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Complesso Termale a Porta Nuova

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Academic year: 2021

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Maria Cristina Diano, Sara Rizzetti, Beatrice Spolidoro

Complesso Termale a Porta Nuova

Politecnico di Milano

Facoltà di Architettura Civile

Laurea Magistrale UE in Architettura

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Politecnico di Milano

Facoltà di Architettura Civile

Laurea Magistrale UE in Architettura

Complesso Termale a Porta Nuova

Relatore Arch. Prof. Giovanni Cislaghi

Politecnico di Milano

Correlatore Arch. Prof. Marco Stanislao Prusicki

Politecnico di Milano

Correlatore esterno Arch. Prof. Roberto Pagani

Politecnico di Torino

anno accademico 2010/2011

Sessione Dicembre 2011

Maria Cristina Diano 750692

Sara Rizzetti 749731

Beatrice Spolidoro 751544

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Introduzione

Porta Nuova e Porta Genova:

il ruolo delle acque in città

UN ACCENNO SULL’IDROGRAFIA MILANESE IL RUOLO DELLE ACQUE A MILANO

IL PROBLEMA IDROGEOLOGICO UNA POSSIBILE APERTURA

Le ragioni del progetto:

Il Corso di Porta Nuova

IL CONVENTO DI SANT’ANGELO E LA STRADA NUOVA

L’ABBATTIMENTO DEL CONVENTO E LA COSTRUZIONE DEI BASTIONI L’ORDINE DEI FATEBENEFRATELLI E L’APERTURA DELLA STRADA I PROGETTI FALLITI

L’OTTOCENTO E I NUOVI TRACCIATI FERROVIARI IL PIANO BERUTO

I riferimenti progettuali

TERME ROMANE TERME BIZANTINE TERME OTTOCENTESCHE

UNA PANORAMICA SULLA SITUAZIONE EUROPEA E MILANESE PORTA NUOVA COME LUOGO D’ACQUA

IL TEMA DELLA GRANDE AULA

Relazione progettuale

L’AREA DI PROGETTO

IL RAPPORTO CON L’ESTERNO LO SPAZIO DELLE RELAZIONI AREA TERMALE E GRANDE AULA SOVRAPPOSIZIONE DELLE ACQUE

Conclusione

Bibliografia

1

2

2.1 2.2 2.3 2.4

3

3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6

4

4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6

5

5.1 5.2 5.3 5.4 5.5

6

7

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Tavola “Le ragioni del progetto”

Tavola “I bagni pubblici a Porta Nuova”

Tavola “Riferimenti progettuali”

Tavola “Area di progetto”

Tavola “Il rapporto con l’esterno”

Tavola “Lo spazio delle relazioni”

Tavola “Area termale e grande aula”

Tavola “Sovrapposizione delle acque”

1

2

3

4

5

6

7

8

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Immagine d’epoca del Naviglio Martesana e del Ponte delle Gabelle di fronte alle Cucine Economiche.

Immagine satellitare dell’area di progetto.

Montaggio dei bagni pubblici presenti nell’area di Porta Nuova tra fine Ottocento e inizio Novecento. Cartografia Villani (1876).

Dettaglio delle cartografie che mostrano la situazione delle acque nei due punti presi in esame: Porta Nuova.

Dettaglio delle cartografie che mostrano la situazione delle acque nei due punti presi in esame: Porta Genova/Darsena.

Schema dei fiumi attorno a Milano.

Immagine satellitare del territorio a sud di Milano.

Il Convento di Sant’Angelo secondo la ricostruzione di L. Patetta. Ipotesi localizzativa e ricostruttiva della chiesa e convento di S. Angelo

Disegno di Leonardo dove si vede una Milano ideale, dove già viene evidenziata l’importanza del cardo che collega Porta Nova con il centro e con Porta Ticinese. Convento di S. Angelo, dell’Architetto D. Giunti, 1552 - Pianta.

Convento di S. Angelo, dell’Architetto D. Giunti, 1552 - Prospetto. Dettaglio della cartografia di Milano, Antonio Lafrery, 1573.

Dettaglio della cartografia di Milano, l’Ingegnere Giovanni Filippini, 1722. Immagini riferite alle planimetrie del lotto dell’Ortaglia: planimetria del lotto. Immagini riferite alle planimetrie del lotto dell’Ortaglia: tracciamento del profilo dell’Ospedale Fatebenefratelli.

Casa di correzione.

Pubblici passeggi, sopraelevati, lungo i Bastioni di Milano. Pubblici passeggi, sopraelevati, lungo i Bastioni di Milano.

Dettaglio della cartografia di Milano, secondo Giacomo Pinchetti, 1801. Dettaglio della cartografia di Milano, redatta dagli Astronomi di Brera 1807-10 Progetto della Ménagérie nelle versioni di L. Canonica e G. Zanoia.

Progetto disegnato dal Luigi Cagnola, per la Ménagérie.

Il Tempio di Teseo, sopraornato del ponte che entra a Porta Nuova, progettato da Luigi Cagnola, nel 1808.

Monumento a tre fornici, ancora per Porta Nuova, del medesimo autore. L’attuale Porta Nuova dello Zanoia, realizzata nel 1810.

Tracciato della strada Monza-Milano. La stazione di testa di Porta Nuova.

Pianta dell’area nel 1865 con l’indicazione del tracciato ferroviario La prima Stazione Centrale di Milano: planimetria.

La prima Stazione Centrale di Milano: vista generale. Le Cucine Economiche.

Lato sud del Fatebenesorelle. Cartografia di Milano nel 1930.

1.1.1 1.1.2 1.1.3 2.1.1 2.1.2 2.2.1 2.4.1 3.1.1 3.1.2 3.1.3 3.2.1 3.2.2 3.2.3 3.2.4 3.3.1 3.3.2 3.4.1 3.4.2 3.4.3 3.4.4 3.4.5 3.4.6 3.4.7 3.4.8 3.4.9 3.4.10 3.5.1 3.5.1 3.5.3 3.5.4 3.5.5 3.5.6 3.6.1 3.6.2

(7)

Terme di Merano, (Arch. M. Thun). Terme di Le Havre (Arch. J. Nouvel). Terme di Diocleziano, circa 306 d.C. Antiche terme romane a Treviri (Germania).

Terme di Babisqa, in Siria. Pianta del villaggio sulle rotte commerciali più importanti per la zona. In evidenza, gli edifici pubblici principali, tra cui le terme.

Terme di Babisqa, Siria, pianta del piano terra Terme di Babisqa, Siria, sezione longitudinale Idrografia milanese nel 1866, Raccolta Bertarelli

Disegno tecnico delle prime tubazioni nella Milano di fine Ottocento. I Bagni di Diana in una illustrazione d’epoca

Pianta del piano terra dei bagni Diana Immagine d’epoca del Bagno Ticino Planimetria del bagno Ticino Pianta del Bagno Nazionale

Assonometria del bagno Castelfidardo

Planimetria dell’isolato del Bagno di San Marco Planimetria del bagno Pubblico San Marco

Fotografia d’epoca del Bagno al Ponte delle Gabelle. Bagno al Ponte delle Gabelle: pianta del primo piano. Fotografia dei Bagni pubblici Muller

Pianta dei Bagni pubblici Muller

Ricostruzioni tridimensionale dei Bagni Foro Bonaparte (ricostruzione A. Mapelli, A. Sonvico)

Sezione dei Bagni Foro Bonaparte, sulla grande aula della vasca natatoria. La pianta del piano terra inserita nel lotto urbano.

Immagine del modello delle Terme Darsena (1990).

Sezione e piante del complesso termale alla Darsena di Milano.

Planimetria dell’area di progetto, con in evidenza l’area di intervento nel lotto Pianta dello scolmatore attuale.

Pianta del nuovo scolmatore.

Vista dell’ingresso principale, dalla piazza Principessa Clotilde, a est. Vista del bar sulla grande piazza d’acqua, a ovest

Planimetria di progetto, con in evidenza il Complesso termale e gli edifici più impor-tanti: Porta Nuova, l’Ospedale Fatebenefratelli, la scuola “Alberto da Giussano”. Vista della passerella sulla piazza d’acqua, a fianco dei volumi sporgenti

Planimetria del piano terra a quota 122,5

Il grande lucernario e l’assialità degli spazi interni.

Vista del la grande piazza d’acqua dal bar interno ribassato Sezione sul lucernario dell’ingresso

L’area termale, sotto al bastione.

La grande aula vista dal piano intermedio.

La finestra sporgente, rivolta verso le Cucine Economiche. Prospetto nord, con la finestra rivolta verso le Cucine Economiche Il piano del solarium, con la piscina all’aperto

La sovrapposizione delle piscine

Vista laterale della grande aula, verso le quattro stanze idromassaggio Prospetto ovest con i quattro elementi sporgenti verso la Martesana, dedicati all’idromassaggio. 4.1.1 4.1.2 4.1.3 4.1.4 4.2.1 4.2.2 4.2.3 4.4.1 4.4.2 4.5.1 4.5.2 4.5.3 4.5.4 4.5.5 4.5.6 4.5.7 4.5.8 4.5.9 4.5.10 4.6.1 4.6.2 4.6.3 4.6.4 4.6.5 4.6.6 4.6.7 5.1.1 5.2.1 5.2.2 5.2.3 5.2.4 5.2.5 5.2.6 5.2.7 5.3.1 5.3.2 5.3.3 5.4.1 5.4.2 5.4.3 5.4.4 5.5.1 5.5.2 5.5.3 6.1.1

(8)
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L’area di intervento del Complesso Termale a Porta Nuova è caratterizzata dalla presenza di edifici storici attualmente non valorizzati da una situazione disomogenea, determinata dal susseguirsi nel tempo di interventi senza una direttiva comune. Il Naviglio Martesana è un elemento fondamentale per la definizione degli intenti progettuali e introduce uno dei temi principali della tesi, ossia l’acqua a Milano e la tematica degli edifici pubblici legati ad essa.

Il Corso di Porta Nuova è il secondo protagonista di questo lavoro, in particolare per l’orientamento dell’edificio.

Tale riferimento si ricollega perciò ai progetti di fine Otto-cento che puntavano all’apertura territoriale verso Nord, dal Corso di Porta Nuova. Il tema dell’edificio pubblico legato all’acqua è stato affrontato cercando di rispondere ad esi-genze moderne, come il relax e il benessere, partendo da un approccio opposto rispetto a progetti recentemente realiz-zati. La volontà è stata infatti quella di creare un Complesso Termale legato alla città proponendo spazi pubblici in grado di soddisfare il bisogno di qualità della vita urbana indispen-sabile per Milano.

Viene proposta la riapertura del Naviglio Martesana fino alla Conca di San Marco e la ricostruzione a ponte del tratto di Bastione interessato. Questo intervento permette la creazi-one di una grande piazza d’acqua, passante sotto al Bas-tione, dal quale l’edificio emerge stereometrico.

L’impianto dell’edificio è perentorio, con servizi ristorazione e bar tra la piazza d’acqua e Porta Nuova; dall’accesso prin-cipale un percorso diretto divide simmetricamente l’edificio, distribuendo i servizi termali. Una parte dedicata alle terme vere e proprie è compressa sotto al Bastione, oltre il quale si accede direttamente alla grande aula dedicata all’acqua. Qui il tema dell’acqua è stato enfatizzato con la sovrappo-sizione di due vasche, una al piano inferiore e una in copertu-ra con un fondo tcopertu-rasparente. Si crea dunque un lucernario di acqua che, vibrante, contrasta con la solidità della struttura a telai che regge la vasca superiore.

Nel complesso l’edificio mira a stabilire relazioni sia con l’elemento naturale sia con la parte di città attorno ad esso, proponendosi come edificio attuale ma rispettoso della tradizione.

(10)
(11)

Fra le sei storiche circoscrizioni di Milano, l’area di

Por-ta Nuova è quella meglio conservaPor-ta dal punto di visPor-ta

topografico e monumentale, pur non vantando edifici di

particolare fama o prestigio.

Attualmente è una zona ad alta densità abitativa e dal

traffico spesso congestionato, ma sono ancora

ricon-oscibili gli elementi che per secoli hanno caratterizzato

l’area come una delle più tipiche di Milano: i Bastioni,

la Porta dello Zanoia, l’Ospedale Fatebenefratelli, il

Nav-iglio della Martesana con il Tombone di San Marco e

l’edificio delle Cucine Economiche.

Nonostante le inevitabili trasformazioni succedutesi nel

tempo e l’attualissima rivitalizzazione dell’area

Garibal-di-Porta Nuova, oggi è ancora possibile trovare in certi

scorci una Milano d’altri tempi, dai toni dimessi ma

ricca di storia.

Complesso termale a

Porta Nuova

In alto: 1.1.1 immagine d’epoca del Naviglio Martesana e del Ponte delle Gabelle di fronte alle Cucine Economiche. A Fianco: 1.1.2 immagine satellitare

dell’area di progetto

Il corso di Porta Nuova, orientato in senso nord-est/

sud-ovest, è senza dubbio l’elemento caratterizzante

che sin dalla sua apertura ha determinato la morfologia

di tutta l’area.

Procedendo dal centro città verso i Bastioni, il corso si

inoltra tra due file di edifici mentre sullo sfondo

lenta-mente compare l’arco neoclassico dello Zanoia.

Prima di assumere la conformazione attuale, questo si

1

(12)

componeva di due tratti distinti: il primo era detto

Bor-go di S. Angelo dal nome della chiesa che sorge tutt’ora

presso l’incrocio con via Moscova, l’altro costituiva la

cosiddetta Strada del dazio di Porta Nuova; dazio per

passare il quale, come Manzoni dice nel suo celebre

ro-manzo, alla sua seconda entrata in città, Renzo “tirò

fuori un mezzo ducatone, per tacitare il gabellone di

guardia.” Ricorda il Manzoni che “la strada... andava

allora, come adesso, dritta fino al canale detto il

Nav-iglio, i lati erano siepi o muri d’orti, chiese e conventi, e

poche case”.

La prima strada, privata, fu tracciata nel 1510 quando i

frati di S. Angelo, grazie ad un testamento a loro favore,

fecero costruire una strada di loro proprietà, che

colle-gasse il convento in linea retta alla città. E’ nello schizzo

della Milano di Leonardo, tuttavia, che per la prima

vol-ta quesvol-ta strada viene disegnavol-ta e denominavol-ta “Strada

Nuova”, sottolineando piuttosto l’importanza a livello

urbano della stessa.

Tuttavia, anche quando il convento (dopo la guerra

dell’imperatore Carlo V) fu demolito per costruire i

Bas-tioni di difesa della città e ricostruito all’interno delle

mura, la strada continuò ad essere di esclusiva

propri-età dei religiosi

Un primo evento importante avvenne nel 1588 quando

dalla Spagna giunse l’ordine religioso dei

Fatebenefra-telli, i quali si insediarono lungo la Strada Nuova dove

fondarono il loro ospedale. In seguito, non riconoscendo

ai frati di S. Angelo la proprietà della strada, in una

notte del 1654 aprirono il muro di loro proprietà che

confina sulla via rendendo la strada di pubblico utilizzo.

Nel secondo Settecento, invece, le chiese e i conventi

lasciarono il posto a fabbriche e industrie e

successiva-mente nel primo Ottocento i Bastioni furono trasformati

in passeggi sopraelevati. La Strada Nuova, fino ad

allo-ra, era considerata solo un importante tracciato urbano

che terminava in corrispondenza dei Bastioni per poi

raccordarsi alla strada postale per Monza.

Fu proprio in epoca ottocentesca, tuttavia, che si

aus-picò una più marcata valenza territoriale per la strada,

con progetti per un prolungamento monumentale.

Persino la cartografia redatta dagli Astronomi di Brera

nel 1810 rappresentava già questa nuova condizione,

con largo anticipo sull’effettiva realizzazione.

Sempre negli stessi anni fu avanzata anche la

propos-ta di una grande Mènagèrie, a nord dell’area, con

pro-getti del Cagnola, del Canonica e dello Zanoia (i

mag-giori personaggi del panorama culturale architettonico

dell’epoca). I progetti proiettavano nell’area di Porta

Nuova esterna ai bastioni le misure e l’asse del

(13)

Laz-1.1.3 Montaggio dei bagni pubblici presenti nell’area di Porta Nuova tra fine Ottocento e inizio Novecento. Cartografia Villani (1876)

zaretto, che avrebbe poi duvuto convergere, insieme al

prolungamento del corso di Porta Nuova, su un grande

piazzale. Al centro di questo, un ponte sulla Martesana

avrebbe poi fornito alla strada per Monza un nuovo

in-gresso monumentale alla città, proprio in relazione col

Corso di porta Nuova

Questi furono i progetti principali per l’area, progetti

che però non ebbero futuro in quanto l’arrivo della

Fer-rovia e la realizzazione dello Scalo Garibaldi e della

pri-ma stazione Centrale impedì qualsiasi ampliamento del

Corso.

L’area di Porta Nuova è caratterizzata anche dall’ingresso

delle acque del naviglio Martesana in città, e si è

storica-mente caratterizzato come luogo d’acqua per

eccellen-za. Ben tre strutture di bagni pubblici si sono susseguite

nel tempo, tra fine Ottocento e inizio Novecento: i bagni

pubblici in via Castelfidardo, i bagni caldi in via San

Marco e i bagni municipali al ponte delle Gabelle.

Il tema dell’edificio termale affrontato in questa Tesi è

storicamente ricco di esempi e differenti concezioni che

si sono susseguite in diverse epoche storiche.

Le terme romane sono certamente il fondamentale

pun-to di partenza per questa ricerca: poste all’interno della

città, queste rispondevano alle esigenze igieniche ma

anche a quelle socio-culturali, fornendo spazi pubblici

di interazione tra persone di classi sociali deverse, dove

circolavano idee e opinioni.

E’ nell’Ottocento, tuttavia, che le terme iniziano ad

as-sumere una configurazione decisamente più complessa

ed articolata sia per quanto riguarda la composizione in

(14)

pianta che l’architettura esterna.

Nell’Ottocento l’abitudine di recarsi ai bagni si diffuse

anche tra le classi meno abbienti, soprattutto per

ne-cessità igieniche. I grandi edifici di Bagni si

caratteriz-zavano per l’accorpamento di grandi vasche d’acqua e

spazi termali più articolati in un’unico edificio, senza

però dare un’unità agli spazi, semplicemente accostati.

Esteriormente questi edifici si caratterizzavano per una

grande e raffinata complessità dell’architettura tanto

da poter essere facilmente paragonati ad edifici di

im-portanza politica o religiosa.

Anche a Milano, come il resto dell’Europa, la

municipal-ità si fece carico delle nuove esigenze della metropoli in

espansione e realizzò numerosi bagni e lavatoi pubblici,

oltre a dotare la città di un sistema fognario adeguato.

Gli esempi di terme Milanesi ed Europei presi come

riferimenti progettuali sono tutti accomunati dal tema

della “grande aula natatoria”.

La grande aula con piscina e la volontà di inserirsi in un

contesto urbano stringendo con esso un forte legame

sono i principali elementi che definiscono il progetto

per il Complesso termale a Porta Nuova.

La localizzazione dell’edificio e il suo orientamento

(par-allelo al corso di Porta Nuova) mirano a dare al Corso

un proseguimento territoriale verso l’esterno, anche se

slittato, che nei secoli si è perso per il susseguirsi degli

interventi fatti nell’area.

Essendo questo di Porta Nuova un luogo d’acqua

an-cora oggi, la scelta progettuale è stata proprio quella di

valorizzare questo elemento, sottolineando la valenza

storica e urbanistica dello stesso, oltre che la sua

im-portanza idrogeologica.

L’apertura di una grande piazza d’acqua cerca di

rispon-dere all’esigenza di contrastare l’eterogeneità dell’area,

contestualizzando l’edificio e cercando di contrastare

l’eterogeneità dell’area.

Grazie alla sua forma regolare e stereometrica, l’edificio

intesse relazioni con l’esterno attraverso determinati

slittamenti e aggetti.

L’accesso, un taglio vetrato che permette di scorgere

già dall’ingresso la piazza d’acqua, avviene sul lato est,

venendo da Porta Nuova, dove un “vuoto” permette

di leggere lo slittamento della Porta di cui si fa carico

l’edificio. Gli spazi interni sono ben riconoscibili e a

sec-onda della loro funzione creano relazioni diverse tra loro

e l’ambiente circostante.

L’ingresso è il luogo nevralgico delle relazioni, costituito

da grandi pareti vetrate anche in copertura che

indiriz-zano immediatamente verso la grande aula.

(15)

dell’edificio, fa da contrappunto ai muri in ceppo di gré

con le sue pareti vetrate. “Slittando” verso la Porta

Nuo-va e arretrando rispetto alla piazza d’acqua favorisce

inoltre un rapporto più diretto con la Martesana.

La zona termale vera e propria è un luogo intimo e

com-presso, posizionato sotto ai Bastioni, condensando in

un nucleo in ardesia docce terapeutiche, saune e

ham-mam.

Oltrepassando l’area termale, lo spazio si dilata e lascia

il posto alla grande aula con vasca natatoria. L’ambiente

è a doppia altezza e attorno ad esso, al piano terra, si

sviluppa un corollario di servizi, mentre verso la piazza

d’acqua si trovano quattro piccole vasche individuali

ribassate, con lo stesso livello dell’acqua di quello

es-terno, favorendo una suggestiva percezione dell’area e

dell’acqua della Martesana.

Al piano superiore un ballatoio, a cui si accede

attra-verso una scala che inquadra la vista sulle Cucine

Eco-nomiche, circonda la grande vasca.

Il livello superiore è quello del solarium dove la

piscina-lucernaio filtra la luce all’interno della grande aula.

E’ proprio nella parte della grande aula che la

sovrap-posizione delle acque sancisce il ruolo strutturante

dell’elemento naturale, sia a livello architettonico che a

livello culturale.

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(17)

Prima di affrontare il tema progettuale vero e proprio, ossia il complesso termale per l’area di Porta Nuova, il primo passo è stato quello di approfondire gli aspetti di contorno al tema stesso.

In particolare, si è voluto analizzare il ruolo delle acque a Milano e l’importanza di queste per gli edifici pubblici nella storia fino a stabilirne l’attualità e l’appropriatezza al giorno d’oggi.

Questa analisi è cominciata con la definizione di due aree fondamentali per l’idrografia milanese, ossia Porta Nuova e Porta Genova, scelte proprio per l’essere i luoghi dove storicamente avveniva l’ingresso in città delle acque da nord (Porta Nuova) e l’uscita a sud (Porta Genova), verso la Pia-nura Padana.

Il tema dell’acqua assume quindi una duplice valenza: quel-la più propria di elemento vitale, necessario all’ecosistema della città e dell’area attorno ad essa, e quella più “astratta” -ma non meno importante- di elemento culturale e unifica-tore, che diventa quindi fondamentale per questa ricerca e per il progetto da sviluppare.

La volontà di capire il ruolo storico delle acque a Milano ha permesso di fare delle considerazioni a livello urbanistico e capire l’evoluzione del tessuto urbano nei secoli, tessuto che, a partire dalla copertura delle acque avvenuta a inizio XIX secolo, è stato modificato o adattato frettolosamente alle necessità più impellenti, facendo perdere completamente il senso di armonia delle parti che caratterizzava Milano. Per quanto riguarda il periodo antecedente la creazione del sistema fognario a Milano, la bibliografia sul tema delle acque in città è alquanto ridotta. Studi e cartografie ap-profondite sono disponibili solo a partire dalla decisione di rinnovare il sistema di drenaggio delle acque meteoriche, presa nel 1807. Fu a seguito di due decreti del Regio Gov-erno Italico che cominciarono i lavori anche per una generale riforma delle strade cittadine, nel realizzare le quali veniva costruita una nuova tombinatura per la raccolta degli scoli stradali. A parte questo dettaglio più tecnico, tuttavia, il dato di fatto fondamentale che si può osservare su una qualsiasi

Complesso termale a

Porta Nuova

2.1 UN ACCENNO SULL’IDROGRAFIA MILANESE

2

Porta Nuova e Porta Genova:

il ruolo delle acque in città

(18)
(19)

Nella pagina accanto: dettaglio delle cartografie che mostrano la situazi-one delle acque nei due punti presi in esame: 2.1.1 Porta Nuova (sopra) e 2.1.2 Porta Genova/Darsena (sotto).

mappa dell’area milanese è l’andamento dei corsi d’acqua, all’incirca paralleli fra di loro, e con direzione di scorrimento da nord-ovest verso sud-est, corrispondentemente alla direzi-one di pendenza del piano padano.

A nord di Milano, trasversalmente alla pianura scorre il Can-ale Villoresi, che collega Ticino ed Adda, fornendo acqua di irrigazione ad un ampio comprensorio naturalmente meno ricco di acqua della zona a nord della città. Questo canale, che comunque non ha un diretto impatto sulle acque che confluiscono in città, fu realizzato nel 1880-81, su progetto dell’ing. Eugenio Villoresi.

L’area di Porta Nuova è invece caratterizzata, come già in-dicato, dall’ingresso delle acque in città, tema fondamen-tale per lo sviluppo successivo del progetto qui presentato. A nord-ovest di Milano entrano in città vari corsi d’acqua, il principale dei quali è il torrente Seveso, proveniente dai rilievi morenici del comasco. Allo stato attuale esso segue la via Ornato e con un percorso sotterraneo confluisce nella Martesana in via Melchiorre Gioia. Nel Medioevo Seveso e Nirone alimentavano le acque del fossato difensivo, a ridosso delle mura della città.

Il naviglio della Martesana, protagonista principale dell’area di progetto, fu costruito fra il 1457 ed il 1465 e deriva le sue acque dall’Adda nei pressi di Trezzo ed entra in città dalla via Padova. Un tempo esso alimentava la fossa interna dei navigli passando dalla conca dell’Incoronata e dal laghetto di San Marco. Dopo la confluenza col Seveso, che avviene all’altezza con via Carissimi, dà origine, all’altezza del Pon-te delle Gabelle dove è tuttora visibile l’edificio delle Cucine economiche, al Cavo Redefossi. Attualmente quest’ultimo scorre, coperto, sotto i viali della cerchia orientale dei Bas-tioni, fino a Porta Romana, dove devia lungo il Corso Lodi e le vie Cassinis e Rogoredo, sbucando poi in un condotto a cielo aperto (ora coperto) che fiancheggia la via Emilia, fino alla confluenza nel Lambro. Il tratto del Redefossi che va da piazza Medaglie d’Oro al Lambro venne scavato tra il 1783 ed il 1786 per rimediare alle frequenti esondazioni che in-teressavano le zone di Porta Vittoria, Porta Romana e Porta Ludovica.

Nella zona di San Siro confluiscono nel fiume Olona il tor-rente Fugone (o Merlata) e poco più a valle il tortor-rente Mussa: entrambi attraversano in sotterranea parte dell’attuale ter-ritorio cittadino.

Ad est della città scorre a cielo aperto, proveniente dal trian-golo lariano, il Lambro settentrionale, che presso Melegnano raccoglie le acque del Cavo Redefossi e della Roggia Vettab-bia, e più a valle quelle del Colatore Lambro Meridionale. Attraversata la città e costeggiando l’attuale centro storico di Milano, le acque raggiungono infine l’area di Porta Gen-ova. Il Lambro Meridionale, oltre a ricevere le acque del fi-ume Olona, funge anche da scaricatore del Naviglio Grande. Quest’ultimo deriva le sue acque dal Ticino, nei pressi di

(20)

Tor-navento, e confluisce in città nella darsena di Porta Ticinese. Fu scavato alle origini come canale d’irrigazione, negli anni tra il 1179 e il 1209, e fu chiamato Grande nel 1269 quando la sua sezione fu allargata per renderlo navigabile. La nav-igabilità di questo fu di vitale importanza per il trasporto di merci anche da costruzione, grazie alle quali fu possibile costruire e rivestire il Duomo di Milano.

Dalla Darsena, seconda area di progetto presa in esame dal Laboratorio di Progettazione Architettonica, prende origine il Naviglio Pavese, che collega Milano con Pavia, completato nel 1819.

Per rimediare alle frequenti esondazione del Seveso e dell’Olona esiste inoltre lo scolmatore di Nord-Ovest, che purtroppo scarica acque molto inquinate nel Ticino, e che si è però spesso dimostrato insufficiente ad evitare allagamenti in città, soprattutto nella zona di Niguarda.

Tanta ricchezza di acque è da sempre stata una risorsa per Milano e una ricca iconografia, soprattutto Ottocentesca, mostra come il tessuto urbano si accostasse in maniera del tutto armonica al il sistema dei Navigli, venendo sfruttato per i trasporti ma determinando anche scorci pittoreschi e piacevoli passeggiate urbane.

La città cresceva e si sviluppava attorno ad essi, come era sempre stato fin dai tempi di Galvano Fiamma, che nel 1330 circa, nella sua seppur astratta e idealizzata

rappresentazi-2.2 IL RUOLO DELLE ACQUE A MILANO

2.2.1 Schema dei fiumi attorno a Milano

(21)

2.3 IL PROBLEMA IDROGEOLOGICO

one, disegnò una Milano circolare, con le mura ordinata-mente scandite dalle porte difensive e dove il sistema dei fiu-mi è messo in evidenza. Se in questa cartografia all’assetto stradale non viene data importanza, essendo del tutto omesso, è proprio ai fiumi che spetta il compito di definire, assieme alle fortificazioni, l’organizzazione della città e del territorio.

E’ tuttavia evidente che i Navigli presenti a Milano non sono elementi naturali, ma sono frutto delle più avanzate, per così dire, tecniche idrauliche dell’epoca, prese ad esempio dal resto d’Europa per realizzare progetti simili in città come Amsterdam.

Il territorio milanese e il suo hinterland sono stati da sem-pre modificati e bonificati già in epoca romana, permettendo la coltivazione di tutta la pianura, e l’attenta gestione delle acque garantiva un funzionamento stabile e continuativo. La rottura dell’equilibrio nel sistema idrico a Milano, tutta-via, è stata determinata dalla completa copertura dei Nav-igli in città e dala deviazione di alcuni corsi d’acqua verso la Vettabbia, fino al 1930 scolmatore della fossa interna e ricevente degli scarichi fognari della città.

La Vettabbia doveva collegare l’Adda al Lambro, nei progetti degli ingegneri, e per fare ciò era necessario aumentare la sua portata, posto che il Seveso forniva troppo poca acqua per servire a tale scopo. L’Olona fu dunque deviato verso la Vettabbia e venne usato anche per regolarizzare la parte ovest della città. Il Naviglio Grande cambiò quindi funziona-mento, venendo separato dall’Olona. Nel 1860, nonostante le cartografie non siano di facile interpretazione, si capisce che il fiume Olona è ancora presente, ma è completamente volto a servire la Vettabbia, bypassando la Darsena. Già a partire da quella data, pertanto, viene a mancare una grande quantità d’acqua destinata al sud di Milano, con il sistema fluviale che va sostanzialmente in crisi.

L’interramento dei canali interni, invece, era già stato av-viato nel XVI secolo. Dopo il tratto della Vetra che percorreva via S. Vincenzo e via Gian Giacomo Mora, fu interrato il fos-sato che circondava le antiche mura romane lungo via Monte di Pietà, via Montenapoleone e via Durini, da un lato, e via Nirone, dall’altro lato. Nei due secoli successivi, tuttavia, si assiste al nascere, entro la cerchia dei Bastioni, di nuovi can-ali, anche di minime dimensioni, che servivano ad irrigare gli orti e i giardini situati tra la cerchia dei Navigli e i Bastio-ni. La moda dei giardini all’inglese della fine del Settecento portò addirittura alla creazione di molti laghetti preromantici che accentuarono l’aspetto “acquatico” della città. Elemento gradito dell’arredo privato, in questo stesso periodo l’acqua era però fastidiosa nelle vie pubbliche. Si comincio dal borgo di Porta Orientale (corso Venezia) ad interrare l’Acqualunga, seguito nel 1838 dall’interramento della Roggia Borgognona lungo corso di Porta Tosa (corso di Porta Vittoria). Nel 1857

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scomparve il Laghetto di S. Stefano e, sebbene con una certa contrarietà da parte della cittadinanza, fu presentato il primo progetto per la copertura della cerchia dei Navigli, realizzata definitivamente nel 1930.

Sempre nel 1930, Milano si dotò anche di un sistema di depurazione che però non fece altro che appesantire ulteri-ormente l’ecosistema del territorio, anche a causa del cres-cente consumo d’acqua che si determinò a partire dalla fine dell’Ottocento (si veda, a tal proposito, il capitolo 4).

Tutto il territorio a sud di Milano, tra il Ticinello e la Vet-tabbia, era irrorato dalle acque delle fogne, dalla cosiddetta “acqua grossa”. L’ovvia modifica di tale corso, per contro, ha determinato un deficit di acqua che sta minacciando tut-to il territut-torio a sud di Milano. Questa mancanza d’acqua, sicuramente pericolosa e dannosa sia per l’ecosistema che per l’economia locale, è una problematica che deve essere analizzata quando si parla della riapertura dei Navigli.

Tale riapertura, lungi dall’essere solo una nostalgica voglia di “vecchia Milano”, se nella parte interna alla circonvallazione detta dei Bastioni risulta difficoltosa, può e dovrebbe essere presa in considerazione almeno per la parte più esterna del-la città, dove si situano gli scambi di acque più importanti. Sia corpi idrici dell’area a sud di Milano, sia i corsi d’acqua principali che i tratti di reticolo minore, hanno subito pro-fonde trasformazioni dell’assetto morfologico, che in alcu-ni tratti rendono fortemente modificato l’assetto dei corsi d’acqua. La forte impermeabilizzazione dei suoli ha come effetto regimi di piena e di magra notevolmente accentuati e molto lontani dalla naturalità. Esistono quindi elementi per ritenere che la situazione complessiva renda difficile, se non impossibile il recupero dell’assetto ecologico naturale del corpo idrico.

Durante il IV CONGRESSO NAZIONALE DEL PO (2007) sono state avanza alcune proposte per avviare un processo di ricostruzione ecologica dei corsi d’acqua e riorientare il modello di sviluppo sull’uso delle risorse fluviali diminuen-done l’intensità.

E’ inoltre molto importante, sempre in un’ottica di interven-to mirainterven-to e coordinainterven-to, l’idea di alleggerire lo stesso nodo idraulico di Milano, ricollegando per quanto possibile i fiumi deviati verso la città.

Si spera quindi si possa ripensare il ripristino di un equilibrio corretto in grado di gestire le eventuali siccità o le improvvise piogge torrenziali coi conseguenti danni per la città stessa. Entrambe le condizioni, come ben sappiamo, sono molto fre-quenti a Milano e, considerando l’attuale panorama europeo e mondiale e i dati sul clima globale, questa parziale riap-ertura dei Navigli non sembra, in questa sede, un’idea irreal-izzabile o scartabile in prima battuta, auspicando invece che possa avere in futuro maggiore attenzione e seguito.

In definitiva, ragionare su queste due aree progettuali, Porta

2.4 UNA POSSIBILE APERTURA

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2.4.1 Immagine satellitare del ter-ritorio a sud di Milano

Nuova e Porta Genova, e presentare un un progetto come questo di un Complesso Termale a Milano Porta Nuova, potrebbe essere un buon punto di partenza anche solo per focalizzare l’attenzione pubblica su tale problematica e provare a dare una prima risposta al problema.

Attento sia a queste problematiche ecologiche che a consid-erazioni più urbanistiche e storiche, questo progetto è ben consapevole che tutte le modifiche auspicate per la città di Milano e il territorio agricolo a sud di questa debbano avve-nire per gradi. Un riassetto idrogeologico di questo tipo può ben essere paragonato, per quanto riguarda le forze messe in campo, alla creazione stessa dei Navigli e di tutto il sis-tema fin qui descritto. Si tratta sicuramente di un’operazione imponente e complicata, che necessita di interventi statali, oltre che Regionali.

Un primo approccio al problema idrogeologico può essere comunque quello di ripensare ad una serie di edifici pubblici legati all’acqua, come ad esempio un complesso termale, cogliendo l’occasione per unire ad un tema di attualità più leggero -il loisir ai giorni nostri- uno decisamente più impor-tante come la tutela del nostro territorio.

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L’area che si estende tra Corso Garibaldi e Corso di Porta Nuova è un luogo caratterizzato da una forte artificialità in-frastrutturale: si possono contare ben due stazioni ferrovi-arie, il passaggio della metropolitana, il tracciato del pas-sante ferroviario e i parcheggi sotterranei.

Analizzando il territorio tra la Martesana e la Strada Nuova sono tuttora identificabili gli elementi notevoli che nei secoli hanno caratterizzato l’area: il vuoto lasciato dai Bastioni, la Porta Nuova, il Naviglio della Martesana e il ponte delle Ga-belle con le Cucine Economiche, l’ospedale Fatebenefratelli e la Stazione di Porta Garibaldi. L’attuale Porta Nuova è co-munque storicamente il luogo di ingresso delle acque in città. L’area in questione viene quindi definita da elementi eteroge-nei fra di loro, sebbene unificati dalla presenza dell’acqua, diversa è la storia che caratterizza la sola Strada Nuova che nasce e si sviluppa quasi esclusivamente in seguito a vicende di ordini religiosi.

La nascita del corso di Porta Nuova può essere ricondotta alla presenza del convento di Sant’Angelo ai margini della cit-tà. Da documenti del 1421 e del 1452, conservati all’Archivio di Stato sappiamo che Santa Maria degli Angeli (chiamata dai milanesi semplicemente S. Angelo) era “extra et prope Redefossum” , e che si era ingrandita nel corso del secolo acquistando terreni limitrofi alla Martesana. Costruita dopo il 1420, grazie alle donazioni dei milanesi, Santa Maria de-gli Angeli si caratterizzava per una tipologia molto coerente con le costruzioni tipiche dei francescani osservanti, infatti la chiesa era relativamente piccola, situata fuori dalle mura e con una costante e netta separazione della parte destinata ai religiosi da quella destinata ai fedeli laici. Questa chiesa, che come data è la prima di una lunga serie, potrebbe essere stata il prototipo, fissato da San Bernardino, che alcune tes-timonianze collocano a Milano negli anni intorno al 1420. E’ proprio in questo lasso di tempo (1421) che viene documen-tata la cessione da parte dei canonici di S. Maria Fulcorina di un piccolo oratorio intitolato a S. Angelo, probabilmente in disuso che esisteva già verso il 1280, ai francescani.

Complesso termale a

Porta Nuova

3.1 IL CONVENTO DI S. ANGELO E LA STRADA NUOVA 3.1.1 Il Convento di Sant’Angelo secondo la ricostruzione di L. Patetta.

3

Le ragioni del progetto:

il Corso di Porta Nuova

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In breve tempo venne costruita la grandiosa chiesa e accanto ad essa fu edificato un convento che andò sempre più svi-luppandosi in grandiosità e magnificenza fino ad avere sette chiostri. Le descrizioni tutte concordi ci fanno presumere che S. Angelo fosse il complesso più grandioso costruito nel Quattrocento a Milano: “convento bello per ragione di dis-egno, struttura e fabrica… composto di sette chiostri con dormitori superiori, nelli quali si riunivano più di duecento celle per i frati della famiglia, oltre una sì grandiosa infer-meria che da sola era bastante a formare un altro convento non ordinario, l’officine necessarie per i religiosi molto co-mode; e moltissime stanze per i Frati Forestieri. Il tutto era circondato dalle mura”. L’infermeria di cui si parla, adibita a “lazzaretto” fu edificata dopo il 1486, la foresteria invece esisteva certamente nel 1492. Altre precise informazioni ci vengono date da Le Moine: “…vi è di singolare il refettorio, tutto nuovo a volta e dipinto, che è lungo 72 passi e largo 15; vi è un bel boschetto di querce allineate e ben disposte, e le fece piantare la Duchessa… e oltre a ciò vi è un altro bel giardino circondato da mura e tra il refettorio e il muro vi è un bel chiostro quadrato. Nei boschetti vi è una bella cap-pella per dirvi la Messa ai malati, il detto chiostro è lungo 78 passi e largo 65, e intorno vi sono camere per alloggiare i religiosi, una infermeria per i malati e un refettorio per essi molto bene in ordine e decenti, nel quale refettorio vi è dip-inta la cena di Nostro Signore”. Anche in una lettera scritta dal figlio di Galeazzo Sforza viene citato il convento: “è un lume a questa città, ad che concorre tutto questo popolo ad indulgentia ed prediche er altre devotione”. S. Angelo fu uno dei luoghi dove si promossero le più interessanti iniziative politico-intellettuali, ad esempio il principio dell’unificazione dei servizi assistenziali e sanitari, che vide la fondazione dei Monti di Pietà, dell’Ospedale e del Lazzaretto.

3.1.2 Ipotesi localizzativa e ricostruttiva della chiesa e convento di S. Angelo

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Due strade portavano al convento dalla città: la Valassina, con partenza dalla chiesa di San Bartolomeo e il tracciato che costeggiava il Sevesetto, con partenza dalla chiesa di San Marco. Entrambe le strade non seguivano una linea retta e in seguito alla costante crescita di importanza e magnifi-cenza che il convento andava assumendo, tanto da essere definito il “paradiso di Milano” per la bellezza del luogo, dell’architettura e degli affreschi, il 27 luglio 1510 i fabbric-ieri di S. Angelo utilizzarono l’eredità di Rodolfo Vismara per comprare il terreno che rendesse possibile l’apertura di una strada che collegava la città al convento in linea retta. La strada venne divisa in due parti con un fosso, una larga per le carrozze, carri e cavalli e l’altra più piccola per i pedoni; lun-go il fosso, dall’altra parte dei pedoni, un filare di olmi om-breggiava la via. La strada, essendo ad uso esclusivo del con-vento venne chiusa al suo imbocco. Questa tracciato sarebbe poi diventato l’attuale corso di Porta Nuova che per la prima volta venne descritto come “strada Nova” nello schizzo di Leonardo relativo a Milano, al fol. 199 v del Codice Atlantico.

3.1.3 Disegno di Leonardo dove si vede una Milano ideale, dove già viene evidenziata l’importanza del cardo che collega Porta Nova con il centro e con Porta Ticinese.

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Nell’elaborato dell’artista è visibile un secondo tracciato corrispondente al naviglio di San Marco (navilio), è anche possibile identificare il convento di S. Angelo, collocato all’esterno del Redefossi in corrispondenza del naviglio so-pra citato. Dallo schizzo sembra che il convento di S. Angelo non possa sopravvivere perché situato sulla direttrice sul ret-tifilo del naviglio, ma pare che Leonardo per salvarlo ipotizzi l’apertura di un nuovo cavo a rettifica del Sevesetto. Ipotesi che non troverà riscontro nelle vicende che si svolgeranno negli anni successivi. Risulta comunque evidente, dalle vi-cende sopra descritte, come l’attuale corso di Porta Nuova non nasca con lo scopo di essere un tracciato territoriale che porta in città, bensì come strada privata costruita per col-legare direttamente alla città il convento di S. Angelo. Dalla sua nascita, il corso di Porta Nuova continuerà ad intessere relazioni con gli ordini religiosi che si insedieranno lungo il suo tracciato.

Nell’anno 1527, in conseguenza alle guerre dell’imperatore Carlo V, il convento di S. Angelo venne coinvolto nella battaglia diventando quartier generale delle truppe spagnole, il comp-lesso venne diroccato e in parte incendiato per finire semi-distrutto, così che i frati dovettero abbandonarlo e rifugiarsi altrove. Una volta ristabilita la pace, i religiosi tornarono e certamente risistemarono gli edifici danneggiati, secondo la bolla papale dello stesso anno, ma niente di più fino alla de-finitiva demolizione, nel 1551 quando l’autorità civile decise di radere al suolo tutto il complesso perché essendo eretto in un’area adiacente alle mura, delle quali Ferrante Gonzaga aveva proprio allora iniziato la costruzione, costitutiva un fac-ile accesso alla città. E’ da sottolineare che il convento era ridotto in pessime condizioni già da anni, lo prova l’ipotesi formulata proprio nel 1527 di ricostruirlo ex novo fuori da Porta Orientale, in un terreno donato a tal fine dal marchese Antonio M. Pallavicini, unitamente a “mille ducati d’oro”. Nel 1549 il Gonzaga pose la prima pietra di quelli che di-venteranno poi i bastioni spagnoli su progetto dell’ingegnere Giovanni Maria Olgiati; con la costruzione delle mura, parte dei terreni del convento venne occupata per costruire un baluardo anche se la maggior parte rimase fuori dalla for-tificazione. L’indiscusso valore dell’antico convento e l’ im-portanza raggiunta dall’ordine francescano di cui il Governa-tore di Milano era diventato dal 1547 “Economo Apostolico, Procuratore e Protettore” fece sì che ai religiosi sfrattati venne assegnato un adeguato compenso: un appezzamento di terra di forma rettangolare di cento pertiche all’interno delle mura, all’incrocio tra corso di Porta Nuova e l’attuale via Moscova, dove, ancora con il concorso del popolo milan-ese, si costruì il secondo S. Angelo su progetto dell’architetto Domenico Giunti. La posa della prima pietra avvenne il 21 febbraio 1552. Le vicende dei francescani e del convento di S. Angelo continuano così ad intessersi con la Strada Nuova.

3.2 L’ABBATTIMENTO DEL CONVENTO E LA COSTRUZIONE DEI BASTIONI

Convento di S. Angelo, dell’Architetto D. Giunti, 1552. 3.2.1 Pianta e 3.2.2 prospetto.

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3.2.3 Dettaglio della cartografia di Milano secondo Antonio Lafrery, 1573.

3.2.4 Dettaglio della cartografia di Milano secondo l’Ingegnere Giovanni Filippini, 1722.

Si può riconoscere il nuovo convento di S. Angelo interno alle mura, all’imbocco della Strada Nuova, nella pianta di Lafrery del 1573 e nelle strette vicinanze, anche il convento di San Carlo. Inoltre si può notare come il corso di Porta Nuova, gi-ungendo dal centro della città si esaurisce in corrispondenza

dei bastioni spagnoli, senza corrispondenza con la porta

aperta nella fortificazione che si trova sul lato est dello

sperone del bastione e che presumibilmente potrebbe

corrispondere all’ingresso in città dalla Valassina.

Nelle piante successive, ad esempio in quella del Filippini del 1722 si individua ancora più facilmente il nuovo S. An-gelo, ma si nota anche come l’apertura della porta sia stata spostata ad ovest dello sperone, in asse con il corso di Porta Nuova.

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Con la distruzione del vecchio convento di S. Angelo la Stra-da Nuova divenne di uso pubblico, ma in seguito alla costru-zione del nuovo convento all’interno dei Bastioni, i frati riaf-fermarono la proprietà sulla strada ed il suo uso esclusivo. Nel 1588 giunsero a Milano dalla Spagna l’ordine dei Fate-benefratelli che nel 1588, con approvazione di S. Carlo cos-truirono il loro ospedale su progetto di Martino Bassi lungo la strada Nuova, sul terreno degli umiliati ceduto forzatamente dal Collegio dei Nobili, istituzione fondata nel 1573 da San Carlo nei pressi della chiesa di S. Giovanni Evangelista e sui resti di una “casa” umiliata;

si trattava di un “collegio per educazione de’ figliuoli nobili”. Il complesso ospedaliero si situava tra le odierne via Fateben-efratelli e corso di Porta Nuova: un quadrilatero con cortile centrale misurante mt. 140x46,7; ultimato da un’ortaglia (mt 86x46,7).

Il progetto del Bassi venne redatto con probabilità tra la data di fondazione (luglio 1588) e quella di posa della prima pi-etra (settembre 1588), la costruzione poi procedette con una certa alacrità, perché il 22 maggio 1598 Paolo Moriggia poteva citare il “bellissimo pezzo di fabbrica”, comprendente il padiglione dei malati con cappelle e farmacia. Ma la pos-sibilità stessa di proseguire l’attività edilizia rischiò di essere pregiudicata dalla lunga lite che contrappose i Fatebenefra-telli ai rettori del Collegio dei Nobili, e che finì per coinvolgere da un lato il Papa e il Re di Spagna, dall’altro il Cardinale Federico Borromeo, trasformandosi così in un conflitto po-litico. Nel periodo antecedente la lite col Collegio dei Nobili (luglio 1596) l’ospedale ebbe un’altra controversia, questa volta con i Francescani di S. Angelo per l’esatta delimitazione delle rispettive ortaglie e per i diritti sulla via adiacente: la Strada Nuova. I Fatebenefratelli non riconoscevano ai frati di S. Angelo la proprietà della strada in questione. La lite si risolse a favore dei frati spagnoli che nella notte di un giorno festivo del 1654, con il supporto di uomini armati, aprirono abusivamente il muro di loro proprietà posto sul confine del-la strada. Ne nacque un lungo contenzioso che sarà sedato solo nel 1674 dal cardinal Litta, che stabiliva l’uso pubblico della strada, ma veniva ricordata la proprietà dei frati di S. Angelo mediante una colonna alta 10 braccia con iscrizione sormontata da una croce posta all’inizio della strada.

Il tracciato diventava così notevolmente importante a liv-ello urbano, ne sono la prova anche i successivi progetti dell’architetto Piero Gilardoni per l’ospedale Fatebenefratelli (1822) e dell’architetto Giulio Aluisetti per il nuovo ospedale Fatebenesorelle (1836-57).

Nel Settecento l’area attorno a Porta Nuova era in buona parte coltivata e l’unico dato caratterizzante era costituito dalle chiese e conventi di ordini religiosi; si può quindi im-maginare l’area come ad una zona ancora scarsamente

3.3 L’ORDINE DEI FATEBENEFRATELLI E L’APERTURA DELLA STRADA

Immagini riferite alle planimetrie del lotto dell’Ortaglia: 3.3.1 planimetria del lotto; 3.3.2 tracciamento del profilo dell’Ospedale Fatebenefratelli.

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3.4.1 Casa di correzione

3.4.2 e 3.4.3 Pubblici passeggi, sopraelevati, lungo i Bastioni di Milano.

3.4.4 Dettaglio della cartografia di Milano, secondo Giacomo Pinchetti, 1801

urbanizzata, con le abitazioni concentrate lungo la Strada Nuova.

Nel secondo Settecento inizia una sistematica soppressione di monasteri, conventi, confraternite, collegi e conserva-tori voluta prima dal governo austriaco e poi da quello filo francese. Grazie anche alla ricchezza d’acqua, nell’area, si venne a costituire una vera e propria “zona industriale”, car-atterizzata dalla presenza di fabbriche specializzate princi-palmente nella lavorazione del cotone e attività produttive di monopolio. Successivamente venne edificata anche la Casa di Correzione dove gli internati tessevano il cotone per conto della ditta Kramer.

Sul finire dell’ Ottocento iniziò la grande opera di trasformazi-one dei bastioni in passeggi sopraelevati. Lo spertrasformazi-one in pros-simità della Porta Nuova scomparve perché inglobato nella sezione stradale del percorso alberato che tra Porta Nuova e Porta Orientale raggiunse 41 metri di larghezza, per poi continuare verso Porta Tenaglia con una larghezza di 25 met-ri. Secondo il progetto del Piermarini del 1789, su tutta la lunghezza del viale quattro filari di piante adornavano il per-corso sopraelevato, disposti ai lati dell’area carreggiabile e sui cigli esterni dei marciapiedi laterali. Il secondo baluardo angolare, a destra della Porta Nuova, venne poi demolito per ampliare il Redefosso dalla Martesana a Porta Nuova, in cor-rispondenza del deviatore che ne regolava l’alimentazione. Nella carta del Pinchetti, redatta nel 1801, è visibile una fase intermedia degli interventi sopra descritti, dove si può intu-ire la piantumazione degli alberi sul tracciato dei bastioni, ma allo stesso tempo sono ancora presenti gli speroni, e si può pensare che in quello adiacente alla Porta Nuova, sulla destra, fosse stato adibito a teatro all’aperto, inoltre il trac-ciato del Redefosso non era ancora stato ampliato.

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Si nota altresì in questa pianta, come il tracciato di Porta Nuova venga troncato in corrispondenza dei Bastioni, per essere raccordato, dopo aver attraversato il Redefosso, alla strada postale per Monza, che arrivava in città costeggian-do la Martesana. Viene quindi qui ribadito il carattere stret-tamente urbano della Strada Nuova, che non vede un suo proseguimento territoriale verso nord, sebbene come già detto, la strada si era caratterizzata negli ultimi due secoli come zona fortemente produttiva e quindi in stretta relazi-one anche con il territorio esterno alla città.

Fu negli anni immediatamente successivi all’elaborazione della carta del Pinchetti (1801) che vennero fatti i primi studi e progetti sulla possibilità di dare una connotazione territori-ale alla Strada Nuova. Si riprese l’idea cinquecentesca di un progetto che integrasse e sviluppasse il piano della commis-sione d’ornato del 1807 e viene rappresentato nella pianta di Milano degli Astronomi di Brera del 1810, come già real-izzato. Si nota la volontà di dare un ingresso importante in corrispondenza della Porta Nuova, sebbene in questo modo viene a crearsi una biforcazione in prossimità dell’ingresso in città perché resta la possibilità di accesso dalla strada postale per Monza in corrispondenza del ponte delle Gabelle.

In questa pianta si notano già le modifiche ai bastioni sul progetto del Piermarini con la demolizione degli speroni, l’allargamento della sezione stradale e del letto del Redefos-so. Nel 1808-1809, nell’area esterna ai bastioni venne pro-gettata una grande Ménagérie (orto botanico con serraglio di fiere), sul modello di esperienze parigine.

3.4.5 Dettaglio della cartografia di Milano, redatta dagli Astronomi di Brera 1807-1810

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In alto:immagine 3.4.6 progetto della Ménagérie nelle

ver-sioni di L. Canonica e G. Zanoia; L’immagine 3.4.7 grande a destra si riferisce invece al progetto disegnato dal Luigi Cagnola.

Il progetto fu commissionato dal ministro dell’interno Di Breme agli architetti Zanoia, Canonica, Barbieri e Cagnola ed ebbe come localizzazione l’area compresa tra il Lazza-retto e la Martesana. Alla fine del 1809 Zanoia e Canonica presentarono un loro progetto, mentre Cagnola in alternativa ne propose un altro che venne preferito dal Vicerè Eugenio di Beauharnais, agli inizi dal 1810.

Entrambe le proposte proiettavano nell’area di Porta Nuova esterna ai Bastioni le misure e l’asse del Lazzaretto, ques-to convergeva, insieme al prolungamenques-to del corso di Porta Nuova, su un grande piazzale al centro del quale un ponte sulla Martesana fornisce alla strada per Monza un nuovo in-gresso monumentale alla città.

Luigi Cagnola elaborò nel 1807, un progetto per un ponte con tempio dorico, detto “Tempio di Teseo” come “involu-cro” del gruppo scultoreo che rappresenta Teseo in lotta con il Centauro commissionato dalla città di Milano ad Antonio Canova.

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La localizzazione del tempio proposta era quella all’incrocio della Porta Nuova con la strada per Monza, lungo i passeggi pubblici sui Bastioni. La strada avrebbe dovuto attraversare gli spalti con due gallerie, senza collegarsi con la quota su-periore, dove le carrozze avrebbero attraversato il tempio, nelle due direzioni.

Dopo numerose polemiche sulla posizione del tempio e sull’adeguatezza dello stesso a contenere il gruppo scul-toreo, la risoluzione venne dalla volontà di Francesco I di portare il Teseo a Vienna.

Nel 1808 Cagnola progetta per la Società dei Possidenti, sul Redefossi, all’esterno di Porta Nuova, un arco a tre ar-cate uguali, dove riutilizza le colonne di granito lucido, con capitello composito della chiesa di Santa Marta. L’impianto a tre fornici che non ha precedenti nell’architettura romana, assume in questo caso il ruolo di ponte monumentale. Nel 1808 Cagnola propose di costruire a Porta Nuova, so-pra il Redefossi il monumento ionico che aveva progettato per Porta Ticinese, temendo che per quell’area venisse scel-to il progetscel-to del Canonica, ma alla fine, nel 1810, per Porta Nuova venne scelto il progetto dello Zanoia.

Risulta evidente dalla preferenza del progetto dello Zanoia su quello del Cagnola di come si preferì il tradizionale con-cetto di porta che separa la città dal suo contado, piuttosto che una nuova concezione di relazione tra città e territorio proposta dal Cagnola. Di nuovo viene negata la possibilità al corso di assumere una valenza territoriale e proseguire a nord, oltre i confini della città. Nelle piante successive sull’area di Porta Nuova, infatti, dell’ipotesi del prolunga-mento in rettifilo del corso non ci sarà più traccia.

Un’ulteriore negazione dell’aspirazione territoriale del cor-so venne data nel 1816 con il progetto di una nuova cir-convallazione esterna ai bastioni che da Porta Nuova, con un ponte sul Redefossi, permetteva di raggiungere il nuovo ponte delle Gabelle, ricostruito sulla Martesana di fronte al Tombone, al termine della strada per Monza.

Nel 1825 si abbandonò a Sesto l’antico tracciato della post-ale per Monza che passando per Greco a la Cascina dei Pomi metteva capo a Porta Nuova e venne condotto da Sesto sino a Loreto un nuovo vialone di 24 metri di larghezza con filari di platani.

Nel 1840 l’antica strada Postale per Monza, nel collegamen-to tra Sescollegamen-to e Porta Nuova venne usata come tracciacollegamen-to per la prima strada ferrata che collegava Milano con Monza, su progetto dell’ingegnere Giulio Sarti, con capolinea a Porta Nuova, dove l’ing. Giovanni Milani progettò una stazione di testa, situata al ponte delle Gabelle, dove giunge il naviglio della Martesana.

Con il ritiro degli austriaci dal Lombardo-Veneto (1859) e la proclamazione dell’unità nazionale (1861) l’economia lom-barda si integrò in un mercato di dimensioni sovraregionali;

In alto, 3.4.8 Il Tempio di Teseo, sopraornato del ponte che entra a Porta Nuova, progettato da Luigi Cagnola, nel 1808. La seconda immagine 3.4.9 si riferisce al monumento a a tre fornici, ancora per Porta Nuova, del medesimo autore.

3.4.10 L’attuale Porta Nuova dello Zanoia, realizzata nel 1810

3.5 L’OTTOCENTO E I NUOVI TRACCIATI FERROVIARI

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3.5.1 Tracciato della strada Monza-Milano.

3.5.2 La stazione di testa di Porta Nuova

3.5.3 Pianta dell’area nel 1865 con l’indicazione del tracciato ferroviario

ma le opportunità connesse alla nuova configurazione polit-ico-economica non erano favorite da un adeguato sistema di infrastrutture di trasporto. Il completamento dei collega-menti ferroviari tra Milano e le altre città del nord e del cen-tro Italia ricevette ovviamente un impulso dalle nuove con-dizioni createsi, ma avvenne al di fuori di una pianificazione che tenesse conto delle relazioni tra il tracciato ferroviario, le dinamiche territoriali e il processo di espansione della città, che era ormai in pieno svolgimento.

Nel 1857 venne deciso di far convogliare in una sola grande stazione tutto il servizio passeggeri attraverso una cintura in rilevato che avvolse tutta la città, entrando in conflitto con il sistema dei tracciati urbani che escono radialmente dalla città. Nel 1864 con il completamento della stazione Cen-trale tutte le linee ferroviarie della città furono cosi forzate a convergere su un’unica stazione passante lungo un tracciato continuo dal Bivio dell’Acquabella alla Ghisolfa.

La città venne così completamente circondata da fasci di bina-ri, un limite fisico più invalicabile delle antiche mura.

Ogni possibilità di estensione del tracciato del corso di Porta Nuova veniva negato: la Comasina e la Valassina vennero in-terrotte e deviate sulla via Farini, mentre la strada postale per Monza venne soffocata da un manufatto insufficiente.

In questi anni parallelamente allo sviluppo infrastrutturale si ebbe uno sviluppo industriale dell’area di Porta Nuova, che diventò il primo porto in terra della Milano industriale in quanto divenne il nodo della rete ferroviaria nazionale, stret-tamente collegato all’hinterland da treni locali e caratterizza-to da produzioni tecnologicamente avanzate. Fu all’esterno della cinta ferroviaria che in questi anni si ebbe un nuovo sviluppo industriale: nel 1845, sulla destra del canale si in-sediò la Grondona, prima industria milanese specializzata in

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vagoni ferroviari, nel 1846 lungo l’antico tracciato della Val-assina si installò una fonderia di ghisa con officina meccani-ca, in una casa appartenuta al Collegio Elvetico, nel 1886 la gestione passò ad Ernesto Breda che investì nella produzione di locomotive e vagoni ferroviari, nel 1872 fu la fabbrica Pire-lli ad aprire i battenti specializzandosi in oggetti in gomma elastica e guttaperca. Adiacente allo stabilimento Pirelli, col-locata tra il Sevesetto e la Martesana, nel 1888-89 venne realizzata la scuola elementare “Luigi Galvani”. A fronte della presenza di tutte queste fabbriche nel 1861 iniziò la costru-zione delle case operaie, che si estendevano su 8.000 mq tra via Moscova e via S. Marco, e successivamente (1862-1868) in via San Fermo, tra Moscova e Montebello con tre corpi di fabbrica e un lavatoio nel cortile che prendeva acqua dalla roggia di S. Marco.

Nel 1872 i terreni di proprietà della Società delle Ferrovie dell’Alta Italia che stavano a sud dello scalo, tra Porta Nuova e il grande piazzale della Stazione, vennero in breve tempo lottizzati, sulla base di un progetto di sistemazione stradale firmato dall’ingegner Fasana, a tal fine vennero aperte due strade, ciascuna della larghezza di 10 metri: la via Amerigo Vespucci e la via Marco Polo.

Nel 1883 in concomitanza con l’apertura della tramvia, in-iziò la costruzione delle Cucine Economiche, in via Monte-grappa, poco prima del ponte delle Gabelle, all’ingresso del Naviglio della Martesana in città. La zona era caratterizzata da una specifica vocazione popolare e operaia, soggetta fin dal primo periodo postunitario ad intesa industrializzazione. L’edificio, progettato dall’architetto Luigi Broggi, aveva al centro un refettorio per 160 persone; presentava fronti con mattoni a vista e decorazioni in terracotta. Esso permetteva la distribuzione di alimenti a buon mercato, in un’area larga-mente popolata da operai.

Parallelamente allo sviluppo industriale ed infrastrutturale la Strada di Porta Nuova continuava ad essere il teatro delle vicende dei religiosi del Fatebenefratelli che il 18 aprile 1836 posero la prima pietra dell’attuale Ospedale Fatebenefratelli, già Fatebenesorelle, sito in una singolare insula urbana, in un’area all’epoca quasi disabitata, delimitata dai bastioni, dal Corso di Porta Orientale, dalle vie che costeggiavano le mura medievali e dalla zona dell’arena. L’area era fortemente caratterizzata dalla presenza dell’ordine carmelitano, che vi si era insediato nel 1614 e che nel 1622 fondò la chiesa di San Carlo, eretta da Aurelio Trezzi; si affiancò poi una co-munità carmelitana femminile che fondò la chiesa dei SS. Giuseppe e Teresa, l’area restante venne destinata ad ortag-lia e alle costruzioni del romitaggio che nel 1826 passò alla contessa Laura Visconti di Modrone Ciceri, che la destinò a sede dell’Ospedale.

La presenza dell’acqua che nell’area aveva sempre prevalso sul tracciato urbano della Strada Nuova tornò ad assumere rilevanza quando nel 1869 vennero progettati da L.

Benus-La prima Stazione Centrale di Milano: 3.5.4 planimetria 3.5.5 vista generale

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si e G. Lorini i primi bagni pubblici in via Castelfidardo. Il complesso venne sostituito dal primo impianto comunale di bagni caldi che sorse in via S. Marco nel 1894 sul progetto dell’ingegner Giannino Ferrini dell’Ufficio Tecnico Comunale e che, nel 1907-10, vennero a loro volta sostituiti dai bagni municipali al ponte delle Gabelle, realizzati dall’ing. Giuseppe Codara e dall’architetto Pasquale Tettamanzi, lungo l’attuale via Monte Grappa, ma demoliti negli anni Cinquanta.

Il piano regolatore redatto da Cesare Beruto su richiesta della giunta milanese alla fine dell’Ottocento, mostrò da su-bito l’errato presupposto su cui si fondava: la convinzione che Milano fosse una città radiocentrica e che il suo centro fosse il Duomo. La logica monocentrica perseguita dal Beru-to comportava la strutturazione della città per strade radiali e strade concentriche. Scriveva l’ingegnere: “ la pianta della nostra città, in piccola scala, presenta molte somiglianze con la sezione di un albero: vi si notano assai bene i prolunga-menti e gli strati concentrici; è una pianta assai razionale che ha esempio nella natura.” Coerentemente con questa visione il Beruto tracciò due nuovi viali di circonvallazione: il primo ricavato dalla demolizione delle mura spagnole, il secondo un viale di circonvallazione largo 40 m correva a circa 500 m dal primo; esso costituiva anche il limite fisico del territorio interessato dal piano, cosicché le strade radiali, anziché col-legarsi organicamente con quelle dirette ai vari ambiti ter-ritoriali, si spegnevano contro questa barriera tracciata sulla carta.

3.6 IL PIANO BERUTO

3.6.1 Lato sud del Fatebenesorelle

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L’aver considerato la città come un monade, avulsa da ogni relazione con il territorio, era uno dei più gravi limiti del pi-ano. Lo sviluppo della città per strade radiali e concentriche dava all’esterno delle mura un reticolo di lotti trapezoidali di circa 200 m di lato. L’immagine della città uscita dalle trasformazioni berutiane era profondamente diversa dalla città tardo-antica: ai grandi interventi di sostituzione del tessuto edilizio, alla progettata demolizione dei bastioni, all’espansione solo formalmente controllata si aggiungeva la cancellazione di navigli e canali, una componente fondamen-tale della fisionomia di Milano. Navigli e canali erano stati per secoli elementi funzionalmente e morfologicamente de-terminanti della struttura urbana, matrici di tipologie edilizie e componenti imprescindibili di un paesaggio urbano, nel quale l’acqua determinava la fisionomia dei luoghi. Scriveva il Beruto: “Nei rapporti dell’igiene il piano contempla il dis-locamento dell’Olona e la tombinatura di molti canali tra i quali si citano per importanza il Redefossi, il Seveso, il Bor-gognone, la Vettabbia, in quanto scorrono aperti lungo al-cune vie della città. Dipendentemente dalla progettata tom-binatura essi scomparvero dai tipi per figurare quali zone stradali”. Il Sevesetto si trasforma così nelle vie Fabio Filzi e Galileo Galilei. Il sistematico smantellamento dei navigli e canali milanesi viene poi proseguito dalla podesteria fas-cista.

I cambiamenti decisi dal Beruto modificarono in modo sostanziale l’area di Porta Nuova: da sempre caratterizzata dalla presenza dell’acqua la soppressione dei canali la modi-ficò irreversibilmente, i bastioni, sebbene salvati nel tratto in questione persero la loro connotazione originaria e la cos-truzione della scuola elementare progettata da E. Brotti nel 1907, sui bastioni di Porta Nuova, a cavallo del Redefossi, si pose in coerenza col progetto berutiano di abbattimento dei bastioni e di copertura del Redefossi, per la mancanza dei rapporti con il sistema delle acque e con le specificità di Porta Nuova. Scriveva il Beruto parlando dei bastioni: “cos-tituiscono una reale barriera attraverso la città ed un serio ostacolo alla sua espansione.” E continuava: “rasi al suolo avrebbero dato luogo ad un nuovo viale di grandi dimensioni alla quale potrebbe essere collegato mediante larghi inter-stizi alberati”. I viali e i giardini non vennero mai fatti, in compenso i due anelli di circonvallazione costituirono una barriera maggiore di quella dei bastioni: al corso di Porta Nuova per l’ennesima volta veniva ribadita l’impossibilità di assurgere a tracciato territoriale. Dopo la ferrovia un ulteri-ore sbarramento troncava il tracciato che ora definitivamente non avrà più possibilità di proseguire nel territorio, creando altresì isolati dalla forma triangolare di difficile urbanizzazi-one. Nel secondo dopoguerra si perseguì la politica beruti-ana dell’eliminazione delle acque dalla città, realizzando la tombinatura della Martesana e nel 1970 il nodo idraulico del Ponte delle Gabelle venne completamente coperto.

3.6.3 Tombinatura del Naviglio della Martesana lungo via Melchiorre Gioia; 3.6.4 lavori di copertura del Naviglio

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Il complesso per abitazioni, uffici e negozi progettato da Lin-geri e costruito nel 1950-52 all’inizio di via Melchiorre Gioia sembra definire le nuove regole architettoniche per gli edifici che si erigono sulla via: una sequenza di corpi alti, bassi e medi, diversamente orientati rispetto alla strada. Il piano del 1953 prevede l’abbattimento e la ricostruzione integrale dei tessuti esterni alla circonvallazione, sui due lati di via Mel-chiorre Gioia e di via Vespucci, per le necessità del previsto centro direzionale.

Il progetto oggi in corso di realizzazione non tiene certamente conto delle caratteristiche storiche del luogo, presentandosi come pura sommatoria di operazioni immobiliari.

La strada Nuova, nata come tracciato urbano, ma con predis-posizione territoriale, non riuscirà mai a realizzare la propria vocazione.

Negli anni si presentarono varie occasioni che avrebbero aperto l’opportunità di mettere in discussione il tracciato stradale e pensare ad un suo proseguimento territoriale. Questa ipotesi fu ventilata inizialmente nel Cinquecento, da Leonardo nei suoi schizzi su Milano, ma fu soprattutto nell’Ottocento, quando vennero pensati i grandiosi progetti della ménagérie e dell’ingresso trionfale alla strada, che si presentò la possibilità di far sconfinare il corso all’esterno dei limiti della città. Inevitabilmente queste proposte, non trovarono riscontro nella pratica; fu in particolare con la costruzione della strada ferrata che portava alla stazione centrale, e poi, con le strade di circonvallazione decise dal Beruto che si sancì definitivamente la fine della strada in cor-rispondenza degli antichi bastioni.

E’ evidente come, con il passare dei secoli e delle vicende storiche, per la strada divenne sempre più difficile svinco-larsi dalla sua natura prettamente urbana ed aspirare ad una territoriale. Negli anni sembra che solo in limitate occasioni

3.6.5 Fotografia aerea dello Scolmatore ancora aperto.

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