusivamente antropica.
Sin dall’antichità questo territorio era ricoperto da piccoli laghi e tratti di acque stagnanti, la vita era particolarmente difficile nella parte della pianura più a sud, tra il mare e il lago di Massaciuccoli, area perennemente impaludata. La depressione dei terreni unita al sistema di dune litoranee o tomboli, che impedivano in alcuni tratti il naturale deflusso superficiale delle acque verso il mare, formavano le vaste e malsane paludi infestate da insetti portatori di malattie. Questi terreni hanno necessitato di una serie plurisecolare di interventi di bonifica e regimentazione per diventare abitabili (la testimonianza più remota della costruzione di impianti di bonifica risale all’epoca romana). I primi tentativi di bonifica importanti si sono avuti nel 1500 quando Lucca sceglie Viareggio come sbocco sul mare della Repubblica, sono infatti del 1488 i lavori di prosciugamento che crearono i cosiddetti colonnelli (terreni rettangolari ottenuti dall’essiccamento delle paludi e assegnati ai contadini, ma presto abbandonati per l’insorgere della malaria) (Cortopassi 2002). Seguirono una serie di progetti e tentativi tutti falliti o mai realizzati. Nel 1704 fu creato un nuovo emissario del Massaciuccoli il Canale della Bufalina (la cui foce venne presto insabbiata) per meglio far defluire le acque verso il mare. Fu l’ingegnere veneziano Zendrini ad apportare, dal 1735, le modifiche più incidenti tra le quali la costruzione della cateratte ancora esistenti e di numerosi fossi e canali di scolo (ne furono realizzati 26). All’inizio dell’800 la situazione non era ancora soddisfacente e solo l’utilizzo delle pompe idrovore alla fine del secolo risolsero definitivamente il problema. Nel 1955‐56 tutto il territorio era prosciugato e correlato di strade e servizi. Attualmente in Versilia ci sono 300 Km di canali e 21 idrovore (Cortopassi 2002).
Un’imponente attività estrattiva delle sabbie silicee eseguita in questa zona fino ai primi anni ’90 ha portato alla formazione di una trentina di piccoli laghetti, alcuni dei quali con una profondità abbastanza elevata (come per la Cava di S. Rocchino, superiore ai 20 m). Fra tutte si distinguono per dimensioni e importanza sulla complessiva attività idraulica connessa all’area di studio: la cava di S.Rocchino, la Cava Sisa e la Cava delle Carbonaie (Figura 1.16).
1.5 Aspetti climatici
Per la caratterizzazione climatica dell’area sono stati reperite ed analizzate serie temporali di precipitazione e temperatura relativi rispettivamente a 5 e 4 stazioni meteoclimatiche ubicate in prossimità dell’area di studio (Figura 1.17). I dati disponibili sono stati scaricati dal sito del SIR (Servizio Idrogeologico Regionale) della Toscana (www.sir.toscana.it). Figure 1.17: Ubicazione delle stazioni meteoclimatiche utilizzate per lo studio delle temperature e delle precipitazioni.Considerando tutte le stazioni disponibili (Tabella 1.1) i dati di temperatura, anche se con alcune lacune, ricoprono un arco temporale che va dal 1965 al 2013.
Tabella 1.1: Stazioni di riferimento per i dati di temperatura
STAZIONE ANNI DI REGISTRAZIONE NO DATI
Bocca d’Arno 2001‐2013 11‐12/2001 1‐5/2013 Ponte Tavole 1998‐2013 1‐12/1998 9‐12/2003 1‐12/2004 Viareggio (1) 1965‐1994 1‐12/1992 Viareggio (2) 1995‐2001 1‐12/1998 8/2000 3/2001 In tabella 1.2 sono riportate per ciascuna stazione le medie mensili e annuali dei valori di temperatura suddetti Come si vede nella tabella sottostante le medie annuali per ciascuna stazione differiscono di poco quindi è possibile affermare che la temperatura media annua della zona è di 15,5°C (media delle temperature medie annue). Tabella 1.2: Medie stagionali e generali
STAZIONE GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC MEDIA Bocca d'Arno 7,3 7,5 10,3 13,5 17,2 20,9 23,4 23,5 20,4 16,4 12,5 8,2 15,1 Ponte tavole 8,1 7,9 11,0 14,1 18,2 21,8 24,0 24,1 20,6 17,0 12,8 8,9 15,7 Viareggio (1) 8,0 8,8 10,4 13,4 17,0 20,7 23,6 23,6 20,7 17,0 12,1 8,9 15,3 Viareggio (2) 8,1 8,6 10,8 13,2 18,2 21,2 24,1 27,3 19,7 16,7 11,9 8,8 15,7
Dalle medie mensili ricavate è possibile calcolare l’escursione termica annua che rappresenta la differenza tra la media del mese più caldo e la media del mese più freddo e che permette di stabilire il grado di continentalità o di marittimità del clima. È noto che il mare, a causa dell’elevato calore specifico dell’acqua, influisce considerevolmente sulle temperature, riducendone le escursioni e quindi mitigando il clima (Pinna, 2012). L’escursione termica annua si attesta sui 16°C circa per le stazioni di Bocca d’Arno e Ponte Tavole e di circa 15,5°C per Viareggio(1). Al fine di stabilire se i valori ottenuti siano rappresentativi di un’area costiera, tale valore è stato confrontato o con altri dati ricavati dalla letteratura. Nel lavoro di Baldacci et al. (1994), per esempio, vengono riportati i valori delle escursioni annue ottenuti per le stazioni di Viareggio, Pisa e Pontedera che risultano essere rispettivamente pari a 15°C, 16°C e 18°C. È possibile quindi affermare che i risultati ottenuti in questo lavoro sono in accordo con quanto precedentemente asserito riguardo l’effetto mitigatrice del mare. È doveroso precisare che nel calcolo precedente, non è stato utilizzato il valore della media di agosto della stazione di Viareggio(2) in quanto, con molta probabilità, non attendibile, ciò avrebbe portato ad un valore di escursione media annua troppo elevato per una località costiera, ovvero 19.2°C.
In figura 1.18 è riportato l’andamento delle temperatura annue per gli anni di registrazione delle stazione prese in esame, tale andamento risulta avere un leggero trend positivo. Non avendo a disposizioni registrazioni continue dal 1965 al 2012 per nessuna stazione, la serie termometrica utilizzata è stata ottenuta unendo dati di diversa provenienza e per gli anni in comune è stata fatta la media dei valori; i risultati devono quindi essere utilizzati con notevole cautela poiché non è possibile valutarne la reale omogeneità.
Figura 1.18: Serie temporale delle temperature medie annue
Per quanto riguarda i valori di precipitazione sono state considerate le stazioni metereologiche riportate in tabella 1.3 e ubicate come in figura 1.17.
Il primo passo in uno studio delle precipitazioni di una determinata località è quello di calcolare il valore medio dei totali annui. Il passo successivo è dato dalla ricostruzione delle medie degli apporti stagionali e mensili al fine di ottenere un quadro del regime pluviometrico nel corso dell’anno.
La media annua delle precipitazioni nella zona risulta essere pari a circa 926 mm. La distribuzione delle piogge è controllata prevalentemente dal sistema dei rilievi che contornano la pianura, in rapporto alla predominante provenienza delle masse d’aria umida dai quadranti occidentali.
Tabella 1.3: Stazioni di riferimento per i valori delle precipitazioni
STAZIONE QUOTA ANNI REGISTRAZIONE NO DATI
Torre del lago (1) 2 1954‐1997 12/1973 1‐12/1981‐1983 1/1984 12/1991 1 e 10‐12/1993 1‐12/1994‐1996 Torre del lago (2) 2.24 1995‐1999 1‐12/1997‐1999 Torre del lago (3) 1.52 1996‐2013 1‐12/2000 2/2004 Viareggio (1) 6 1926‐2006 1‐12/1926 1‐12/1928‐1934 1‐12/1936‐1967 1‐12/1969 11‐12/2002 1‐12/2003‐2006 Viareggio (2) 0 1996‐2013 9‐12/2000
Per le successive valutazioni le analisi dei dati vengono effettuate su due serie una per Torre del Lago (1954‐2013) e l’altra per Viareggio (1995‐2013) ottenute unendo i valori delle stazioni corrispondenti a quelle località. Nella tabella sottostante sono calcolati l’apporti medi per ciascun mese.
Tabella 1.4: Apporti medi mensili per le due località
STAZIONE GEN FEB MAR APR MAG GIU LUG AGO SET OTT NOV DIC
Torre del lago
94,0 74,0 74,6 75,5 60,5 52,3 19,9 42,8 83,7 117,5 125,4 95,7
Viareggio 90,3 59,3 68,3 70,8 53,7 42,2 25,8 37,6 96,1 124,2 148,9 99,6
Dall’istogramma di figura 1.19 si può osservare il regime pluviometrico. Le piogge più abbondanti si hanno tra settembre e dicembre con un picco per ottobre‐novembre, meno consistenti le precipitazioni nella restante parte dell’anno e in primavera, l’estate è piuttosto secca con un netto minimo a luglio. Il regime pluviometrico è quindi di tipo submediterraneo.
Figura 1.19: Confronto dei valori di precipitazione medie mensili
L’elaborazione dei dati termopluviometrici sulla base della classificazione climatica di Thornthwaite (Thornthwaite, 1948) consente di osservare che tale area ricade nel tipo “subumido” (C2) come anche possibile verificare osservando la mappa di figura 1.20 tratta dallo studio di Vittorini (1972). 0.0 20.0 40.0 60.0 80.0 100.0 120.0 140.0 160.0 Torre del lago Viareggio
Figura 1.20: Classificazione climatica di Thornthwaite (Vittorini 1972)