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Capitolo 4 Applicazione della Carta di Roma: chi vigila sul rispetto delcodice?

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Capitolo 4

Applicazione della Carta di Roma: chi vigila sul rispetto del codice?

Le parole, in sé, significano poco o niente. Conta “come” vengono usate Gian Antonio Stella, “Parole e razzismo. Il contesto che fa la differenza”

Il lavoro dell’Associazione Carta di Roma: le “Linee guida per l’applicazione della Carta di Roma”

L’associazione Carta di Roma, che porta lo stesso nome del codice deontologico su migranti, richiedenti asilo, rifugiati e vittime della tratta del giugno del 2008, è stata creata nel 2011 dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e dalla Federazione Nazionale della Stampa insieme a una ventina di organizzazioni della società civile che lavorano sui temi della migrazione e dell’asilo e che vede impegnati come invitati permanenti anche l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) e l’UNHCR, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati.

L’obiettivo dell’Associazione è favorire per il giornalismo italiano il raggiungimento di alti livelli di qualità in sintonia con il panorama europeo, cercando di andare oltre la prevalenza del linguaggio allarmistico che lo ha caratterizzato negli ultimi tempi, linguaggio in verità smentito dai numeri reali, al fine di riappropriarsi del diritto e dovere deontologico

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del riportare la realtà nel rispetto di tutti i soggetto coinvolti, “ la Carta di

Roma è un sistema di regole elementari, quasi ovvie. Che non ha, nè può avere la pretesa di incidere sulle linee editoriali (...) è un codice di regole che può essere facilmente rispettato anche da quanti hanno una visione politica addirittura ostile agli immigrati “ 1.

Nel giugno del 2012 al Protocollo deontologico del 2008 si sono aggiunte le “Linee guida per l’applicazione della Carta di Roma” a cura di Anna Meli, un libretto di ventitré pagine che si propone come strumento di lavoro per interpretare i princìpi contenuti nel codice deontologico. Il testo nasce dalla collaborazione tra FNSI e l’agenzia di stampa Redattore Sociale nell’ambito del progetto UNAR2 “Realizzazione iniziative di

sensibilizzazione per operatori dell’informazione”. Le linee guida

contengono raccomandazioni su come parlare di immigrazione nelle pagine di cronaca, le precauzioni da tener presenti nell’intervistare richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti e l'attenzione necessaria nel riportare dichiarazioni politiche, statistiche e i sondaggi d'opinione. Il testo sottolinea l’importanza e la necessità della presenza dei giornalisti stranieri all’interno delle redazioni che aumentino la possibilità di avere notizie originali, garantiscano il pluralismo delle voci e forniscano un punto di vista diverso, sottolineando come la limitatezza di fonti e la prevalenza di quelle istituzionali facciano scomparire la voce dei 1 Cit. “Non un giornalismo buono ma un buon giornalismo”Di G.M.Bellu , Notizie alla deriva,

secondo rapporto annuale, Associazione Carta di Roma, pag 9

2 Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali istituito presso la Presidenza del Consiglio,

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protagonisti immigrati o di chi gli è più vicino, come associazioni gruppi ed esperti. In questo senso risulta fondamentale includere tra le fonti esperti di origine straniera, ambasciate e consolati sia per aumentare la possibilità di avere notizie originali sia per accrescere la pluralità di commenti al fine di avere una rappresentazione bilanciata dei fatti.

Uno dei modi per perseguire tale scopo potrebbe essere, oltre a quello di includere nelle redazioni giornalisti di origine straniera, anche quello di accrescere le competenze interculturali di quelli italiani. Nel testo una particolare attenzione è riservata ai media locali che ricoprono un ruolo strategico nel plasmare la percezione degli stranieri da parte dell’opinione pubblica. I media locali, inevitabilmente più vicini ai cittadini e al territorio, sono infatti in grado di proporre una più attenta conoscenza del fenomeno migratorio e delle espressioni culturali e sociali delle piccole comunità straniere che risiedono nel territorio. In verità i media locali, a causa delle scarse risorse economiche di cui dispongono, soffrono la precarietà lavorativa dei giornalisti e gli organici ridotti caratteristiche che comportano un inferiore tasso di specializzazione e uno scarso potere contrattuale nonché ben poca autonomia, requisito necessario per una maggiore vigilanza in tema di discriminazione. Particolare attenzione inoltre è da prestare all’utilizzo di statistiche sulla criminalità, spesso accompagnate da editoriali e interviste che mostrano quanto siano dilaganti i crimini ad opera di stranieri.

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lettura propagandistica di questi ultimi:

“I sondaggi di opinione sul senso di insicurezza degli italiani, che con

quasi cadenza mensile appaiono sui mezzi di informazione, e in diversi casi sono direttamente commissionati da questi, mettono a tema preferibilmente l’argomento della criminalità, o della criminalità straniera, già nella formulazione delle domande e sono usati per sostenere “l’emergenza sicurezza” ben al di là di ciò che effettivamente possono mostrare (dai media, dalla politica e dagli stessi istituti di ricerca”3.

Particolare attenzione dunque si raccomanda nella pubblicazione di dati e sondaggi individuando anche esperti in grado di fornire diverse interpretazioni sui dati pubblicati. L’interpretazione di dati statistici infatti non è per nulla scontata ed i dati sulla criminalità straniera e italiana non sono facilmente confrontabili a causa delle diverse caratteristiche socio-demografiche dei due gruppi, dell’esistenza di reati che solo gli stranieri possono commettere, ad esempio la non ottemperanza al decreto di espulsione, e dei diversi percorsi giuridico-penali che caratterizzano le due popolazioni, come ad esempio la frequente impossibilità per uno straniero di godere delle misure alternative alla custodia cautelare in carcere.

Nei sondaggi e nelle interviste raccolte sul territorio il testo raccomanda di considerare anche i cittadini di origine straniera residenti considerandoli come parte integrante del pubblico di riferimento.

3 Marcello Maneri “I media creano panico” in Lunaria (a cura di) Rapporto sul razzismo in

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Parlare di minoranze, non zingari ma rom e sinti

"Cosa farei io al posto di Alfano e Renzi? Raderei al suolo tutti i campi rom" Matteo Salvini, Mattino 5, 8 aprile 2015 "Inquietante" Laura Boldrini "Frasi stupide" Vaticano

Un'ampia trattazione è dedicata nelle Linee guida al linguaggio: “In Italia

negli ultimi anni (...) ha preso il sopravvento un lessico “politicamente indirizzato”, divenuto regola non scritta della professione. (…) Non si tratta quindi di imporre regole e parole studiate a tavolino, ma di riappropriarsi del diritto/dovere di raccontare la realtà nel rispetto di tutti, sfuggendo a canoni non scritti – anche lessicali – imposti dall’uso e, questi sì, fortemente costrittivi”4.

Il documento non si spende al fine di imporre regole o parole studiate a tavolino ma raccomanda di attenersi al diritto/dovere di raccontare la realtà nel rispetto di tutti evitando di utilizzare termini stigmatizzanti (quali ad esempio zingaro, clandestino, nomade, badante, vu cumprà) e di fornire informazioni imprecise, sommarie o distorte. Particolare attenzione viene dedicata alla trattazione dell’argomento “nomadi” a seguito anche del rammarico espresso dalla Commissione Europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) nel rapporto del febbraio 2012 5 per la mancanza di una specifica trattazione di alcuni gruppi minoritari specifici

4 Linee-guida per applicazione della Carta di Roma, pag 15 5 ECRI- quarto rapporto sull’Italia-febbraio 2012

http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ecri/country-by-country/italy/ITA-CbC-IV-2012-002-ITA.

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all’interno della Carta di Roma, spesso descritti in maniera molto negativa e stigmatizzante dai media. In questo senso Le linee guida offrono indicazioni specifiche per la trattazione delle minoranze rom e sinti a partire da un quadro generale della loro presenza in Italia, indicando una stima della loro presenza in quantità compresa tra le 120mila e 150mila persone, ovvero uno 0,25% della popolazione, per metà cittadini italiani. La realtà delle persone rom è una realtà decisamente eterogenea composta da cittadini italiani, europei, migranti regolari e irregolari. Queste le definizioni proposte6 dalle Linee guida per parlare di queste popolazioni:

ZINGARI: E’ il termine più comunemente utilizzato per descrivere le

persone rom e sinte. Nonostante sia un eteronimo, che queste comunità percepiscono perlopiù come offensivo, ‘zingari’ è ancora molto usato ad ogni livello, dalla lingua parlata della quotidianità, al discorso pubblico e politico. Anche se i termini corretti – come rom e sinti – sono oggi più presenti all’interno dei media di quanto non fossero in passato, ‘zingari’ compare ancora di frequente in gran parte dei media, che spesso non sono coscienti della connotazione peggiorativa di questo termine.

NOMADI:Il maggior stereotipo, che ha per altro condotto alla creazione di

politiche istituzionali scorrette, è quello relativo al nomadismo con la creazione, appunto, dei “campi nomadi”. Spesso capita che la “teoria del nomadismo” venga usata ancora oggi al fine di fornire una forma di legittimazione culturale alla marginalizzazione di rom e sinti all’interno dei

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campi. “Un effetto perverso di questo uso scorretto è la derivazione “campi nomadi”, che fa pensare a luoghi adatti a gruppi umani che si spostano continuamente e quindi a una forma di insediamento tipica di quelle popolazioni e in qualche modo ‘necessaria’ ma la realtà non è affatto questa. In Europa l’Italia è conosciuta come ‘il paese dei campi’ per le sue politiche di segregazione territoriale; solo una piccola parte dei sinti e dei rom residenti in Italia non è sedentaria. Parlare di nomadi e campi nomadi è quindi improprio e fuorviante, ha esiti discriminatori nella percezione comune e ‘conferma’ una serie di pregiudizi diffusi in particolare nella società italiana”.

ROM E SINTI: Anziché ‘zingari’ e ‘nomadi’, è consigliabile utilizzare gli

autonomi, ossia i termini che le persone appartenenti a queste minoranze etnico-linguistiche e culturali usano per definire se stesse: rom, sinti, kalé, ròmanichals, manouche o altri ancora. I termini più corretti sono, quindi, rom e sinti, a seconda che si stia parlando di uno o dell’altro popolo, cui aggiungere eventualmente le specifiche nazionalità. Esistono, infatti, rom rumeni, italiani, bosniaci, ungheresi...mentre i sinti residenti in Italia sono nella grande maggioranza dei casi italiani. A livello internazionale il termine più usato per riferirsi alla globalità dei gruppi è ‘roma’ o ‘rom and sinti’ così come indicato dall’OSCE nella decisione N.03/03: “Piano d’Azione per migliorare la situazione dei rom e dei sinti nell’area OSCE”, adottata a Maastricht il 2 dicembre2003 dal Consiglio Dei Ministri.

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amministrativa di tali insediamenti: “campi attrezzati a sosta”, cui aggiungere eventualmente, a seconda dei casi specifici, “per sinti italiani”, “per rom” ecc. La sottolineatura che il testo propone è necessaria a fronte di uno scarso rispetto delle regole deontologiche nei confronti di tale minoranza per cui l’appartenenza etnica di chi commette fatti di cronaca e talmente evidenziata da portare ad un’ etnicizzazione del reato stesso7, che ricade inevitabilmente sull’intera comunità, come se si trattasse di una “responsabilità penale collettiva”8.

“Notizie fuori dal ghetto”: primo rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma

Nel dicembre 2013 viene presentato il primo rapporto dell’Associazione Carta di Roma intitolato “Notizie fuori dal ghetto” realizzato da una rete di università italiane che fanno parte dell’Osservatorio che hanno svolto un monitoraggio sulle prime pagine della stampa quotidiana nazionale, su alcune testate locali e sulle tv nazionali (Rai e Mediaset). Il quadro che emerge da questo primo lavoro descrive come, nonostante il linguaggio sia migliorato e i media si sforzino di fare dei passi in avanti, abbandonando epiteti come “vù cumprà” per parlare di immigrati l’approccio al tema immigrazione non sia ancora corretto: si tende infatti a privilegiare i fatti 7 37. E. Rizzin e A. Bertellini, “Istigazione all’odio razziale e discriminazioni nel discorso

pubblico italiano dai rapporti di ricerca alle cause strategiche”, in P.Bonetti, A. Simoni e T. Vitale (a cura di). La condizione giuridica di rom e sinti in Italia, Giuffré, 2011

8 A regola d’Art3, Menzogne e pregiudizio di Eva Rizzin, newsletter n°4/2011.

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di cronaca nera, permane l’etnicizzazione delle notizie, si parla molto poco delle donne e quando lo si fa le si descrive come vittime, deboli o succubi delle tradizioni e famiglie patriarcali.

Nel corso del 2012 l’immigrazione è stata protagonista delle prime pagine per 800 volte, con una media di 2 notizie al giorno, ma «l’argomento

prevalente è stata la cronaca di nera, soprattutto sulle testate locale. Persiste la cattiva abitudine di sottolineare la nazionalità di chi commette il fatto criminoso», ha spiegato Marinella Belluati, dell’Università di

Torino all’incontro di presentazione del Rapporto, svoltasi il 16 dicembre 2016 a Roma presso la Camera dei Deputati. Nel 2012 crescono, rispetto ai precedenti studi, le notizie legate alla società: si parla maggiormente di questioni demografiche, lavoro, economia e istruzione e nel dibattito politico prevale il dibattito sullo ius soli, mentre diminuiscono le notizie di cronaca nei quotidiani italiani. Il Messaggero e il Resto del Carlino dedicano il 50% degli articoli sull’immigrazione alla cronaca nera, fino al 60% sulla Gazzetta del Mezzogiorno. La nazionalità dell’immigrato viene specificata in prima pagina nel 32% dei casi, il 59% delle volte riferiti a episodi di cronaca nera. Molto spesso si parla di sbarchi o di questioni religiose, ma vengono riportate anche notizie legate a episodi di razzismo: nel 42% dei casi sono episodi di cronaca nera, nel 15% inerenti commenti o affermazioni di forze politiche e nel 13% connessi al mondo del calcio. In televisione i figli degli immigrati conquistano la scena diventando protagonisti di appelli e racconti delle difficoltà maggiori che incontrano rispetto ai propri coetanei autoctoni. Il velo, attraverso anche la narrazione di queste storie, acquista un nuovo significato diventando il simbolo di giovani ragazze attive nel

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rivendicare i propri diritti e non più il simbolo di straniere oppresse e passive. Nel caso della trattazione di notizie riguardanti minorenni, circa il 13% del totale delle notizie apparse in prima pagina, ha sostanzialmente rispettato la Carta di Treviso, un protocollo regolativo della rappresentazione dei minori da parte dei giornalisti.

Nell’anno precedente alla strage di Lampedusa i flussi migratori vengono descritti unicamente con riferimento al fenomeno degli sbarchi sulle coste del Sud Italia a partire dalla cosiddetta “primavera araba”9 del 2011. Il tono usato è decisamente allarmistico e spesso viene sottolineato il dato numerico del fenomeno che innesca nella società italiana la paura dell’invasione. Nel 2011 in 36 articoli campionati compare l’associazione tra le parole “Lampedusa” ed “emergenza” 46 volte, trasformando l’isola in una sorta di presidio strategico nella lotta all’immigrazione clandestina. Il 2012 si configura come un anno di passaggio dall’attenzione dedicata ai flussi migratori innescatisi a seguito delle rivolte del Nord Africa verso nuova sensibilità frutto delle tragedie del 2013 e il discorso di Papa Francesco a Lampedusa.

Il focus tematico 2012: donne migranti e informazione televisiva

Il Focus tematico 2012, a cura di Gaia Farina, si occupa della trattazione di un tema di attualità di notevole rilevanza ovvero la rappresentazione della componente femminile del fenomeno migratorio nei mezzi di informazione. L’indagine svolta si arricchisce dell’analisi di alcuni studi di 9 La stagione di rivolte popolari che ha condotto alla fine di regimi politici dittatoriali in Nord

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caso utili a comprendere come la figura della donna immigrata rimanga confinata ad alcune categorie stereotipiche come la vittima di crimini di matrice culturale o impegnata in lavori di cura come la badante.

Il lavoro della ricercatrice si delinea dunque come un’analisi qualitativa svolto su materiale di archivio delle Teche Rai e negli archivi on line del Centro di ascolto dell’informazione radiotelevisiva, in particolare vengono esaminati i servizi delle edizioni serali. Le donne migranti nell’informazione televisiva sembrano ancora relegate alla cronaca nera, in particolar modo ad articoli riguardanti prostituzione e violenza contro le donne, o legate al concetto di cura quando si parla di lavoro.

Nell’informazione si registra una rappresentazione minoritaria del genere femminile: delle notizie prese come campione il 53% riguarda prevalentemente uomini, il 30% entrambi i generi e solo il 17% esclusivamente donne. I femminicidi di donne straniere, commessi da uomini di origine immigrata, sono in generale interpretati dai telegiornali come “omicidi culturali”, riducendo in questo modo la spiegazione con il riferimento alla cultura di origine della donna e dell’omicida. Nel caso in cui la vittima sia italiana questa viene presentata riferendo molti particolari biografici mentre ciò non accade quando la donna è di origine straniera: in tal caso non si realizza nessuna intervista ai conoscenti della vittima, vicini o conoscenti. Nella ricerca sono stati presi in esame i servizi delle edizioni pomeridiane e serali dei telegiornali delle reti Rai e Mediaset che si sono occupati a vario titolo di donne immigrate, prendendo in

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considerazione sia i testi che le immagini che accompagnavano i servizi. Nei servizi di cronaca analizzati sono principalmente tre i temi in cui le migranti sono protagoniste: prostituzione e tratta, crimini e violenze contro le donne e sbarchi. Nel caso delle donne prostitute scarseggiano i racconti della biografia delle stesse e sui percorsi che le hanno portate in Italia mentre la provenienza nazionale è spesso il solo attributo che le identifica e le immagini, che sono molto evocative, mostrano spesso donne vestite in modo succinto. Nel caso delle donne immigrate vittime di violenza, queste sono spesso rappresentate come succubi delle tradizioni o dell’ autorità patriarcale, in modo da attribuire alle loro origini culturali religiose o nazionali o dei carnefici le cause dei delitti. Nelle notizie relative agli sbarchi non manca mai la precisazione della presenza di donne e dei bambini utilizzati per aumentare il grado di interesse umano della notizia. Nel dibattito relativo alle seconde generazioni si parla spesso di ius soli mentre parlando di lavoro non si registrano servizi in cui si parli di donne straniere impegnate in professioni qualificate, ad eccezione di quello dal tg2 del 29 ottobre che racconta la storia del primo avvocato donna di origine cinese.

“Notizie alla deriva”: secondo rapporto annuale, dell’Associazione Carta di Roma, dicembre 2014

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pubblicato il secondo rapporto annuale “Notizie alla deriva” contenente dati, spunti di riflessioni e analisi anch’esso ottenuto monitorando il tema dei migranti e la sua presa in considerazione dai mass media italiani. L'Associazione Carta di Roma e i referenti della Rete delle Università hanno svolto un lavoro di indagine nel quale hanno rilevato i tratti principali con cui soprattutto le prime pagine dei quotidiani italiani rappresentano la figura dei migranti e dei rifugiati in riferimento all’anno 2013, utilizzando dal punto di vista metodologico modalità di rilevazione ed elaborazione riferibili prevalentemente all'analisi del contenuto, all'analisi critica del discorso e alla frame analysis.

L’indagine si suddivide in due parti: la prima parte propone una nuova analisi quantitativa di tutte le prime pagine di quattro quotidiani (in particolare due quotidiani generalisti a maggiore diffusione Corriere della

Sera e La Repubblica e due rappresentativi di due correnti

ideologicamente opposte Il Giornale e L’Unità).L’analisi procede con il confronto tra il dato derivante dall’analisi della stampa nel 2013 e quella effettuata nel 2012.

Per il 2013 il campione oggetto di analisi si compone di 501 notizie su migranti e minoranze con una presenza quasi raddoppiata di tali temi rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto il notevole incremento nella copertura di tali argomenti è da ricollegarsi principalmente alla presenza di un numero di “storie seguite a lungo10”, come ad esempio gli

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insulti a sfondo razzista rivolti all’allora Ministro all’Integrazione Cécile Kyenge, alla tragedia di Lampedusa, allo scandalo del Cie di Lampedusa e all’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie di un dissidente politico kazako, decisamente rare invece nell’anno 2012.

Le conclusioni cui porta questa prima analisi quantitativa permettono di avanzare alcune considerazioni di tipo generale:

• La rappresentazione dei migranti nel campione di testate scelto è caratterizzato da apertura, ovvero la tendenza ad assumere un atteggiamento positivo;

• Non si registra una netta prevalenza di notizie di cronaca nera nelle prime pagine dei quotidiani nazionali;

• Permane la rappresentazione prevalentemente passiva di migranti e minoranze come vittime di migrazioni subite e di violenza o come beneficiari di un qualche trattamento;

• Rimane presente nel 2013 anche uno squilibrio di genere che vede gli individui di sesso maschile maggiormente presenti sulle prime pagine rispetto a quelli di sesso femminile;

Infine si nota una concomitanza dei due caratteri di passività e apertura dove i discorsi sociali passivizzanti risultano maggiormente utilizzati nel caso di una rappresentazione positiva.

La seconda parte del rapporto, che sviluppa un’analisi di tipo qualitativo, presenta come focus tematico il tragico naufragio del 3 ottobre 2013 in cui centinaia di richiedenti asilo hanno perso la vita.

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seguito alcune modalità ben precise in ogni testata, la grandezza e la risonanza di questo evento rompe gli schemi e si sviluppa, a partire dal 3 ottobre 2014, una copertura continuativa dell’evento11: il dibattito politiche che segue il naufragio, l’introduzione dell’operazione Mare Nostrum, il racconto di episodi di vita di vittime e sopravvissuti fanno sì che il l’argomento sia presente sulle prime pagine dei quotidiani per molti giorni a seguire. Sul 72% delle edizioni di quotidiani esaminate (252) dall’Università di Torino, Lampedusa è presente in prima pagina, affermandosi come notizia di primaria importanza, nonostante la notevole rilevanza di alcune notizie di cronaca politica, come la condanna di Silvio Berlusconi e la discussione sulla Legge Finanziaria. I quotidiani che se ne occupano tuttavia non riescono ad offrire ai propri lettori un approfondimento tematico utile mentre si dedicano maggiormente alla drammatizzazione delle vicende personali dei migranti e al dibattito politico intorno alla Legge Bossi-Fini12. Ecatombe, strage, tragedia, apocalisse, vergogna, orrore, sono le parole protagoniste dei titoli del giorno dopo. Nei giorni successivi si sviluppa una fase simbolica13

caratterizzata da dichiarazioni e visite dei personaggi istituzionali e una

fase regolativa in cui si è maggiormente dibattuto dell’aspetto legislativo,

l’abolizione del reato di clandestinità, l’avvio dell’operazione Mare Nostrum e in seguito il potenziamento del programma Frontex.

11 cit. Notizie alla Deriva, secondo rapporto annuale, Associazione Carta di Roma, pag 14 12 Legge 30 luglio 2002, n. 189

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Il focus tematico 2013: il naufragio di Lampedusa e i talk show italiani

La commozione ipocrita e in favore di telecamera di rappresentanti istituzionali, funzionari di ambasciate,(...) conduttori di telegiornali che stasera,(...)non diranno “clandestini”, come se il lutto avesse il potere di aggiustare, per pudore, il linguaggio. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia

Il Secondo rapporto annuale dell’Associazione Carta di Roma si avvia verso la conclusione prendendo in considerazione la trattazione della tragedia del 3 ottobre di Lampedusa attraverso l’analisi dei talk show di sette emittenti televisive nazionali generaliste (Rai, Mediaset e La7), in particolare sono state monitorate 22 trasmissioni televisive dedicate all’evento interamente o in parte, andate in onda tra il 3 e il 23 ottobre. Il talk show è un particolare format televisivo in cui il motore narrativo è l’interazione ideologica tra soggetti diversi, che ricoprono ruoli più o meno istituzionalizzati e che si scambiano parole (Ruggiero 2014) all’interno di uno spazio predefinito. Al termine della discussione nell’arena televisiva a farla da padrone è sempre il senso comune, nel senso anglofono di

common sense, inteso come senso comune della realtà ((Ruggiero 2014a),

cioè una serie di assunti che non necessitano né di spiegazione né di dimostrazione, in quanto condivise e legittimate in sé.

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semantica del lutto e del cordoglio accostata al dibattito politico, che tuttavia appare meno polarizzato e meno incline alla contrapposizione tra diversi schieramenti ideologici.

Questi sono i giorni della decadenza da Senatore di Silvio Berlusconi ed il tema trova ampio spazio di discussione nelle trasmissioni televisive che non si occupano esclusivamente di Lampedusa nelle quali gli ospiti chiamati a partecipare ai talk show ed esprimere le proprie opinioni sono gli stessi per entrambi i temi, al di là di specifiche competenze o interessi. Argomento trasversale alle diverse puntate è il riferimento ad un diverso ruolo dell’Europa , spesso accusata di non assistere l’ Italia : “L’Europa va investita, va riformata la Convenzione di Dublino, fare la voce grossa su questo” (Frantoianni-Sel , Agorà 4 ottobre), “Le politiche europee sono disumane” e “L’Europa e il nostro paese non posso più permettersi di ricevere morti” (Nicolini-sindaco di Lampedusa, Agorà 4 ottobre e Matrix 11 ottobre), “è un fenomeno epocale che richiederebbe misure eccezionali, ma l’Europa è restia”(Mauro, Ministro della Difesa, Servizio Pubblico 4 ottobre), “l’Europa era silente, ci volevano 300 morti per far sì che si accorgesse della tragedia che si sta vivendo dalle nostre parti” (Vespa, Porta a Porta 7 Ottobre). Molto rilevante ai fini del dibattito è il continuo richiamo alla figura di Papa Francesco, in visita a Lampedusa l’8 luglio 2013, ed il suo riferimento alla dimensione dell’accoglienza con la promozione dell’utilizzo di termini come “migranti”, “profughi”, “rifugiati” rispetto a termini più stigmatizzanti come “clandestino”o “irregolare”.

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Molte delle trasmissioni esaminate usano il racconto di testimoni per offrire un punto di vista interno alla tragedia, ad esempio la puntata di Otto e mezzo del 3 ottobre manda in onda la testimonianza del mediatore culturale nei centri per richiedenti asilo Tareke Brhane, che attraverso il racconto del suo viaggio della speranza porta all’attenzione del pubblico molti aspetti spesso poco trattati. Il mediatore illustrerà le motivazioni che lo hanno spinto ad intraprendere il viaggio verso l’Italia (“non avevo scelta”, “non ci sono alternative”), il ruolo ambiguo di alcuni trafficanti, talvolta carnefici, talvolta disperati pure loro, ed in questo modo il

migrante si trasforma in una soggettività che fornisce un racconto ma anche delle chiavi interpretative e la questione degli sbarchi si trasforma

in una piccola porzione di una immensa tragedia umanitaria in atto14.

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Il testo ravvisa nella generalità dei talk show della televisione nazionale un forte orientamento nello sposare il tema della drammatizzazione e in alcuni casi del pietismo nei confronti dei migranti che diventato spesso “poveretti”, “disperati”e “profughi”.

Di particolare interesse è l’analisi del ruolo dei conduttori televisivi dei talk show presi in esame come “attivatori di sotto-temi” che viene presentata all’interno del Rapporto Notizie alla deriva. Nell’analisi in questione si sottolinea la presenza sia di elementi riferibili ai doversi stili dei conduttori o al format del programma sia di elementi direttamente riferibili al modo

di porsi degli ospiti, per lo più politici, rispetto all’evento specifico del naufragio15.

Nel caso della trasmissione Porta a Porta del 3 ottobre si innesca una particolare dinamica nel corso della quale il conduttore, Bruno Vespa, tende ad inserire la Legge Bossi-Fini come tema dirimente16 in modo da

innescare il dibattito tra gli opposti schieramenti; tuttavia gli ospiti tendono ad ignorarlo e spostare la discussione su altri piani, come quello del dramma umano, le politiche europee e la facoltà di accoglienza dei siciliani, lampedusani in particolare.

Di impronta più decisiva sulla tematizzazione della discussione appare invece Michele Santoro che, nella puntata di Servizio Pubblico del 4 ottobre, stabilisce temi, tempi e frame interpretativi del racconto. Nel caso 15 cit. Notizie alla Deriva, secondo rapporto annuale, Associazione Carta di Roma, pag 87 16 cit. Notizie alla Deriva, secondo rapporto annuale, Associazione Carta di Roma, pag 87

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di Santoro si registra una supremazia argomentativa che si riflette nelle risposte degli ospiti che prendono parte alla discussione, che si sentono indirizzati a restare all’interno del frame da alcune dichiarazioni molto esplicite del conduttore che nell’editoriale di apertura afferma “cosa sono

state queste persone per tanti governi in questi anni? Soltanto un nemico e basta, un problema da scaricare sulla gente di Lampedusa e basta”;

“come poteva chiedere aiuto all’Europa il paese di Bossi?” ed ancora “ma

non c’è sproporzione enorme tra come vengono trattati i cosiddetti clandestini in Italia, con la mancanza di strutture adeguate e l’impotenza nei confronti dei trafficanti?(…)” .

Terzo ed ultimo esempio riportato nel testo è quello dello stile di conduzione di Gerardo Greco che nel corso della puntata di Agorà tenta più volte di tenere ben distinti i due argomenti trattati nel corso della trasmissione, il naufragio di Lampedusa e la decadenza di Berlusconi. Il conduttore spiega ai suoi telespettatori “ se oggi fosse stata una giornata

diversa , avremmo parlato della decadenza di Berlusconi”. Greco si

adopera per tutta la puntata per evitare di far scivolare il dibattito sulla polemica LegaNord vs Ministro Kyenge e a conclusione della discussione affronta la questione proprio con la Kyenge. Il conduttore usa nel corso della puntata una chiave empatica parlando dei nostri morti che sono la

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Il lavoro di vigilanza dell’Associazione 21 luglio per la tutela dei diritti della comunità rom e sinti

L’Associazione 21 luglio è un’organizzazione non profit che si occupa della promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia, attraverso la tutela dei diritti dell’infanzia e la lotta contro ogni forma di discriminazione e intolleranza. L’associazione si adopera per il rispetto dei princìpi della Convenzione Internazionale di New York sui diritti dell’infanzia. L’Associazione 21 luglio si è costituita a Roma il 6 aprile 2010 ed è iscritta al Registro UNAR delle associazioni e degli enti che svolgono attività nel campo della lotta alle discriminazioni. Nei primi sei mesi del 2015, l’Osservatorio nazionale sui discorsi d’odio nei confronti di rom e sinti dell’Associazione 21 luglio ha rilevato 183 casi di hate speech (discorsi d’odio) contro tali comunità, con una media di quasi un episodio al giorno. Secondo i dati semestrali relativi al periodo 1 gennaio – 15 luglio 2015, oltre la metà degli episodi riscontrati (105 su 183) viene classificata come “gravi“, con casi di incitamento all’odio e alla discriminazione, i cui autori sono nella maggior parte dei casi esponenti politici attraverso dichiarazioni sulla stampa e sui social media. Gli altri 78 episodi rilevati si configurano invece come “discorsi stereotipati“, categoria nella quale confluiscono tutti gli episodi di discorsi d’odio consistenti in dichiarazioni che adottano un linguaggio non esplicitamente penalizzante e/o razzista, ma reiterano e amplificano pregiudizi e stereotipi penalizzanti. «Nonostante il lieve calo

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riscontrato nella media giornaliera dei discorsi d’odio nei primi sei mesi del 2015, quella dell’ antiziganismo in Italia resta una piaga pericolosa, una minaccia reale per una società democratica, plurale e inclusiva sulla quale occorre mantenere alta la guardia –spiega l’Associazione 21 luglio – la facilità con cui i discorsi d’odio rivolti a rom e sinti trovano terreno fertile nel nostro Paese ha come conseguenza, infatti, quella di rendere sempre più accettabili e condivisibili, da parte dell’opinione pubblica, posizioni estreme e penalizzanti nei confronti di tali comunità, contribuendo così ad alimentarne un’immagine negativa e stereotipata17».

Nell’analisi dei dati di tale ricerca va sottolineato che rispetto all’ultimo rapporto annuale dell’Osservatorio 21 luglio, si è registrato un leggero calo nella media giornaliera dei discorsi d’odio contro rom e sinti. Tra il 16 maggio 2013 e il 15 maggio 2014, infatti, l’Osservatorio aveva registrato ben 428 casi complessivi, per una media di 1,17 casi al giorno. Nel trattamento degli episodi rilevati sono state 40 le azioni correttive intraprese dall’Osservatorio tra gennaio e luglio 2015, tra cui segnalazioni all’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali), lettere di diffida, segnalazioni all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di Polizia di Stato e Carabinieri (Oscad) e esposti all’Ordine dei Giornalisti in caso di episodi appannaggio dei professionisti dell’informazione. E’ notizia di pochi giorni fa la comunicazione da parte

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del Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia dell’apertura di due procedimenti disciplinari nei confronti di due giornalisti i cui articoli, secondo gli esposti presentati dall’Osservatorio, risultavano discriminatori e stigmatizzanti dei confronti dell’intera comunità rom e sinta.

Infatti a seguito della segnalazione dell’Associazione 21 luglio, il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia ha avviato due procedimenti disciplinari nei confronti dei giornalisti Mariacristina Lani e Luca La Mantia, autori di alcuni articoli pubblicati sulle testate “Milano Post” e “Noiroma.tv“, ritenuti discriminatori nei confronti di rom e sinti. Oggetto dell’azione

disciplinare nei confronti della giornalista pubblicista MariaCristina Lani sono due articoli pubblicati sulla testata on line “Milano Post”

rispettivamente il 16 aprile e il 23 aprile 2013.“Il problema nomadi assilla

l’Europa che sa solo rispondere con il tema dell’integrazione allocando fondi, alimentando così un metodo di vita parassitario di alcune genti”,

scriveva la giornalista in uno degli articoli, violando così, secondo l’Osservatorio 21 luglio, gli obblighi deontologici per i giornalisti e

diffondendo congetture di carattere discriminatorio fondate su base etnica. Nell’altro articolo a firma della giornalista, la stessa Mariacristina Lani a proposito delle politiche adottate dal sindaco Pisapia a Milano scriveva: “La città è di tutti: sarà per lui dei Rom che se ne fottono di Milano,

spendendo e rubando i soldi dei cittadini, ma è anche dei bambini di Milano a cui viene rubata una scuola”.

Questi articoli, sempre secondo l’Osservatorio, si pongono in contrasto con quanto ribadito da varie Convenzioni e organismi internazionali che si sono ampiamente espressi sulla questione dei discorsi d’odio. Secondo la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale (CERD), per esempio, «gli Stati contraenti s’impegnano a adottare

immediate ed efficaci misure, in particolare nei campi dell’insegnamento, dell’educazione, della cultura e dell’informazione per lottare contro i pregiudizi che portano alla discriminazione razziale».

Nell’articolo firmato dal giornalista professionista Luca La Mantia, pubblicato sul giornale on line “Noiroma.tv” il 9 aprile 2014 e intitolato

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“Nomade a chi?”, l’Osservatorio 21 luglio ha rilevato la presenza di congetture a sfondo discriminatorio verso rom e sinti, che trasmettono un’immagine stereotipata e criminosa di una comunità di persone. In questo caso, dopo l’apertura dell’esposto da parte del Consiglio dell’Ordine della Lombardia, l’articolo è stato rimosso dal portale e l’Osservatorio 21 luglio ha ricevuto una email di scuse, rivolte all’intera comunità rom e sinta, dallo stesso autore dell’articolo.

A seguito dell’apertura dei procedimenti disciplinari nei confronti dei due giornalisti Mariacristina Lani e Luca La Mantia, l’Ordine della Lombardia ha avviato la verifica per accertare se sussista la violazione delle norme deontologiche che regolano la professione giornalistica, con particolare riferimento al divieto di discriminazione per ragioni di razza.

Michele Partipilo, già presidente della Commissione ricorsi del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti18, esprime un parere fortemente negativo sull'applicazione del codice deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti : “Da quello che vedo tutti i

giorni in quanto lettore di quotidiani, la Carta è ampiamente disapplicata: titoli con elementi razziali sono entrati nella normalità della titolazione e della scrittura dei pezzi. Lo stesso vale per la televisione. Questo perché la Carta è un documento etico, fornisce suggerimenti ma non prevede sanzioni, a differenza, ad esempio, della Carta di Treviso che contiene sanzioni disciplinari ben precise in caso di violazioni. C’è una scarsa sensibilità da parte dei giornalisti, ma la difficoltà a prevedere sanzioni produce una scarsa applicazione della Carta. C’è un problema culturale: bisogna far maturare nei giornalisti

18 Organo a cui spetta decidere in merito alle decisioni dei Consigli regionali impugnate dai

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una sensibilità diversa. Con i minori è avvenuto, si è riusciti a sensibilizzare sul tema del rispetto del minore soprattutto perché la Carta di Treviso ha natura prescrittiva. Ma anche essa ha avuto un lungo periodo di incubazione: c’è stato bisogno del Vademecum del 1995 e siamo arrivati oggi a un più che soddisfacente rispetto dei princìpi previsti a difesa dei soggetti deboli”.

Poteri di vigilanza dell’Ordine dei giornalisti: un caso di violazione del protocollo deontologico

In Italia, con legge n. 69 del 3 febbraio 1963 viene istituito l’Ordine dei giornalisti, si tratta di caso unico in Europa, fare il giornalista diviene una libera professione come l’avvocatura, la medicina e l’ingegneria. In base a questa legge il giornalista ha l’obbligo inderogabile di rispettare la “verità sostanziale”, osservando sempre “i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.

L’Ordine dei giornalisti e la Federazione Nazionale Stampa Italiana successivamente stilarono la “Carta dei doveri: etica e deontologia”, un documento diviso in due parti: “princìpi” e “doveri” del giornalista, con il fine di promuovere il rapporto di fiducia tra organi di informazione e cittadini. Rispetto alla legge n. 69 la carta rappresenta un tentativo di indirizzare l’attività giornalistica, prevedendo contesti e situazioni in cui il giornalista deve attenersi a regole conformarsi regole codificate. Nel paragrafo “princìpi” della Carta si chiarisce al giornalista il dovere

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fondamentale di “rispettare la persona, la sua dignità e il suo diritto alla

riservatezza e non discriminare mai nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche”. Allo stesso modo il

paragrafo “Doveri del giornalista” asserisce che questi non può discriminare nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche. Il riferimento non discriminatorio, ingiurioso o denigratorio è ammesso solo quando sia di rilevante interesse pubblico. La Carta si occupa anche del trattamento dei “Minori e soggetti deboli” in un paragrafo in cui si dichiara: “il giornalista si impegna comunque ad

usare il massimo rispetto nei confronti dei soggetti di cronaca che per ragioni sociali, economiche o culturali hanno minori strumenti di autotutela”.

Per quanto riguarda il controllo dell’attività giornalistica il decreto legge n.138 del 13 agosto 2011 convertito con la legge n. 148 del 14 settembre 2011 ha previsto la divisione tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari per le categorie professionali dotate di un Ordine. L'articolo 8 del DpR n. 137 del 7 agosto 2012 contenente il regolamento attuativo della riforma degli ordinamenti professionali ha rinviato la disciplina di molte materie, tra cui quello disciplinare, all’emanazione, da parte dei Consigli nazionali degli ordini professionali, di regolamenti da sottoporre al parere preventivo del Ministero della Giustizia. La legge prevede che entro il 12 agosto 2012, gli ordinamenti oggetto del provvedimento debbano essere riformati sulla base di alcuni principi, tra

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cui l' istituzione di consigli regionali dell’Ordine a livello territoriale, diversi da quelli con funzioni amministrative e di un organo nazionale di

disciplina diverso dal Consiglio nazionale.

La carica di consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale è incompatibile con quella di membro dei Consigli di disciplina nazionale e territoriali. Con la Riforma i compiti di istruzione e decisione delle questioni disciplinari non sono più affidati ai Consigli degli Ordini ma a

Consigli di disciplina istituiti a tal fine.

In base al regolamento delle funzioni disciplinari adottato dal Consiglio Nazionale e approvato dal Ministero della Giustizia, i consigli di disciplina sono costituiti da nove membri, di cui il più anziano per iscrizione all’Albo è nominato Presidente mentre il più giovane ricopre le funzioni di Segretario. I consigli, a loro volta, sono strutturati in collegi giudicanti formati da tre membri appartenenti allo stesso Consiglio e individuati di volta in volta dal Presidente del Consiglio di disciplina territoriale. In ogni collegio, formato da un pubblicista e due professionisti almeno un componente deve essere donna.

La scelta dei consiglieri di disciplina territoriali è affidata al Consiglio regionale dell’Ordine tramite la definizione di una lista composta da diciotto candidati da sottoporre al Presidente del Tribunale perché scelga i nove componenti del Consiglio territoriale di disciplina.

Al contrario di quanto previsto per i Consigli territoriali, non vi è prevista terzietà nella composizione dei membri del Consiglio di disciplina

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nazionale, che vengono scelti tra i Consiglieri nazionali, questo organo a differenza di quelli territoriali, tratta i ricorsi e li decide collegialmente. Una volta nominati come membri nel Consiglio nazionale di disciplina, i consiglieri non possono più esercitare funzioni amministrative.

Ogni Consiglio vigila sulla condotta e sul decoro degli iscritti e può adottare provvedimenti disciplinari nei confronti di coloro che si rendano colpevoli di fatti non conformi al decoro o alla dignità professionale, o di fatti che compromettano la propria reputazione e la dignità dell'Ordine. Le sanzioni previste dall’Ordine dall'art. 51 e contenute negli artt. 52-55 della Legge 69 del 1993 ,Ordinamento della professione di giornalista, sono:

L'avvertimento: viene inflitto nel caso di abusi o mancanze di lieve

entità e consiste nel richiamo del giornalista all'osservanza dei suoi doveri (art. 52 L. n. 69). Il provvedimento può anche essere disposto dal Presidente oppure conseguente ad un giudizio disciplinare;

La censura, è connessa ad abusi o mancanze di grave entità e

consiste nel biasimo formale per la trasgressione accertata;

La sospensione dall'esercizio professionale può essere inflitta nei

casi in cui l'iscritto abbia compromesso, con la sua condotta, la propria dignità professionale;

La radiazione è diretta a sanzionare la condotta dell'iscritto che

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renderla incompatibile con la permanenza nell'Albo. La legge prevede la re-iscrizione, su domanda dell'interessato, trascorsi cinque anni dal giorno della radiazione19.

La mancata previsione di fattispecie tipiche di illecito disciplinare tuttavia potrebbero esporre il giornalista alla censura sulla sua attività.

La Corte Costituzionale con la Sent. n.11 del 1968, escludendo che il potere disciplinare possa risolversi in una forma di sindacato sul contenuto degli scritti del giornalista, ha affermato che l'intera materia trova un limite nell'art. 2 della legge n. 69, sottolineando che le fattispecie di illecito disciplinare si intendano costruite in relazione alla violazione degli obblighi "deontologici" posti da tale disposizione. Diritti e doveri del giornalista contenuti all'art. 2 costituiscono il parametro di correttezza, obiettività e completezza informativa la cui violazione nell'ambito di una attività professionale comporta l'esercizio da parte dell'Ordine del potere sanzionatorio pubblico. Vige dunque il princìpio generale che una corretta e veritiera informazione concepita come diritto dei singoli e della collettività.

Franceso Bozzetti è un giornalista professionista, iscritto al Consiglio regionale lombardo dal 1974, che in circa quarant’anni di carriera non ha mai subito alcun procedimento disciplinare né cause esercitando la professione giornalistica in maniera deontologicamente corretta. Bozzetti

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ha fatto parte per quasi vent’anni della redazione politica del quotidiano “Il Giorno”, prima come redattore in cronaca poi come capo-servizio; poi è stato inviato speciale nelle redazioni di Fininvest-Mediaset, infine ha condotto e coordinato per circa dieci anni la rassegna stampa di Rete Quattro fino ad ottenere la nomina a Vice Direttore. Il 9 aprile 2014 il Collegio di Disciplina della Regione Lombardia ha deliberato l'apertura di un procedimento disciplinare nei suoi confronti per verificare la possibile violazione dell'Articolo 9 (''Tutela del diritto alla non discriminazione ") del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, nonché le disposizioni previste dalla Carta di Roma, in relazione all'Editoriale intitolato "Il popolo Rom e il

razzismo stereotipato " apparso in data 23/ 10/2010 sulle pagine del

quotidiano "CronacaQui" e, nello specifico, nelle seguenti frasi: "Nessuno

può garantire la pacifica convivenza di etnie estranee che rifiutano ogni tipo di integrazione e soprattutto non danno alcun apporto costruttivo al paese che li dovrebbe ospitare. E' il caso dei rom che si accampano dove vogliono , vivono come credono e per sopravvivere forzatamente o per indole propria rubano o delinquono”. Il giornalista, nella sua memoria

difensiva, rispedisce l’accusa al mittente chiedendo il rigetto dell’esposto dell’Osservatorio sulle discriminazioni. Bozzetti in più punti difende il proprio diritto di cronaca e di critica ritenendo di non aver violato in alcun modo la Carta di Roma né l’art 9 del Codice Deontologico macchiandosi di razzismo. Secondo lui “ affermare che il popolo rom ben difficilmente si

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adatta alle regole, che non si integra stabilmente, pur con lodevoli e numerose eccezioni, non può essere frainteso con atteggiamenti discriminatori o peggio ancora razziali, pena l’impossibilità di riferire di qualsiasi argomento scomodo che alimenti la democratica discussione”.

In caso contrario si potrebbero accusare di razzismo tutti i sindaci e i prefetti che dispongono lo sgombero di accampamenti nomadi per questioni di ordine pubblico o violazioni amministrative, prosegue Bozzetti. Il giornalista, nella sua difesa, prosegue citando l’articolo di un collega pubblicato sul Corriere della Sera del 16 aprile 2014 che, a sua detta, contiene le sue stesse argomentazioni ma che tuttavia non è stato soggetto del medesimo procedimento. Francesco Bozzetti nei confronti del lavoro dell’Osservatorio sulle discriminazioni rivendica il suo diritto di cronaca in più punti della sua argomentazione, appellandosi all’ art 21 della Costituzione Italiana che tratta della libertà di manifestazione del pensiero, e all’art 10 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo per quanto riguarda la libertà di opinione e la libertà di ricevere e comunicare informazioni o critiche su temi di interesse pubblico.

L’accusa di “razzismo” viene giudicata come immotivata e lo scrivente si appella ai rapporti di polizia che, sempre secondo lui, registrano i

maggiori e più frequenti episodi di criminalità comune proprio nelle aree dove sorgono gli accampamenti abusivi a sostegno della sua tesi secondo

cui, nel suo testo, si sarebbe attenuto all’esplicazione del diritto di cronaca e di critica limitandosi a riportare il sentimento proprio di larghi strati

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della comunità, non solo italiana.

Il 27 maggio 2014 il Collegio di disciplina territoriale decide di irrogare nei confronti di Francesco Bozzetti la sanzione della censura con la seguente motivazione:“Non può invocare il diritto di cronaca, e neppure di critica,

il giornalista che, riportando o commentando notizie riguardanti la comunità Rom, esprima il proprio pensiero nei confronti di un fenomeno sociale particolarmente delicato, quale la convivenza tra diverse etnie in situazioni esposte a tensioni sociali, di fatto incitando l'opinione pubblica alla discriminazione e alla mortificazione della dignità umana. Nell'esercitare il diritto di cronaca il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinione politica e, soprattutto quando l'informazione riguarda situazioni esposte a particolari tensioni sociali, deve contribuire in misura determinante a stemperare i momenti di tensione e a favorire la mutua comprensione , la tolleranza e la fiducia”.

L'ex vicedirettore Mediaset commenta la decisione del Consiglio con una dichiarazione rilasciata al giornalista Paolo Bracalini de “Il Giornale.it “: "Avevo commentato uno sgombero, scrivendo che la Romania avrebbe

fatto bene a controllare i flussi migratori prima di entrare in Europa, perché l'espansione della popolazione rom costituiva un problema sociale e anche di ordine pubblico. Per questa opinione, in un editoriale, sono stato condannato. Ormai non si possono più esprimere opinioni, quando parli di immigrati è come maneggiare delle bombe, non puoi dire

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minimamente nulla che sollevi un problema che gli ayatollah dell'Ordine ti mettono subito il bavaglio"20.

Bracalini, a seguito della decisione sul caso delle violazioni imputate a Bozzetti sulle pagine on line de ”Il Giornale.it” pubblica un articolo dal titolo eloquente “I giornalisti finiscono sotto accusa: vietato parlare di

rom e immigrati. L'Ordine vuol punire un cronista reo di aver criticato le politiche che favoriscono gli stranieri. Già condannato un ex vicedirettore Mediaset21”, commentando la notizia dell’apertura da parte dell’ordine dei

Giornalisti di un procedimento nei confronti di Andrea Miola, ex caporedattore del quotidiano Cronaca qui, per una serie di articoli riguardanti la comunità rom.

«Siamo alla boldrinizzazione del giornalismo!» commenta nella prima riga Andrea Miola che, nei pezzi incriminati, a partire dall’analisi dalla linea dura intrapresa dall'allora premier francese Sarkozy in materia di popolazioni rom, valutava un'iniziativa opposta del sindaco di Pisapia «Mentre la Francia caccia senza tante storie gli indesiderati, l'Italia li

accoglie con tanto di casa gratis. Sarà Milano ad inaugurare l'era del tetto a scrocco per le famiglie nomadi, realizzando un villaggio di circa 40 case sulle sponde del fiume Lambro. Costo dell'operazione: 5 milioni di euro. La giunta ha così deliberato: una casa gratis per tutti a spese del cittadino. Mon dieu » ed ancora «A Milano, se sei immigrato è più facile

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http://www.ilgiornale.it/news/politica/lordine-vuol-punire-cronista-reo-aver-criticato-politiche-1057395.html

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ottenere una casa popolare. Alla faccia della città egoista e intollerante, per dirla col cardinale Tettamanzi. Ma tant'è. Del resto, i numeri sono numeri. Nel 2009, su mille assegnazioni, 453 sono andate a beneficio di richiedenti stranieri, i quali scalano le graduatorie dell'Aler scodellando redditi da fame e prole così numerosa da far invidia alle famiglie mormone. (...) Una discriminazione bella e buona nei confronti di chi è nato qui».

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