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4. Materiali e metodologie analitiche

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Academic year: 2021

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4. Materiali e metodologie analitiche

Il progetto multidisciplinare, volto alla caratterizzazione del litorale pisano, in cui si inserisce questa tesi, è frutto della collaborazione tra Provincia di Pisa e il Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.

A questo scopo, nel Maggio 2005, è stata campionata la costa pisana, dal Fosso della Bufalina fino alla foce del Canale Scolmatore, da una ditta privata che ha fornito i campioni per la presente tesi e ha effettuato le relative analisi granulometriche.

I campioni fluviali sono invece stati prelevati per mezzo di una benna di tipo Van Veen (fig. 4.1.1) tra Maggio e Luglio 2007 dal sottoscritto, con la collaborazione della Dott.sa Ilaria Consoloni e la Dott.sa Vittoria Laterza grazie alla

collaborazione della Polizia Idraulica settore Suolo della Provincia di Pisa che ha fornito i mezzi per effettuare il campionamento.

I campioni sono stati preparati e quartati per l’analisi granulometrica presso l’Ufficio Coste della Provincia di Pisa, mentre le analisi chimiche totali dei

campioni tramite XRF (spettrometria a fluorescenza a raggi X) e il calcolo della L.O.I. (Loss on Ignition) sono state realizzate nei laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali dell’Università di Bologna.

Per la presentazione dei risultati e l’analisi statistica dei dati sono stati utilizzati

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Fig. 4.1.1 – Benna Van Veen utilizzata per il campionamento.

4.1 Il campionamento

Il campionamento dei sedimenti costieri nell’area compresa fra il Fosso della Bufalina e il Canale dello Scolmatore, finanziato dalla Provincia di Pisa, è stato eseguito nel Maggio del 2005.

Il campionamento si è svolto secondo transetti ideali perpendicolari alla costa che meglio permettono di individuare differenze di composizione granulometrica in funzione della profondità.

I campioni sono stati raccolti lungo il transetto a diverse profondità e

precisamente: –9/10m (campioni A), 7/8m (campioni B), 5/6m (campioni C), -4m (campioni D), -3m (campioni E), -2m (campioni F), -1m (campioni G), in battigia (campioni H) ed in spiaggia emersa alla quota di 1m (campioni K) e 2m (campioni L).

Il passo di campionamento tra un transetto e l’altro è stato di 600 metri per un totale di 50 transetti Ogni campione, del peso di circa 1 kg, è stato collocato in un sacchetto di nylon e ad ogni prelievo sono state associate al campione le

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coordinate geografiche chilometriche (Gauss-Boaga) ottenute attraverso l’utilizzo

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Per gli obiettivi della presente tesi sono stati individuati 6 transetti significativi

prendendo per ciascuno di questi 5 campioni sugli 8 raccolti, rappresentativi sia della spiaggia emersa che di quella sommersa ovvero: i campioni A (batimetrica -9/-10m), C (bat. -5/-6m), E (bat -3m), G (bat. -1m), K (bat. 1m). I transetti scelti, da nord a sud, sono: il 9 alla foce del Serchio, il 116 appena a Nord delle scogliere

della spiaggia del Gombo, il 206 alla foce dell’Arno, il 345 a Tirrenia e il 353 a Calambrone (si è scelto di prendere in quest’ultimo caso due transetti ravvicinati tra loro al fine di verificare se in questa zona ci sia una possibile convergenza del

drift litoraneo in quest’area) ed infine il 373 alla foce dello Scolmatore. Oltre ai

transetti sono stati studiati anche 21 campioni alla batimetrica -1 (i campioni G), con un passo di campionamento di circa 1km. In totale quindi sono stati analizzati 51 campioni di spiaggia. Nella tabella seguente vengono riportati nome del campione e profondità (tab 4.1.1).

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Nel caso dei fiumi sono stati scelti 3 punti di campionamento per ogni corso

d’acqua, uno a monte fino a dove i mezzi tecnici hanno permesso di arrivare, uno alla foce e uno a media distanza tra i primi 2.

Nella tabella seguente vengono illustrati i nomi dei campioni e le coordinate GPS (vedi anche fig. 4.1.2).

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4.2 Metodologie analitiche

In laboratorio i campioni di spiaggia sono stati fatti asciugare in forno per 24 ore ad una temperatura costante di circa 40°C. Da ogni campione, una volta asciutto, è stata prelevata una parte, circa 40 g, con il metodo della quartatura manuale,

metodo al fine di ottenere una quantità statisticamente significativa

Per i campioni prelevati lungo le aste fluviali, si è resa necessaria una setacciatura ad umido per separare la frazione grossolana (>63 µm) da quella siltosa ed argillosa (<63 µm) e per poter così confrontare i campioni di fiume a

frazione gossolana con i sedimenti di spiaggia più vicini a costa dove la granulometria è maggiore.

Per la setacciatura ad umido si è separata dal campione originale una frazione di 100 g versata poi all’interno di un setaccio (pompando insieme acqua per

facilitare lo scorrimento del sedimento) ASTM da 230 mesh equivalente ad una luce netta di 63 µm. Le due frazioni ottenute sono state poi asciugate in forno ventilato per 24 ore.

I campioni del transetto 345 invece sono stati trattati con acqua deionizzata

(“lavaggio”) per valutare l’errore che l’acqua marina può introdurre nell’analisi di cationi come Mg, Na e K contenuti nei campioni ma anche nell’acqua stessa.

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4.2.1 Analisi XRF ( X-Ray Fluorescence)

I 51 campioni raccolti sono stati sottoposti ad analisi XRF per la determinazione degli elementi maggiori ed in traccia. Lo strumento utilizzato per l’analisi dei suddetti campioni è uno spettrometro sequenziale a dispersione di lunghezza

d’onda Philips PW1480 (fig.4.2.1) con sorgente al Rodio. Attraverso questo tipo di analisi si ottengono le concentrazioni degli elementi maggiori espressi nelle loro forme ossidate (SiO2, TiO2, Al2O3, Fe2O3(tot), MgO, MnO, CaO, Na2O, K2O, P2O5) e degli elementi in traccia (Sc, V, Cr, Co, Ni, Cu, Zn, Rb, Sr, Y, Zr, Nb, Ba, La, Ce,

Pb, Th) espresse in parti per milione (ppm).

Fig.4.2.1 – Spettrometro XRF nei laboratori del Dipartimento di Scienze della Terra e Geologico-Ambientali dell’Università di Bologna

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La spettrofotometria XRF è una tecnica analitica basata sull'emissione di luce di

fluorescenza da un campione esposto ai raggi X (la sigla è l'acronimo dell'espressione inglese X-Ray Fluorescence) che fornisce informazioni sul contenuto totale di elemento nel campione.

Quando una sorgente di eccitazione di raggi X primari proveniente da un tubo X o

da un radioisotopo colpisce un bersaglio campione, i raggi X possono essere o assorbiti dall'atomo o diffusi attraverso la materia. Il processo nel quale un raggio X è assorbito dall'atomo con trasferimento di tutta la sua energia ad un elettrone dello strato più interno è detto effetto fotoelettrico.

Durante questo processo, se la radiazione X ha sufficiente energia, gli elettroni sono strappati dagli orbitali più interni, creando delle lacune. Queste lacune creano una condizione di instabilità per l'atomo. Gli elettroni degli orbitali più esterni per compensare questa lacuna energetica, si spostano verso gli orbitali

più interni e nel fare questo emettono la radiazione X. Una radiazione X caratteristica la cui energia è la differenza tra le due energie di legame dei rispettivi orbitali. La radiazione X prodotta da tale processo è detta Radiazione di fluorescenza X o XRF.

L'esame della fluorescenza X caratteristica emessa dagli atomi consente di identificare con sicurezza via via i diversi elementi chimici. In genere, vengono rilevati tutti gli elementi chimici aventi peso atomico superiore o uguale a quello

del sodio (Na)

La caratteristica principale delle analisi per spettrometria a raggi X è quella di non essere distruttiva e quindi di conservare l’integrità del campione e fornisce una informazione relativa alla composizione chimica totale del campione.

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La concentrazione dell’elemento chimico analizzato è proporzionale all’intensità

della radiazione emessa, e si ottiene attraverso la calibrazione dello strumento con dei campioni STANDARD di riferimento, certificati e con concentrazioni note per ogni elemento e di composizione chimica simile ai campioni analizzati.

Tab. 4.2.1 - Valori di concentrazione certificati e risultanti dalle analisi degli standard di riferimento. In nero sono riportate le concentrazioni (ppm) ottenute dalle analisi, in rosso i valori certificati per ogni standard.

Per questa analisi sono stati scelti due graniti (GA e ACE), uno scisto (TB) e un basalto (W1) (tab.4.2.1).

Lo spettrometro analizza i campioni sotto forma di pasticche di polvere (fig. 4.2.2) da 3 g di materiale. Per ottenere le pasticche ogni campione è stato finemente polverizzato in un molino ad anelli e successivamente pressato insieme ad acido borico, che viene utilizzato come supporto per il campione

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Fig.4.2.2 – Esempio di pasticca in polvere analizzata dallo spettrometro XRF.

Per valutare la ripetibilità delle analisi sono state eseguite repliche per 5 campioni di spiaggia (9G, 38G, 116G, 329G, 373G). In Tabella 4.5 sono riportati i risultati delle analisi sul campione e sulla replica, individuata dalla lettera R.

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4.2.2 Determinazione della L.O.I. (Loss on Ignition)

La L.O.I. o “perdita alla calcinazione” è un dato che ci indica la quantità di sostanza volatile (“volatile” perché persa durante il riscaldamento ad alte temperature) presente nel campione, dove per sostanza volatile si intende l’acqua

reticolare dei minerali argillosi, l’umidità del campione, la sostanza organica e i carbonati.

La determinazione prevede il riscaldamento in muffola, fino a 950ºC per 24 ore, di un’aliquota di campione polverizzato pari a 0,5-0,7 g posta all’interno di un

crogiuolo di Platino (materiale resistente alle alte temperature ed inerte).

Durante il riscaldamento intorno ai 500ºC si ha la formazione di CO2 per ossidazione della sostanza organica e intorno agli 870ºC la decomposizione dei carbonati con liberazione di CO2 e la formazione di ossidi come il CaO.

Dopo questo procedimento il campione subisce una perdita di peso strettamente legata alla sostanza organica e ai carbonati.

Il calcolo della L.O.I. espressa in percentuale peso si effettua utilizzando la formula seguente:

L.O.I.= (pi - pf)/ps*100

dove pi è il peso del crogiuolo con la polvere, pf è il peso finale del crogiuolo dopo il processo e ps è il peso della polvere.

Se si assume che tutta la CO2 prodotta derivi dai carbonati possiamo ottenere anche questo dato utilizzando la formula seguente:

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CaO è il valore ottenuto con l’analisi in fluorescenza dell’ossido di calcio, MMCO2 è

il peso molecolare dell’anidride carbonica ed MMCaO il peso molecolare dell’ossido di calcio.

Se si sottrae al valore della L.O.I. quello della CO2MAX si ottiene la L.O.I. residua che rappresenta il tenore di acqua e sostanza organica all’interno del campione. L.O.I.res(wt%)=L.O.I.-CO2MAX(wt%)

4.3 Trattamento e analisi dei dati

I dati ottenuti sia durante la fase di campionamento (dati geografici) sia durante

la fase analitica (dati chimici) sono stati organizzati ed elaborati tramite fogli di lavoro Excel in tabelle e utilizzati per l’elaborazione grafica dei dati, per effettuare analisi statistiche delle variabili di interesse e, in ambiente GIS, utilizzati per la creazione di mappe tematiche per ogni elemento.

Il trattamento statistico dei dati analitici ha riguardato principalmente la statistica descrittiva, con l’utilizzo di distribuzioni di frequenza (analisi univariata), di indici statistici (media, mediana, deviazione standard, valore massimo e minimo), coefficienti di correlazione per determinare le relazioni lineari

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Il trattamento statistico dei dati analitici è stato condotto mediante l’utilizzo dei

seguenti software: Microsoft Excel, Statistica 6.0, GCDkit 2.2 (Geochemical Data Toolkit for Windows).

I principali indici statistici della statistica descrittiva sono stati rappresentati in forma grafica utilizzando le potenzialità dei boxplot.

Il boxplot è una rappresentazione grafica che descrive in modo schematico e sintetico gli indici statistici relativi alla tendenza centrale (la misura del valore intorno al quale sono maggiormente e preferenzialmente raggruppati i dati) e alla dispersione di un set di dati.

In figura 4.3.1 è rappresentato il boxplot per il SiO2, il grafico mostra una “scatola” (box), i cui estremi sono il primo (25% dei dati) e il terzo quartile (75% dei dati), tagliata da una linea all’altezza della mediana; la differenza tra il terzo e il primo quartile è definita “differenza interquartile” e rappresenta il 50% dei dati

ed è utilizzata come indice di variabilità della popolazione.

Le due linee esterne al box si chiamano baffi (whiskers) corrispondono ad un intervallo di tolleranza corrispondente a 1.5 la differenza interquartile sottratto al primo quartile e sommato al terzo quartile. Qualora non vengano raggiunti questi

limiti i baffi segnalano il minimo ed il massimo dei valori della variabile. Osservazioni che oltrepassano questi limiti sono segnalati come punti singoli (outliers)

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Fig. 4.3.1- Boxplot della concentrazione del SiO2

Gli indici statistici rappresentati dal boxplot sono stati di aiuto per individuare il numero e il range delle classi di concentrazione di ogni elemento, utilizzate poi

nelle mappe di distribuzione in ambiente GIS.

Tramite il software Statistica 6.0, si è stimata la correlazione esistente tra le variabili considerate tramite il coefficiente di correlazione di Pearson (r), il cui valore può oscillare tra –1 (perfetta correlazione negativa) e +1 (perfetta

correlazione positiva). Se r è nullo, significa che quelle due variabili sono indipendenti. Il livello di significatività della relazione lineare esistente fra i

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parametri si valuta, facendo riferimento ai valori critici dei coefficienti di

correlazione in funzione dei gradi di libertà n-2, dove n è il numero di misure effettuate per coppia di variabili considerate. Se il coefficiente calcolato è più grande di quello definito come valore critico (tabulato), allora esiste una significativa relazione lineare tra i parametri considerati, ovvero vi è meno del 5%

di probabilità che i punti abbiano una distribuzione casuale.

L’analisi multivariata è stata elaborata utilizzando il metodo statistico dell'Analisi dei gruppi o cluster analysis (Davis, 1973), una tecnica che partendo da una matrice di dati ne riduce il numero, raggruppandoli in base a misure di similarità.

Le tecniche della cluster analysis consentono quindi di individuare dei raggruppamenti statisticamente significativi all'interno di un gruppo di variabili. Questi raggruppamenti sono formati da elementi piu’ simili tra loro che non agli elementi appartenenti ad altri gruppi.

Come metodo di aggregazione dei cluster è stato utilizzato il “metodo di classificazione gerarchica aggregativa” che realizza fusioni successive degli n oggetti iniziali in gruppi progressivamente più ampi (alla fine: un unico gruppo). Questo tipo di elaborazione statistica produce come rappresentazione grafica

sintetica un diagramma ad albero, o dendrogramma. La regola scelta (algoritmo aggregativo), in base alla quale si calcola la distanza tra i cluster è il “Complete linkage” (metodo del diametro o della massima distanza): la distanza tra due

cluster è definita come la massima distanza osservata tra tutte le coppie formate da un elemento del primo gruppo e un elemento del secondo gruppo (Rock, 1980). I dati sono stati ulteriormente elaborati in ambiente GIS, acronimo inglese di

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memorizzazione, il controllo, l’integrazione, l’elaborazione e la rappresentazione di

dati riferiti alla superficie terrestre (Arnaud et alii, 1993) associando a ciascun elemento geografico una o più descrizioni alfanumeriche.

Il software utilizzato è stato ArcGIS 9.2 della ESRI (Environmental Systems Research Institute).

In ambiente ArcGIS sono stati importati come Data Base file (.dbf) i fogli di lavoro creati con Microsoft Excel e utilizzati come attributi dei dati geografici puntuali (i campioni).

L’area di studio è stata rappresentata in ArcGIS attraverso l’utilizzo di dati

vettoriali puntuali (i campioni) e lineari (la linea di costa, i fiumi).

Per ogni campione sono riportate le coordinate spaziali (coordinate chilometriche Gauss Boaga), le informazioni riguardanti il sito di campionamento e le concentrazioni degli elementi chimici di interesse per lo studio.

Queste operazioni sono state utilizzate per l’elaborazione di carte tematiche (carte dell’ubicazione dei campioni; carte delle concentrazioni relative ad ogni elemento) georeferenziate, distinte per ogni elemento.

Figura

Fig. 4.1.1 – Benna Van Veen utilizzata per il campionamento.
Tab. 4.1.1 – Nome dei campioni con relative coordinate geografiche in Gauss-Boaga e profondità
Tab.  4.2.1  -  Valori  di  concentrazione  certificati  e  risultanti  dalle  analisi  degli  standard  di  riferimento
Tab. 4.2.2 - Valori di concentrazione totale (ppm) dei campioni replicati.
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