CAPITOLO I
Latini e Italici negli anni 133-129 a.C.: la riforma di Tiberio Gracco
e le sue ripercussioni sul sistema dei foedera.
I. 1. La proletarizzazione del civis et miles nel II secolo a.C.
Negli anni in cui Roma s'imponeva come prima forza egemone sulla scena internazionale, l'imperialismo romano oltre che rivoluzionare la mappa geopolitica del Mediterraneo aveva innescato alcuni imponenti processi di trasformazione della società romano-italica. Nelle campagne si sgretolò lentamente, fino quasi ad estinguersi come ricordo di un passato leggendario, la categoria del piccolo proprietario terriero, civis et miles. Complice era la lunghezza del servizio militare e la lontananza prolungata e coatta dalla proprietà e dalla vita agreste. Sempre più spesso, infatti, i reduci vendevano i propri terreni incolti per trasferirsi nell'Urbe, uscendo dal novero degli adsidui, cioè dal novero dei cittadini reclutabili per esigenze militari, e andando ad ingrossare le fila della massa informe del proletariato urbano che viveva nelle assemblee elettorali e legislative a completa disposizione dei nobiles. Va da sé che i pochi adsidui rimasti in circolazione venissero invece richiamati alle armi sempre più spesso e per molto più tempo e non è un caso che proprio in questi anni si registrò una tendenza graduale ad abbassare la soglia di censo minimo necessario al servizio militare. Da quando si erano iniziate le operazioni e gli interventi in Grecia e Macedonia, e contemporaneamente, in Spagna1, Sardegna, Cisalpina, Italia, Africa, da 50 a 100.000 cittadini romani e socii
restavano permanentemente sotto le armi, e una parte di essi, naturalmente, non tornava a casa.
Ad acquistare i terreni abbandonati del reduce era spesso il grande proprietario terriero, il senatore per il quale la terra costituiva l'unico investimento socialmente di
1 Le guerre di Spagna contro Viriato e i Celtiberi comportarono da sole una perdita di più di 50.000 unità. Sulla peculiarità dell'impegno militare romano nelle campagne di Spagna cfr. E. GABBA, L'imperialismo romano, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 225-231
prestigio e addirittura incoraggiato dalla Lex Claudia del 218 a.C., che proibiva ai senatori d'investire i loro capitali in attività commerciali. La scomparsa della figura del soldato-contadino, l'arrivo sul mercato romano del bottino costituito da migliaia e migliaia di schiavi e, non ultima, la progressiva occupazione di ager publicus determinarono la creazione del latifondo e il conseguente spostamento nei cantieri di Roma di masse di ex-adsidui e salariati liberi in fuga dalle campagne, ormai affidate al lavoro di una manodopera servile a costo zero. Basso il prezzo d'acquisto, minima la spesa di mantenimento, gli schiavi fornivano un lavoro di costo così vile che la concorrenza risultava impossibile per un salariato libero. Con gli schiavi le aziende agricole si trasformarono da piccole e medie proprietà, conducibili personalmente o con una piccola familia servile, in aziende latifondistiche con tratti sempre più ampi a pascolo2. Il fenomeno dovette essere ampio e rapido se già nel 185/80 a.C. siamo a
conoscenza di una lex de modo agrorum che fissava a 500 (=125 ettari) il massimo di iugeri per i "possessori" di ager publicus, limitava a 100 i capi di bestiame grosso e a 500 quelli di bestiame piccolo, e non mancava di stabilire un imponibile di manodopera libera3. La questione della terra doveva apparire centrale anche ai
contemporanei e leggi come questa del 185/0 a.C o la lex mai promulgata di Gaio Lelio il Saggio4, membro proveniente dall'entourage degli Scipioni (Appio Claudio,
2 È l'azienda ad alta concentrazione di capitali descritta da Catone nel suo De Agricoltura.
3 Cfr. CATONE, Origines, fr. 95 (ed. Peter), PLUTARCO, Vita di Tiberio, 8 e APPIANO, Guerre Civili, I, 32-34. Per quanto riguarda in particolare la fonte catoniana, il riferimento ad una lex de modo agrorum si inserisce nell'ambito della nota orazione pronunciata da Catone in difesa dei Rodii dopo la fine della terza macedonica, indicando, così, nel 167 a.C il terminus ante quem per la datazione della suddetta legge (si quis plus quingenta iugera habere voluerit, tanta poena esto; si quis maiorem pecuum numerum habere voluerit). Alla medesima legge si riferiscono le notizie contenute in Plutarco e Appiano. In entrambi i casi si fa riferimento, infatti, ad una lex de modo agrorum precedente alla lex Sempronia, ma le cui direttive dovevano essere ampiamente disattese già all'epoca dei Gracchi. In particolare, in Appiano la suddetta legge sarebbe stata votata dopo la fine delle guerre annibaliche e in risposta alla crisi del ceto contadino romano e italico innescata dalla concentrazione dell'ager publicus nelle mani di pochi latifondisti, e dall'impiego massiccio di manodopera schiavile. Il contesto storico suggerito dal testo appianeo risulta, quindi, significativamente compatibile con quello fornito dal passo catoniano e individua negli anni compresi tra la fine della seconda guerra punica e il 167 a.C. l'arco temporale entro il quale la legge fu promulgata. Cfr. C. STERCKX, Appien, Plutarque et les premiers règlements de modo agrorum, in "RIDA" 16 (1969), 309-35. A. LINTOTT, Political History, 146-95 B.C., in "Cambridge Ancient History", 2nd ed., IX, 3 Cambridge 1992, pp. 54-55;
4 Cfr. PLUTARCO, Vita dei Gracchi, 8, 3-5. Attribuire una datazione precisa al tentativo di riforma di Gaio Lelio non è semplice. Alcuni propendono per il 140 a.C., anno del consolato di Gaio Lelio, altri per il 145 a.C., anno della sua pretura. A favore di una datazione al 140 a.C. si sono espressi:
P. Mucio Scevola, Q. Metello, Gaio Lelio, e, naturalmente, l'Emiliano), testimoniano una certa sensibilità dell'oligarchia, o di una parte di essa, al problema della disgregazione della piccola proprietà terriera5. Mancava, però, la volontà politica di
un'iniziativa legislativa efficace come sarà, invece, quella di Tiberio Gracco di lì a poco. Sarebbe, però, un errore identificare la graduale scomparsa della media e piccola proprietà, in Italia, con una supposta decadenza dell'agricoltura italiana. Il secondo secolo segnò invece un grande progresso per l'agricoltura della penisola, in molte parti della quale (non dappertutto però) nuove e più ricche colture – della vite, dell'ulivo, delle ortaglie – sostituirono quelle più semplici e povere, come le granarie; e ciò avveniva via via che i capitalisti e i latifondisti poterono dedicare alle colture più redditizie i mezzi necessari per impiantarle e affidarle al lavoro degli schiavi. Furono queste grandi e ricche aziende "industrializzate" che tolsero, là dove sorsero, ai piccoli proprietari la volontà e la possibilità di sostenerne la concorrenza6.
E. GABBA, Il processo di integrazione dell'Italia nel II sec. a.C., in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 279; A.E. ASTIN, Scipio Aemilianus, Oxford 1967, p. 307-10; R.T.S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, I, New York 1951, p. 464. Per il 145 a.C. propende, invece, H.H. SCULLARD, Scipio Aemilianus and Roman Politics, in "JRS" 50 (1960), p. 62 sgg. Qualcuno, invece, ha proposto il 151 a.C., anno di un ipotetico tribunato di Gaio Lelio. Secondo quest'ipotesi, a scoraggiare il tentativo di Gaio Lelio, alter ego politico di Scipione Emiliano, sarebbe stata l'approvazione in quegli stessi anni delle due leggi Aelia e Fufia. Queste, regolamentando gli auspici e il tempus legum rogandarum, conferivano, infatti, ai magistrati regolari la facoltà di bloccare tramite obnuntiatio qualsiasi atto legislativo dei tribuni non trovasse la benedizione di adeguati omina. Cfr. L. ROSS TAYLOR, Forerunners of the Gracchi, in "The Journal of Roman Studies", 52 (1962), pp. 23-24.
5 Tra i precedenti legislativi della riforma di Tiberio Gracco vale la pena accennare alle distribuzioni viritane di 7 iugeri a cittadino del 144 a.C., votate su proposta del tribuno della plebe di quell'anno, Gaio Licinio. Questi sarebbe significativamente imparentato sia con il Licinio Stolone delle leggi Licinie Sextiae del 367 a.C., sia con il moderato P. Licinio Crasso Muciano, che di lì a poco contribuirà alla redazione del programma di Tiberio Gracco. Cfr. TERENZIO VARRONE, Res Rusticae, I, 2, 9; GIUNIO MODERATO COLUMELLA, De Re Rustica, I, 3, 10.
6 Sullo sviluppo e la diffusione del latifondo nella Roma repubblicana e sulle implicazioni di tale struttura economica nella vita politica cittadina cfr M.A. LEVI, L'agricoltura italica, G. Lelio e i Gracchi, in "RAL" 9, 8 (1997), pp. 467-472; G. TIBILETTI, Sviluppo del latifondo in Italia dall'epoca graccana al principio dell'impero, (X Congresso Intern. di Scienze Storiche), Firenze 1955, pp. 259-65; IDEM, Ricerche di storia agraria romana, in "Athenaeum" n. s. 28 (1950), pp. 183-266; E GABBA, Considerazioni sulla decadenza della piccola proprietà contadina nell'Italia centro-meridionale del II secolo A.C., "Ktema" 2 (1977), pp. 269-284; IDEM, Strutture agrarie e allevamento transumante nell'Italia romana (III-I a.C.), Pisa 1979; in generale cfr. A. GIARDINA-A. SCHIAVONE (a cura di), Società romana e produzione schiavistica, I. L'Italia: insediamenti e forme economiche, Bari 1981; G. CLEMENTE, L'economia imperiale romana, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 365-384; D. J. GARGOLA, The Gracchan Reform and Appian's representation of an agrarian crisis, in De
I. 2. Il tribunato di Tiberio Sempronio Gracco
Tiberio Sempronio Gracco assunse ufficialmente la carica di tribuno della plebe il 10 dicembre del 134 a.C.. Il suo tribunato verrà ricordato come uno dei momenti più drammatici e determinanti della storia della res publica che proprio in quel 133 a.C. precipiterà, per effetto delle iniziative graccane, in una crisi politica destinata a rompere la coesione del gruppo dirigente in un conflitto tra fazioni che si protrarrà per tutto il II secolo a.C..
Esponente di una delle famiglie plebee più importanti della nobilitas romana e imparentato con personalità illustri del calibro di Scipione Emiliano e Appio Claudio Pulcro, Tiberio aveva cominciato la sua carriera politica e militare all'ombra degli Scipioni, accompagnando in Africa l'Emiliano, suo cognato, nel 146 a.C.. Nel 137 a.C. fu in Spagna come questore del console Gaio Ostilio Mancino, uomo, anche questo, legato in qualche modo agli Scipioni, almeno in passato; in quell'occasione dovette sottoscrivere coi Numantini un accordo disonorevole, poi ripudiato dal senato7. Nel corso del 133 a.C., anno del suo tribunato, Tiberio ottenne
l'approvazione di una lex Sempronia de modo agrorum, dopo averla sottoposta all'attenzione dell'assemblea popolare del comitium tributum tramite l'atto formale della rogatio. In realtà, nonostante il richiamo alle precedenti leges de modo agrorum, la lex Sempronia si configurò come una lex agraria, il cui obiettivo non si limitava alla regolamentazione del possesso e dello sfruttamento dell'ager publicus, ma prevedeva precisi meccanismi di ridistribuzione e assegnazione8. In particolare, la
Ligt, L.-Northwood, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C.-AD 14, Leiden, 2008 pp. 495-500.
7 Per Plutarco la mancata ratifica da parte del senato del trattato di pace stretto da Tiberio con i Numantini in quell'occasione avrebbe causato l'ostilita del tribuno nei confronti della nobilitas. Cfr. Plutarco, Vita dei Gracchi, 5-7. Per quanto riguarda la carriera politica di Tiberio cfr. Plutarco, Vita dei Gracchi, 1-8.4.
8 Cfr. PLUTARCO, Vita di Tiberio, 8; APPIANO, Guerre Civili, I, 32-34. Le espressioni "ἀνεκαίνιζε" e "ὑπὲρ τὸν παλαιὸν νόμον προσετίθει",in Appiano, esplicitano l'esistenza di un rapporto di continuità tra la lex Sempronia e la precedente legislazione de modo agrorum, che Tiberio Gracco avrebbe, appunto, "rinnovato" e "integrato". Nel segno di tale continuità, il tribuno del 133 a.C. avrebbe riconfermato, quindi, la medesima soglia numerica dei 500 iugera (implementatabile, adesso, fino ad un massimo di 1000), operando sulla base delle stesse finalità sociali e militari che Appiano aveva attribuito alla precedente legislazione agraria: risollevare le sorti del ceto contadino italico e romano. A proposito, invece, della novità della lex agraria di Tiberio rispetto alla precedente legislazione de modo agrorum cfr. A. LINTOTT, Political History, 146-95 B.C., in "Cambridge Ancient History", 2nd ed., IX, 3 Cambridge 1992, pp. 62-66; G.
lex stabiliva per il possesso di terre pubbliche un tetto massimo di 500 iugeri, cifra incrementabile di altri 250 iugeri per ogni figlio maschio, fino ad un massimo di 1000 in totale (250 ettari circa). Le terre in eccedenza sarebbero state espropriate e redistribuite ai nullatenenti in lotti da 30 iugeri (7 ettari circa) dietro pagamento di un vectigal. Sui fondi assegnati la lex Sempronia imponeva il vincolo dell'inalienabilità in modo da impedire ai vecchi possessores di rientrare in possesso delle terre espropriate riacquistandole dai nuovi assegnatari e vanificare, così, gli effetti della legge agraria. In compenso gli assegnatari espropriati avrebbero ricevuto un indennizzo per le migliorie apportate ai lotti recuperati al demanio, e avrebbero goduto sulle terre loro rimaste (da 500 a 1000 iugeri) di un possesso perpetuo e non più di un'occupazione precaria. Per lo svolgimento delle operazioni di recupero e ridistribuzione dei lotti la legge prevedeva l'istituzione di un'apposita commissione triumvirale (tresviri agris dandis adsignandis), successivamente trasformata in tresviri agris iudicandis adsignandis quando le fu conferito con un'altra legge anche un potere giudicante per dirimere le controversie d'ordine legale che derivavano dalla concreta applicazione della legge9.
La lex Sempronia costituiva un primo e coraggioso tentativo di affrontare, andando
TIBILETTI, Il possesso dell'ager publicus e le norme de modo agrorum sino ai Gracchi, in "Athenaeum" n. s. 26 (1948), pp. 172-236 e in 27 (1949), pp. 3-41; IDEM, Ricerche di storia agraria romana, in "Athenaeum" n. s. 28 (1950), pp. 183 ss.. Ben oltre si spinge, invece, il contributo di D. J. GARGOLA, The Gracchan Reform and Appian's representation of an agrarian crisis, in De Ligt, L.-Northwood, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C.-AD 14, Leiden, 2008 pp. 495-500. Secondo l'interpretazione del Gargola, la lex de modo agrourm ricordata in Catone, Appiano e Plutarco sarebbe da considerarsi, innanzitutto, parte delle rogationes Liciniae-Sextiae del 367 a.C. e, in quanto tale, del tutto estranea al contesto e alle finalità demografico-militari della riforma graccana. In questo modo, la novità della lex Sempronia nella storia della legislazione sull'ager publicus non solo riceverebbe una conferma, ma verrebbe messa in ulteriore rilievo proprio dall'assenza di un precedente legislativo immediatamente disponibile. Sulla questione relativa all'identificazione della lex Licinia con la lex de modo agrorum di APPIANO, Guerre Civili, I, 32-34 cfr. J. RICH, Lex Licinia, Lex Sempronia: B. G. Niebuhr and the limitation of landholding in the Roman republic, in De Ligt, L.-Northwood, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C.-AD 14, Leiden, 2008 pp. 519 sgg..
9 Livio, Perioche, 58. Appiano, Guerre Civili, I.37-38, I.46; De Viris Illustribus, 64.3. Cfr. E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 677, n. 11. Sui meccanismi di funzionamento della commissione triumvirale vedi J. CARCOPINO, Autour des Gracques, pp. 125 sgg.; G TIBILETTI, Les Tresviri A:I:A lege Sempronia, in Hommage à la mémoire de J. Carcopino, Paris 1977, pp. 277-81; J. SEIBERT, IIIviri agris iudicandis adsignandis lege Sempronia, in RSA, II (1972), pp. 53-86.
oltre i limiti delle tradizionali leges de modo agrorum, due fenomeni di importanza vitale per la sostenibilità sociale e politica dell'imperialismo romano: la proletarizzazione degli adsidui e la contrazione della piccola proprietà terriera. Era questo il fulcro del programma politico elaborato da Tiberio Gracco e da quel settore dell'aristocrazia "illuminata" che lo sostenne per gran parte del suo mandato. Di quest'ambiente "riformista" facevano parte nomi illustri come il giurista P. Mucio Scevola, console nel 133 a.C., Appio Claudio Pulcro, suocero del tribuno, e P. Licinio Crasso. Si trattava di un gruppo politico compatto, non identificabile necessariamente sulla base di legami familiari e clientelari, ma unito da una comune sensibilità nei confronti della crisi economica e sociale del ceto contadino. Con la scomparsa del miles-civis, infatti, veniva a mancare non solo la base di reclutamento dell'esercito cittadino, ma anche la pietra angolare sulla quale le istituzioni e l'ideologia repubblicane si erano fino ad allora edificate. Il programma politico di Tiberio e del suo entourage, quindi, più che un programma di "rivoluzione", fu un programma politico di conservazione e consolidamento dello Stato, di cui si intendeva arrestare la disgregazione sociale e militare10. Ciò poteva avvenire soltanto
intervenendo sull'ager publicus. I grandi latifondisti esercitavano, infatti, sulle terre appartenenti all'ager publicus un diritto di possessio e non un diritto di proprietà privata, sovrana e intangibile ex iure Quiritum. La loro si configurava come una occupatio ad uso precario, dietro pagamento a volte di un vectigal (segno tangibile della pertinenza di quelle terre al demanio pubblico). Sull'ager publicus, quindi, lo Stato romano si riservava sempre il diritto di poter intervenire come voleva, e quando ne avesse avuto intenzione, per porre rimedio alla crisi socio-economica, cautelando però il possessore da eventuali pretese ed occupazioni da parte di terzi11.
10Cfr. E. GABBA, L'imperialismo romano, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 211-13; IDEM, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 672-3; L. DE LIGT, Poverty and demography: the case of the Gracchan land reforms, in "Mnemosyne", 57 (2004), pp. 725-57; G. DE SANCTIS, Rivoluzione e reazione nell'età dei Gracchi, in «Atene e Roma», N. S., II (1921), p. 209 sgg.; E. BADIAN, Tiberius Gracchus and the beginning of the Roman revolution, in Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt", I, 1, Berlin-New York, 1972 pp. 668-731; A. LINTOTT, Political History, 146-95 B.C., in "Cambridge Ancient History", 2nd ed., IX, 3
Cambridge 1992, pp. 62-77
I. 3. Il mondo Italico e le ragioni dell'opposizione oligarchica alla
Lex Sempronia
Abbiamo visto come il progetto di riforma agraria presentato da Tiberio Gracco davanti ai comizi nel 133 a.C. puntasse a ridisegnare il panorama della proprietà terriera romana in nome di specifiche ragioni di natura socio-militare, cui neanche l'oligarchia più tradizionalista poteva restare totalmente indifferente12.
L'appello di Tiberio alla figura politica e morale del contadino-soldato, la nobile affermazione della priorità della ragion di stato sugli interessi particolari e la continuità normativa con la precedente legislazione sull'agro pubblico dovettero essere gli elementi centrali della propaganda di Tiberio e vanno interpretati nel quadro di una ben precisa strategia politica, che, con ogni probabilità, il tribuno avrà preliminarmente concordato con i suoi alleati moderati13. L'obiettivo di tale strategia
era quello di collocare l'offerta politica patrocinata da Tiberio entro i limiti rassicuranti della tradizione e smussare, così, le resistenze dei settori più diffidenti dell'aristocrazia romana14. Eppure, nonostante tali premesse, come vedremo nel
prossimo paragrafo, l'oligarchia manifesterà da subito tutta la sua ostilità alla riforma, senza indugiare a ricorrere a qualsiasi strumento legale a sua disposizione pur di bloccare la legge graccana già in sede di discussione davanti ai comizi. Inizierà così,
Roman laws, Oxford 1911; G. CARDINALI, Capisaldi della legislazione agraria del periodo graccano, in « Historia », VII (1933), p. 517 sgg.; L. ZANCAN, « Atti della R. Acc. Di Torino » 1932, p. 71-96; L. ZANCAN Ager Publicus, Padova 1935; Più recentemente: A. BURDESE, La proprietà e le proprietà nell'esperienza giuridica romana, in "Studia et Documenta Historiae et Iuris" 55, 1989, pp. 411-418; L. CAPOGROCSSI COLOGNESI, Proprietà e diritti reali: usi e tutela della proprietà fondiaria nel diritto romano, Roma 1999; A. MANZO, La lex Licinia Sextia de modo agrorum. Lotte e leggi agrarie fra il V e il IVsecolo a. C., Napoli 2001; D. J. GARGOLA, The Gracchan Reform and Appian's representation of an agrarian crisis, in De Ligt, L.-Northwood, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C.-AD 14, Leiden, 2008 pp. 495-500; D. MANTOVANI, L'occupazione dell'ager publicus e le sue regole prima del 367 a.C., in "Athenaeum" 85 (1997), 575-98; D. W. RATHBONE, The Controll and the Exploitation of Ager Publicus in Italy under the Roman Republic, in Aubert, J.-J. (ed.), Tâches publiques et enteprise privée dans le monde romain, Geneva 2003, pp. 135-78.
12 Cfr. E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 672-3.
13 Frammenti di orazioni di Tiberio Gracco sono conservati sia dal biografo Plutarco sia dallo storico Appiano: cfr. PLUTARCO, Vita dei Gracchi, 9. 4; APPIANO, Guerre Civili, I. 35-36; I. 44-46. 14 Sulla stretta collaborazione tra Tiberio e i suoi sostenitori "moderati" lungo tutti gli eventi del 133
a.C. vedi E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 672-274.
con il veto del tribuno filo-senatoriale Marco Ottavio alla rogatio di Tiberio, una paradossale parabola storica che vedrà il tribuno e la sua riforma passare gradualmente dal campo della tradizione a quello dell'eversione15.
Prima di ripercorrere, però, i momenti salienti di questa parabola occorre soffermarsi sin da adesso sulle differenti ragioni di natura corporativa, economica, politica e costituzionale che alimentarono l'immediata opposizione dell'oligarchia alla lex Sempronia. Lo spazio considerevole che riserveremo a questa analisi dipenderà non solo dall'ovvia importanza dell'argomento ai fini di una completa intelligenza dell'intera vicenda graccana, ma anche dalla profonda connessione che tale riflessione ha con l'argomento specifico della nostra indagine: i socii. Quando nelle prossime pagine ci occuperemo delle ragioni politiche dell'ostilità del senato al programma di Tiberio, saremo costretti a interrogarci, infatti, circa il grado di coinvolgimento del mondo italico nei meccanismi della riforma e, in particolare, intorno ad uno dei quesiti più discussi e centrali per la comprensione del tentativo di Tiberio Gracco: il proletariato rurale italico era incluso tra i potenziali beneficiari delle distribuzioni graccane? La nostra risposta a riguardo, lo anticipiamo sin da adesso, è affermativa16. Di ciò ci occuperemo, però, più diffusamente dopo. Intanto,
procediamo con ordine ad una prima ricognizione delle obiezioni d'ordine economico
15 PLUTARCO, Vita dei Gracchi,15; APPIANO, Guerre Civili, I. 48-49.
16 Nonostante l'opinione prevalente tra gli studiosi sia quella che limita ai soli proletari romani il diritto alle assegnazioni graccane, non sono mancate prese di posizione in tutt'altra direzione. A favore dell'ammissione dei socii alle distribuzioni della commissione graccana si sono espressi: P. A. BRUNT, Italian Manpower, 225 B.C.- A.D. 14, Oxford 1971, p. 76 n. 1; Y. SCHOCHAT, The lex agraria of 133 BC and the Italian allies, in "Athenaeum" 48 (1970) pp. 25-45 e R. S. HOWARTH, Rome, the Italians and the Land, in Historia 48 (1999), pp. 282-300.; è della stessa opinione, seppur da una posizione più cauta e prudente, E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, pp. 675-6; ben oltre si spinge, invece, J. S. RICHARDSON, The ownership of Roman Land: Tiberius Gracchus and the Italians, in "JRS" 70 (1980) pp. 1-11, il quale sostiene non solo la distribuzione dei lotti graccani ad assegnatari di origine italica e latina, ma la concessione, insieme alla terra, della civitas romana; Contro l'inclusione dei socii si sono espressi invece: H. MOURITSEN in The Gracchi, the Latins, and the Italian Allies, in "DE LIGT, L. - NORTHWOOD, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C. - AD 14, Leiden 2008, p. 471-83; E. BADIAN, Foreign Clientelae, Oxford 1958, pp. 169 sgg.; IDEM, Tiberius Gracchus and the beginning of the Roman revolution, in Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt", I, 1, Berlin-New York, 1972 pp. 668-731, in particolare pp. 700-702; D. B. NAGLE, The failure of the Roman political process in 133 BC, in "Athenaeum" 48 (1970), pp. 372-394
e procedurale che determinarono l'opposizione degli avversari di Tiberio Gracco. Innanzitutto, l'ostilità nei confronti della riforma graccana sembrerebbe nascere dall'elementare esigenza da parte dell'oligarchia romana di difendere precisi interessi corporativi. La ricca aristocrazia senatoriale che ostacolerà sin dall'inizio l'iter legislativo della riforma agraria proveniva socialmente proprio da quel mondo della grande proprietà terriera alla quale Tiberio chiedeva nel 133 a.C. enormi sacrifici in nome del mantenimento della Res Publica e della sostenibilità sociale della politica imperialistica17. Se fosse stata approvata la lex Sempronia, cosa che del resto avverrà,
c'era la possibilità che la commissione graccana richiedesse indietro proprio quelle quote di ager publicus che, una volta occupate, erano diventate ormai parte integrante dell'immenso patrimonio familiare dell'aristocrazia terriera romana e italica. Negli anni su queste terre comuni, quando non erano destinate all'allevamento estensivo, erano stati, poi, investiti considerevoli capitali per avviarvi colture a forte connessione di mercato (uliveti, vigneti) o per edificarvi case e infrastrutture necessarie alla produzione e all'alloggio dell'abbondante manodopera schiavile18.
Adesso, in nome della ragion di stato, Tiberio Gracco chiedeva a questi ricchi proprietari, seduti tra gli scranni del senato e in evidente conflitto di interessi con la materia stessa della lex Sempronia, di rinunciare all'ager publicus in eccesso, e di farlo a costo di gravi perdite economiche e patrimoniali che neanche le generose misure compensatrici contenute nella riforma avrebbero potuto evidentemente controbilanciare. Naturalmente, almeno per i cittadini romani, c'era sempre la possibilità di raggirare per vie traverse la legge, ricorrendo a escamotage già sperimentati in precedenza, per esempio parcellizando l'ager publicus tra i propri clientes, o facendo opera di ostruzionismo e confidando nella prevedibile lentezza dei lavori della commissione agraria19. Senza sottovalutare, poi, la capacità delle
17 Un collegamento esplicito tra il sacrificio degli interessi personali sull'ager publicus e la sostenibilità dello sforzo imperialistico si trova in particolare nel discorso di Tiberio Gracco rivolto ai comizi al momento della votazione della lex Sempronia :APPIANO, Guerre Civili, I. 45-46. 18 APPIANO, Guerre Civili, I. 26-31; L'utilizzo dell'ager publicus per l'allevamento estensivo è
particolarmente preso in considerazione in R. S. HOWARTH, Rome, the Italians and the Land, in Historia 48 (1999), pp. 290-91.
19 APPIANO, Guerre Civili, I.34 e I.77; Cfr. R. S. HOWARTH, Rome, the Italians and the Land, in Historia 48 (1999), p. 291.
grandi famiglie aristocratiche romane di esercitare una prevedibile pressione politica sui triumviri, che, messi alle strette, si sarebbero probabilmente accaniti sui proprietari italici, con meno peso politico e, quindi, più vulnerabili. Ciò nonostante, l'oligarchia senatoriale non poteva rischiare. La lex Sempronia costituiva pur sempre una minaccia esplicita al patrimonio e al prestigio di una specifica classe economica, e in quanto tale andava preventivamente combattuta e ostacolata.
Ma l'opposizione anti-graccana non fu solo questo. Conflitto d'interessi a parte, essa si alimentò, infatti, di più alte e avvedute considerazioni di natura economico-globale. Negli ambienti senatoriali più illuminati la prospettiva di una ricostituzione della piccola e media proprietà terriera era avvertita principalmente come contraddittoria rispetto all'andamento generale e irreversibile dell'economia italica e imperiale20. Del resto, nel II secolo a.C. doveva essere già chiaro a molti che il
modello produttivo più diffuso e vincente era ormai quello della grande azienda agricola, caratterizzata dall'impiego di grandi quantità di capitali e di schiavi e sviluppatasi per aggregazioni successive di terre di natura giuridica e provenienza diverse21. All'interno della medesima azienda, infatti, accanto alle terre di proprietà
privata ex iure Quiritum erano confluiti appezzamenti acquistati direttamente dai contadini proletarizzati, terre comuni confiscate alle comunità sottomesse e poi vendute ai privati, ma anche consistenti porzioni di ager publicus occupato e, quindi, sottoposto ad un diritto di possesso precario22. Le idee di Tiberio e dei suoi
sostenitori "moderati", quindi, per quanto aderenti ad un'ideologia conservatrice e tradizionalistica, dovevano apparire ai loro avversari anacronistiche, se non addirittura dannose per quello stesso ceto contadino che si sarebbe voluto tutelare. Enormi si prospettavano, infatti, le difficoltà cui proprio i neo-assegnatari avrebbero
20 Cfr. E. Gabba, Mario e Silla, in "Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt", I, 1, Berlin-New York, 1972 pp. 767-768; Idem, La proposta di legge agraria di Spurio Cassio, Athenaeum, n. s. 42 (1964) p. 29-41
21 Per lo sviluppo in senso "capitalistico" dell'agricoltura italica e imperiale nel II secolo cfr. supra nota 6; APPIANO, Guerre Civili, I. 26-34
22 Per una rilettura della storia dell'ager publicus e della formazione del latifondo qual è contenuta in APPIANO, Guerre Civili, I.26-34 si legga D. J. GARGOLA, The Gracchan Reform and Appian's representation of an agrarian crisis, in De Ligt, L.-Northwood, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roman Italy 300 B.C. - AD 14, Leiden, 2008 pp. 487-518.
dovuto far fronte nel tentativo di avviare alla produzione i nuovi lotti distribuiti ex lege Sempronia, specialmente, se sul mercato la concorrenza era quella dei grandi produttori, assai più competitivi per via del bassissimo costo del lavoro schiavile23.
Presto migliaia di piccoli proprietari avrebbero dovuto trovare il modo di coprire le spese per l'acquisto di sementi e attrezzature, sostenere i costi della manutenzione di infrastrutture e recinzioni e avviare le necessarie opere di bonifica. Così, per queste migliaia di patres familias si profilava all'orizzonte il rischio concreto di doversi prima indebitare e poi, trattandosi oramai di adsidui, doversi magari allontanare dal lavoro dei campi per ottemperare ai propri obblighi militari24. A tutto questo si
aggiunga l'ulteriore aggravante costituita dal fatto che, in virtù del vincolo di inalienabilità imposto dalla legge, il contadino in difficoltà e la sua famiglia, questa volta, non avrebbero neanche potuto cercare una via di scampo alla povertà vendendo il lotto assegnato. C'era, insomma, la possibilità che il recupero dell'ager publicus, oltre che essere anacronistico, innescasse da capo, come in un circolo vizioso, proprio quel fenomeno di proletarizzazione degli adsidui che la riforma di Tiberio avrebbe dovuto, invece, scongiurare.
È indicativo della fondatezza di tali obiezioni il fatto che certi argomenti siano attecchiti nel tempo anche sul fronte opposto all'oligarchia, lì dove meno ce lo aspetteremmo, cioè in seno agli stessi ambienti graccani e anti-nobiliari. Basti guardare, in particolare, all'iniziativa coloniaria patrocinata dieci anni dopo, nel 123 a.C., dal tribuno graccano Rubrio e sponsorizzata proprio dal collega C. Gracco, fratello di Tiberio. La lex Rubria, seppur ancora collocata nell'ambito di un programma ufficialmente orientato a continuare l'opera di riforma del 133, stabiliva la deduzione della colonia romana di Carthago Iunonia e, con essa, il trasferimento di manodopera contadina dall'Italia all'Africa25. In questo modo, il movimento
23 Sull'importanza del lavoro schiavile si veda APPIANO, Guerre Civili, I. 29.
24 Cfr. E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 769; Per una descrizione dettagliata delle difficoltà dei nuovi assegnatari vedi DIONIGI di ALICARNASSO, 8, 73, 5. Il passo riporta il celebre discorso di Appio Claudio contro la proposta agraria di Spurio Cassio Vecellino del 486 a.C. (lex Cassia agraria), la quale è in buona parte esemplata su quella graccana: cfr. E. GABBA, La proposta di legge agraria di Spurio Cassio, Athenaeum, n. s. 42 (1964) p. 29-41
graccano nel 123 a.C., a soli dieci anni dalla morte di Tiberio, sembra auspicare una soluzione alla questione agraria che è già in evidente controtendenza rispetto al principale obiettivo della prima politica graccana: la ricostituzione in Italia di un ceto medio contadino. Insomma, sembrerebbe proprio che il senato, puntando il dito contro l'anacronismo e l'inefficacia della lex Sempronia, cogliesse nel segno, e, così facendo, sollevasse due questioni fondamentali destinate ad essere interiorizzate, presto o tardi, dallo stesso movimento graccano26.
Queste obiezioni non sono, però, le uniche di cui si alimentò la diffidenza oligarchica. Essa dovette trarre ulteriori argomenti dall'inadeguatezza degli strumenti operativi previsti dalla riforma rispetto alla complessità degli obiettivi che questa si era prefissata. Stimare la quantità di ager publicus occupata oltre la quota dei 500 iugeri e procedere poi alla sua ridistribuzione, oltre che essere anacronistico e inutile, si annunciava come un compito più complesso del previsto. Esso esigeva, infatti, un lavoro preliminare altamente delicato e dagli ampi margini di insuccesso: stabilire con precisione all'interno del medesimo patrimonio fondiario quali lotti provenissero effettivamente da precedenti occupazioni dell'ager publicus e quali, invece, no. L'esigenza di un preliminare riconoscimento dell'ager publicus nasceva dall'eccessiva disinvoltura con la quale si era proceduto, nel corso del II secolo, all'occupazione incontrollata delle terre comuni, specialmente quelle immediatamente a ridosso delle proprietà private27. Questa libera iniziativa
personale, seppur avvenuta entro i limiti della legge, aveva, però, incoraggiato poco a poco i possessores romani e italici a considerare quell'ager publicus non più come un'integrazione del proprio patrimonio, sulla quale esercitare un mero possesso precario, ma come parte effettiva di esso28. Era successo, insomma, che l'ager
publicus, una volta occupato, venisse poi volutamente confuso con una proprietà privatà e, in quanto tale, venisse diviso nelle eredità, distribuito alle figlie come dote,
4.
26Cfr E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 685; Idem, Mario e Silla, in "Aufstieg und Niedergang der roemischen Welt", I, 1, Berlin-New York, 1972 pp. 767-768.
27APPIANO, Guerre Civili, I, 29; I,74. 28IDEM, I, 76.
utilizzato come garanzia per contrarre su di esso debiti presso i creditori, scelto come luogo di sepoltura dei propri cari, o, addirittura, venduto a terzi29. La faccenda si
complicava ulteriormente quando l'occupazione riguardava terre comuni a ridosso non di proprietà private, ma di altri lotti di ager publicus che lo Stato romano aveva precedentemente deciso di vendere a proprietari romani o italici. In quel caso si trattava, allora, di distinguere tra ager publicus occupato, e quindi confiscabile, e ager publicus regolarmente acquistato e quindi inviolabile, ma i cui titoli di proprietà erano andati spesso perduti30. Come si potrà ben immaginare, quindi, la futura
commissione triumvirale avrebbe dovuto occuparsi di una varietà di casi controversi potenzialmente sconfinata, operando, oltretutto, nella totale assenza di un vero catasto aggiornato e dei titoli di proprietà originali, che, anche quando disponibili, risultavano spesso vaghi e imprecisi. Non sarà un caso, infatti, che lo stesso Tiberio Gracco, incassata l'approvazione della lex Sempronia, correrà subito ai ripari fornendo ai tresviri gli strumenti giuridici necessari per dirimere i casi più controversi31. Che dall'esercizio di questo potere giudicante dipendesse la
sopravvivenza stessa del programma graccano era chiaro a tutti, tant'è vero che quando nel 129 a.C. l'oligarchia vorrà assestare un primo colpo alla riforma agraria, punterà a privare la commissione triumvirale proprio della competenza sui casi controversi, ottenendone l'assegnazione d'ufficio al console in carica e paralizzando di fatto le operazioni di confisca e distribuzione32.
Ma, oltre a fornirci una conferma della centralità della commissione agraria nell'impalcatura generale della riforma, questo riferimento anticipato ai fatti del 129 a.C. può tornarci adesso utile anche in altro modo. Pensiamo, infatti, che sempre da qui si possa partire per ricostruire, procedendo a ritroso, anche quelle ragioni d'ordine squisitamente politico che spinsero l'oligarchia a combattere da subito, già nel 133 a.C., la lex Sempronia.
29 IDEM, I, 39. 30 IDEM, I, 74.
31 Per la trasformazione dei tresviri A(gris) D(andis) A(dsignandis) in tresviri A(gris) I(udicandis) A(dsignandis) vedi nota n. 7.
32 Cfr. APPIANO, Guerre Civili, I, 78-87; PLUTARCo, Vita dei Gracchi, 21.4; E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 680
Sappiamo, infatti, che l'intervento oligarchico del 129 a.C. sopraccitato nacque dalle proteste della grande proprietà latina e italica alla porta di Scipione Emiliano per la violazione dei foedera stipulati da Roma con le singole comunità alleate33. Il
contenuto di tali foedera è stato oggetto di un dibattito interessante sul quale, però, avremo modo di tornare a tempo debito, quando affronteremo il tema della paternità della prima offerta della civitas romana agli alleati34. Per adesso ci basti considerare
che, se il risultato dell'intervento del 129 a.C. fu, come abbiamo avuto modo di vedere, l'esonero dei triumviri agrari dal giudizio riguardo ai casi controversi, allora è chiaro che, qualsiasi fosse il contenuto specifico di questi trattati violati, esso riguardasse i diritti di proprietà e possesso delle aristocrazie alleate. Si può facilmente immaginare come dalla tutela da parte di Roma di questi diritti derivasse un importante riconoscimento dell'egemonia sociale e politica delle aristocrazie locali nell'ambito delle proprie comunità. Se così è, il potere giudicante della commissione agraria sui casi controversi avrebbe, allora, ridimensionato pericolosamente il ruolo politico delle classi dirigenti locali, nella misura in cui avrebbe messo a repentaglio la base materiale del loro prestigio sociale ed economico: la terra35. Per procedere nel nostro ragionamento siamo obbligati, a
questo punto, a porci una domanda: chi avrebbe tratto beneficio da questo deficit politico?
Sicuramente non ne giovava l'oligarchia romana. La prospettiva di un indebolimento sociale, e quindi politico, delle classi dirigenti alleate non poteva certo sorridere a chi
33 CICERONE, Della Repubblica, 3, 41 e I, 31; APPIANO, Guerre Civili, I, 78; E. GABBA, Esercito e società nella tarda repubblica romana, Firenze 1973 p. 573; H. H. SCULLARD, Scipio Aemilianus and Roman Politics, in "JRS", 50 (1960), pp. 59-74.
34 Ci si riferisce all'interpretazione di J.S. RICHARDSON del passo di CICERONE, Della Repubblica, 3, 41. (sociorum nominisque Latini iura neglexit ac foedera). L'autore sostiene che l'infrazione dei foedera consista nell'affrancamento ad opera di Tiberio del proletariato alleato, il quale, una volta ottenuta la civitas in virtù di una presunta lex de civitate di Tiberio, si sarebbe spostato poi a Roma, mettendo in seria difficoltà le aristocrazie locali delle comunità di partenza: J. S. RICHARDSON, The ownership of Roman Land: Tiberius Gracchus and the Italians, in "JRS" 70 (1980) pp. 1-11; contra A. Keaveney, Rome and the unification of Italy, Totowa, 1987 pp. 48-50.
35 APPIANO,Guerre Civili, I, 73-77; Sull'accanimento della commissione graccana sull'ager publicus compreso nei territori delle comunità alleate vedi: E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 680; M. PANI, Potere di iudicatio e lavori della commissione agraria graccana dal 129 al 121 a.C., in AFLB, XIX-XX (1976-77), pp. 131-46.
proprio nel rapporto di fiducia e di solidarietà con quest'ultime vedeva la condizione minima e necessaria per l'egemonia politica di Roma sulla società italica. Anzi, l'intervento di Scipione Emiliano del 129 a.C. va interpretato come esplicitamente rivolto a ripristinare lo status politico delle aristocrazie latine e italiche, restituendo valore ai foedera stipulati tra queste e Roma36. Pensiamo, invece, che i primi
beneficiari di quel deficit sociale e politico vadano individuati altrove: nel proletariato rurale italico e nel movimento graccano. Il primo, beneficiando delle distribuzioni graccane, contrariamente a quanto molti pensano, si sarebbe trovato in condizione di sottrarsi al rapporto di subordinazione clientelare che lo aveva legato alle classi aristocratiche locali; il secondo, invece, si sarebbe imposto a Roma come la forza politica cui avrebbe guardato con riconoscenza l'enorme bacino di consenso politico del proletariato rurale romano e italico. Possiamo concludere, quindi, che nel 129 a. C. l'oligarchia romana, limitando le prerogative dei triumviri agrari, abbia tentato di scongiurare il concretizzarsi di un preciso scenario politico, nel quale all'indebolimento dell'egemonia delle classi dirigenti alleate per effetto della riforma agraria sarebbe seguito il rafforzamento a Roma di una componente politica di natura esplicitamente anti-oligarchica, quella graccana. Non c'è motivo di escludere che tale scenario, seppur avesse assunto caratteri di concretezza storica solo nel 129 a.C., fosse stato ampiamente previsto dall'oligarchia romana molto prima di quell'anno, sin dai tempi della prima candidatura di Tiberio Gracco al tribunato del 133 a.C37.
36 Nel corso del II secolo a.C., il governo romano intervenne più volte su richiesta stessa degli stati alleati per ristabilire l'ordine in contrasti tra fazioni interne alla medesima comunità. Per esempio, nel 174 a.C. Roma intervenne manu militari a Padova per reprimere una seditio provocata da un certamen factionum (LIVIO, 41, 27, 3-4) e riportare al potere l'oligarchia filo-romana locale. Anche gli interventi legislativi del 187, 177 e 173 a.C., seppur volti a controllare e ridimensionare il fenomeno migratorio in Italia, vanno intesi come diretti a garantire la stabilità sociale, e quindi politica, delle comunità alleate (LIVIO, 39, 3, 4-6; ibid., 41, 8, 6-12). Non è casuale, che anche in quell'occasione siano le aristocrazie latine e italiche stesse a richiedere l'intervento romano, preoccupate di non poter provvedere al reclutamento ex formula togatorum. Roma, quindi, ponendosi come garante dell'ordine sociale e dell'egemonia politica delle classi dirigenti locali, costruisce le basi della sua supremazia politica e militare in Italia: cfr. U. Laffi, Il sistema di alleanze italico, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 284-304
37 Seppur non totalmente condivisibile, particolarmente felice ci sembra l'analisi di R. S. HOWARTH sulle conseguenze d'ordine politico dell'applicazione della riforma graccana. Lo studioso, in particolare, parla di "an increase in the clientelae of Tiberius'faction" come effetto prevedibile ("predictable results") delle ridistribuzioni di ager publicus a beneficio del proletariato rurale sia
Procedendo a ritroso a partire dal 129 a.C., quindi, siamo finalmente risaliti alle ragioni d'ordine politico che alimentarono l'opposizione dell'oligarchia romana e che avevamo annunciato sin dall'inizio di questo paragrafo. La questione dell'ager publicus, prima ancora dell'approvazione della lex Sempronia, rischiava di mobilitare migliaia di proletari in tutta la penisola e rimescolare, così, gli equilibri interni della società romana e italica in favore di un solo gruppo politico o, peggio, di un solo uomo: Tiberio Sempronio Gracco.
Per arrivare a una tale conclusione abbiamo dovuto dare per scontata, però, l'ammissione del proletariato rurale alleato alle distribuzioni graccane. Adesso è giunto il momento di rimediare e giustificare adeguatamente questa nostra scelta di campo di fronte ad una delle questioni più discusse della vicenda graccana.
Innanzitutto, siamo convinti che un programma politico che nel 133 a.C. avesse voluto realmente porre rimedio all'indebolimento progressivo delle capacità di reclutamento militare romane non potesse guardare esclusivamente alla composizione delle legioni romane. Infatti, esso avrebbe dovuto occuparsi anche, se non soprattutto, della difficoltà ormai crescente con la quale le comunità alleate mettevano a disposizione di Roma quei contingenti auxiliarii che da soli costituivano nel II sec. a.C. quasi i due terzi dell'intera macchina bellica romana38. La società
latina e italica, infatti, non era stata di certo risparmiata da quegli stessi fenomeni di proletarizzazione della piccola proprietà contadina di cui abbiamo già parlato all'inizio di questo capitolo39. Sappiamo che all'inizio del II secolo Roma provvide a
romano che alleato. Fu il timore per questo enorme bacino di consenso a schierare da subito l'oligarchia romana contro Tiberio e i suoi sostenitori "moderati". Tuttavia, ci sembra, un'esagerazione escludere dall'orizzonte mentale dell'oligarchia anti-graccana qualsiasi altra considerazione d'ordine economico-globale: Cfr. R. S. HOWARTH, Rome, the Italians and the Land, in "Historia" 48 (1999), pp. 282-300.
38 Diversamente, H. MOURITSEN ha suggerito di recente che le finalità demografiche e militari della riforma graccana riguardassero esclusivamente le legioni di cives dell'intera armata romana. Obiettivo principale delle distribuzioni graccane sarebbe stato, quindi, quello di reclutare nuovi adsidui e riequilibrare le proporzioni tra soldati di cittadinanza romana e socii all'interno delle armate. Solo con un esercito composto per la maggior parte di cives romani, secondo lo studioso, Roma avrebbe avuto qualche speranza di mantenere la propria supremazia militare e politica sull'Italia: cfr. H. MOURITSEN in The Gracchi, the Latins, and the Italian Allies, in "DE LIGT, L. - NORTHWOOD, S.J. (edd.), People, Land and Politics: Demographic Developments and the Transformation of Roma Italy 300 B.C. - AD 14, Leiden 2008, p.477.
punire con una serie di confische gli alleati che avessero collaborato con il nemico durante le guerre annibaliche, provocando un aumento della disponibilità di ager publicus. Questo venne messo in vendita, affittato o messo a disposizione dell'occupazione libera anche degli alleati, che, naturalmente, al pari dei Romani, non esitarono ad approfittarne40. Fu sulla terra che le classi mercantili italiche e latine
reinvestirono gli enormi capitali ricavati dallo sfruttamento delle nuove possibilità di guadagno che l'impero offriva.41
Sappiamo anche che il secondo secolo fu per Latini e Italici anche un periodo di estrema mobilità non solo in tutto il bacino del Mediterraneo ma anche in tutta la penisola. In più occasioni, nel 187, nel 177 e nel 173 a.C. migliaia di socii si spostarono da comunità italiche a comunità latine e da queste ultime verso colonie romane o a Roma stessa nella speranza di un miglioramento delle proprie condizioni economiche42.
Ma l'intensità e i numeri di questo fenomeno migratoro messi in combinazione con l'aumento dell'ager publicus non autorizzano a ipotizzare per quegli anni, come qualcuno ha fatto, un più vantaggioso rapporto tra terre disponibili e popolazione nelle comunità di partenza, individuando, quindi, nella mancanza di uomini, e non di terra, la debolezza del mondo italico e latino ("shortages of men, not land" )43. È vero
40 Cfr. P. A. BRUNT, Italian Manpower, 225 B.C.- A.D. 14, Oxford 1971, pp. 278-84; U. LAFFI, Il sistema di alleanze italico, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 286-87; G. TIBILETTI, Sviluppo del latifondo in Italia dall'epoca graccana al principio dell'impero, X Congresso Intern. Di Scienze Storiche, Firenze 1956 pp. 259-65; E. GABBA, Strutture agrarie e allevamento transumante nell'Italia romana (III-I a.C.), Pisa 1979 pp. 38-43.
41 Sulla propensione all'investimento terriero della classe mercantile italica e latina cfr. E. GABBA, Rome and the Italy: the Social War, in Cambridge Ancient History, 2nd ed., IX, 4, Cambridge 1992,
p. 107. Per quanto riguarda, invece, l'aumento dei traffici tra l'Italia e le province cfr. M. H.CRAWFORD, Coinage and Money under the Roman Republic, London 1985, pp 339-40.
42 LIVIO, 34, 42; ibid., 39, 3, 4-6; ibid., 41, 8, 9; ibid., 42, 10, 15; Cfr. A. Keaveney, Rome and the unification of Italy, Totowa, 1987 pp. 46-52; A. J. TOYNBEE, Hannibal's Legacy, vol. II, Oxford, 1965 pp. 139-40. Discussioni sul problema possono essere trovate in E. T. SALMON, Roman colonisation from the second punic war to the Gracchi, in "JRS" 26 (1936), pp. 55-7; M. Humbert, Municipium et Civitas sine suffragio, Rome 1978 pp. 115-116. Cfr. anche U. LAFFI, Il sistema di alleanze italico, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 294-98. Per quanto riguarda, invece, la partecipazione di Latini e Italici a quel grandioso fenomeno dell'emigrazione di massa dal Centro e dal Sud della Penisola verso le province d'Occidente nel II sec. a.C. cfr. A. J. N. WILSON, Emigration from Italy in the Republican Age of Rome, Manchester, 1966.
semmai il contrario. È proprio una migrazione di massa di questo tipo che lascia presupporre, infatti, una mancanza di terra nelle comunità di partenza. In queste ultime, l'enorme disponibilità di ager publicus dovette innescare naturalmente un processo di concentrazione dell'ager publicus nelle mani di pochi latifondisti e, quindi, un conseguente processo di proletarizzazione della classe contadina. Altrimenti, perchè migrare?
Quel poco che le fonti ci concedono di sapere sulla situazione nel mondo italico alla vigilia dell'esperienza graccana suggerisce, quindi, un quadro tutt'altro che stabile, e caratterizzato, piuttosto, dalla combinazione di tre chiari fattori di crisi: occupazione progressiva e concentrazione dell'ager publicus; impoverimento e proletarizzazione della classe contadina; migrazione di massa alla ricerca di status giuridici differenti. Tutto questo metteva in crisi le capacità di reclutamento ex formula togatorum delle comunità alleate ed esponeva le classi dirigenti locali al pericolo delle severe sanzioni romane. Basti ricordare, a tal proposito, la durissima reazione di Roma quando tra il 209 e il 204 a.C. dodici colonie latine non riuscirono a fornire i contingenti richiesti44
Alla luce di tutto questo, poteva Tiberio Gracco nel 133 a.C. non porre anche il proletariato italico e latino al centro del suo programma di restaurazione sociale e militare della Res Publica? La nostra risposta è ovviamente no: Italici e Latini dovettero necessariamente beneficiare delle distribuzioni graccane tanto quanto i proletari romani.
L'attenzione di Tiberio verso il mondo extra-romano si può intravedere, poi, alle origini stesse del suo impegno politico e, in particolare, nelle parole con le quali Caio Gracco racconterà il viaggio del fratello verso la Spagna qualche anno prima della candidatura al tribunato. Durante questo viaggio il futuro tribuno del 133 sarebbe rimasto particolarmente colpito, sempre secondo il racconto del fratello,
Rome would logically relieve pressure on Italian land resources". Così si legge in R. S. HOWARTH, Rome, the Italians and the Land, in "Historia" 48 (1999), pp. 287.
44LIVIO, 29, 15, 6-10; DIONE CASSIO, 17, fr. 57-70; A. BERNARDI, Nomen Latinum, Pavia 1973, pp. 97-98; U. LAFFI, Il sistema di alleanze italico, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 285-7; G. TIBILETTI, Ricerche di storia agraria romana, in «Athenaeum» N. S., 28 (1950) pp .190-1.
dalla visione delle migliaia di schiavi che erano impiegate nei latifondi dell'Etruria a discapito dei lavoratori liberi locali. Come possiamo vedere, il riferimento è esplicitamente rivolto alle difficoltà di sopravvivenza di un proletariato libero etrusco, e non certo romano. Sarebbe alquanto strano, quindi, che nel momento in cui Tiberio elabora la sua sensibilità nei confronti delle condizioni misere del ceto contadino la sua attenzione cada su quel proletariato rurale non romano che lui stesso avrebbe escluso, secondo alcuni, dal suo progetto di risanamento demografico e militare45. Anche la tradizione appianea, poi, trattando del tribunato del 133 a.C.
attesta chiaramente la partecipazione straordinaria di elementi provenienti dalle campagne di tutta Italia tanto alle contiones pre-elettorali quanto ai dibattiti immediatamente precedenti alla presentazione della rogatio davanti ai comizi46.
Questa partecipazione in massa di elementi extra-romani ai fatti del 133 a.C. non è spiegabile, però, se li si identifica esclusivamente con i membri delle aristocrazie alleate accorse a Roma in difesa dei propri interessi. I numeri di questa presenza devono farci supporre, invece, che la fonte appianea alluda in questo caso proprio alle migliaia di proletari latini e italici riversatisi nell'Urbs in quanto direttamente interessati dalle eventuali (ancora non si era votato) distribuzioni graccane. Sempre Appiano ci dice, poi, che Tiberio, una volta ottenuta l'approvazione della lex Sempronia, venne scortato a casa da una folla di sostenitori "quasi fosse il fondatore non di una città o di una stirpe, ma di tutti i popoli che vi erano in Italia"47.
Recentemente è stato suggerito che sui toni italici della tradizione appianea relativa al tribunato di Tiberio Gracco possa aver avuto una sua influenza l'operetta propagandistica di C. Gracco dedicata al tribunato del fratello e poi andata perduta48.
Secondo questa tesi, Caio Gracco avrebbe proceduto ad una "rivisitazione" in chiave italica della politica di Tiberio che, invece, sarebbe stata totalmente indifferente alla galassia degli alleati latini e italici. Ponendo su una medesima linea di sviluppo i
45 PLUTARCO, Vita dei Gracchi, 8, 4. Per una ricognizione essenziale delle posizioni relative alla questione dell'esclusione o meno dei socii dai programmi di riforma graccani cfr. supra nota 16. 46 APPIANO, Guerre Civili, I, 41-42;
47 APPIANO, Guerre Civili, I, 13, 8-9: "[...] οἷα δὴ κτίστης οὐ μιᾶς πόλεως οὐδὲ ἑνὸς γένους, ἀλλὰ πάντων, ὅσα ἐν Ἰταλίᾳ ἔθνη"
48 F. RUSSO, Il motivo della consanguinitas tra Romani e Italici nella propaganda graccana, in "Atene e Roma", nuova serie seconda, 4 (2010), 3-4, pp. 178-196.
tribunati dei due Gracchi, tale rivisitazione sarebbe arrivata ad anticipare al tribunato del 133 a.C. toni e contenuti che meglio si adattavano, invece, alla politica di Caio in favore dei socii. Il riferimento alla consaguineità tra Italici e Romani attribuito dalla tradizione appianea a Tiberio, per esempio, apparirebbe, addirittura,come un segnale di disponibilità del tribuno a concedere la civitas romana agli alleati49. In realtà, esso
sarebbe esemplato su un precedente riferimento di Scipione Emilano del 129 a.C. e, quindi, sarebbe stato costruito a posteriori da C. Gracco nel preciso tentativo di trasformare la questione dell'affrancamento quasi in un fatto di famiglia50.
A nostro avviso, questa tesi ha il merito di aver fornito ulteriori argomenti utili a stralciare dalle intenzioni politiche di Tiberio Sempronio Gracco la concessione della civitas ai socii, misura che, invece, rientrerà nella strategia del movimento graccano solo a partire dal 125 a.C.51.
Nonostante ciò, ci sembra che questa ricostruzione incorra comunque in un altro errore quando esclude qualsiasi rapporto tra la lex Sempronia e le sorti del proletariato rurale latino e italico52. Crediamo, infatti, che anche la più sofisticata
delle manipolazioni a fini propagandistici debba pur sempre fare i conti con i contenuti della memoria collettiva, soprattutto quando quest'ultima riguarda eventi piuttosto recenti. Insomma: come poteva Caio Gracco reinventarsi un Tiberio
49 APPIANO, Guerre Civili, I, 35;
50 Ci riferiamo, qui, alle celebre risposta ("Taceant....quibus Italia noverca est" ) con la quale Scipione Emilano avrebbe reagito alle proteste del popolo, che poco aveva gradito il suo giudizio a proposito dell'uccisione di Tiberio Gracco (is iure eum caesum videri): VELLEIO, II, 4,4; VALERIO MASSIMO, VI, 2, 3; DE VIR. ILL., 58; In realtà, una seconda, e più attendibile, versione dell'aneddoto sarebbe in PLUTARCO, Moralia, 201 f.. In Plutarco, Scipione reagirebbe alle proteste del proletariato romano per il trattamento privilegiato che il vincitore di Numanzia avrebbe riservato agli Italici nel 129 a.C., facendo riferimento al concetto positivo della consanguinitas tra Romani e Italici per insultare gli avversari. Cfr. F. RUSSO, Il motivo della consanguinitas tra Romani e Italici nella propaganda graccana, in "Atene e Roma", nuova serie seconda, 4 (2010), 3-4, pp. 193-4.
51 Il merito d'aver per la prima volta proposto la concessione della civitas ai socii spetta al console graccano del 125 a.C., Fulvio Flacco: APPIANO, Guerre Civili, I, 152; Cfr. A. Keaveney, Rome and the unification of Italy, Totowa, 1987 pp. 46-52; Contra J. S. RICHARDSON, The ownership of Roman Land: Tiberius Gracchus and the Italians, in "JRS" 70 (1980) pp. 1-11
52 Lo studioso, dovendo esprimere un giudizio complessivo sul programma politico di Tiberio, parla di "provvedimenti che danneggiavano soprattutto gli Italici, almeno nelle loro élite". Da qui, nascerebbe, secondo lo studioso, la necessità di Caio Gracco di intervenire a ricucire i rapporti tra la memoria del fratello e il mondo alleato. Cfr. F. RUSSO, Il motivo della consanguinitas tra Romani e Italici nella propaganda graccana, in "Atene e Roma", nuova serie seconda, 4 (2010), 3-4, p. 181 e 196.
"fondatore [...]di tutti i popoli d'Italia" dal nulla e risultare credibile agli occhi dei socii53? Gli alleati, infatti, nel 123 a.C. dovevano avere un ricordo del programma
politico di Tiberio troppo nitido per non scorgere immediatamente l'artificialità della rappresentazione di Caio Gracco e renderla, così, politicamente inutile. Siamo convinti, invece, che, se vi fu una rivisitazione in chiave italica dell'operato di Tiberio, essa dovette basarsi su un fondo di realtà concreto. Insomma, quando Caio Gracco anticipa al tribunato del fratello le proprie intenzioni in materia di cittadinanza sa di poter effettuare questa forzatura nella misura in cui può contare proprio sul ricordo dell'attenzione di Tiberio verso il mondo alleato, e non certo sulla sua indifferenza. È solo a questa condizione che l'operazione propagandistica di Caio poteva sperare di avere successo.
Siamo convinti, quindi, che nonostante le forzature in senso italico subite dalla tradizione appianea si possa concludere che Tiberio Gracco, senza mai arrivare a pensare alla civitas, abbia cercato comunque di risolvere le difficoltà demografiche e militari romane partendo dal basso della piramide sociale latina e italica. L'inclusione del proletariato rurale alleato nelle distribuzioni graccane non solo è più che ammissibile, ma spiegherebbe il permanere nella memoria collettiva degli alleati di un ricordo positivo del tribunato del 133 a.C., che Caio Gracco poteva poi abilmente deformare ad uso e consumo della sua propaganda.
I. 4. Il 133 a.C.: un anno di scontri politici.
Nel paragrafo precedente abbiamo passato in rassegna le diverse ragioni d'ordine corporativo, economico e politico che spinsero l'oligarchia a schierarsi immediatamente contro Tiberio Gracco e la riforma sin dai primi mesi del suo tribunato. Strada facendo, la nostra riflessione ci ha portato a interrogarci intorno al grado di coinvolgimento del mondo alleato negli eventi del 133 a.C.: il focus della nostra ricerca.
Adesso, invece, procederemo ad un'analisi dei momenti cruciali della lotta politica che s'innescò a Roma in quel 133 a. C., raccontando quello spostamento verso il
campo eversivo che, abbiamo detto, caratterizzò l'intero mandato di Tiberio.
Quando gli avversari del tribuno indussero Marco Ottavio, un altro membro del collegio tribunizio e uomo leale al senato, a porre il veto alla rogatio del collega, la reazione di Tiberio fu spiazzante. Egli oppose, infatti, al diritto di veto, strumento di interposizione ben consolidato nella prassi istituzionale romana, il principio della "sovranità popolare", principio non del tutto nuovo al pensiero politico romano, ma estraneo alla prassi costituzionale consolidata. In virtù di tale principio, il popolo poteva deporre un suo rappresentante qualora questi non avesse agito nel suo interesse54. Tiberio ottenne, così, la destituzione di un tribuno prima della scadenza
del suo mandato e contro il diritto di questi a completare il suo anno di carica prima di dover render conto del proprio operato. È questo forse il primo degli espedienti se non illegali, quanto meno irrituali che procureranno al tribuno l'approvazione del suo piano di riforme, ma gli guadagneranno anche quel carattere eversivo sul quale sapranno fare leva gli avversari di parte oligarchica per isolarlo ed eliminarlo a tempo debito55. Destituito Ottavio, la lex Sempronia venne approvata dai comizi in
un clima di straordinaria pressione politica dovuta alla presenza, fuori e dentro l'assemblea, di elementi appartenenti al proletariato rurale romano e alleato, richiamati a Roma dalle opportunità nuove che quella legge offriva56. La
commissione triumvirale, composta da Tiberio Gracco, il fratello, Gaio, e il suocero, Appio Claudio, fu incaricata di procedere alla requisizione del suolo demaniale da recuperare e alla sua nuova distribuzione in lotti. In questa fase il controllo dei comizi era tale che il tribuno non esitò a ricorrere per la seconda volta al principio della "sovranità popolare". Ciò avvenne in occasione della morte del re di Pergamo Attalo III il quale aveva designato il popolo romano come unico erede del suo regno
54 Per quanto riguarda il racconto sulla deposizione del tribuno Marco Ottavio e la giustificazione di Tiberio in un contraddittorio con Tito Annio Lusco cfr. APPIANO, Guerre Civili, I, 51-54; PLUTARCO, Vita dei Gracchi, 15; A. GUARINO, L'abrogazione di Ottavio, in "AAN", 81 (1970), pp. 236-66. Per quanto riguarda, invece, la presenza nel pensiero politico romano di una prerogativa del potere tribunizio compatibile con il principio di cui si avvalse Tiberio in quell'episodio Cfr. POLIBIO, 6, 16, 4-5; C. NICOLET, Polybe, in Histoires, VI, Paris 1997, la nota a p. 152
55 Cfr. E. GABBA, Il tentativo dei Gracchi, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 672-676.
e del suo tesoro57. Stavolta l'obiettivo di Tiberio era sottrarre al senato la gestione dei
beni pergameni per affidarla al popolo romano riunito nei comizi tributi. Era, questa, una mossa audace che, se da un lato costituiva una evidente e pericolosa ingerenza nelle competenze senatorie, permetteva, dall'altro, a Tiberio di poter finanziare il suo piano di riforme. Anche questa volta Tiberio ebbe la meglio e i comizi votarono la sua proposta58. Si può notare, sin da adesso, come l'approvazione della lex Sempronia
costituisse, da un punto di vista procedurale e politico, una vera e propria prova di forza del tribuno e inaugurasse il ritorno del tribunato della plebe a quel ruolo di contraltare "negativo" della politica del senato cui da anni aveva abdicato. Infatti, negli episodi relativi alla deposizione di Ottavio e alla gestione dell'eredità di Attalo III il ricorso reiterato e senza precedenti al principio della sovranità popolare non solo disattivava il meccanismo dell'interposizione del veto, attraverso il quale la nobilitas aveva esercitato fino ad allora un controllo indiretto sull'attività comiziale, ma sottraeva al senato sfere di competenza tradizionalmente ad esso riservate, come la politica estera. In questo modo si apriva la strada alla costituzione di un rapporto personale, e fuori dal controllo del senato, tra personalità carismatiche come Tiberio e le istituzioni comiziali, che in virtù del principio della sovranità popolare venivano investite di una centralità politica nuova e tutta a discapito del senato. A ciò si aggiunga, poi, che il tribuno puntellava questa ritrovata centralità dei comizi e del tribunato della plebe con il ricorso, fuori e dentro l'assemblea, ad un enorme bacino di consenso sul quale l'oligarchia romana e italica non aveva più alcuna presa: il proletariato rurale romano e alleato59. Da questa prospettiva il tribunato di Tiberio
dovette apparire all'oligarchia senatoria come una reale minaccia all'equilibrio istituzionale della Res Publica e al rapporto di solidarietà tra Roma e le oligarchie alleate. Può non essere un caso, in tal senso, che, in occasione dei disordini che porteranno qualche mese dopo all'eliminazione fisica di Tiberio, i suoi avversari non
57 Era, questa, una prassi di cui già si era avuto qualche esempio: E. GABBA, L'imperialismo romano, in Storia di Roma, A. Momigliano – A. Schiavone (edd.), Torino, 1990, vol. II, tomo 1, p. 189-233
58 PLUTARCO, 14; LIVIO, Periochae, 58; FLORO, 1, 35, 2; Curiosamente, Appiano non riporta l'episodio.