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C ONVENTO DI S ANT ’A GOSTINO DI P IOMBINO L D PP DEL NUOVO MUSEO DIOCESANO NELL ’ EX C APITOLO 3 I

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APITOLO

3

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L

D

PP DEL NUOVO MUSEO DIOCESANO NELL

EX

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1.

D

OCUMENTO PRELIMINARE ALL

AVVIO DELLA PROGETTAZIONE

La realizzazione e la gestione delle opere pubbliche sono regolamentate, nell’ordinamento italiano, dalla Legge 11 febbraio 1994, n. 109, Legge quadro in

materia di lavori pubblici, nota come “Legge Merloni”, e dalle sue modifiche ed

integrazioni. La prima importante modifica è avvenuta, a distanza di poco più di un anno, con il D.L. del 3 aprile 1995, convertito nella legge 216 del 2 giugno 1995, la cosiddetta “Merloni bis”. Dopo tre anni si torna a legiferare in materia di lavori pubblici con la Legge 415/98, la “Merloni ter”. Successivamente verranno apportate ulteriori modifiche tramite le leggi finanziarie: la Legge 23 dicembre 2000, n. 388 e la Legge 1 agosto 2002, n. 166, che di fatto riconosce la reale possibilità di far uso delle risorse previste nella finanziaria del 2002 modificando parte delle disposizioni della Legge 109/1994, che viene resa in tal modo più flessibile e maggiormente operativa. La Legge Merloni deve la sua nascita al tentativo di rispondere al periodo negativo attraversato dalla disciplina degli appalti dei lavori pubblici negli anni Novanta, caratterizzati da sprechi di denaro pubblico e gravi vicende giudiziarie, una per tutte quella di Mani Pulite, che dipinsero le Pubbliche Amministrazioni come incapaci di gestire in maniera corretta il denaro pubblico e le imprese costruttrici come esclusivamente interessate al proprio tornaconto economico. La legislazione vigente era infatti incapace di verificare la corretta efficacia degli incarichi progettuali, soprattutto sotto il profilo dell’importante rapporto tra costo globale ed utilizzo delle soluzioni proposte. Questo è il quadro entro il quale l’allora Ministro dei Lavori Pubblici Merloni promosse e firmò la citata Legge quadro sui lavori

pubblici 109/94, ridefinendo completamente le attività del processo dei lavori

pubblici, ma soprattutto le figure, i ruoli e le responsabilità ad esso collegate. Ne usciva così rafforzata l’importanza della fase progettuale e del soddisfacimento delle richieste esplicitamente espresse, riconosciuto adesso a livello normativo, in tutte le fasi del processo di realizzazione di un’opera pubblica. I principi fondamentali su cui è basata la legge quadro 109/1994 e s.m.i., sono essenzialmente tre:

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• programmazione dell’intervento, e definizione puntuale degli scopi e di tutte le relative fasi procedurali;

• controllo dell’evoluzione delle fasi programmate con verifiche in itinere e validazione degli elaborati esecutivi.

Riguardo al primo punto, una precedente legge, la Legge 241/1990, aveva già affidato le responsabilità dell’intero procedimento ad un unico soggetto, introducendo nel nostro ordinamento la figura del Responsabile Unico del Procedimento. Ciò nasceva dall’esigenza di riuscire ad identificare personalmente un soggetto cui fosse affidata la responsabilità di seguire l’intero procedimento amministrativo. Il principio della “conoscibilità” osservato dal legislatore mirava infatti ad individuare in maniera univoca il soggetto con cui l’utente potesse dialogare per conoscere lo stato del Procedimento stesso, sia per tutelare interessi pubblici o privati di cui fosse portatore, sia per intervenire tempestivamente in caso di eccessiva inerzia da parte della pubblica amministrazione. Trattandosi di una norma di carattere generale, la Legge 241/1990 introduceva la figura del Responsabile Unico del Procedimento (RUP) per tutte le attività dell’Amministrazione pubblica, ma non stabiliva i requisiti soggettivi ed i titoli che dovesse possedere per assolvere a tale funzione. I requisiti e le funzioni del RUP vengono finalmente definiti in maniera chiara, per l’ordinamento dei lavori pubblici, proprio con la Legge quadro sui Lavori Pubblici 109/94, che ne individua gli incarichi, sia nella fase che precede la progettazione, sia in quella seguente di affidamento e direzione dei lavori. Il RUP interviene così nella quasi totalità delle fasi dell’iter di realizzazione di un’opera pubblica: programmazione, progettazione, realizzazione e collaudo, manutenzione, come espresso negli art. 14, L. 109/94 e art. 11, D.P.R. 554/99 e successive modifiche. In particolare, per ciò che riguarda la fase di programmazione, al RUP viene affidato il compito di promuovere e sovrintendere agli accertamenti che consentono la fattibilità tecnica, economica e amministrativa degli interventi, nonché di verificare la conformità ambientale, paesistica, urbanistica e territoriale, avviando, se necessario, le varianti urbanistiche. Il primo atto redatto dal RUP, prima di poter passare alla fase di progettazione, è pertanto il Documento preliminare all’avvio della progettazione (Dpp), documento che costituisce la base da

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cui prende avvio la progettazione vera e propria ed in cui culmina l’intero processo di programmazione. L’articolo 15 del D.P.R. del 21 dicembre 1999 n. 554,

Regolamento d’attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici, ci

informa che:

Il responsabile del procedimento cura la redazione di un documento preliminare all’avvio della progettazione, con allegato ogni atto necessario alla redazione del progetto (comma 4).

L’articolo, oltre ad individuare nel RUP la figura responsabile della stesura del Dpp, documento introdotto dalla 109/94, riporta anche i contenuti essenziali dell’atto:

Il documento preliminare, con approfondimenti tecnici e amministrativi graduati in rapporto all’entità, alla tipologia e categoria dell’intervento da realizzare, riporta fra l’altro indicazione:

a) della situazione iniziale e della possibilità di far ricorso alle tecniche di ingegneria naturalistica;

b) degli obiettivi generali da perseguire e delle strategie per raggiungerli; c) delle esigenze e bisogni da soddisfare;

d) delle regole e norme tecniche da rispettare;

e) dei vincoli di legge relativi al contesto in cui l’intervento è previsto; f) delle funzioni che dovrà svolgere l’intervento;

g) dei requisiti tecnici che dovrà rispettare;

h) degli impatti dell’opera sulle componenti ambientali e nel caso degli organismi edilizi delle attività ed unità ambientali;

i) delle fasi di progettazione da sviluppare e della loro sequenza logica nonché dei relativi tempi di svolgimento;

l) dei livelli di progettazione e degli elaborati grafici e descrittivi da redigere;

m) dei limiti finanziari da rispettare e della stima dei costi e delle fonti di finanziamento;

n) del sistema di realizzazione da impiegare (Comma 5).

La differenza rispetto al quadro normativo precedente, che lasciava totalmente libero il progettista di definire cosa realizzare e in che modo realizzarlo, sta nel fatto che oggi si richiede al Responsabile Unico di Procedimento di specializzare la domanda

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dell’opera nei confronti dello stesso progettista, che adesso viene chiamato a sviluppare un tema concretamente definito e soprattutto nel rispetto di una serie di vincoli. Per lo stesso RUP tale documento costituisce il riferimento costante per verificare la coerenza delle scelte progettuali, nelle diverse fasi, con le direttrici tracciate. In sintesi il Documento preliminare alla progettazione si configura come un

documento che contiene gli obiettivi che si intendono raggiungere con l’opera o il servizio programmato, le esigenze del committente/utilizzatore, le prestazioni attese ed i requisiti per l’ottenimento di un prodotto che soddisfi le esigenze manifestate all’interno delle risorse economiche del committente per quanto attiene la produzione e dell’utilizzatore per quanto riguarda la gestione nel ciclo di vita ipotizzato per il prodotto in esame79.

Senza addentrarci oltre nella breve introduzione a questo documento ritengo utile ricordare che il Documento preliminare all’avvio della progettazione ha essenzialmente tre utilizzi principali:

• consente l’avvio della progettazione preliminare (D.P.R. 554, art. 15); • consente la verifica del progetto Preliminare (D.P.R. 554, art. 46);

• consente la verifica e la validazione del progetto definitivo, nel caso di appalto integrato, o esecutivo, negli altri casi (D.P.R. 554, art 47).

Il Dpp deve contenere quindi tutte le indicazioni necessarie affinché si possa pretendere che gli elaborati del progetto siano facilmente ed inequivocabilmente verificabili, consentendo di controllare che il progetto sviluppato sia in grado di soddisfare le esigenze che hanno promosso l’intervento, all’interno dei vincoli, comprese le risorse che si intende impegnare. I tipi di indicazione che dovranno essere inseriti nel Dpp sono condizionati in modo particolare dalla tipologia dell’intervento, per cui lo stesso D.P.R. 554/1999 individua sette diverse classi di intervento (Nuova costruzione, Demolizione, Recupero, Ristrutturazione, Restauro, Manutenzione, Completamento).

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Le norme UNI di riferimento per il Dpp:

• Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee – Direttiva 89/106 (Requisiti essenziali);

• Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee 28/02/4 – Comunicazione concernente i documenti interpretativi della Direttiva 89/106/CEE del Consiglio;

• UNI 10722 – 1998, Qualificazione e controllo del progetto edilizio di nuove costruzioni:

Parte 1: Criteri generali e terminologia

Parte 2: Definizione del programma di intervento

Parte 3: Pianificazione del progetto e pianificazione ed esecuzione dei controlli del progetto di un intervento edilizio;

• UNI 10914 – 2001, Qualificazione e controllo del progetto edilizio di nuova costruzione e di interventi sul costruito:

Parte 1: Terminologia

Parte 2: Programmazione degli interventi;

• UNI 10383, Terminologia riferita all’utenza, alle prestazioni, al processo edilizio e alla qualità edilizia;

• UNI 10604 – 1997, Manutenzione. Criteri di progettazione, gestione e controllo dei servizi di manutenzione di immobili;

• Progetto di norma UNI 8600001.1, Edilizia. Qualificazione e controllo del progetto edilizio degli interventi sul costruito. Criteri generali, terminologia e definizione del programma del singolo intervento;

• Progetto di norma UNI 8600001.2, Edilizia. Qualificazione e controllo del progetto edilizio degli interventi sul costruito. Pianificazione della progettazione degli interventi (11/7/01);

• Progetto di norma UNI 8600001.3, Edilizia. Qualificazione e controllo del progetto edilizio degli interventi sul costruito. Attività diagnostica ai fini della progettazione preliminare (24/10/01).

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2.

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NFORMATIVA

In questo paragrafo, descrittivo della situazione iniziale, verranno analizzati sia il contesto territoriale e urbano in cui si colloca il complesso dell’ex convento di Sant’Agostino, sia il complesso stesso di cui, dopo una breve descrizione generale, introdurremo le problematiche legate al suo rilievo metrico e materico. La presente fase deve necessariamente essere messa in relazione con l’intera Sezione I, con alcune precisazioni. La scelta di scorporare dalla fase informativa, parte integrante del Documento preliminare all’avvio della progettazione, lo studio della storia e dello sviluppo urbanistico della città di Piombino è dipesa da vari fattori, il principale dei quali è l’avervi riconosciuto uno strumento indispensabile, non solo per la redazione del Dpp e quindi per le successive scelte progettuali, ma per lo sviluppo di tutto il lavoro, a partire dalle numerose ricerche d’archivio. Per ciò che riguarda lo studio delle vicende storico-costruttive legate al complesso, argomento mai trattato compiutamente dalla storiografia locale a causa della particolare destinazione d’uso dell’immobile, il reperimento di materiale documentario ha inevitabilmente comportato un approfondimento della tematica, a scapito di altre, e la conseguente scelta di una sua autonoma collocazione nel testo.

2.1.

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UOGO

L’INQUADRAMENTO TERRITORIALE

Il complesso edilizio oggetto della presente tesi è ubicato nel centro storico della città di Piombino, in provincia di Livorno. Il Comune di Piombino ha un’estensione di 129,61 Km2, una popolazione di circa 35.000 abitanti80, ed una densità di 269 abitanti/Km2. La città di Piombino è posta all’estremità meridionale dell’omonimo

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promontorio, a sud del Monte Massoncello (286 m), ad un’altitudine di 21 m s.l.m. (min 0, max 286)81 separata dall’isola d’Elba dal Canale di Piombino, largo 10 km.

Figura 22. Inquadramento territoriale della provincia di Livorno e del Comune di Piombino.

Il territorio comunale è caratterizzato da un livello di pericolosità sismica molto basso (Pericolosità sismica 4)82 e classificato come Zona climatica C83. Situata sul tratto di mare Tirreno denominato Costa degli Etruschi, corrispondente circa alla provincia di Livorno, la città è il centro principale della Val di Cornia, estrema propaggine meridionale della provincia di Livorno, che comprende i Comuni di

81 Misura espressa in metri sopra il livello del mare del punto in cui è situata la Casa Comunale, con

l’indicazione della quota minima e massima sul territorio comunale.

82 Il territorio nazionale è suddiviso in zone sismiche con 4 livelli di pericolosità: 1 (alto), 2 (medio), 3

(basso), 4 (molto basso). Classificazione sismica indicata nell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274/03, aggiornato al 16/01/2006 con le comunicazioni delle regioni.

83 Periodo di accensione degli impianti termici: dal 15 novembre al 31 marzo (10 ore giornaliere),

salvo ampliamenti disposti dal Sindaco. L’Italia è divisa in sei zone climatiche (A, B, C, D, E, F) che variano in funzione dei gradi-giorno (GG) associati al territorio comunale. D.P.R. n. 412 del 26 agosto 1993, tabella A e s.m.i.

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Piombino, Campiglia Marittima, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta. Insieme i cinque comuni costituiscono l’unità territoriale denominata SEL 16: questa, per sua definizione, raccoglie Comuni tra loro interdipendenti per relazioni socio-economiche e funzionali. La Val di Cornia si estende su una superficie totale di 366 Km2, di cui il 63% circa di area collinare (maggiore di 50 m s.l.m.) e il 37% circa di area di pianura, con 65,03 Km di costa. Il territorio, che si trova all’interno della Maremma Pisana, prende il nome dal Fiume Cornia che nasce dal monte Aia dei Diavoli (875 m s.l.m. – Colline Metallifere), scorre per 48 Km nella valle omonima (Provincia di Pisa, Grosseto e Livorno), per sfociare nel Mar Tirreno ad est del promontorio di Piombino. L’ambiente geografico è costituito da una catena di colline talvolta impervie e selvagge, circondata da boschi, campi coltivati e pascoli, che si raccorda con il mare attraverso un’ampia pianura alluvionale. Le coste, prevalentemente basse, sono caratterizzate, laddove non urbanizzate, da spiagge sabbiose, aree sub-palustri e pinete. Da un punto di vista amministrativo, nel 1998 i cinque comuni hanno dato vita al Circondario della Val di Cornia. I Circondari sono circoscrizioni amministrative già previste dalla Costituzione della Repubblica Italiana (art. 129), successivamente disciplinati dalla legge 142/90 e poi dal Decreto legislativo 267/2000 (testo Unico Enti Locali). Ai sensi della Legge Regionale 77/95, il Circondario è un organismo rappresentativo di secondo grado, nominato dal Consiglio Provinciale, a cui è delegato l’esercizio di funzioni amministrative regionali della Provincia e funzioni associate dei singoli comuni. Il Circondario è stato formalmente istituito con deliberazione del Consiglio provinciale di Livorno n. 846 del 9/10/1998, ai sensi della L.R. 77/95, a seguito di un percorso di concertazione ed intesa istituzionale tra Regione Toscana, Provincia di Livorno e Comuni di Campiglia Marittima, Piombino, San Vincenzo, Sassetta e Suvereto84. Nell’ambito del sistema delle autonomie, il Circondario della Val di Cornia si pone come articolazione istituzionale con le finalità di:

84 Dopo un periodo di sperimentazione durato alcuni anni, la Provincia di Livorno ha deliberato

l’istituzione definitiva del Circondario a partire dal 31 dicembre 2005. Con successiva delibera del Consiglio provinciale di Livorno n. 47 del 26 marzo 2008 è stato approvato il definitivo regolamento di funzionamento del Circondario della Val di Cornia.

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• favorire e governare il processo di sviluppo locale, ponendo l’area della Val di Cornia in un più stretto rapporto con il contesto regionale;

• avvicinare al territorio funzioni di governo finora esercitate a livello provinciale;

• accrescere ed istituzionalizzare la capacità di coordinamento delle politiche comunali.

Il Circondario è retto da un proprio regolamento ed è dotato di autonomia amministrativa, tecnica e contabile, nonché di poteri organizzativi e regolamentari. La Val di Cornia rappresenta una realtà in cui lo sviluppo economico, trainato dalle industrie pesanti, ha avuto un processo differente rispetto al resto della Toscana. Due attori identificano principalmente la struttura industriale della Val di Cornia, e più in generale quella della Provincia di Livorno: la produzione di beni intermedi e la grande dimensione delle aziende; questi elementi hanno differenziato l’economia dell’area dal modello produttivo di economia diffusa affermatosi nella parte centrale della Toscana durante gli anni ’70, basato sull’industria leggera (settore tessile, abbigliamento, cuoio, legno e mobile) e su imprese di piccole dimensioni, creando dei veri e propri distretti produttivi. Le piccole e medie imprese, quando presenti, sono strettamente legate alla grande industria, di cui costituiscono l’indotto. A partire dagli anni Ottanta l’economia della grande industria ha subito una fase di drastica e profonda deindustrializzazione, che ha generato ripercussioni fortemente negative anche in termini occupazionali ed ha connotato il territorio in generale di tutta la provincia, anche a livello di politiche comunitarie in base alle quali la Provincia di Livorno è interamente inclusa nelle aree a declino industriale. L’industria siderurgica continua a detenere un peso non indifferente in seno al quadro economico locale. La popolazione della Val di Cornia è principalmente contenuta nei Comuni di Piombino e Campiglia Marittima, in cui si concentrano le principali attività industriali, e che insieme comprendono l’82% della popolazione totale. Come densità demografica Piombino risulta essere in linea con la media provinciale, mentre gli altri Comuni sono sensibilmente al di sotto. La popolazione della Val di Cornia ha registrato un costante incremento dal 1951 al 1981, per poi subire un calo, registrato anche nel censimento del 2001. Complessivamente, in base ai censimenti, l’aumento

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verificatosi nell’arco dei quarant’anni è stato del 16,2% superiore alla media regionale, ma inferiore a quella provinciale del 19,3%. Questa crescita demografica si registra più contenuta a Piombino (+13,2%) e con una diminuzione che interessa gli ultimi due decenni. Nel decennio di rilevamento Istat, dal 1991 al 2001, la Val di Cornia ha visto ridursi il numero degli abitanti di circa il 6%, prevalentemente nel Comune di Piombino.

Comuni 1951 1961 1971 1981 1991 2001 variaz. variaz. %

1991-2001 1991-2001

Piombino 32.482 36.102 39.654 39.401 36.774 33.925 -2.849 -7,7

Val di Cornia 51.673 55.160 61.893 63.180 60.068 56.450 -3.618 -6,0 Tabella 1. Variazione della popolazione residente (Censimento Istat della popolazione 001).

Negli ultimi anni i rilevamenti Istat registrano un timidissimo segnale di controtendenza: la popolazione del Comune è infatti passata dai 34.572 abitanti censiti al 1° gennaio del 2008, ai 34.881 del 30 aprile di quest’anno. Il dato ha scarso peso e dovremmo attendere l’analisi del decennio 2001-2011 per ulteriori considerazioni. Le attività economiche della Val di Cornia risultano abbastanza sviluppate, soprattutto nel comune di Piombino, ove sono presenti il maggior numero di industrie e nelle quali lavora più del 70% degli addetti totali. Questo dato spiega il motivo per cui il 60,34% del reddito complessivo disponibile nel 2000 in tutta la Val di Cornia sia concentrato nel comune di Piombino. L’attività industriale di maggior rilievo a Piombino è la siderurgia, grazie alla presenza di tre grandi industrie (Magona d’Italia, Dalmine e Lucchini) e di tutta una serie di imprese ad esse collegate, con cui costituiscono un importante polo siderurgico. Collegato all’attività di tali industrie è il porto, che comunque in futuro dovrebbe superare la funzione di servizio all’industria siderurgica per assumere una sua valenza economica, produrre servizi ed occupazione. Inoltre, sempre nel Comune di Piombino, lungo la costa che giunge a Follonica, è presente una centrale termoelettrica dell’ENEL in località Torre del Sale. Si ha pertanto che più del 50% dei lavoratori di Piombino è occupato nelle attività sopraelencate. Altra rilevante industria presente nella zona limitrofa alle industrie siderurgiche è la SOL, in cui viene prodotto ossigeno liquido ed altri gas

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tecnici. A Piombino è presente, inoltre, l’unico ospedale della Val di Cornia e nella zona periferica, presso la località di Riotorto, è collocato il centro di smistamento della Coop per Toscana e Umbria. Le piccole imprese, di carattere sostanzialmente artigianale, sono concentrate nella zona di Montegemoli. Oltre a queste attività industriali Piombino ha una discreta occupazione anche nel campo del turismo, sviluppatosi notevolmente negli ultimi anni in varie tipologie:

• il turismo balneare, praticato soprattutto sulla costa est grazie alla presenza di numerosi campeggi ed attrezzature ricettive lungo il litorale e nei pressi del Golfo di Baratti sulla costa ovest;

• il turismo culturale, attirato sia dal piacevole centro storico della città e, nei pressi della frazione di Populonia, dalla presenza dei resti dell’Acropoli e delle Necropoli di una delle più importanti città etrusche. I siti archeologici della Necropoli di Populonia e di Baratti formano il Parco Archeologico di

Baratti e Populonia, inserito nel circuito dei Parchi della Val di Cornia;

• il turismo naturalistico, incentivato dalla presenza di un ricco patrimonio di parchi naturalistici ed aree protette come l’Oasi WWF di Orti e Bottagone, il

Parco di Montioni nei pressi di Riotorto, il Parco Costiero della Sterpaia,

facenti anch’essi parte del circuito dei Parchi della Val di Cornia, e il Parco

Urbano di Punta Falcone;

• il turismo eno-gastronomico, che rappresenta una realtà sempre più importante per il territorio della Val di Cornia e per la città di Piombino, inserita tra l’altro nel percorso delle Città del Vino.

Per quanto riguarda le infrastrutture ed i trasporti, la città di Piombino è collegata alla SS1 via Aurelia (Vecchia Aurelia e Superstrada) dalla Strada Statale 23 Della Principessa, verso San Vincenzo, e dalla Strada Statale 398 Via Val di Cornia. Possiede inoltre un’ampia gamma di porti e approdi, come il Porto industriale Commerciale Passeggeri di Piombino, il Porto di Marina di Salivoli, il Porto Antico di Piombino, situato nel centro storico, il Porto turistico di Baratti, il Porto turistico delle Terre Rosse e il Porto turistico di Carbonifera. Da Piombino passa inoltre la ferrovia Campiglia Marittima-Piombino Marittima.

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L’INQUADRAMENTO URBANO

Il complesso dell’ex convento di Sant’Agostino di Piombino è identificato nel Catasto dei Fabbricati del Comune di Piombino al foglio 81, mappale 252 e 253.

Figura 23. Estratto dall’Impianto Catastale dei Fabbricati, 1931, Archivio Storico della Città di Piombino, Stampe e disegni, C24.

Il suddetto complesso occupa una posizione centrale rispetto allo sviluppo urbano di Piombino. Risulta infatti collocato nella parte orientale del centro storico, la più antica, circoscritta ad ovest dall’asse principale del centro, il Corso Vittorio Emanuele II, a nord e sud dagli antichi tracciati delle mura urbane, non più esistenti, e dominata ad est dall’imponente complesso del Castello di Piombino.

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Figura 24. Planimetria del centro storico di Piombino.

Gli immobili oggetto di questo studio, pur risultando integrati in una fitta trama edilizia, godono di alcuni modesti spazi di respiro. La facciata della grande chiesa si apre infatti su Piazza Curzio Desideri, una delle poche piazze presenti nel centro storico, mentre risalendo l’angusta via Canonica, sempre sul lato occidentale del complesso, si raggiunge Piazza Sant’Agostino su cui si affaccia la grande ala superiore dell’ex convento agostiniano. Purtroppo questa non è più una vera e propria piazza: mentre un tempo permetteva al grande cenobio l’affaccio diretto a sud sul mare, nella seconda metà del secolo scorso la costruzione di due palazzine al suo interno ne hanno drasticamente modificato l’aspetto. Scendendo da piazza Sant’Agostino lungo via Del Coro, l’ala inferiore del convento e l’abside della chiesa, il “retro” del complesso, risultano separati dalla zona carrabile da una piccola area verde, ciò che rimane degli antichi terreni orientali del convento. Purtroppo l’anello non si chiude lungo la fiancata settentrionale della chiesa, a cui risultano addossate le abitazioni di Via XX Settembre. Le stesse abitazioni, con le proprie pertinenze, hanno infatti completamente inglobato il piccolo Vicolo del Fiore che un tempo, costeggiando questa fiancata, consentiva, oltre alla comunicazione diretta della piazza Curzio Desideri con via Del Coro, l’accesso laterale all’edificio sacro.

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La viabilità carrabile nei pressi dell’ex convento di Sant’Agostino è caratterizzata da strade di modeste dimensioni, perlopiù a senso unico. Nonostante l’introduzione dell’isola pedonale per la quasi totalità del centro storico, alcune zone limitrofe al castello, tra cui le sopraccitate via del Coro e piazza Sant’Agostino sono ancora accessibili al traffico veicolare.

Figura 25. Foto aerea del centro storico di Piombino, Foto Bagnoli Luca, Livorno.

La situazione dei parcheggi è più complessa ed i problemi ad essa connessi non riguardano solo il centro storico ma tutta la città. Tralasciando i pochi posti macchina lungo le strade adiacenti il complesso e quelli in piazza Sant’Agostino, occupati prevalentemente dai residenti, il primo parcheggio degno di nota è quello ricavato nell’ex area industriale tra Via Giordano Bruno e Viale del Popolo, a circa 250 metri di distanza. Sempre all’interno del centro storico, in posizione diametralmente opposta, esiste un piccolo parcheggio di recente realizzazione, di pertinenza del Museo Archeologico del territorio di Populonia, a circa 500 metri di distanza. In prossimità del centro storico non esistono delle vere e proprie aree destinate alla

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sosta dei veicoli, fatta eccezione per il parcheggio del Casone Maresma. Comunque sono molti i parcheggi a pagamento e non, presenti lungo l’anello viario che circonda il centro. L’accesso al centro storico per chi arriva in città tramite i mezzi pubblici è abbastanza facilitato. Il terminal degli autobus è situato proprio nei pressi del Torrione, l’antica Porta a terra, punto di partenza del Corso Vittorio Emanuele II, mentre se si arriva in città in treno è necessario percorrere circa 500 metri a piedi dalla stazione ferroviaria all’ingresso del centro storico, attraversando Corso Italia, zona comunemente riconosciuta come vero e proprio centro della città, in quanto sede delle principali attività commerciali e punto di incontro per la cittadinanza. Il collegamento tra il porto e la stazione ferroviaria avviene sia tramite rotaia, sia tramite bus-navette. Quindi, come anticipato, la viabilità pedonale del centro storico ruota attorno alla via principale, Corso Vittorio Emanuele II, che dalla zona dell’antica Porta a terra e del Rivellino, zona centrale anche per la città moderna, porta alla Sede del Comune e, continuando, sullo sperone roccioso su cui è costruita la panoramica Piazza Giovanni Bovio. Da questo Corso principale del nucleo antico si raggiungono facilmente ed in brevissimo tempo tutti i monumenti e i luoghi di interesse della città.

STRUMENTAZIONE URBANISTICA VIGENTE

Il Piano Regolatore Generale del Comune di Piombino è stato approvato con deliberazioni della G.R.T. n. 3009 del 05/06/1973 e n. 6068 del 03/10/1973. Già a partire dal 1975 ha avuto inizio la prima esperienza di coordinamento dei Piani Regolatori Generali dei Comuni di Piombino, Campiglia, San Vincenzo e Suvereto, sviluppatasi attraverso un lungo processo di approfondimenti e confronti e concretizzatasi tra il 1979 e 1980 con l’adozione dei quattro Piani coordinati. La seconda esperienza di coordinamento, avviata a partire dal 1986 nell’ambito del territorio dell’Associazione Intercomunale 25 “Val di Cornia” in base a quanto previsto all’art. 8 della L.R. 74/84, si è sviluppata attraverso un lungo lavoro di programmazione economica, territoriale e operativa. A seguito di tale

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coordinamento, tra il 1994 ed il 1995, i Comuni di Piombino, Campiglia e Suvereto adottavano Varianti coordinate ai PRG vigenti, mentre i Comuni di San Vincenzo e Sassetta intraprendevano il percorso della pianificazione di nuova generazione (Piano Strutturale e Regolamento Urbanistico). La Variante al Piano Regolatore Generale coordinato vigente nel Comune di Piombino è stata approvata con le procedure di cui all’art. 40 della legge regionale n. 5 del 16.1.1995 “Norme per il governo del territorio”, con atto del C.C. n. 239 del 18.11.94, approvazione con atto del C.R. n. 254 del 16.7.97 e successivi atti della G.R.T. L’ immobile oggetto della presente tesi, in quel momento ancora utilizzato come Caserma per il Comando della Guardia di Finanza di Piombino, era classificato dalla Variante Generale al PRG appena adottata tra gli immobili a destinazione d’uso D, cioè Destinazioni d’uso produttive con la specifica D13 relativa alle Attività direzionali, militari, per la protezione e l’ordine

pubblico. Veniva inoltre associata all’immobile la categoria di intervento c, il restauro. Lo strumento indicava infatti anche le tipologie di intervento consentite, ad

integrazione di quelle allora stabilite dalla L. 457/78, dalla L.R. 59/80 e dal Regolamento Edilizio Comunale, e direttamente associate agli edifici o ai complessi. Alla categoria c era direttamente associata la sotto-categoria c1 del risanamento

conservativo.

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Nel marzo 1995, essendo state evidenziate negli elaborati grafici e normativi incoerenze redazionali e carenze puntuali, al fine di una migliore comprensione del piano, fu ritenuto necessario, previa stesura di una Osservazione alla Variante

Generale al PRG, modificare la classificazione di alcuni edifici. La classificazione

della caserma, ex convento di Sant’Agostino, edificio ad uso militare, venne così mutata da Destinazioni d’uso produttive (D) ad Attrezzature di interesse generale (F), introducendo, per l’occasione, la nuova specifica di Attrezzature militari per la

protezione civile e l’ordine pubblico (F9).

Figura 27. Stralcio della Tav.3.3 della Variante Generale al PRG dopo l’approvazione del C.R.T., n° 254 del 16/07/1997.

L’art. 39 della L.R. n. 5/95, come modificato dall’art. 1 della L.R. n. 7 del 31.1.2001, prevede per i Comuni il cui strumento urbanistico sia stato approvato ai sensi del sopra citato articolo 40, ovvero sia stato approvato prima del 4.2.1995, l’obbligo di adottare il Piano Strutturale entro le scadenze fissate da un’intesa concordata tra i legali rappresentanti della Regione, delle Province e dei Comuni, da sottoscrivere entro il 31.03.2001 e da ratificarsi da ciascun Consiglio Comunale. I Comuni della Val di Cornia hanno sottoscritto l’intesa di cui sopra il 30.03.2001, la quale tra l’altro prevede che:

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1) i Comuni confermano la necessità ed utilità di procedere al coordinamento degli strumenti di pianificazione, ovvero alla redazione di un Piano Strutturale esteso all’intero SEL 17 (Sistema Economico Locale);

2) i Comuni di Piombino, Campiglia M.ma e Suvereto, si sono impegnati ad adottare il Piano Strutturale unico entro il 31.03.2005;

3) i Comuni hanno concordato di procedere in sede di redazione del Piano Strutturale e del successivo Regolamento Urbanistico dei Comuni di Piombino, Campiglia e Suvereto, al coordinamento generale delle scelte localizzative e dimensionali delle previsioni urbanistiche.

Nel 2002 i Comuni della Val di Cornia hanno trasferito la gestione delle funzioni associate in materia di edilizia ed urbanistica al “Circondario della Val di Cornia”. L’Ufficio Urbanistica Comprensoriale nel corso del 2002 redigeva un apposito “Documento d’indirizzo tecnico” per l’avvio della fase di formazione del Piano Strutturale dei Comuni di Piombino, Campiglia e Suvereto; tale documento definiva le procedure, le fasi e le risorse per dare avvio al processo di formazione della nuova pianificazione d’Area. Dopo i necessari approfondimenti da parte dello staff tecnico e della componente politica, la Giunta Esecutiva del Circondario Val di Cornia, con delibera n. 20 del 19.04.2004, ha approvato i documenti e gli elaborati che costituivano “l’Avvio del Procedimento del Piano Strutturale d’Area”. La L.R. n. 1 del 3.01.2005 ha introdotto alcune novità di natura procedurale in merito alla formazione ed approvazione degli strumenti di pianificazione territoriale, disciplinati in particolare agli artt. 15, 16, 17 della legge stessa, da applicare anche alla formazione del nuovo Piano Strutturale d’Area. In ottemperanza ai suddetti articoli e per volontà dei comuni, la struttura dell’Ufficio di Piano ha predisposto il documento: “Integrazione all’avvio del procedimento del Piano Strutturale d’Area

(comuni di Piombino, Campiglia M.ma, Suvereto) e avvio del procedimento delle varianti contestuali ai sensi dell’art. 15 l.r. 1/2005”, approvato con Deliberazione

della Giunta Esecutiva n. 72 del 24.10.2005. Il predetto documento integra l’atto di avvio del procedimento del P.S. d’Area, ottemperando così alle nuove disposizioni e prevede di dare avvio, ai sensi dell’art. 15 della L.R. 1/2005, al procedimento di formazione delle cosiddette “varianti contestuali al P.S. d’Area”, varianti ai PRG

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vigenti da adottare contestualmente o immediatamente dopo l’adozione del P.S. d’Area. L’avvio del procedimento di formazione del Piano Strutturale d’Area (comuni di Piombino, Campiglia M.ma e Suvereto) è stato attuato ai sensi dell’art. 25 della L.R. 5/95, con atto che indica:

a) gli obiettivi da perseguire, anche in relazione alle verifiche compiute sullo stato di attuazione dello strumento urbanistico comunale vigente;

b) il quadro conoscitivo di riferimento; c) le ulteriori ricerche da svolgere.

Il Piano Strutturale d’Area da adottarsi ai sensi dell’articolo 17 della L.R.T. 1/2005 è costituito dai seguenti atti ed elaborati:

a) la Relazione generale;

b) la Relazione geologica e la Relazione idrologico-idraulica; c) gli elaborati grafici del quadro conoscitivo.

Con la riforma urbanistica della L.R. 5/1995, ora sostituita dalla recente L.R. 1/2005, il tradizionale Piano regolatore Generale (PRG) viene quindi sostituito da due distinti strumenti:

• Il Piano Strutturale: è lo strumento di pianificazione territoriale (art. 9 della L.R. 1/05), ed ha valenza di piano strategico con durata illimitata oltre a delineare la strategia dello sviluppo territoriale comunale;

• Il Regolamento Urbanistico: successivo al Piano Strutturale, è l’atto di governo del territorio (art. 10 della L.R. 1/05) ed ha valenza di strumento operativo con durata illimitata nel tempo. Costituisce lo strumento operativo che disciplina l’attività urbanistica ed edilizia per l’intero territorio comunale. Mentre il piano strutturale è stato approvato, a livello cartografico, con delibera del Comune di Piombino, n. 52 del 09/05/2007, il Comune suddetto non si è ancora dotato del Regolamento Urbanistico, in attesa del quale è da considerarsi ancora valido lo strumento del Piano regolatore Generale, integrato da alcune “norme di salvaguardia”. Nel Piano Strutturale d’area, nella cartografia relativa al Quadro Conoscitivo, ed in particolare nella “Carta dei vincoli in attuazione del codice dei Beni Culturali e del paesaggio”, l’ex convento di Sant’Agostino figura nell’elenco dei beni culturali architettonici dichiarati con procedimento amministrativo (art. 13,

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D.Lgs 22 gennaio 2004, n. 42). Nel PRG vigente l’edificio dell’ex convento di Sant’Agostino, non più sede del Comando della Guardia di finanza di Piombino, è attualmente classificato come zona a destinazione d’uso di Spazi Pubblici

Residenziali (G), nella sotto-zona di Attrezzature di interesse comune (G2) con la

specifica, comune alla Chiesa di Sant’Antimo, di Chiesa (G2.3). Per l’immobile viene inoltre indicata la categoria di intervento c.

Figura 28. Stralcio della Tav.3.3 della Variante Generale al PRG approvto con atto del C.T.R. n. 254 del 16/07/1997 e con atti della G.R.T. n. 1578del 21/12/98 e n. 30 del 17/01/00.

L’art. 6 delle Norme Tecniche di attuazione della Variante Generale di P.R.G., aggiornate al 31 agosto 2009, ci informa che le destinazioni d'uso sono così classificate:

• A: comprendono aree, complessi e immobili a esclusiva o prevalente destinazione d'uso residenziale civile o agricola, di formazione antica o recente, che rivestono carattere storico, artistico, testimoniale, ambientale; per i quali si persegue la conservazione;

• B: comprendono aree, complessi e immobili a esclusiva o prevalente destinazione d'uso residenziale civile o agricola, di formazione antica o

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recente, diversi dalla precedente classe A; per i quali é ammessa la trasformazione;

• C: comprendono insediamenti, complessi e immobili a esclusiva o prevalente destinazione d'uso residenziale di nuova edificazione e di sostituzione;

• D: comprendono insediamenti, complessi e immobili, esistenti o di nuova edificazione, a esclusive o prevalenti destinazioni d'uso industriali, artigianali, turistico-ricettive, estrattive, commerciali, di deposito, direzionali; • E: comprendono aree a prevalente destinazione d'uso agricola e forestale, di

vario interesse ambientale e paesaggistico;

• F: comprendono aree, complessi e immobili, esistenti o di nuova formazione, costituenti attrezzature di interesse generale, compresi i parchi;

• G: comprendono aree, complessi e immobili, esistenti o di nuova formazione, costituenti spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico e a parcheggi.

Per ciò che riguarda le zone G (D.I. n. 1444/68 art. 3), secondo l’articolo 9 delle citate NNTTA, queste comprendono:

G.1) Spazi destinati ad attrezzature scolastiche (D.I. n. 1444/1968, art. 3, lett. a); G.2) Spazi riservati alle attrezzature di interesse comune (D.I. n. 1444/68 art. 3, lett. b);

G.3) Spazi attrezzati a parco, per il gioco e lo sport (D.I. n. 1444/68, art. 3, lett. c); G.4) Aree di parcheggio (D.I. n. 1444/68 art. 3, lett. d).

Le categorie d’intervento (Legge n. 457/78 Art. 31 – L.R. n. 52/99) sono descritte nell’articolo 7. Le categorie d’intervento integrano le definizioni degli interventi sul patrimonio edilizio esistente, di cui all’art. 31 della legge 457/1978 ed alla L.R. 52/1999. Negli elaborati grafici della Variante Generale le categorie di intervento sono individuate con lettere minuscole come all’elenco dell'art. 31 della legge 457/1978: a, b, c, d, e. Le categorie d’intervento sono indicate sugli edifici e sui complessi:

a) Manutenzione ordinaria; b) Manutenzione straordinaria;

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d) Ristrutturazione edilizia; e) Ristrutturazione urbanistica.

Oltre alle categorie di intervento di cui ai precedenti paragrafi, la Variante Generale prevede addizioni volumetriche del patrimonio edilizio esistente e nuove costruzioni a completamento degli isolati. Prevede altresì la demolizione di quelli incompatibili con i tessuti edilizi.

2.2.

L

O

S

TATO DI FATTO ED IL PROGETTO DI CONOSCENZA

UN CONVENTO INESISTENTE

I locali dell’ex convento di Sant’Agostino hanno avuto negli ultimi due secoli una sorte molto diversa da quella toccata alla Chiesa ed al Chiostro, che insieme al convento formavano il complesso agostiniano di Piombino. Infatti la chiesa di Sant’Antimo, uscita quasi indenne dalla soppressione degli ordini religiosi, se non nell’aspetto e titolazione, ha mantenuto ininterrottamente la sua originale vocazione di luogo di culto, mentre il chiostro quattrocentesco, una volta tolte le pesanti modifiche del periodo baciocchiano, è tornato ben presto al suo aspetto originario. Da più di due secoli il convento di Sant’Agostino di Piombino praticamente non esiste più. Sconsacrato nel 1806 da Felice Baciocchi fu immediatamente trasformato in caserma, rimanendo tale fino ad una decina d’anni fa, quando il Comando della Guardia di Finanza di Piombino fu costretto a trasferirsi in nuova sede, dal momento che l’edificio era stato dichiarato inagibile. Questa particolare destinazione d’uso, e la contemporanea mancanza di materiale documentario, hanno fatto si che il complesso non venisse mai studiato in maniera approfondita dalla storiografia piombinese. Ma non è tutto. L’imbarazzo causato dal fatto che il convento, pur essendo stato riconosciuto il suo valore storico, fosse presumibilmente l’unico edificio nel piccolo centro storico piombinese ad essere stato lasciato in uno stato di così grave abbandono, ha provocato la sua cancellazione dalla memoria locale. Si

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fatica a far comprendere ad un generico interlocutore l’oggetto in questione se non vengono nominate parole chiave come “finanza” o “chiostro”. Così il convento non è neppure citato nelle numerose guide storiche di Piombino e in pratica non esiste una pubblicazione che riguardi propriamente il convento, o che si spinga oltre la sua citazione, mentre la Chiesa e l’annesso Chiostro hanno da tempo trovato la loro collocazione nel panorama storico-architettonico piombinese. La sensazione, paradossalmente, è quella di un immobile non attiguo ai due monumenti appena citati, ma situato a chilometri di distanza. In tutte le rappresentazioni grafiche della Chiesa e del Chiostro, compresi i pannelli didattici destinati ai turisti, il grande cenobio è sempre indegnamente rappresentato da una anonima sagoma bianca. Alla luce di quanto detto appare chiara la motivazione che mi ha spinto a studiare il grande complesso conventuale nella sua totalità e non come un insieme di singoli corpi, funzionalmente autonomi e attualmente accomunati solo dalla collocazione urbana. Il tentativo, spero in parte riuscito, è stato quello di restituire, almeno sulla carta, almeno in questa sede, l’organicità e l’armonia funzionale che hanno caratterizzato il complesso per almeno quattro secoli.

DESCRIZIONE GENERALE

Fanno parte del complesso conventuale della chiesa di Sant’Antimo Martire la grande chiesa trecentesca, orientata in direzione est-ovest, e il massiccio stabile di due piani, comunemente chiamato “ex convento di Sant’Agostino”, che si sviluppa parallelamente alla grande chiesa ad una distanza di ventidue metri e ad un dislivello di circa quattro metri rispetto al piano di calpestio dell’edificio sacro. Lo spazio di risulta tra questi due grandi immobili è occupato dal chiostro quattrocentesco e da un più modesto stabile, sempre di due piani, che, lungo il lato orientale del chiostro, in direzione nord-sud, unisce la fiancata meridionale della chiesa con la grande ala superiore del convento. L’impianto originario della chiesa di Sant’Antimo Martire è ad una sola navata con abside quadrangolare e copertura lignea a capriate. I paramenti esterni sono in laterizio a faccia vista ad eccezione della fiancata

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meridionale, al tempo la più celata allo sguardo, realizzata in semplice muratura con pietra rasa ad opus incertum. I paramenti sono coronati, sotto l’imposta della copertura, da archetti pensili a tutto sesto che intrecciandosi formano una sequenza continua di sesti acuti. Il paramento absidale è interrotto dalla presenza di una grande bifora, mentre la grande navata è illuminata da sei monofore archiacute. Associato ai motivi gotici è immediato il rimando a schemi decorativi più tipici del linguaggio formale romanico, come la facciata. In mattoni a faccia vista, questa si presenta racchiusa da due costoloni laterali, anch’essi in laterizio, e arricchita da uno zoccolo in pietra calcarea. Dello stesso materiale è l’architrave del portale sormontato da una lunetta. Sotto il timpano la facciata presenta un oculo sommitale, tipico elemento decorativo di schema romanico. La torre campanaria, sul lato meridionale dell’abside, è in laterizio e pietra alberese.

Figura 29. Porzione del prospetto ovest del complesso su piazza Curzio Desideri. Al centro: facciata della chiesa di Sant’Antimo, a destra: muro perimetrale e ingresso del chiostro.

All’interno un imponente arco trionfale a sesto acuto, con ai lati due grandi nicchie, separa la grande navata su cui dominano le otto capriate, dall’area presbiteriale dalla

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volta a crociera con costoloni in laterizio su peducci. A sinistra dell’aula principale c’è una seconda piccola navata realizzata negli anni ’30 del Novecento unendo le due piccole cappelle presenti sulla fiancata settentrionale. Purtroppo l’esterno di quest’ultima non è direttamente visitabile poiché l’intero prospetto è celato dalle abitazioni private.

Figura 30. Porzione del prospetto nord. In basso e sinistra si nota come la navata laterale sia il risultato dell’unione di corpi separati. Foto scattata dai tetti di abitazioni private.

Dall’interno della chiesa, come dalla piazza antistante, si accede al chiostro costruito nel 1470, a ridosso del lato meridionale dell’edificio, da Andrea Guardi. Nonostante la percezione di simmetria, il chiostro non è perfettamente quadrato. Le ampie arcate, poggianti su venti esili colonne in marmo, non sono tutte uguali, ma appositamente realizzate di ampiezza diversa per creare l’effetto di uno spazio regolare. Gli eleganti capitelli riprendono, reinterpretandoli, motivi classici, mentre in quelli delle colonne d’angolo sono scolpiti gli stemmi degli Appiano e della città di Piombino.

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Figura 31. Chiostro della Concattedrale di Sant’Antimo. In alto da sinistra: la fiancata meridionale della chiesa, il campanile, l’ala inferiore del convento di Sant’Agostino.

Sul lato orientale del chiostro si affaccia l’ala inferiore del complesso. L’edificio nel pian terreno ospita la sacrestia e l’ufficio del parroco, a cui si accede sia dal chiostro sia dall’interno della grande navata, e altri tre locali attualmente sede di un piccolo Museo d’Arte Sacra, dedicato ad Andrea Guardi, ed in origine probabilmente destinati ad aula capitolare. Il primo piano, originariamente utilizzato come dormitorio per dodici religiosi, oggi suddiviso in sette locali, è di diretta pertinenza del grande convento a cui è collegato. Infatti l’accesso a questi locali, sin dalla loro costruzione, avviene dal pian terreno dell’ala superiore, quindi da piazza Sant’Agostino. Il lato meridionale del chiostro è dominato dal grande edificio di due piani, quasi intermente occupato fino al 1998 dal Comando della Guardia di Finanza di Piombino. Il pian terreno dello stabile era interamente destinato quindi ad uffici, garage, cucina, mensa, bagni e vari altri servizi per il Corpo, per un totale di circa 18 vani, ad eccezione di tre locali ad uso garage per il parroco, di proprietà della

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parrocchia, e di due piccole stanze inutilizzate da decenni, su via Del Coro. Da questo piano si accede anche ai sette locali sopracitati (il primo piano della piccola ala inferiore) annessi alla caserma, e utilizzati, prima dell’abbandono, come camerette, guardaroba, foresteria, laboratorio e sala convegni.

Figura 32. Porzione del prospetto est. Da destra: l’abside della chiesa di Sant’Antimo, il campanile, l’ala inferiore del convento che ospita, nel piano terreno, il Museo d’Arte Sacra Andrea Guardi.

Il primo piano è attualmente diviso in due porzioni completamente autonome. Una parte ospita la casa canonica, oggi disabitata, composta da 10 locali e anch’essa quindi di proprietà parrocchiale, a cui si accede tramite l’originale scala cinque-seicentesca. L’altra porzione, costituita da 12 locali, di pertinenza della Guardia di Finanza, erano destinati a vari utilizzi, come ufficio del Comandante, archivio, sala radio, ecc. L’accesso autonomo a questi locali era assicurato da una scala interna, realizzata probabilmente verso la metà del secolo scorso, che collega direttamente le due zone adibite a caserma. Il prospetto principale dell’immobile su piazza Sant’Agostino, mostra in maniera chiara le importanti manomissioni subite dall’edificio negli ultimi due secoli, come il tamponamento del porticato per

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trasformarne il deambulatorio in nuovi vani e l’apertura di un considerevole numero di ingressi autonomi per consentire l’acceso a zone con funzione e proprietà diversificate.

Figura 33. Prospetto sud. La facciata principale dell’ex convento di Sant’Agostino di Piombino.

IL RILIEVO METRICO

Nel complesso approccio alla conoscenza di un edifico di interesse storico il rilievo è la prima delle fasi prettamente analitiche. Il rilievo non è altro che la definizione delle caratteristiche metriche e geometriche dell’oggetto. Rilevare un edificio è quindi un’operazione molto complessa, che rischia di diventare eccessivamente dispersiva se non vengono preventivamente individuati e definiti gli specifici obiettivi che si intendono raggiungere nel più ampio processo di conoscenza. Nel caso presente l’obiettivo era quello di ottenere uno strumento utile a ragionare in

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termini di struttura, considerata nella sua globalità. In prima battuta era infatti indispensabile verificare le effettive corrispondenze tra i due piani dell’immobile, analizzare le eventuali anomalie strutturali, le pareti in falso, gli allineamenti rispettati e tutto quell’insieme di caratteristiche fisiche della struttura che osservate singolarmente, senza quindi una visione globale, non sarebbero risultate significative. Tengo a precisare che non è stato oggetto del rilievo la definizione di tutti quegli elementi architettonici ininfluenti per la comprensione della maglia strutturale globale e che comunque avrebbero necessitato di scale di lettura, e quindi di rappresentazioni grafiche, più dettagliate. Mi auguro che ciò non debba essere considerato un limite ma una scelta coerente con gli scopi predefiniti.

Figura 34. Il rilievo metrico dell’ex convento di Sant’Agostino eseguito dallo studio NIGRA di Piombino. A sinistra: piano terra dell’ala superiore e primo piano di quella inferiore. A destra: primo piano dell’ala superiore.

Il primo passo per la stesura del rilievo metrico è consistito nella verifica degli elaborati di rilievo già a disposizione. Purtroppo attualmente non esistono elaborati grafici esaustivi. Il punto di partenza sono state le tavole del progetto preliminare di

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restauro redatto nel 2006, gentilmente fornitemi dallo studio di progettazione NIGRA di Piombino (fig. 45) e alcuni disegni realizzati dai tecnici del Comune di Piombino. A questi elaborati è stata confrontata ogni rappresentazione grafica reperita, anche apparentemente insignificante, riguardante il complesso, di qualsiasi origine e periodo. Purtroppo ciascuna delle rappresentazioni grafiche esistenti si è sostanzialmente rifatta alle precedenti disponibili, contribuendo a perpetrare le inesattezze contenute in queste ultime. Infatti la suddivisione dell’immobile in più zone autonome, sia come accessi, sia come proprietà, ha comportato che le rappresentazioni grafiche fossero frutto della sovrapposizione di più elaborati, spesso eseguiti in tempi e per fini diversi. Dall’analisi delle vicende storiche e soprattutto delle varie planimetrie storiche è apparso subito chiaro che gli errori interessavano addirittura la corrispondenza delle strutture murarie in ambienti attigui. Quindi si è dovuto provvedere all’esecuzione di un nuovo e totale rilievo metrico diretto per correggere i gravi errori che interessavano soprattutto queste zone di cesura. Ciò ha comportato un lavoro molto complesso, in particolare per la presenza di alcuni locali attigui, ottenuti ad esempio dalla partizione di un unico ambiente, che potevano essere raggiunti tramite accessi separati sulla facciata principale, rendendo di fatto assai difficoltoso stabilire una precisa correlazione tra i vari ambienti, soprattutto per quanto riguarda gli spessori murari. Inoltre, per completezza di rappresentazione, si è provveduto ad un nuovo e completo rilievo della grande chiesa e del chiostro, sia in pianta che in elevato. La stesura di un più corretto e consapevole rilievo ha consentito una chiara lettura della maglia strutturale più antica dell’edificio e l’immediata comprensione, come indicato negli elaborati grafici che accompagnano questo lavoro, delle importanti modificazioni da questo subite negli ultimi quattro secoli. La misurazione è stata condotta con il metodo delle trilaterazioni e gli strumenti utilizzati sono stati quelli tipici del rilievo diretto: il doppio metro, la rotella metrica, la livella da muratore e il distanziometro laser (precisione ±3mm). Riguardo ai prospetti, quando non è stato possibile ottenere misure in maniera diretta, è stata utilizzata la tecnica di fotogrammetria semplificata. In pratica sono state eseguite prese fotografiche effettuate con una normale macchina fotografica digitale, successivamente processate con software di raddrizzamento digitale RDF, in

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grado di ricostruire una proiezione ortogonale dell'oggetto indipendentemente dall'inclinazione della presa fotografica. Le singole immagini raddrizzate sono state "mosaicate" e cioè unite per ottenere la restituzione del fotopiano della singola porzione di prospetto oggetto dell’indagine. In tutte le prese fotografiche sono stati preventivamente individuati quattro punti di appoggio consistenti in punti fisici caratteristici dell'edificio.

CENNI DI RILIEVO STRUTTURALE E MATERICO

La totale assenza di saggi e indagini preliminari sull’edificio e l’impossibilità di interagirvi liberamente non ha permesso di redigere un rilievo del degrado strutturale e superficiale dell’immobile. Indagini più approfondite erano infatti legate all’esecuzione del progetto di restauro redatto nel 2006 che, contemporaneamente alla messa in sicurezza delle coperture, avrebbe dovuto procedere alla rimozione degli spessi strati moderni di intonaco, ad indagini accurate sulle volte ed al reperimento di tutte quelle informazioni necessarie alla stesura di un più consapevole progetto esecutivo di restauro. Le informazioni raccolte durante i sopralluoghi effettuati in fase preliminare hanno comunque consentito di acquisire un quadro abbastanza chiaro delle caratteristiche costruttive del manufatto. Se da un lato sarà quindi possibile descrivere quasi tutte le evidenze strutturali e materiche delle strutture, non sarà d’altra parte possibile, allo stesso tempo, evidenziarne lo stato conservativo, se non in maniera superficiale. L’edificio non presenta comunque un quadro fessurativo e deformativo degno di nota. Inoltre in questa fase non avrebbe senso parlare di degrado superficiale dato che i paramenti esterni ed interni dell’immobile sono ancora coperti dai moderni intonaci. Naturalmente, dopo aver trattato il complesso nella sua totalità, i paragrafi seguenti si riferiranno in maniera esclusiva all’oggetto della presente tesi, cioè all’edificio individuato come “ex convento di Sant’Agostino” di Piombino costituito dalla grande ala superiore e dal primo piano di quella inferiore.

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Le fondazioni

Per valutare la presenza e la geometria delle fondazioni, come appena detto, sarebbero necessarie delle indagini dirette, ma la natura del terreno ed altri significativi elementi portano a formulare comunque ipotesi convincenti. Il complesso sorge su un affioramento superficiale di argille e calcari di Canetolo, ben visibili ai lati della piazza Sant’Agostino. Si tratta nello specifico di argilliti e argillosciti neri, giallastri per alterazione, in cui si intercalano calciti, calcarniti e calcari marmosi in strati discontinui per cause tettoniche. La presenza di un terreno affidabile ha sicuramente permesso la realizzazione di una fondazione superficiale continua direttamente su di esso e quindi con scavi poco profondi. Sul prospetto nord del complesso, grazie alla rimozione del terreno superficiale, per l’abbassamento del piano di calpestio di una piccola chiostra attigua alla fiancata settentrionale della chiesa, è rimasta scoperta la struttura fondale della piccola abside della navata laterale. La fondazione si presenta così di modeste dimensioni, continua e in muratura mista. Vista anche la totale assenza di cedimenti strutturali ritengo probabile che la struttura di fondazione, una volta livellato lo strato roccioso, sia stata eseguita con le suddette caratteristiche.

Le murature

Il sistema costruttivo impiegato nella realizzazione dell’edificio è quello del tipo “a muratura portante”. Per la comprensione del funzionamento statico strutturale sono state individuate le strutture principali distinguendole da quelle secondarie. Quelle principali costituiscono naturalmente lo scheletro dell’edificio, come i muri perimetrali e le murature dell’imponente scala, mentre quelle secondarie hanno funzioni diversificate. Tra le strutture secondarie occorre infatti distinguere quelle che portano solo se stesse ed hanno l’unica funzione di suddividere gli ambienti, e quelle che hanno anche una minima funzione portante, poiché servono anche da supporto alle volte. Questa distinzione cade però in difetto se consideriamo le numerose modifiche subite dall’immobile e soprattutto i diversi periodi storici in cui queste esse sono avvenute. In linea di massima le murature principali, le più antiche, sono murature “povere” miste, realizzate con pietre di varia natura grossolanamente

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squadrate, ciottoli, laterizi e consistente malta, ad opus incertum, cioè con elementi sovrapposti uno sull’altro senza alcuna regolarità, talvolta anche in posizione verticale. L’analisi è stata consentita dal rinvenimento di un piccolissimo vano murato durante le operazioni di rilievo ed individuato dalla presenza di una feritoia sul prospetto est. L’introduzione di una fotocamera ha permesso di rilevare l’assenza di intonaco e quindi analizzare direttamente il paramento murario.

Figura 35. Paramenti murari del vano nascosto prospiciente via Del Coro.

La stessa tecnica muraria sembrerebbe utilizzata anche per le strutture secondarie più antiche con funzione semiportante. Dati i notevoli spessori della maglia principale, non è da escludere che queste murature siano state realizzate a sacco, cioè con due distinti paramenti lapidei, uno interno, l’altro esterno, e un riempimento con materiali di scarto di piccola pezzatura, con o senza uso di malta. Il fortuito distacco di una porzione dell’intonaco sul prospetto occidentale dell’edificio ha evidenziato la presenza di un cantonale composto da conci ben squadrati e rifiniti in superficie. Probabilmente tutti i cantonali della più antica maglia strutturale erano rifiniti, sui paramenti esterni, con conci in pietra da taglio, elementi regolari posti in opera

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talvolta anche senza malta. Questo particolare è molto utile per ricostruire l’originale fisionomia dell’edificio.

Figura 36. Particolare del cantonale in pietra su via Canonica.

Le numerose murature secondarie con funzione di suddivisione degli ambienti di periodo napoleonico e lorenese sono prevalentemente in mattoni pieni, realizzate con disposizioni ad una testa, ma è frequente anche la compresenza di elementi in pietra disposti casualmente. Stesso discorso vale per i vari spostamenti e tamponamenti delle aperture, in cui si ritrova prevalentemente l’uso del laterizio. Purtroppo i muri perimetrali del primo piano dell’ala inferiore, a causa del ripetuto spostamento del finestrato, hanno quasi totalmente perso la consistenza originaria: realizzati anch’essi con murature miste estremamente povere, si presentano oggi quasi totalmente sostituiti da lacerti in laterizio. Le più recenti opere murarie riferibili al ‘900, come le tramezzature per la costruzione dei bagni, sono realizzate con mattoni forati. Di più difficile analisi sono le aperture, sia per la presenza degli intonaci, sia per le notevoli modifiche apportate sin dal periodo napoleonico. Comunque sembrerebbe che sia per le aperture più antiche, sia per quelle ottocentesche, si sia fatto ricorso all’uso di laterizio per creare archi di scarico, piattabande, architravi e spallette.

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Le volte ed i solai

La struttura voltata in muratura è la soluzione più utilizzata per la copertura degli ambienti. Per quanto riguarda il piano inferiore, riconosciuto come nucleo più antico dell’edificio, tutti gli ambienti hanno coperture voltate, nella maggioranza dei casi composte, e con la presenza di lunette. Nonostante la fitta maglia di murature di suddivisione, sono proprio le strutture voltate a darci indicazioni sulla originale dimensione degli ambienti. Naturalmente si tratta di volte diversificate per forme e dimensioni, a seconda degli ambienti, ma in linea di massima le tipologie utilizzate sono quella della volta a padiglione, lunettata su peducci, a crociera e a botte. La volta a padiglione è utilizzata nell’ambiente di massima luce, l’antico refettorio. Negli ambienti di più modeste dimensioni, corrispondenti presumibilmente ad una ripartizione cinque-seicentesca dell’originale locale destinato a dormitorio, si ricorre all’uso di volte lunettate su peducci.

Figura 37. Particolare della volta dei locali adibiti a bagno al piano terreno del convento.

Volte a crociera coprono l’antico deambulatorio del porticato oggi tamponato e la grande scala che conduce al piano superiore. La volta a botte è utilizzata nel corridoio che, perpendicolarmente alla facciata principale, consente l’accesso al primo piano dell’ala inferiore. Anche un piccolo locale al pian terreno, ricavato nei primi decenni dell’Ottocento all’interno di un altro vano presenta copertura a botte.

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Mentre l’intradosso delle volte è intonacato, sull’estradosso poggiano le pavimentazioni dei locali del piano superiore. È probabile comunque che le strutture siano realizzate interamente in laterizio. Per il primo piano l’analisi è stata facilitata dalla possibilità di accedere al sottotetto e verificare tutti gli estradossi. Come già accennato nell’analisi storica dell’edificio, è proprio questo piano ad aver subito nella prima metà dell’Ottocento le modifiche più pesanti. Probabilmente le volte ed i solai relativi a questi locali furono realizzati nel 1818 durante i lavori di trasformazione dello stabile in caserma per Guardie Doganali. Mentre la grande corsia che attraversa longitudinalmente l’intero immobile presenta una copertura a botte, realizzata con un cannucciato intonacato fissato a centine in legno (fig. 38), sono due le tipologie utilizzate per coprire tutti gli altri ambienti.

Figura 38. Estradosso della copertura a botte della corsia che attraversa longitudinalmente il primo piano dell’edificio.

La struttura maggiormente utilizzata è quella voltata, a padiglione, in dimensioni contenute, a volterrana85, cioè con mezzane posate di piatto in folio. Gli estradossi sono ricoperti con materiali di scarto.

85 La denominazione, utilizzata comunemente per voltine a botte impostate su travi, è qui ripresa dalla

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I rimanenti locali hanno solai di copertura realizzati a palco86, cioè dei controsoffitti in cannicciato intonacato applicato su un’orditura di travetti fissata al di sotto delle travi principali. Stessa tecnica viene utilizzata in tutti i locali del primo piano dell’ala inferiore.

Figura 39. Particolare del solaio di copertura “a palco” di un locale del primo piano e struttura di copertura del convento.

Le coperture

La copertura dell’ala superiore del convento è costituita da un tetto a due falde con manto di laterizio in coppi ed embrici e struttura lignea composta da falsi puntoni, travi, travetti e mezzane di riempimento. I falsi puntoni, oltre che sulle mura perimetrali, poggiano, a circa metà della loro lunghezza, su travi longitudinali sorrette da muretti in laterizio e setti murari in pietra. La trave di colmo è sostenuta su sei semplici capriate di modesta luce (circa 3 metri) che insistono sui medesimi setti e muretti (Figg. 39-40).

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Figura 40. Particolare della struttura di copertura dell’ala superiore del convento.

Il tetto dell’ala inferiore del convento è anch’esso realizzato a capanna con il medesimo manto di copertura. L’armatura anche in questo caso è lignea ma costituita da travicelli e terzere poggianti su quattro capriate di circa otto metri e mezzo di luce. Le coperture dei due edifici sono l’unico elemento architettonico ad essere stato oggetto, nel 2007, di lavori di restauro.

Le scale

Il collegamento tra i due piani dell’immobile è assicurato da due diverse scale interne. La prima, la più antica, è da mettere in relazione ad una sopraelevazione dell’edificio avvenuta prima del 1650. Questa imponente scala è costituita da una prima rampa formata da 18 scalini, un pianerottolo ed una seconda piccola rampa di tre soli scalini. La prima rampa, di circa 180 cm di larghezza, è sorretta da una volta a botte, ben visibile nel piccolo ambiente al di sotto di essa. Gli scalini sono costituiti da lastre in pietra forte di 6 cm di spessore. La fronte tra gli scalini è chiusa con mattoni e pietre applicati tra le lastre che contribuiscono così alla stabilità della scala. Stesso discorso vale per i tre scalini che dal ripiano portano al primo piano, anche se ad un esame visivo questi appaiano sicuramente meno antichi dei precedenti. Sia la

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rampa che il pianerottolo sono coperti da volte a crociera su semplici peducci. Questa scala, che oggi consente solamente l’accesso all’appartamento riservato al parroco, fino alla metà del secolo precedente era l’unico mezzo di collegamento tra i due piani. Infatti, intorno al secondo quarto del Novecento, venne realizzata una seconda scala, all’interno del deambulatorio del porticato murato, per permettere al Corpo della Guardia di Finanza di raggiungere i locali di propria pertinenza nel piano superiore in maniera autonoma. Questo secondo collegamento è costituito da una scala a quattro rampe, a pozzo. Le rampe sono realizzate con scalini a sbalzo a tutta alzata, costituiti cioè da un solo elemento in pietra, incastrati nei muri perimetrali con funzionamento a mensola e poggianti vicendevolmente uno sull’altro.

Figura 41. I collegamenti verticali. A sinistra: la monumentale scala cinque-seicentesca che conduce alla Canonica. A destra, la scala a sbalzo realizzata nella prima metà del Novecento.

I piccoli ripiani di competenza di ciascuna rampa, non posizionati allo stesso livello, sono collegati, uno con l’altro, da uno scalino. La prima rampa è formata da solo due

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scalini d’invito, la seconda e terza rampa da sei, l’ultima da cinque. Le branche ed i ripiani sono naturalmente muniti di parapetti metallici con ritti incastrati lateralmente ai gradini. Non tenendo di conto dell’ulteriore collegamento verticale in lastre metalliche incastrate che dal primo piano porta nel piano del sottotetto, nel convento esiste un’altra scala, sicuramente la più antica, ma inutilizzata da più di due secoli. Il chiostro un tempo era direttamente collegato al piano terra del grande convento da una scala di 24 gradini, scavata direttamente nella roccia, che permetteva di superare il notevole dislivello dei due piani di calpestio. Chiusa in seguito alla trasformazione del convento in caserma, è oggi parzialmente visibile da una piccola apertura realizzata nel muro di tamponamento.

Figura 42. L’antica scala, oggi murata, che permetteva l’accesso al convento direttamente dal chiostro.

Il porticato

Le dieci arcate in laterizio poggianti su colonne in pietra serena sono state oggetto di analisi statica da parte dello studio Nigra di Piombino per valutare la possibilità di riaprire il porticato, tamponato durante il periodo napoleonico, ed eventualmente

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individuare tutti gli interventi necessari ad assicurare la massima stabilità dell’edificio. L’intervento, oltre a conferire all’immobile un aspetto più vicino all’originale, restituirebbe allo stabile un elemento di primaria importanza per una sua maggiore comprensione e fruibilità da parte dei visitatori. Purtroppo le colonne si presentano in uno stato di degrado così avanzato che la loro rimozione e sostituzione non ne consentirebbe neppure la musealizzazione. Se fosse confermata l’ipotesi, suggerita dalla presenza di un cantonale in pietra su via Canonica, che il convento prima della sua sopraelevazione avesse forma regolare a maglia rettangolare, le diverse dimensioni della facciata farebbero pensare che l’attuale evidenza materiale del porticato risalga al XVI-XVII secolo. La differenza di quota tra il piano di calpestio interno e il piano di posa delle colonne lascia supporre che queste ultime fossero collocate su di un muretto di circa 70 cm di altezza delimitante il deambulatorio.

Figura 43. Particolare del porticato tamponato su piazza Sant’Agostino. Da sinistra a destra sono visibili: l’ingresso alla caserma, l’accesso alla scala per la canonica, l’accesso alla scala novecentesca.

Figura

Figura 22. Inquadramento territoriale della provincia di Livorno e del Comune di Piombino
Figura 23. Estratto dall’Impianto Catastale dei Fabbricati, 1931, Archivio Storico della Città di  Piombino, Stampe e disegni, C24
Figura 24. Planimetria del centro storico di Piombino.
Figura 25. Foto aerea del centro storico di Piombino, Foto Bagnoli Luca, Livorno.
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