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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE 1. Oggetto dell’indagine

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Academic year: 2021

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CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE

1. Oggetto dell’indagine

In ogni società, che sia rurale o tecnologica, ogni individuo ha un impatto negativo sull’ambiente. La popolazione e l’economia, infatti, traggono dalla terra aria, acqua, alimenti, materiali e combustibili fossili, provocando a livello ambientale degrado ed inquinamento. La crescita di qualunque natura, economica o demografica, lascia un’impronta sull’ambiente: ogni persona ha dei legami con altre persone che comportano consumo di energia, ogni processo produttivo è legato a flussi di materiali ed energia i quali a loro volta producono inquinamento. Questo è il contesto e il presupposto in cui a partire dagli anni ’80 si è assistito a un’evoluzione delle politiche ambientali in cui rientra la tassazione ambientale, come mezzo di intervento diretto nell’ambito degli strumenti economici per la tutela ambientale. Negli anni ’70 la transizione dell’economia italiana alla fase industriale indusse il legislatore ad aprire la c.d. questione ambientale, così, tramite concetti, princìpi e modelli in ambito internazionale, comunitario e nazionale si è tentato di costruire una nuova nozione di ambiente, la quale ho rilevato avere una duplice matrice costituzionale. Nella Costituzione “esterna” il principio ambientalista si afferma progressivamente fra il Trattato di Roma (1957) ed il Trattato di Lisbona (2007), attraverso le tappe intermedie dell’Atto unico europeo (1986), del Trattato di Maastricht (1992) e del Trattato di Amsterdam (1997), producendo inevitabilmente manifestazioni sul diritto comunitario derivato e sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Con riferimento alla Costituzione italiana, la giurisprudenza costituzionale – a partire dagli anni ’70 – promuove

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l’ambiente a “bene giuridico” attraverso il combinato disposto degli artt. 2 e 3, 2° comma, degli artt. 9 e 32 e nel quadro delle competenze dell’art. 117. Proprio a partire dagli anni ’70 le politiche ambientali entrano nel circuito della fiscalità, focalizzando il dibattito, appunto, sull’utilizzo ambientale della fiscalità. Originariamente le politiche ambientali si sostanziavano negli strumenti di command and control, che prevedevano processi di regolazione legislativa ed amministrativa attraverso i quali venivano stabiliti degli standard tecnici e prescrizioni giuridiche per la limitazione delle emissioni e conseguentemente dei danni ambientali (fase di command) a cui contestualmente erano legati processi di monitoraggio e sanzionatori (fase di control).

Tuttavia, le misure rivolte alle attività produttive incidevano in modo indiretto e limitato sulle abitudini della popolazione. Per questo motivo, per incoraggiare pratiche e processi a minor impatto ambientale, progressivamente ‒ oltre alle misure giuridiche e amministrative ‒ si fece ricorso agli strumenti di mercato: tributi, sussidi, canoni, permessi negoziabili, ecc. . L’utilizzo di tali misure – ritenute maggiormente flessibili ed efficienti – furono raccomandate dall’Unione europea nel sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, nella rinnovata strategia comunitaria a favore dello sviluppo sostenibile ed infine nel trattato di Lisbona anche nell’ottica della crescita e dell’occupazione.

Alla luce di questa doverosa ricostruzione retrospettiva e dell’ampiezza delle questioni e degli interrogativi evocati dalla tematica oggetto di indagine, da lungo tempo al centro di un animato dibattito sia tra la dottrina che nelle aule dei tribunali, mi sono dovuto imporre una rigorosa selezione degli aspetti da trattare e, inevitabilmente, una qualche rinuncia.

La prima scelta che ho dovuto porre in essere è stata quella di sacrificare la rilevanza giuridica che l’ambiente ha acquisito a partire

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dal Trattato di Roma, dando per scontati, quindi, i princìpi fondamentali delle politiche ambientali: il principio di integrazione, il principio di prevenzione e correzione del danno ambientale alla fonte, il principio “chi inquina paga” ed il principio di precauzione. Allo stesso modo, data la scarsa rilevanza per la materia tributaria, ho rinunciato all’indagine dei vari strumenti a presidio dell’ambiente tra i quali gli strumenti di comando e controllo (standards, autorizzazioni, sanzioni), gli strumenti di mercato (accordi volontari, eco-gestione ed eco-audit, permessi negoziabili di inquinamento) e gli strumenti indiretti come gli incentivi, i premi e gli aiuti alle imprese.

La seconda scelta è stata quella di contenere la ricostruzione della disciplina giurisprudenziale per concentrarmi sui profili critici della tassazione ambientale, infatti, sia a livello di diritto interno che di quello europeo, si riscontrano i seguenti più rilevanti problemi:

 innanzitutto, quale sia una corretta nozione giuridica di tributo ambientale;

 quale giustificazione tale tipo di tributo abbia in termini di capacità contributiva;

 infine, come esso vada inquadrato nel sistema del federalismo fiscale, con particolare riferimento ai tributi regionali e locali definiti “di scopo”.

La scelta del tema si è basata sulla mia personale convinzione che le tematiche ambientali debbano prepotentemente rientrare nel dibattito politico ed economico. Infatti, la questione più controversa della politica internazionale recente è quella della lotta ai cambiamenti climatici, che gli Stati esigono perseguire con la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera. In specie, pochi mesi fa, il Governo Usa ha ritirato la propria adesione all’Accordo di Parigi, motivando tale scelta con l’eccessiva penalizzazione che tali patti determinano allo sviluppo, al progresso, al rafforzamento ed alla

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prosperità. Gli interventi mirati alla riduzione dell’impatto ambientale, dunque, sono percepiti contrastanti alle dinamiche espansive dei cicli economici, in quanto sono coincidenti con la modifica dei comportamenti dei consumatori, con la riduzione dei volumi di produzione, o con l’impiego e, quindi, con l’investimento di tecnologie che permettono di impiegare le risorse in modo più efficiente. Al fine, dunque, di conseguire gli obiettivi ambientali sempre più coordinati nelle legislazioni sovranazionali, gli Stati dispongono di variegati strumenti fiscali per indurre gli operatori ad assumere un comportamento più compatibile con le finalità di tutela dell’ambiente; senza considerare le numerose misure tributarie che prevedono un vantaggio fiscale qualora si effettuano interventi finalizzati a una migliore fruizione degli stock energetici. La modesta utilizzazione di tali prelievi, caratterizzati da una relazione diretta, casuale, fra il presupposto e l’unità fisica (emissioni inquinanti, risorsa ambientale, bene o prodotto) che produce o può produrre un danno ambientale, mi ha spinto ad approfondire tale tematica e, quindi, a concludere il mio percorso di studi universitari.

2. Struttura della tesi e metodologia d’indagine

L’elaborato è strutturato in tre capitoli nei quali cercherò di analizzare le origini ed i fondamenti della tassazione ambientale così come si sono sviluppati sia in sede internazionale che europea, con particolare attenzione alla legittimità costituzionale e alle competenze multilivello dei tributi ambientali nel nostro sistema interno.

Nel primo capitolo analizzerò l’evoluzione del tributo a carattere ambientale, partendo dalla sua definizione. Secondo l’OCSE erano da considerare strumenti economici per la salvaguardia ambientale “tutte quelle misure che incidono sulle scelte tra diverse alternative

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tecnologiche e di consumo, attraverso la modificazione delle convenienze in termini di costi e benefici privati”. Originariamente, dunque, il tributo ambientale era apprezzato in via residuale come una delle numerose misure dirette a consentire una internalizzazione delle esternalità ambientali e sostanzialmente a gravare sul costo degli inquinanti (con imposte sulla fabbricazione o sul consumo) al fine di condizionare le scelte dei consumatori verso comportamenti e decisioni maggiormente sostenibili. In questi termini farò notare come al tributo fu riconosciuta sostanzialmente una finalità politico-sociale, ovvero, una finalità extrafiscale esterna al suo presupposto.

Nel prosieguo del primo capitolo analizzerò, poi, l’evoluzione che la nozione di tributo ambientale ha avuto in sede comunitaria, la quale genererà un netto distacco rispetto a quella internazionale. In particolare mi sono soffermato sul travagliato passaggio da tributi ambientali con funzione ambientale a tributi ambientali propri. La Commissione europea, infatti, evidenziando la necessità di un eco-tributo, affermò che una tassa rientra nella categoria delle tasse ambientali se l’imponibile è un’unità fisica (o un suo sostituto o derivato) di qualcosa di cui si abbia prova scientifica di effetti negativi sull’ambiente quando è usato o rilasciato. Il tributo ambientale in senso stretto deve essere caratterizzato dalla relazione diretta e casuale fra ambiente ed uno degli elementi costitutivi del tributo, comunemente il presupposto, che deve sostanziarsi in un’unità fisica potenzialmente in grado di produrre un danno ambientale sopportabile e reversibile. Tale nozione, tuttavia, come spiegherò ed evidenzierò nel prosieguo, appare difficilmente compatibile con il principio della capacità contributiva, data la difficoltà di individuare nel mero fatto inquinante espressione di una capacità valutabile economicamente, per tale motivo ho cercato di valutare se e con quali

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modalità possa rientrare il fattore ambientale fra gli elementi costitutivi del tributo.

A conclusione del primo capitolo mi sono concentrato sulla tassazione ambientale nel panorama interno con particolare attenzione al problema della nozione di capacità contributiva intesa nel senso più pregnante di capacità economica qualificata per stabilire se l’unità fisica che determina o può determinare un danno ambientale possa essere costituzionalmente assunta a presupposto del tributo ai sensi dell’art. 53 Cost. e cioè come fatto, atto o situazione esprimente una ricchezza economica attuale e concreta.

Negli ultimi anni, come afferma Ago, l’approccio comunitario dell’ambiente ha seguito una strategia trasversale e ad ampio raggio, nell’intento, da una parte, di promuovere e coordinare diversi obiettivi socioeconomici (ambiente, politica energetica, lavoro, ecc.), dall’altro, di utilizzare svariati strumenti di intervento al fine di diversificare l’azione a tutela dell’ambiente. In questo contesto la politica fiscale ha assunto un’importanza significativa, al punto che, oggigiorno è considerata lo strumento potenzialmente più efficace nella tutela ambientale. Data, dunque, la diffusione di tale strumento nei vari Stati europei, nel secondo capitolo ho ritenuto opportuno dedicare ampio spazio al tema dell’armonizzazione e coordinamento delle normative tributarie. Quindi, dato che qualsiasi prelievo interno, a qualsiasi livello di governo deve necessariamente tener conto dei vincoli posti dal rispetto dei princìpi a base della politica fiscale europea ho ritenuto opportuno l’esame, appunto, di tali princìpi, fra cui il divieto di introdurre dazi doganali e tasse di effetto equivalente, il divieto di discriminazione fiscale ed il divieto di aiuti di Stato. In particolare ho svolto una valutazione in merito alla legittimità degli eco-tributi dal punto di vista interno ed europeo e come la fiscalità ambientale debba essere plasmata in relazione ai suddetti principi.

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Ho deciso di concludere il secondo capitolo con un’analisi della potestà legislativa in materia di fiscalità ambientale alla luce del nuovo Titolo V della Costituzione, concentrando la mia attenzione sulle problematiche di un decentramento della fiscalità ambientale nell’ottica del federalismo fiscale.

Nel terzo capitolo, infine, ho esaminato le diverse fattispecie poste in essere ai vari livelli di Governo. In primo luogo, i tributi sulle emissioni, posti in essere a livello statale, di seguito le imposte di fabbricazione e consumo ambientali, di cui ho ritenuto opportuni ricordare la fattispecie soppressa dell’imposta di fabbricazione sui sacchetti di plastica. Dopodiché, ho trattato i prelievi ambientali “erariali regionali”, tributi disciplinati dallo Stato il cui gettito è devoluto in tutto in parte alle Regioni. Infine, per quanto riguarda le fattispecie a carattere locale mi sono soffermato sull’imposta di scopo ed in particolare sull’imposta di soggiorno, la quale si presta ad essere un ottimo volano per l’economia dei territori a vocazione turistica e di copertura dei costi prodotti dalle esternalità negative causate dai flussi turistici.

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