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CAPITOLO I “IL RULING INTERNAZIONALE E FISCALITÀ SOVRANAZIONALE”

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CAPITOLO I

“IL RULING INTERNAZIONALE E FISCALITÀ SOVRANAZIONALE”

I.1Introduzione

L’art. 8 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, recante “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per

la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, ha dato ingresso nel nostro

ordinamento tributario a una nuova procedura1; il cosiddetto Ruling di standard internazionale. Si ritiene più corretto, con riferimento a questo recente strumento giuridico, avente come principale finalità la prevenzione di contrasti e liti fra contribuenti e Amministrazione finanziaria, accostargli il termine procedura2 piuttosto

1 Il decreto legge in esame contiene la manovra fiscale per l’anno 2004. Pubblicato in G.U il 2 ottobre 2003 n. 229. Si riporta il testo integrale dell’articolo 8 D.L. 30 settembre 2003, n. 269 – testo in vigore alla data di redazione del presente elaborato:

Ruling internazionale

1. Le imprese con attività internazionale hanno accesso ad una procedura di ruling di standard

internazionale, con principale riferimento al regime dei prezzi di trasferimento, degli interessi, dei dividendi, delle royalties e alla valutazione preventiva della sussistenza o meno dei requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato, tenuti presenti i criteri previsti dall’articolo 162 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, nonché dalle vigenti Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate all’Italia.

2. La procedura si conclude con la stipulazione di un accordo, tra il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate e il contribuente, e vincola per il periodo d’imposta nel corso del quale l’accordo è stipulato e per i quattro periodi d’imposta successivi, salvo che intervengano mutamenti nelle circostanze di fatto o di diritto rilevanti al fine delle predette metodologie e risultanti dall’accordo sottoscritto dai contribuenti.

3. In base alla normativa comunitaria, l’amministrazione finanziaria invia copia dell’accordo all’autorità fiscale competente degli Stati di residenza o di stabilimento delle imprese con i quali i contribuenti pongono in essere le relative operazioni.

4. Per i periodi d’imposta di cui al comma 2, l’Amministrazione finanziaria esercita i poteri di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo.

5. La richiesta di ruling è presentata al competente ufficio della Agenzia delle entrate, secondo quanto stabilito con provvedimento del direttore della medesima Agenzia.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto.

7. Agli oneri derivanti dal presente articolo, ammontanti a 5 milioni di euro a decorrere dal 2004, si provvede a valere sulle maggiori entrate derivanti dal presente decreto.

2 Nel contesto giuridico con il termine procedura si fa riferimento a “una serie di norme di legge o di regole consuetudinarie da osservare in campo amministrativo, burocratico ecc.”, da Il Sabatini Coletti

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che istituto giuridico. Anche la dottrina maggioritaria è concorde nell’utilizzare, quando si analizza e interpreta il ruling di standard internazionale, il termine procedura3.

La procedura di ruling internazionale è entrata in vigore a partire dal 1 gennaio 2004, anche se ha avuto avvio effettivo nel mese di febbraio del 2005, ovvero soltanto dopo l’ottenimento del parere favorevole della Commissione europea.

Il Provvedimento Direttoriale del 23 luglio 20044 ha dato attuazione al ruling internazionale relativo alle imprese con attività internazionale, cioè ha disciplinato l’esercizio e i criteri dell’accesso – che è facoltativo – e definito gli aspetti generali di svolgimento e conclusione della predetta procedura.

Andando a definire, con un grado di approfondimento non significativo5, il ruling internazionale si giunge alla conclusione, ragionevolmente pacifica, che si tratti di un accordo fra le imprese che svolgono un’attività internazionale e l’Amministrazione finanziaria, che vincola entrambe le parti per un arco temporale definito dalla normativa di riferimento.

Quindi è un vero e proprio accordo6 raggiunto nella fase antecedente alla determinazione del tributo, volto a statuire, conoscere e condividere il trattamento

3 Si veda G. Pezzutto, I riflessi del ruling internazionale sull’attività di verifica fiscale

dell’Amministrazione finanziaria, in «Il Fisco», n. 8, 2004, p. 1088, il quale sostiene che “forse più che di

un nuovo istituto sarebbe più corretto, invero, parlare di una nuova procedura”. Dello stesso avviso M. Moscatelli, Moduli consensuali e istituti negoziali nell’attuazione della norma tributaria, Milano, 2007, pp. 242-243, che nel definire i tratti generali del ruling internazionale tiene a precisare che il D.L. 30 settembre 2003, n. 269 ha introdotto una “procedura di interpello”; P. Palma, Il ruling internazionale, in «il Fisco» n. 2, 2004, p. 194; G. Donato Toma, La discrezionalità dell’azione amministrativa in ambito

tributario, Padova, 2012 p. 340; C. Buccico, La Tassazione dei gruppi d’impresa, Santarcangelo di

Romagna, 2014, p. 372; G. Odetto e G. Valente, Il nuovo ruling internazionale, in «Pratica fiscale e professionale», n. 35, settembre 2004, p. 12. In senso contrario, invece, F. Crovato, Il Consenso nella

determinazione dei tributi, Roma, 2012, p. 199 che nel contestualizzare, nell’ambito del diritto interno, il ruling internazionale lo definisce come un istituto che si distacca hic et nunc dagli interpelli propri del

diritto tributario nazionale; M. Lorenzetti, Prime valutazioni sul ruling internazionale, in «Corriere Tributario», n. 1, 2004, p. 34.

4 Il quarto comma dell’Art. 8 del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 ha delegato al direttore dell’Agenzia delle Entrate il compito di elaborare ed emanare uno specifico provvedimento per stabilire, più in generale, le modalità applicative della procedura in commento. Cfr C. Romano, Il ruling internazionale, in Imposta sul reddito delle società, a cura di F. Tesauro, Bologna, 2007, p. 991. Romano sottolinea come tale provvedimento direttoriale “avrebbe dovuto disciplinare esclusivamente le modalità relative alla fase iniziale della richiesta di attivazione della procedura in esame, in ottemperanza a quanto stabilito al quarto comma dello stesso art. 8, contiene diversi chiarimenti in merito all’ambito oggettivo (art.1), all’ambito oggettivo (artt. 3, 4, 5, 6), alle modalità procedurali (artt. 2, 7, 8 e 9), oltre che situazioni particolari di violazione, modifica e rinnovo dell’accordo (artt. 10, 11 e 12)”.

5 Tale aspetto sarà trattato in maniera dettagliata e con un’adeguata lente di ingrandimento nel capitolo successivo del presente lavoro.

6 F. Crovato (Il Consenso nella determinazione dei tributi, cit., p. 199) vuole attentamente precisare che con “il ruling internazionale si è arricchita la prospettiva di studio degli accordi preventivi (…)”. Per

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fiscale di alcune componenti, di natura finanziaria o di natura reddituale7, che fanno capo alle imprese richiedenti accesso alla procedura in esame.

In quest’ottica è stato giustamente sottolineato che, con l’introduzione del ruling internazionale, il nostro legislatore tributario vuole proseguire il cammino lungo la via – relativa al rapporto fra Amministrazione finanziaria e contribuente8– del progressivo dialogo9 e della collaborazione10 in una visione, più generale, di riavvicinamento dei rapporti fra il soggetto attivo e i soggetti passivi dell’imposizione fiscale, ovvero della pretesa tributaria.

In altre parole, tramite il ruling internazionale si è cercato di portare a compimento un obiettivo storico del legislatore tributario, ovvero il carattere definitivo e coercitivo della prestazione tributaria dovrà essere affiancato “dalla consapevole accettazione e la quanto riguarda il tema della qualificazione preventiva dell’accordo raggiunto si rimanda alla lettura dei capitoli successivi di questo elaborato. Sempre l’autore sottolinea come, allo stato attuale dell’arte, il

ruling internazionale sia l’unica species di accordo preventivo – rispetto all’autoliquidazione del tributo –

presente nell’ordinamento tributario italiano. E ricorda come il legislatore fiscale avesse intercettato, già nel lontano 2003, l’esigenza per alcune categorie di contribuenti di una “personalizzazione degli imponibili ex ante tramite una valutazione preventiva della capacità reddituale”. E infatti, con l’art. 3, primo comma, lettera e, della legge delega n. 80 del 2003 – delega conferita al governo per attuare la riforma fiscale – era stato previsto il concordato triennale preventivo, istituto rimasto però dimenticato nel cassetto dal legislatore.

7 Nello specifico, il principale riferimento è al regime dei prezzi di trasferimento di beni e servizi – in particolare nel caso di operazione inter-company –, degli interessi, dei dividendi e delle royalties.

8 Questo modo di intendere il rapporto fra Fisco e contribuente, è stato inaugurato in Italia molti anni addietro con l'interpello riguardante fattispecie genericamente elusive. Sull'argomento, C. Romano (Il

ruling internazionale, in Imposta sul reddito delle società, a cura di F. Tesauro, cit. p. 993) rimarca come

dagli anni Novanta in avanti si sia registrato in Italia, o meglio nell’ordinamento tributario, una genesi incessante di “strumenti diretti a realizzare la partecipazione del contribuente all’attività amministrativa in materia tributaria e non più limitatamente alle fasi di controllo e dell’accertamento”. In particolare, oltre alle diverse forme di interpello, nello stesso senso vanno altri istituti giuridici, venuti alla luce e sviluppati negli anni Novanta, quali: ravvedimento operoso, accertamento con adesione e autotutela. Alla medesima conclusione a cui è giunto Romano, approdarono anche attenti studiosi fra cui L. Salvini, La nuova

partecipazione del contribuente (dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre), in

V. Uckmar (a cura di), L’evoluzione dell’ordinamento tributario italiano, Padova, 2000, pp. 557 e ss., e ancora A. Di Pietro, Il contribuente nell’accertamento delle imposte sui redditi, cit., pp. 553 e ss. Si ricorda che l'interpello riguardante fattispecie genericamente elusive, è stata la prima species del genus interpello fra Fisco e contribuente, previsto e regolato dall’Art. 21 della Legge n. 413 del 1991 e successivamente oggetto di attuazione con i DD.MM. 13 giugno 1997, nn. 194 e 195. Meritevole di nota è l’opinione, su tale considerazione, di G. Gaffuri, Ruling Internazionale, in «Rassegna Tributaria», n. 2, 2004, p. 488, secondo cui “Il nostro ordinamento tributario conosceva già da tempo – prima di questa novella legislativa – ipotesi di consulenza ufficialmente resa dall’Amministrazione finanziaria su sollecitazione formale del contribuente, desideroso di conoscere orientamenti interpretativi dell’autorità fiscale in fattispecie dubbie o di non sempre inquadramento, e di prevenire, quindi, rischi connessi ad un eventuale errore applicativo, commesso anche in buona fede”.

9 Cfr G. Donato Toma, La discrezionalità dell’azione amministrativa in ambito tributario, cit. L’autore infatti sostiene che con il ruling di standard internazionale si conferisce alle imprese italiane uno “strumento di dialogo”.

10 Si veda P. Russo, Manuale di diritto tributario, Milano, 2002, pp. 211 e ss. Secondo M. Lorenzetti,

Prime valutazioni sul ruling internazionale, in «Corriere Tributario», n. 1, 2004, p. 34., l’Art. 8 del D.L.

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fattiva collaborazione dei soggetti destinatari della funzione impositiva, al fine anche di rendere più immediata e certa la qualificazione del debito tributario”11.

L’aspetto della tesi, espressa sopra, che occorre evidenziare in questa fase introduttiva e su cui ci soffermeremo in maniera analitica nei successivi capitoli, è la finalità del ruling internazionale quale procedura che determina certezza giuridica nei rapporti fra Fisco e contribuenti, ovvero la creazione di un contesto tributario nazionale fertile dal punto di vista della certezza delle obbligazioni tributarie12. E quindi, a corollario di quanto detto, questa speciale procedura rappresenta un fattore idoneo a rendere competitivo il nostro Paese e di conseguenza a incrementare la capacità del Sistema Italia di attrarre investimenti esteri13 .

È palese che il ruling di standard internazionale è un’opportunità straordinaria e ambiziosa concessa alle imprese, dotate di dimensione internazionale che, in tal modo, possono prevenire ed evitare contenziosi con l’Amministrazione finanziaria nazionale, ed eventualmente, a seconda di come si struttura l’accordo, anche con le Amministrazioni finanziare dei Paesi con cui intrattengono relazioni commerciali, finanziarie o comunque economiche. Tutto ciò, come osservato da autorevoli autori, è in linea con la ratio della riforma fiscale, inaugurata e introdotta dalla Legge delega del 7 aprile 2003, n. 80, ovvero “l’internazionalizzazione dell’ordinamento giuridico– tributario in Italia”14.

11 G. Alemanno, Il diritto all’informazione tra consulenza giuridica e interpello, in «Corriere Tributario», n. 6, 2002, p. 495.

12 Sul punto P. Adonnino, Considerazioni in tema di ruling internazionale, in «Rivista di diritto tributario», IV, 2004, p. 58, sentenzia: “in questi termini la procedura – di ruling internazionale – può essere intesa quindi a conseguire certezza in ordine ad elementi della fattispecie, nell’ambito dell’ordinamento interno, condizionata dalla qualificazione di standard internazionale, e quindi a prevenire contrasti; dovrebbe anche essere intesa, prevedendo contrasti fra ordinamenti, ad evitare doppie imposizione”.

13 Della medesima opinione sono P. Palma, Ruling di internazionale, cit., pp. 194 e ss.; F. Crovato, Il

consenso nella determinazione dei tributi, cit. pp. 199 e ss; G. Donato Toma, La discrezionalità dell’azione amministrativa in ambito tributario, cit.

Non può non essere sottolineato che la procedura di ruling abbia già trovato spazio e valore come mezzo giuridico per la definizione di un universo normativo fiscale di maggior certezza, nell’ambito del “Regime

fiscale di attrazione europea” di cui all’art. 41 del D.L. 31 maggio 2012, n. 78, a norma del quale: “ alle

imprese residenti in uno Stato membro dell’Unione europea diverso dall’Italia che intraprendono in Italia nuove attività economiche, nonché ai loro dipendenti e collaboratori (…) si può applicare, in alternativa, alla normativa tributaria (…) italiana, la normativa tributaria (…) vigente in uno degli stati membri dell’Unione europea. A tale fine, i citati soggetti interpellano l’Amministrazione finanziaria secondo la procedura di cui all’art 8 D. L 30 settembre 2005, n. 269”.

14 Cfr. C. Romano., Il ruling internazionale, in Imposta sul reddito delle società, F. Tesauro (a cura di), cit, p. 991. Orientamento identico, solo espresso in modo più argomentato e con un ragionamento sistematico, viene proposto da B. Bellè e F. Batistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese

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Preme ricordare che la procedura in esame ricalca nei suoi aspetti tipici e nella ratio gli agreementes e – più in generale – gli altri ruling15 previsti dalla normativa dei paesi nostri competitori. Infatti è di conoscenza di tutti gli operatori giuridici, nonché degli studiosi della fiscalità sovranazionale16, la possibilità concessa, da lungo tempo, da altri Paesi dell’Unione Europea17 e non di instaurare procedure – che si concretizzano in vere e proprie trattative – fra Amministrazioni Finanziarie e contribuenti. Tali procedure sono volte a determinare i prezzi “corretti” relativamente alle operazioni (quali in particolare cessione di beni e prestazioni di servizi) infragruppo18.

commerciali, Padova, 2007, p. 236, secondo cui “il ruling internazione istituisce un significativo

collegamento con del sistema tributario interno con le legislazioni degli altri Paesi (…), procedendo nell’attuazione del progetto generale sotteso alla riforma del 2003, quello cioè, di adeguare la nostra tassazione in materia di impresa a quella vigente negli altri stati dell’Unione europea”.

15 Esempio quelli previsti dai Paesi Bassi.

16 Solo per citarne alcuni: P. Palma., Il ruling internazionale, cit.; F. Crovato, in Il Consenso nella

determinazione dei tributi, cit., p. 198; R. Lupi e D. Stevanato, Il diritto tributario nei rapporti internazionali, Milano, 2003; M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, Milano,VIII edizione, 2001;

F Balzani, Il transfer pricing, in V. Uckmar (a cura di), Corso di diritto tributario internazionale, Padova, 1999.

17 In particolare i paesi anglosassoni.

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I.2 Contestualizzazione dell’“Interpello di standard internazionale”

La novità apportata dal D.L 30 settembre 2003, n. 269, nell’ambito del diritto tributario interno, ha arricchito quelle che sono le norme, le fattispecie e gli istituti operanti nel campo dei cosiddetti redditi transazionali19 – in particolare la species reddito d’impresa.

Quindi il ruling di standard internazionale ricopre un posto importante all’interno della normativa riguardante la fiscalità internazionale dell’impresa, affiancandosi a capisaldi del regime dell’imposizione transnazionale20, quali

a) Credito d’imposta (o detrazione) per imposte corrisposte all’estero, di cui troviamo la disciplina all’art. 165 T.u.i.r21.

In termini generali, parliamo di credito d’imposta ogni qualvolta un contribuente italiano detiene un mero diritto di credito nei confronti del Fisco.

Invece, il credito d’imposta disciplinato dall’art. 165 T.u.i.r, ovvero il credito d’imposta quale istituito di carattere transazionale, è qualcosa di più. È un istituto volto a eliminare la doppia imposizione22 di un reddito prodotto all’estero23 – da un soggetto

19In sintesi, quando si parla di redditi transazionali si fa sostanzialmente riferimento a due fattispecie: a) redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano da un soggetto non residente in Italia; b) redditi prodotti da un soggetto residente nel territorio dello Stato italiano al di fuori del nostro Stato. Per una definizione esaustiva di tale species di redditi si faccia riferimento a quanto viene esposto da B. Bellè e F. Batistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, cit. e V. Uckmar (a cura di), Diritto tributario

internazionale, III edizione, Padova, 2007. Nei presenti lavori, oltre a statuire cosa si intenda per reddito

transnazionale, viene, con attenta cura, evidenziata la nozione di residenza e di non residenza nel territorio dello Stato italiano – concetto quest’ultimo che è in un rapporto biunivoco perfetto con la categorie dei redditi transnazionali. Sempre sul tema della residenza nel diritto tributario, si veda G. Marino, La residenza, in Corso di diritto tributario, V. Uckmar (a cura di), Padova, 2002, pp. 233 e ss. 20 Particolare regime che, in larga misura, è stato rivisitato a seguito della Legge delega 7 aprile del 2003, n. 80.

21 Cfr Art. 165 collocato nel Capo II del Titolo III del T.u.i.r., che contiene le cosiddette “disposizioni comuni” ai I.R.Pe.F e I.Re.S. Di conseguenza, il credito d’imposta è usufruibile sia dai soggetti passivi I.Re.S sia dai soggetti passivi I.R.Pe.f.

22 Occorre ricordare come la funzione di questo istituto veniva ben descritta, dall’Amministrazione finanziaria, già nel 1981, con la circ. 12 dicembre 1981, n. 42: “l’adozione del principio d’imposizione sui

redditi mondiali (principio di mondialità n.d.r.) nei confronti di soggetti residenti italiani (quindi

principio di mondialità nei confronti dei residenti italiani n.d.r.), operata dal legislatore dal 1 gennaio

1974 ha comportato la necessità di prevedere specifiche misure (il credito d’imposta n.d.r.) intese a porre rimedio alla duplice imposizione derivante dall’applicazione dell’imposta italiana, in aggiunta a quella estera (doppia imposizione n.d.r.), sui redditi conseguiti all’estero da soggetti, sia persone fisiche che persone giuridiche, residenti in Italia″.

23 È doveroso ricordare – con una chiara rimembranza critica – che il previgente articolo in materia di credito d’imposta (l’art. 15 T.u.i.r oggi sostituito dall’art.165 T.u.i.r) non conteneva una definizione

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residente nel territorio dello Stato italiano – tassabile in Italia per il principio di mondialità e all’estero per il principio di territorialità. In poche parole, l’art. 165 T.u.i.r concede una detrazione dalle imposte nette dovute in Italia24 delle imposte pagate25 all’estero sui redditi ivi prodotti. Quindi il meccanismo applicativo può essere etichettato come “detrazione imposta da imposta”26.

Detrazione attribuita e utilizzabile dai soggetti passivi I.Re.S o I.R.Pe.F residenti in Italia – che producono un reddito al di fuori del territorio nazionale – e anche dal soggetto non residente titolare di stabile organizzazione in Italia che produce, per il tramite della stabile organizzazione, un reddito al di fuori del territorio dello Stato27.

Il credito d’imposta per imposte corrisposte all’estero si fonda sì sul principio cardine della detrazione, ma a esso vanno agganciati altri fattori fondamentali per la determinazione del quantum del credito, ovvero: a) il pagamento a titolo definitivo28 positiva autonoma e chiara circa i redditi prodotti all’estero. Quanto detto era stato ripetutamente portato in luce dalla dottrina maggioritaria in numerosi scritti in materia. Si veda, a solo titolo esemplificativo, M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, cit., pp. 247; G. Maisto, Imposizione dei redditi prodotti

all’estero e competitività internazionale, in «Diritto e pratica tributaria», 1981, paragrafo I. Si trascura,

non per ragioni di interesse, il dibattito dottrinale che ha portato alla statuizione di due orientamenti circa la nozione di redditi prodotti all’estero. Perché a letta della attuale novella normativa – oggetto di riforma con la Legge delega 7 aprile del 2003, n. 80 –, l’art. 165 T.u.i.r definisce espressamente e compiutamente quando i redditi si debbano considerare prodotti all’estero. Difatti, il II comma dell’art. 165 T.u.i.r recita

″I redditi si considerano prodotti all’estero sulla base di criteri reciproci a quelli previsti dall’articolo 23 per individuare quelli prodotti nel territorio dello Stato”. La definizione dei predetti redditi emerge in

ragione di quella che viene definita una regola a specchio: prendiamo l’art. 23 T.u.i.r (che definisce i criteri secondo cui i redditi possono considerarsi i prodotti nel nostro Stato), invertiamo i termini della disposizione – ovvero facciamo leva su interpretazione a contrariis della norma – e determiniamo, indirettamente, quando sono prodotti all’estero i redditi conseguiti dai soggetti residenti in Italia.

24 In verità il nomen iuris dell’istituto in commento non è, in una visione sistemica, appropriato. Perché, in generale, quando un contribuente vanta un credito nei confronti del Fisco, il nostro ordinamento tributario prevede varie modalità per recuperare tale credito, ovvero per ristorare le ragioni del creditore (ad esempio chiedere il rimborso del credito in dichiarazione dei redditi). Mentre, il credito d’imposta ex art. 165 T.u.i.r. opera solo ed esclusivamente attraverso una detrazione sull’imposta che il contribuente dovrà scontare in Italia. Alla medesima conclusione – circa l’inadeguata rubrica dell’istituto disciplinato all’art. 165 T.u.i.r – giunge anche B. Bellè e F. Batistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese

commerciali, cit. p. 194.

25 Cfr. A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, VI edizione, Milano, 2014 pp. 457. Questo testo fornisce una articolata definizione di imposte pagate all’estero, considerando, inoltre, le varie tipologie in cui queste ultime possono sfociare.

26 A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, cit., p. 459. 27 Il diritto alla detrazione viene concesso alla stabile organizzazione sul territorio italiano di soggetti non residenti, che quindi producono reddito d’impresa in Italia, e lo si deduce in virtù di un’interpretazione in parallelo degli Art. 81 e 152 T.u.i.r. Ovvero, considerando il fatto che la stabile organizzazione, nel determinare il reddito d’impresa prodotto in Italia, segue pedissequamente quanto stabilito dai criteri ordinari di imposizione previsti per le società ed enti commerciali italiani. Vien da sé, quindi, la considerazione secondo cui anche la stabile organizzazione, in quanto esistente nel territorio dello Stato, potrà avere un credito d’imposta per quei redditi prodotti dalla stabile organizzazione al di fuori dello Stato

28 ″A titolo definitivo″ sta a significare che il soggetto, che ha il diritto di usufruire del credito d’imposta, non si potrà detrarre le imposte versate a titolo di acconto nello Stato estero. Pagamento a titolo definitivo

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delle imposte, relative al reddito di fonte estera, a uno Stato estero; b) l’ammontare complessivo delle imposte dovute in Italia sul reddito prodotto all’estero29.

La detrazione deve essere calcolata nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta cui appartiene il reddito prodotto all’estero al quale si riferisce l’imposta scontata nello Stato estero, a condizione che il pagamento a titolo definitivo avvenga prima della sua presentazione30. Quanto si è detto si riferisce a tutti i tipi di reddito, compreso il reddito d’impresa purché non conseguito tramite una stabile organizzazione.

Invece, in altre fattispecie tipiche previste e regolate nel Testo unico sui redditi31, la detrazione può essere calcolata dall’imposta del periodo di competenza, se il pagamento a titolo definitivo avviene entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al primo periodo d’imposta successivo32.

Concludendo, questo istituto – il credito d’imposta ex art.165 T.u.i.r. – opera se e solo se non sussiste una convenzione bilaterale con lo Stato estero, nel quale il contribuente italiano realizza il reddito di fonte estera33. Ciò avviene in ragione delle regole del diritto tributario internazionale secondo cui ogniqualvolta i rapporti fiscali fra Stati sono disciplinati da una convenzione, il dettato convenzionale prevale sulle norme dell’ordinamento interno34.

delle imposte estere è anche, e soprattutto, presupposto indefettibile per il riconoscimento del diritto al credito.

29 In sostanza ″il reddito tassato all’estero può risultare al limite escluso da imposizione in Italia, in virtù delle imposte pagate localmente, ma non può costituire un motivo di riduzione della tassazione complessiva del soggetto residente″ [A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di

fiscalità internazionale, cit., p. 460].

30 Art. 165,quarto comma, T.u.i.r.

31 Il riferimento è al comma IV dell’art 165 T.u.i.r. che si occupa esclusivamente dei redditi d’impresa prodotti all’estero mediante una stabile organizzazione o da società residenti controllate (per le quali la capo gruppo italiana abbia optato per il consolidato mondiale.)

32 A condizione che, nella dichiarazione dei redditi precedente, sia stato indicato l’ammontare delle imposte detratte anche se ancora non corrisposte a titolo definitivo.

33 Cfr. M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, cit., p. 747. L’autore specifica meglio dicendo: “L’art. 15, D.P.R. n. 917 del 1986, sul credito d’imposta, deve essere applicato in ogni caso in cui non esista una convenzione che disciplini la materia del tax credit: costituisce dunque una norma unilaterale, mirante a risolvere in via generale il problema della doppia imposizione in mancanza di uno specifico accordo internazionale”.

34 Si precisa al lettore che il contributo avente a oggetto la trattazione del credito d’imposta non ha la pretesa di fornire un quadro dettagliato ed esaustivo dell’istituto e della sua disciplina. Bensì chi scrive ha voluto dare al lettore solo le chiavi di lettura necessarie per avere un’idea generica, ma sufficientemente adeguata, di ciò che il Testo unico all’art. 165 prevede. Si invita il lettore, al fine di uno studio completo e ponderato, con un sguardo attento alla dottrina di riferimento, ai lavori di A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, cit., pp. 455 e ss., B. Bellè e F. Batistoni Ferrara,

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b) Consolidato mondiale35: è un regime opzionale di tassazione che consente di includere proporzionalmente nella base imponibile del soggetto controllante, indipendentemente dalla distribuzione, i redditi conseguiti da tutte le proprie società controllate ai sensi dell’art. 2359, primo comma, numero 1), del codice civile non residenti e rientranti nella definizione di cui all’art. 133 T.u.i.r. L’opzione è esercitabile dalle società e dagli enti di cui all’articolo 73, primo comma, lettere a) e b) che, ai sensi dell’art. 133 T.u.i.r., controllano le società e gli enti di ogni tipo con o senza personalità giuridica non residenti nel territorio dello Stato.

Occorre specificare, però, che l’opzione ex art. 130 T.u.i.r può essere attivata solo dalle società o dagli enti di cui all’articolo 73, primo comma, lettere a) e b) T.u.i.r dotate dei particolari requisiti individuati al secondo comma, art. 130 T.u.i.r. Dunque, in ragione di quanto detto prima, il Testo unico prevede alcune fattispecie in cui l’opzione per il consolidato mondiale non potrà essere messa in atto dal soggetto controllante.

Sarà la controllante residente di grado più elevato, la cosiddetta top holding, ha esercitare l’opzione ex art. 130 T.u.i.r. In seno a questa scelta, vi è la volontà del legislatore fiscale di includere, nel perimetro di consolidamento, tutte le controllate estere36.

L’art. 132 T.u.i.r postula, ai fini di un corretto ed efficace esercizio dell’opzione, ulteriori condizioni꞉ a)l’esercizio deve avvenire relativamente a tutte le controllate non residenti, così, come definite dall’articolo 133 T.u.i.r.; b)identità dell’esercizio sociale di ciascuna società controllata con quello della società o ente controllante, salvo nel caso in cui questa coincidenza non sia consentita dalle legislazioni locali; c) revisione dei bilanci del soggetto controllante residente e delle controllate residenti di cui all’articolo 131, comma 2, T.u.i.r. e di quelle non residenti di cui all’articolo 133 T.u.i.r., da parte dei soggetti iscritti all’albo Consob, o, per quanto riguarda le controllate non residenti, anche da altri soggetti a condizione che il revisore del soggetto controllante utilizzi gli esiti della revisione contabile dagli stessi soggetti effettuata ai

35 Istituto introdotto nel nostro ordinamento tributario nel 2003, attraverso un’innovazione molto forte del nostro sistema tributario rispetto a ciò che accadeva e accade nel resto degli ordinamenti europei. Disciplinato dall’art. 130 e seguenti del T.u.i.r. Questa novità assoluta in materia di tassazione dei gruppi d’impresa è stata immessa nel nostro sistema tributario con d. lgs 12 dicembre del 2003, n. 344. Il summenzionato decreto legislativo ha introdotto nel contesto tributario italiano anche l’altra forma di consolidamento degli imponibili dei gruppi di società o enti: il consolidato nazionale.

36 A. Dragonetti ,V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, cit., pp. 1301 aggiungono che la scelta del legislatore, in merito all’area di consolidamento, rispecchia il principio ″all

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fini del giudizio sul bilancio annuale o consolidato. Nel caso in cui la controllata non abbia l’obbligo della redazione annuale del bilancio, l’organo sociale cui compete l’amministrazione della società deve redigere un bilancio volontario riferito a un periodo di tempo corrispondente al periodo d’imposta della controllante, comunque soggetto alla verifica associata all’attività di revisione da effettuarsi; d) attestazione rilasciata da ciascuna società controllata non residente dalla quale risultiil consenso alla revisione del proprio bilancio e l’impegno a fornire alla società controllante ogni necessaria collaborazione per la determinazione del loro imponibile; e) esito positivo di interpello37 ad-hoc all’Amministrazione finanziaria, avente come fine la verifica dell’effettiva sussistenza di tutti i requisiti di legge necessari per l’adozione del regime, opzionale, del consolidato mondiale.

Preme ricordare, anche in virtù dell’orientamento dominante in dottrina, che la apposizione del consenso da parte delle controllate non assume vesti costitutive circa l’opzione, ma rappresenta esclusivamente una forma di “garanzia” assunta dall’Amministrazione finanziaria. Garanzia del fatto che le varie società controllate non vengano meno agli obblighi e adempimenti scaturenti dall’adozione del regime del consolidato mondale.

L’opzione di cui all’articolo 131 T.u.i.r. è irrevocabile per un periodo di tempo non inferiore a cinque esercizi del soggetto controllante. I successivi rinnovi hanno un’efficacia non inferiore a tre esercizi. Di conseguenza, sebbene nei futuri periodi d’imposta l’opzione del consolidato si dimostri non più vantaggiosa, dal punto di vista dell’onere fiscale, la società controllante non può svincolarsi dalla disciplina del consolidamento.

Sebbene il Testo unico utilizzi in riferimento all’efficacia giuridica la locuzione “irrevocabile”, il medesimo testo normativo individua due38

diversi casi di uscita dal regime del consolidato mondiale.

Quindi, con una finalità generale di agevolazione, il consolidato mondiale offre ai soggetti residenti, che svolgono attività economiche anche oltre i confini nazionali (per

37 Per avere un’idea compiuta e puntuale della sua struttura e della disciplina della particolare species di interpello – obbligatoria – prevista al terzo comma dell’art.132 T.u.i.r, si rinvia al capitolo successivo. 38 Primo caso è la perdita dei requisiti soggettivi della società controllante, il cui articolo di riferimento è l’art. 137 T.u.i.r. Il secondo caso previsto all’art.138 T.u.i.r. è la perdita della peculiare forma di controllo sulle consociate estere, definito dall’art.133 T.u.i.r. Sul tema dell’uscita dal consolidato si veda A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, cit., pp. 1329 e ss.

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mezzo di società controllate residenti al di fuori dello Stato italiano)39, la possibilità di imputare al soggetto controllante -indipendentemente dalla distribuzione- i redditi e le perdite prodotti dalle controllate non residenti di cui all’art. 133 T.u.i.r, per la quota parte corrispondente alla quota di partecipazione agli utili dello stesso soggetto controllante e delle società controllate residenti di cui al comma II. Questo avviene senza attendere, come si dovrebbe fare ex lege40, la distribuzione dei dividendi. Difatti, nel caso in cui non si eserciti l’opzione in esame, la materia imponibile sarà costituta dai dividendi distribuiti dal soggetto estero, i quali precisamente concorreranno alla formazione del reddito imponibile – del soggetto residente che esercita il controllo – nel momento in cui saranno effettivamente percepiti dalla società controllante residente nel territorio dello Stato italiano41.

Rebus sic stantibus, il regime del consolidato mondiale è un regime opzionale che

sostituisce, attraverso una configurazione completamente diversa, l’imposizione sui dividendi percepiti da società estere.

Infine, non possiamo non accennare allo spirito motivazionale che ha nutrito questo regime opzionale. Difatti, è pacifica la conclusione secondo cui ratio del consolidato mondiale è l’unione dell’imposizione estera con quella italiana.

c) Controlled Foreign Corporations (C.f.c). Disciplina estremamente importante contenuta all’art. 167 T.u.i.r. L’art. 167 del Testo unico si occupa della tassazione del reddito delle cosiddette “C.f.c”; ovvero del società controllate – da un soggetto residente nel territorio dello Stato italiano – ubicate in Stati o territori a “fiscalità privilegiata”.

Questa disciplina, che per molti versi richiama concetti esaminati nell’ambito del consolidato mondiale, non è stata introdotta con la riforma dell’I.Re.S. Anzi, la

39 Presupposto soggettivo necessario per poter esercitare l’opzione.

40 Secondo quanto, invece, viene previsto dalla normativa I.R.E.S., i redditi prodotti all’estero da società controllate sono assoggettati a imposizione solo nel momento in cui vengono corrisposti alla società controllante e se, e in quanto, vengono distribuiti sotto forma di dividendi. Il predetto istituto, invece, ha proprio a oggetto i redditi che, essendo prodotti e conseguiti fuori dai confini italiani da soggetti non residenti – ai sensi del T.u.i.r –, secondo la legislazione tributaria italiana non hanno nessuna rilevanza fin tanto che non vengono distribuiti sotto forma di dividendi alla controllante italiana. Precisazione questa importante per evidenziare la differenza con il Consolidato domestico.

41 Per una trattazione più analitica e compiuta dell’istituto, si veda A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale di fiscalità internazionale, cit., pp. 1291 e ss. G. Sozza, La fiscalità

internazionale. Vademecum tributario per studiosi e operatori del mercato globale, Milano, 2007, pp.

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previsione sul trattamento fiscale delle imprese estere controllate era pre-esistente all’introduzione dell’I.Re.S42; ed era già vigente, in termini non del tutto analoghi, ai

tempi in cui era in vigore l’I.R.Pe.G.

Non siamo di fronte a un istituto opzionale, né davanti a una soluzione scritta che va a completare il quadro della riforma introdotta con l’I.Re.S, ma siamo di fronte a una disciplina che esiste già da circa dieci anni. E neppure si può parlare di previsione che eleva un qualsiasi tipo di collegamento alla logica della pianificazione fiscale.

Leggendo l’art. 167 T.u.i.r., si comprende molto bene quale era il fine che il legislatore fiscale voleva raggiungere con tale previsione: una disciplina meramente antielusiva43.

La regola di carattere generale enucleata all’art. 167 T.u.i.r. sentenzia che qualora un soggetto residente in Italia detenga, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori dotati di regimi fiscali più vantaggiosi – e quindi attrattivi – rispetto a quello italiano, i redditi conseguiti dalle entità estere sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute, indipendentemente dall’effettiva distribuzione degli utili da parte dei soggetti controllati44. Quanto è stato detto, e anche la dottrina concorda45, evoca il regime di “tassazione per trasparenza”.

Quanto previsto all’art. 167 T.u.i.r deroga la regola ordinaria di imposizione dei redditi relativi a partecipazioni, secondo cui, invece, si dovrebbe attendere gli utili e la

42 Il riferimento è alla l. n. 342 del 2000, de quo l’art. 1, per mezzo del quale nel corpo del Testo unico delle imposte sui redditi è stato inserito l’art. 127 bis. Il summenzionato articolo, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs n. 344 del 2003, è stato integralmente riproposto nel suo contenuto all’art. 167 T.u.i.r.

43Nelle more introduttive, B. Belle e F. Batistoni Ferrara (L’imposta sul reddito delle imprese

commerciali, cit., p. 226) parlando, , delle C.f.c. rimarcano come l’art 167 T.u.i.r. è “una previsione

antielusiva che si applica indipendentemente dall’operare dell’imposizione di gruppo e che è stata introdotta nel nostro ordinamento in ragione di un protocollo sottoscritto da tutti i Paesi appartenenti all’Unione Europea che aveva a sua volta recepito un rapporto elaborato dall’O.C.S.E.”.

44 La disciplina individuata dall’art 167 T.u.i.r, in virtù dell’ultimo inciso del suo primo comma, si applica anche per le partecipazioni in soggetti non residenti, relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni situate in Stati o territori diversi da quelli di cui al citato decreto. Si veda G. Maisto, Il regime di imputazione dei redditi delle imprese estere partecipate (cd. Controlled Foreign Companies),

in «Rivista di diritto tributario», II, 2000, pp. 43-44.

45 F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, vol. 2, Milano, 2012 p. 171. L’autorevole autore parla proprio di forma di tassazione per trasparenza, analoga a quella prevista per l’imposizione delle società di persone.

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distribuzione degli utili stessi, sotto forma di dividendi, da parte delle partecipate-controllate, per poi tassare i dividendi percepiti proprio al momento dell’effettiva distribuzione.

Tenendo a mente ciò che è stato detto fino ad ora, possiamo pacificamente affermare, relativamente alla ferrea disciplina delle C.f.c., che il legislatore ha voluto con essa evitare situazioni spiccatamente elusive in cui la società controllante italiana può intervenire artificiosamente, spostando o impedendo la distribuzione degli utili, oppure effettuando una distribuzione degli utili non trasparente in virtù di quelle che sono regole proprie del paese di residenza delle controllate. E quindi, più in generale, il legislatore ha voluto stroncare in partenza piani infra-gruppo volti alla posticipazione

sine die della tassazione sulla ricchezza realizzata nei cosiddetti “paradisi fiscali”. Da un punto di vista soggettivo, la disciplina individuata dall’art. 167 T.u.i.r, a norma del suo secondo comma46

, si rivolge sia alle persone fisiche che agli enti collettivi – esercenti o meno attività d’impresa. Ovvero le disposizioni contenute nella previsione summenzionata si applicano indistintamente alle persone fisiche47, alle società di persone e agli enti assimilati di cui all’art. 5 T.u.i.r., alle società di capitali, agli enti commerciali e agli enti non commerciali48 previsti dall’art. 73 T.u.i.r49.

Al fine di individuare quando un soggetto integra lo status di soggetto controllante, ai sensi dell’art. 167 Testo unico imposte sui redditi50, manca l’enunciazione delle due condizioni oggettive, non alternative ma entrambe necessarie, quali ꞉ a) residenza nel territorio dello Stato italiano; b) detenere in via diretta o indiretta51 il controllo52 di

46 Il secondo comma dell’art. 167 recita che: “Le disposizioni del comma 1 si applicano alle persone

fisiche residenti e ai soggetti di cui agli articoli 5 e 87, comma 1, lettere a), b) e c)”.

47 Il D. M 21 novembre del 2001, n. 429, specificatamente all’art. 1, comma terzo, in cui sono contenute le disposizioni attuative delle regole contenute nel D.p.r. n. 917 del 1989 in ambito di C.f.c., afferma un principio importante: “Ai fini della verifica della sussistenza del controllo di cui al comma 1, si applicano, anche nei confronti dei soggetti diversi dalle società commerciali, i criteri indicati nell’articolo 2359, primo e secondo comma, e rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato. Ai medesimi fini, per le persone fisiche si tiene conto anche dei voti spettanti ai familiari di cui all’art. 5, quinto comma, T.u.i.r. (…)”.

48 G. Valente, Tecniche elusive, norme antielusione e rapporti con paesi aventi regimi fiscali privilegiati, in «Rassegna di Fiscalità internazionale», inserto de il «Il Fisco», n. 1, 2001, p. 48. L’autore ritiene riscontrabili, nel novero dei soggetti lambiti dall’art.167 T.u.i.r., anche gli enti pubblici.

49Cfr. B. Bellè e F. Batistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, cit., p. 228. Gli autori dopo aver definito chi, in base alla lettera dell’art. 167 T.u.i.r., può assumere lo status di soggetto controllante, raggiungono una conclusione, degna di nota, tramite il raffronto fra l’applicabilità soggettiva della norma e la sua operatività anti-elusiva: “La regola antielusiva ha, quindi, applicazione generalissima e si riferisce anche alle persone fisiche».

50 Tenendo sempre ben presente quanto detto dal lato delle requisiti soggettivi. 51 Tramite anche società fiduciarie o interposta persona.

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un’impresa o di un ente collettivo situati in un paese nel quale l’imposizione dei redditi è “eccessivamente mite”53.

Il concetto di controllo, giuridicamente inteso e valutato, postula l’esistenza necessaria di un soggetto che esercita un controllo, ma postula anche il soggetto contrapposto, cioè l’entità su cui poter eserciate un’influenza dominante54 o in genere imporre la propria volontà in ambito gestionale e finanziario, ovverosia꞉ colui che è assoggettato al controllo55.

Ciò che è stato detto si collega a quanto viene enunciato al terzo comma dell’art. 167 del Testo unico imposte sui redditi, ovvero la statuizione secondo cui, ai fini della

determinazione del limite del controllo, si applica l’articolo 2359 del codice civile 56, in materia di società controllate e società collegate.

Ancora una volta quindi, relativamente alla determinazione del rapporto di controllo, abbiamo richiamata la nozione di controllo, resa esplicita da questa norma del codice civile57 rubricata “Società controllate e società collegate”, contenuta nel libro

52 In letteratura un prezioso contributo, utilizzabile anche per togliere ogni dubbio sul contenuto e sull’estensione interpretativa della parola “controllo” all’art.167 T.u.i.r., è quello di M. Piazza, Guida alla

fiscalità internazionale, cit., pp. 988 e ss. L’autore fornisce, in maniera scrupolosa e dottrinalmente

esaustiva, una definizione di controllo nelle norme civili e fiscali, paragonandole anche fra di loro. 53 In termini semplicistici ubicazione degli organismi collettivi nei cosiddetti ″paradisi fiscali″. 54 Termine utilizzato all’art. 2539 codice civile per definire la fattispecie del cosiddetto ″controllo di fatto″. Una delle species codificate, dagli operatori giuridici, per definire il concetto giuridico del controllo di enti o società.

55 A.M. Gaffuri, La disciplina delle Cfc, in A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di), Manuale

di fiscalità internazionale, cit., pp. 1561. Qui l’autore enuncia, sinteticamente, quale sia il significato da

attribuire alla frase “controllo di una impresa, di una società o di altro ente”, dell’art. 167 T.u.i.r. L’autore si esprime con queste parole, chiare e condivise dalla dottrina: “secondo l’art. 167 il soggetto sottoposto al controllo del soggetto che ha la residenza in Italia può essere indifferentemente un’impresa individuale, una società o un altro ente collettivo che sia residente o comunque localizzato in uno Stato o in un territorio avente un regime fiscale privilegiato”. Sul punto non si può non rammentare l’opinione dell’Agenzia dell’entrate, espressa nella circ. 23\E del 2011. Infatti in questo documento l’Agenzia sostiene che le società di persone estere o gli enti collettivi non residenti, per i quali viene prevista l’imputazione del reddito ai soci per trasparenza, è configurabile l’applicazione del regime delle C.f.c. 56 Sul richiamo effettuato dal terzo comma dell’art. 167 T.u.i.r all’art. 2359 codice civile, circa 10 anni addietro, è intervenuta, in modo da evitare dubbi interpretativi, Assonime con la circ. 18 dicembre del 2000, n. 65, par. 2.6. Qui si afferma che “la nozione di controllo di cui al citato art. 2359 del cod. civ., viene, dunque, applicata estensivamente nell’ambito dello speciale regime in esame (il regime delle C.f.c.

n.d.r.) anche nei confronti di soggetti diversi dalle società a cui si indirizza, invece, l’articolo in parola nel

contesto della disciplina civilistica. In particolare, il riferimento della norma (l’art. 167 T.u.i.r. n.d.r.) alle imprese diverse dalle società e dagli enti lascia intendere che fra i soggetti destinatari del regime in esame, dovrebbero ricomprendersi anche le imprese individuali”.

57 Il riferimento è ancora all’art. 2359 codice civile. È bene tener a mente come la definizione, fornita dal codice civile, di controllo differisca, in toto, dalla definizione di controllo contenuta sempre nel Testo unico delle imposte sui redditi in materia di consolidato fiscale domestico e mondiale. Si veda B. Bellè e F. Batistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, cit., p. 228. e l’associazione

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IV, Titolo V, capo V, sezione quinta. Per quanto riguarda le persone fisiche si applica la stessa nozione di controllo, che opera per le società con una particolarità in più.

Ecco perché occorre prestare attenzione all’art. 1 del D. M. del 21 novembre 2001, n. 429 in cui si enuncia che nel caso di controllo o di partecipazione detenuta dalla persona fisica non si guarda soltanto alla partecipazione diretta, ma si guarda e si sommano fra loro anche le quote possedute dai familiari58.

La disciplina in commento, come già esposto, ha come presupposto oggettivo necessario, affinché essa possa produrre i suoi effetti, il possesso da parte del soggetto controllato dello status di residente in un “paradiso fiscale”. Il concetto di “paradiso fiscale” viene spesso utilizzato anche nel linguaggio comune, visto che, ormai da un decennio a questa parte, la volontà del legislatore nazionale e degli innumerevoli esecutivi succedutesi è quella di contrastare la piaga endemica che affligge il nostro paese: l’elusione.

Il legislatore fiscale italiano, proprio per evitare un uso improprio del termine “paradiso fiscale”, ne fornisce una nozione – giuridicamente rilevante – prevedendo, nella norma dedicata alle Controlled Foreign Corporations, una disposizione ad hoc59. La disposizione recita in questi termini : “si considerano privilegiati i regimi fiscali di

Stati o territori individuati, con decreti individuati dal Ministero delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale, in ragione del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, della mancanza di un adeguato scambio di informazioni ovvero di altri criteri equivalenti”60.

effettuata fra l’adozione di una nozione più ampia – chi scrive ritiene attribuirle l’aggettivo onnicomprensiva – di controllo e il carattere antielusivo dell’istituto delle C.f.c.

58 L’utilizzo del termine “familiari” evoca un insieme di soggetti, fiscalmente già definiti e rilevanti nella determinazione del reddito dell’impresa familiare. Ovvero: il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado.

59 Il quarto comma dell’art. 167 T.u.i.r.

60 In dottrina si sono affermate varie correnti di pensiero sul tenore di questa nozione. In particolare, ci si è chiesti se i criteri individuati dalla disposizione devono operare congiuntamente o basta il semplice possesso di uno di essi. Emergono posizioni contrastanti. Alcuni studiosi sostengono, in forza dell’interpretazione letterale della norma, che debba esserci la necessaria presenza del primo criterio-requisito (livello di tassazione sensibilmente inferiore), a cui devono accostarsi, alternativamente, il criterio della mancanza di un adeguato scambio di informazioni, oppure gli altri criteri equivalenti. Fra gli studiosi che avvallano questa tesi si segnala R. Cordeiro Guerra, La nuova definizione di “regime fiscale

privilegiato” nell’ambito della disciplina in tema di Controlled Foreign Companies e di componenti negative derivanti da operazioni con imprese estere, in «Rassegna Tributaria», n. 6, 2000, p. 1792. Altri

autorevoli studiosi, invece, tendono a esporre una tesi diversa, ben delineata da B. Bellè e F. Battistoni Ferrara, L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, cit., p. 230, ovvero: “il requisito prevalente è costituito dall’esistenza di un regime tributario sensibilmente più lieve di quello vigente in Italia, anche

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Tuttavia, la definizione summenzionata si intende ancora oggi valida e utilizzabile nel contesto giuridico-fiscale, nonostante che la norma – dettata in materia di C.f.c. – in cui era contenuta sia stata abrogata61 a seguito delle modifiche introdotte dalla l. n. 244/200762. In aggiunta a ciò, quanto sostenuto dall’ex quarto comma dell’art. 167 T.u.i.r non decade di significato giuridico, benché, come detto sopra, nel 2007 si sia registrata la formale abrogazione e soprattutto, nonostante, la predetta legge del 2007 abbia previsto l’emanazione di apposito decreto ministeriale contente la lista dei paesi a fiscalità ordinaria63.

“Genericità” e “indeterminatezza” sono gli aggettivi utilizzati dalla dottrina per commentare, con uno spirito palesemente critico, la nozione, tutt’ora valida, di paradiso fiscale contenuta nell’abrogato quarto comma dell’art. 167 T.u.i.r. La critica mossa dalla dottrina si spinge fino ad affermare che l’effettivo contenuto di quella nozione provocherebbe un’inaccettabile “delega in bianco” all’Amministrazione finanziaria64.

Questa nozione, e quindi la disciplina che ne consegue, è estremamente gravosa per le imprese italiane che la subiscono. Per evitare problemi di incostituzionalità occorre

se, in sua mancanza, viene in considerazione il fatto che il Paese o il territorio sia restio a fornire indicazioni e a stipulare convenzioni con il nostro Stato”. Quindi, secondo quest’ultimo orientamento emergerebbe la convinzione che i requisiti, individuati dall’abrogato quarto comma dell’art.167 T.u.i.r., sono alternativi e non cumulativi. Quest’ultimo orientamento è stato abbracciato anche dal Ministero delle finanze. Difatti, nella circ. 18 giugno 2001, n. 60\E, punto 5. emerge il carattere alternativo di tutti e tre i criteri individuati dal legislatore. Infine, M. Piazza, (Guida alla fiscalità internazionale, cit., p. 999); P. Anello, (Controlled foreign companies rules: luci ed ombre, in «Corriere Tributario», n. 3, 2000, p. 164) e M. Gazzo e L. Dezzani (CFC legislation luci e ombre della nuova proposta legislativa. Prime

riflessioni, in «Il Fisco », n. 38, 2000, p. 11534) sono solo alcuni degli studiosi che, invece, continuano a

nutrire dubbi circa il rapporto-modus operandi vigente fra le condizioni richieste dalla norma per l’identificazione di un paradiso fiscale.

61 La nozione di paradiso fiscale ex art. 167 T.u.i.r. è venuta alla luce nell’ordinamento tributario prima della disciplina generale sui paradisi fiscali. Già il previgente art. 127 bis T.u.i.r, sempre al quarto comma, evidenziava i criteri per l’individuazione di paesi a regime fiscale privilegiato. Poi sia l’art. 127 bis T.u.i.r e dopo anche l’art. 167 T.u.i.r. sono diventati inadeguati ai tempi. Perché, negli anni a venire, il problema dei paradisi fiscali è diventato un problema generalizzato, e la disciplina sui paradisi fiscali è stata spostata nella seconda parte del T.u.i.r., ma la definizione che dà di paradiso fiscale è perfettamente vivente. In poche parole, la disciplina è stata espunta da una norma specifica per diventare una norma generale che vale a più livelli.

62 Finanziaria del 2008.

63 Decreto ministeriale previsto dall’art. 168 bis T.u.i.r – rubricato: “Paesi e territori che consentono un

adeguato scambio di informazioni” – richiamato, a sua volta, dall’art. 167, primo comma, T.u.i.r. Allo

stato attuale, quindi, abbiamo un decreto ministeriale, non ancora adottato, in cui dovremmo trovare la lista dei paesi aventi regime fiscale non privilegiato. Di conseguenza, a contrariis, si dovranno considerare a regime di fiscalità privilegiata, ovvero paradisi fiscali, tutti i paesi non inclusi in questa lista ministeriale.

64 R. Cordeiro Guerra., La nuova definizione di “regime fiscale privilegiato” nell’ambito della disciplina

in tema di Controlled Foreign Companies e di componenti negative derivanti da operazioni con imprese estere, cit., p. 1798 e M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, cit., pp. 999 e ss.

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offrire a chi rientra nelle maglie strette del regime delle C.f.c., la possibilità di sottrarsi, laddove l’attività economica svolta sia una reale ed effettiva realtà produttiva.

Questa norma può essere accettata solamente se si ammette che chi opera in un paradiso fiscale non con cattive intenzione, ma per vera esigenza di svolgere una reale attività economica, non può subire, per conseguenza, questa disciplina così discriminatoria e fiscalmente punitiva.

Il legislatore, ritenendo razionale la richiesta di prevedere una “via d’uscita” e fugando qualsiasi dubbio di legittimità costituzionale, attraverso il quinto comma dell’art. 167 T.u.i.r65, introduce un esimente, ovvero una deroga in favore del soggetto residente, all’imputazione automatica del reddito generato dal soggetto non residente. Ai fini dell’esclusione, è necessario che la società o altro ente residente dimostri, alternativamente, che: a) svolga un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale occupazione, nello Stato o nel territorio a fiscalità privilegiata66; b) dalla partecipazione nell’impresa estera non consegua l’effetto di localizzare i redditi prodotti, da tale impresa, in paesi in cui i redditi medesimi sono assoggettati a regimi fiscali privilegiati67.

La ratio antielusiva della disciplina delle C.f.c. la si ricava, facilmente, leggendo le circostanze che consentono di evitare l’applicazione della predetta disciplina. Perché, si capisce come il legislatore fiscale voglia assicurarsi di colpire, esclusivamente, le entità giuridiche costituite all’estero, non operative in senso economico-aziendale, la cui unica

65 Si è tenuto di conto, nella trattazione del quinto comma ex art. 167. T.u.i.r., delle modifiche apportate dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78.

66 Cfr. G. Marongiu., Imprese estere partecipate: prime riflessioni sulle circostanze escludenti

l’imputazione dei redditi ai soggetti controllati, in «Diritto e Pratica Tributaria», n. 1, 2001, p. 144.

L’autore, autorevolmente, espone le considerazioni della dottrina prevalente, relativamente a questa prima causa di esclusione. Per una conoscenza a tutto tondo delle altre interpretazioni elaboratore da altra dottrina, minoritaria, si veda G. e A. Vasapolli, La prova contraria prevista dalle CFC rules, in «Corriere Tributario», n. 11, 2001, p. 800.

67 Ad avviso di Bellè e F. Batistoni Ferrara (L’imposta sul reddito delle imprese commerciali, cit., p. 230 ) la norma, nel momento in cui enuncia la seconda causa di esclusione, non “è chiarissima in quanto quest’ultima prova non sembra possa essere data se non dimostrando che in tale Stato o territorio si svolge, appunto, un’attività commerciale effettiva”. Gli autori in commento, e anch’io concordo, in ragione di quella che è la lettera del quinto comma dell’art. 167 T.u.i.r, concludono che la seconda causa di esclusione non vive di vita propria, ma finisce per costituire una esplicazione, un’appendice della prima causa di esclusione.

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ed effettiva attività si estrinseca nel mero godimento di beni o diritti trasferiti dal soggetto controllante (ad es. partecipazioni societarie, royalties etc.)68.

Il quinto comma dell’art. 167 T.u.i.r. dispone che il manifestarsi degli espedienti, da cui discende la non applicazione della disciplina delle C.f.c., deve essere provato dal contribuente mediante interpello preventivo all’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art. 11 della l. 27 luglio 2000, n.212 (recante lo Statuto dei diritti del contribuente)69.

Infine, preme puntualizzare, al fine di fornire un commento compiuto al regime delle Controlled Foreign Corporations, che per essere assoggettati alla disciplina dell’art. 167 T.u.i.r., il soggetto controllato deve sì essere residente in un paradiso fiscale ma, anche, produrre reddito d’impresa. Questa considerazione, a parere di chi scrive, oltre che esser d’obbligo, è fondamentale a ragion del fatto che comporta il “restringimento del perimetro applicativo della norma ai soli titolari di reddito d’impresa”70.

Depongono a favore della tesi prospettata il sesto comma dell’art. 167 T.u.i.r e l’art. 2 D.M. 21 novembre del 2001, n. 429. Infatti, grazie al citato combinato disposto si desume che il reddito imputabile al soggetto residente in Italia deve essere determinato secondo i criteri e i metodi prescritti nel T.u.i.r., nella sezione, appunto, dove vi è la regolamentazione dei proventi imprenditoriali.

A far da “argine” alla tesi in questione troviamo lo stesso art. 167 T.u.i.r. , il quale, a causa del generico contenuto del suo primo comma farebbe pensare, intuitivamente, ad una soluzione interpretativa diversa.

Ovvero la norma non parrebbe fare distinguo fra le varie categorie di redditi realizzabili all’estero, e quindi qualunque provento realizzato in un paradiso fiscale diverrebbe tassabile71 in capo al soggetto residente sul territorio italiano72.

68 In poche parole si tratta di organizzazioni “virtuali”, mediante le quali si realizza la sostituzione al soggetto controllante nella percezione, in particolar modo, di dividendi e royalties in maniera da sottrarre o ritardare la tassazione di queste componenti positive di reddito in Italia. Per uno studio approfondito della tematica, anche in virtù delle opinioni dottrinali affermatesi, si veda: R. Lupi., Principi generali in

tema di CFC e radicamento territoriale delle imprese, in «Rassegna Tributaria», n. 6, 2000, p. 1734.; R.

Lupi e S. Covino., Esterovestizione e società di mera detenzione di beni (holding, immobiliari, ecc.), in «Dialoghi Tributari», n. 1, 2013, pp. 99 e ss.; S. Garufi, La nuova disciplina delle CFC, in «Rassegna Tributaria», n. 3, 2010, p. 628.

69 L’interpello specifico previsto in materia di C.f.c. verrà adeguatamente trattato nel capitolo successivo. 70 A. M. Gaffuri., La disciplina delle Cfc, in A. Dragonetti, V. Piacentini, A. Sfondini (a cura di),

Manuale di fiscalità internazionale, cit., pp 1562.

71 Sempre a condizione che il reddito di fonte estera ricada sotto il dominio della persona fisica o enti collettivi – commerciali e non – residenti in Italia.

(19)

19

Questa interpretazione letterale, nonostante trovi ragione fondante nella lettera della norma, è inficiata oltre che dal nomen iuris dello stesso art. 167 T.u.i.r – “disposizioni in

materia di imprese estere controllate” – anche dal dettato normativo contenuto nel

D.M. 21 novembre del 2001, n. 429, secondo cui l’utile che concorre a formare reddito imponibile in Italia (per trasparenza) è, esclusivamente, quello generato da operazioni di natura commerciale73.

Ultimo aspetto, ma non per importanza, da mettere in evidenza è l’attenzione del legislatore a evitare, vista la connotazione internazionale della disciplina delle C.f.c., problematiche di doppia imposizione relativamente all’operatività della disciplina in commento.

Infatti, il settimo comma dell’art. 167 T.u.i.r. dispone che gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato a tassazione (per trasparenza), anche negli esercizi precedenti. Inoltre, le imposte pagate all’estero, sugli utili distribuiti, che non concorrono alla formazione del reddito, sono ammesse in detrazione, fino a concorrenza delle imposte applicate, secondo quelle che sono le regole previste74 per determinare il trattamento impositivo dei redditi conseguiti dal soggetto controllato localizzato in un paradiso fiscale. Imposte, queste ultime, che devono essere diminuite degli importi ammessi in detrazione per effetto del terzo periodo del sesto comma dell’art. 167 T.u.i.r.

Riprendendo le fila della tematica cardine di questo paragrafo, e quindi ultimando la contestualizzazione della procedura di ruling di standard internazionale, occorre soffermarci sulle parole utilizzate nel suo nomen iuris: ruling e standard internazionale.

A parere di chi scrive, infatti, ogni qualvolta si cerca di definire la cornice entro cui una norma, un istituto o anche una procedura giuridica si inserisce, non si può prescindere dal fornire anche un inquadramento storico-sistematico, traendo spunto, proprio, dall’analisi letterale, storica ed etimologica di ciò che viene studiato. Nel nostro

72 Interpretazione basata solo sulla formulazione letterale della norma.

73 In dottrina quanto esposto è accolto da E. Bidoggia, L’imputazione del reddito derivante da

partecipazioni di controllo in imprese estere controllate (Controlled foreign legislation), in «Bollettino

Tributario», n. 14, 2001, p. 1049. In senso contrario, invece, si esprime R. Franzè, Il regime di

imputazione dei redditi dei soggetti controllati non residenti (Controlled foreign legislatios), in Corso di diritto tributario internazionale, a cura di V. Uckmar, cit., pp. 769 e ss. L’autore, infatti, propende verso

l’applicazione dell’art. 167 T.u.i.r. anche qualora l’ente, ubicato nel paradiso fiscale, produca redditi non di natura imprenditoriale.

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