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BREXIT AND THE CITY L

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PADOVA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE ECONOMICHE ED AZIENDALI “M. FANNO”

CORSO DI LAUREA Economia e Management

PROVA FINALE

BREXIT AND THE CITY

L’impatto dell’uscita del Regno Unito dall’UE sulla City of London

RELATORE:

CH.MO PROF. Bruno Maria Parigi

LAUREANDO/A: Giulio Ponzin MATRICOLA N. 1088895

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2 Indice

Introduzione ... 3

I. The City of London e l’importanza del settore finanziario britannico ... 4

II. L’impatto di Brexit sulle compagnie finanziarie ... 6

Il sistema del passaporto ... 6

Perdita del passaporto e possibili scenari ... 7

I piani di emergenza delle compagnie della City ... 9

III. L’impatto di Brexit sulle compagnie assicurative... 15

IV. Analisi economica del settore finanziario ... 18

Banking ... 19

Insurance and Reinsurance ... 20

Asset Management ... 20

Impatto sull’ecosistema ... 21

V. Post-Brexit: modelli alternativi per le società di investimento... 22

VI. Conclusione ... 24

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3 Introduzione

Con il termine Brexit si indica l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, uscita sancita dal risultato del referendum avvenuto lo scorso 23 giugno 2016. Si tratta di una chiusura forse definitiva nei confronti di un’istituzione mai troppo amata oltre Manica, come spiega anche la mancata adesione, in passato, alla moneta unica da parte del Regno Unito. Il referendum di cui sopra ha chiamato gli elettori di tutto il Regno Unito e Gibilterra ad esprimersi nei confronti della permanenza o meno all’interno dell’Unione Europea e ha infine decretato la vittoria del “Leave” sul “Remain” con una percentuale del 51.9%. La prima e immediata conseguenza sono state le dimissioni del premier David Cameron, il quale ha tentato fino all’ultimo di convincere gli elettori britannici a votare per il Remain, non riuscendoci. Alle sue dimissioni ha fatto seguito l’elezione da parte del partito conservatore di Theresa May come nuova Prime Minister, la quale era già nota nel panorama politico inglese in quanto ministro degli Interni del governo Cameron dal 2010.

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I. The City of London e l’importanza del settore finanziario britannico

City of London: è così che si chiama il famoso centro economico e finanziario della capitale britannica, che fin dal XIX secolo viene considerato tra i più importanti a livello mondiale. Infatti, la City of London compete solo con New York come capitale finanziaria del mondo: questo è dovuto al fatto che molte istituzioni bancarie e assicurative hanno la loro sede nella City, come ad esempio la Borsa di Londra (London Stock Exchange), il Lloyd's di Londra (società leader nel campo assicurativo) e la Banca d'Inghilterra. La City di Londra, inoltre, è leader affermata nel commercio di eurobbligazioni, nel mercato valutario, nel campo dei futures energetici e nel campo assicurativo mondiale.

La City di Londra è il più grande esportatore di tutto il Regno Unito. Nel 2015, infatti, il Regno Unito deteneva un surplus di 19.1 miliardi di sterline nel settore dei servizi finanziari grazie al commercio con l’Unione Europea e di 3.6 miliardi in quello dei servizi assicurativi. Inoltre, i servizi finanziari contavano per il 25% delle esportazioni in servizi del Regno Unito verso l’UE e quelli assicurativi per un’ulteriore 4% (Eurostat 2017, si veda Djankov 2017).

L’intero settore finanziario rappresenta una parte essenziale dell’economia britannica. Ogni anno esso genera da 190 a 205 miliardi di sterline di fatturato (Oliver Wyman, 2016), da 60 a 67 miliardi di sterline di entrate fiscali e un surplus di 58 miliardi nella bilancia dei pagamenti del Regno Unito. Inoltre, esso impiega 1.1 milioni di persone in tutta la nazione.

È importante notare come Londra sia non solo la capitale politica della propria nazione, ma anche la capitale finanziaria della stessa. Questo basta a differenziarla da altre città importanti come Brasilia e Washington (capitali politiche ma non finanziarie delle rispettive nazioni) o Francoforte e Milano (capitali finanziarie ma non politiche). Chiaramente essere capitale in questo duplice senso comporta vantaggi e svantaggi: se da un lato la ricchezza generata da Londra è in grado di rendere più elevati gli standard di vita in tutto il resto della Gran Bretagna, dall’altro importanti centri economici inglesi come Birmingham o Liverpool hanno difficoltà ad emergere. In ogni caso, ciò che più importa è che quello ricoperto dalla City è un ruolo centrale nella performance economica e finanziaria del Regno Unito.

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II. L’impatto di Brexit sulle compagnie finanziarie

In questo capitolo capiremo perché continuare ad esportare servizi finanziari verso l’Europa continentale sia di estrema importanza per la sopravvivenza di Londra come centro finanziario.

Il sistema del passaporto

Per operare nel resto dell’Unione, le compagnie del settore finanziario aventi sede nel Regno Unito utilizzano un sistema legale chiamato passaporto. Sono precisamente 5.476 le imprese registrate nel Regno Unito che dipendono da tale sistema per svolgere il proprio business all’interno del mercato unico europeo (Bailey, 2016). Vediamo più nel dettaglio come funziona tale sistema, poiché si tratta di un elemento cruciale, dal destino del quale dipenderà il futuro delle compagnie finanziarie aventi sede a Londra. Il sistema di passaporto europeo permette ad un’istituzione finanziaria che abbia la propria sede in una qualsiasi nazione europea di svolgere la propria attività di business in tutti gli altri Stati Membri (BBA - British Bankers’ Association, 2016). Pertanto, molte banche internazionali stabiliscono la propria filiale europea a Londra in modo tale da utilizzare tale “passaporto” ed operare così in tutto il resto d’Europa. A Londra operano 250 banche internazionali, un numero nettamente maggiore rispetto a quelle operanti a New York, Parigi o Francoforte (TheCityUK 2016, si veda Djankov 2017). Il passaporto è quindi un meccanismo legale che conferisce la possibilità ad un’attività finanziaria avente sede in un Paese dell’UE (o, per meglio dire, della più ampia EEA – European Economic Area1) di offrire i propri servizi finanziari al resto degli Stati Membri. Questo sistema è chiaramente vantaggioso dal punto di vista di un’impresa straniera in quanto non solo le consente di evitare l’ingente costo relativo alla necessità di stabilire una sede centrale in ciascun Paese europeo in cui intende operare, ma le risparmia anche il bisogno di conformarsi alle normative che ogni Paese possiede in materia di prestazioni di servizi. Avere tale diritto di passaporto significa anche che le imprese possono offrire servizi a distanza in maniera più facile e veloce, senza la minima necessità di dotarsi anche solo di un ufficio nel Paese di destinazione. Si tratta quindi di vantaggi di considerevole importanza ed è chiaro che è nell’interesse delle banche e di tutte le altre istituzioni finanziarie mantenere tale passaporto. Essendo il passaporto una diretta conseguenza dell’appartenenza del Regno Unito al mercato unico dei beni e dei servizi, il problema che si pone con Brexit è che un’uscita del Regno Unito dall’UE potrebbe implicare

1 EEA: “European Economic Area”. Nacque il 1º gennaio 1994 in seguito ad un accordo firmato il 2 maggio 1992

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7 un’uscita anche dal mercato unico e ciò significa che le banche perderebbero il loro passaporto. E alla perdita del passaporto seguirebbe quella dei clienti europei. Ora, una volta che il Regno Unito ha dichiarato la propria intenzione di lasciare l’Europa, cosa succederà al sistema del passaporto? Quali sarebbero le conseguenze per le compagnie finanziarie? La risposta dipenderà dal risultato dei negoziati, cioè dal modo in cui il Regno Unito lascerà l’UE e la situazione per le banche sarà tanto peggiore quanto più limitato sarà l’accesso del Regno Unito all’UE.

Perdita del passaporto e possibili scenari

Poiché il diritto di passaporto è parte di un accordo tra Paesi appartenenti all’EEA, un’uscita dall’UE a cui non si accompagna un’uscita dall’EEA, non avrebbe alcun impatto sul diritto delle imprese di operare attraverso tutta Europa come attualmente accade: tali imprese continueranno a sfruttare il loro diritto di passaporto e, quindi, il Regno Unito manterrebbe la propria posizione all’interno del mercato unico europeo. Resta fermo che i membri dell’EEA hanno l’obbligo di accettare le quattro libertà di circolazione (merci, capitali, servizi e persone) e le sentenze della Corte di Giustizia Europea e il Primo Ministro inglese Theresa May si è più volte detta contraria ad entrambe le cose, fino alla dichiarazione ufficiale lo scorso gennaio in occasione del discorso di Lancaster, in cui ha apertamente confermato di voler lasciare il mercato unico: “I want to be clear. What I am proposing cannot mean membership of the Single

Market”. Essere ancora parte del mercato unico significherebbe infatti lasciare l’Europa solo

per metà. Inoltre, essere ancora parte dell’EEA significherebbe fare della Gran Bretagna un attore passivo del gioco, perché essa non avrebbe più voce in capitolo nelle leggi emanate a livello europeo. Il verificarsi di questo scenario, che sarebbe stato il più auspicabile dal punto di vista delle compagnie finanziarie, sembra quindi alquanto improbabile.

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8 tipo con l’Unione Europea. Tuttavia esso implica per l’appunto uno “stabilimento”, il che significa che le varie compagnie dovranno avere a disposizione degli uffici all’interno dell’UE per poter proseguire il loro business in caso di Brexit. Inoltre, i servizi finanziari che le compagnie potranno fornire con il passaporto potrebbero essere limitati. Nonostante svantaggi di questo tipo, un accordo bilaterale potrebbe essere la soluzione per mantenere il passaporto e per rendere Brexit meno drastica per la City (Ford, 2017).

Se le parti dovessero escludere questo tipo di accordo, molti economisti ritengono che un’alternativa affinché le compagnie della City possano continuare a fare business in Europa sia rappresentata dall’equivalenza. L’ “equivalenza” non è altro che un concetto giuridico che si è via via delineato negli ultimi trent’anni, creato con l’obiettivo di rendere meno complesse le transazioni oltre confini tra mercati che decidono di riconoscere l’uno gli standard commerciali dell’altro. Tra i primi accordi di questo tipo rientra quello stipulato negli anni Novanta tra Gran Bretagna e Stati Uniti, accordo che regola tutt’ora il reciproco accesso al mercato dei derivati. L’equivalenza offrirebbe certamente dei vantaggi: ad esempio, non è necessario che le parti abbiano le medesime regole e le stesse legislazioni in materia finanziaria, ciascuna ha la facoltà di offrire servizi finanziari all’altra, è sufficiente che i loro standard siano simili abbastanza perché i clienti possano dirsi protetti. In questo modo, il Regno Unito potrebbe teoricamente mantenere il proprio accesso al mercato europeo senza dover accettare la giurisdizione di quest’ultimo. D’altra parte sono presenti anche degli svantaggi: in primo luogo la dichiarazione di equivalenza può essere revocata in maniera relativamente semplice (dopo soli trenta giorni dalla notifica, come attualmente prevedono le leggi europee). Dal punto di vista bancario, ciò non rende l’equivalenza una solida base su cui costruire piani di investimento di lungo termine. In secondo luogo, è da considerare il fatto che non esiste una definizione condivisa del concetto in esame e ciò lascerebbe aperta la possibilità che il Regno Unito si veda costretto da parte dell’Europa a implementare leggi contrarie ai propri principi, per fare in modo che le due parti contrattuali possano dirsi “equivalenti”: questo potrebbe sfociare in una perdita di controllo regolamentare. Perché l’equivalenza funzioni, quindi, è necessario un accordo il più possibile dettagliato, che sia in grado di garantire certezza e di risolvere dubbi di significato (Ford, 2017).

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9 altri Paesi europei, avrebbe un effetto devastante per le imprese finanziarie della City. Nel report del PwC “Leaving the EU: Implicatons for the UK financial services sector” (PwC 2016) è stato stimato che il solo costo di ricollocamento avrebbe un impatto negativo dello 0,4% sul PIL britannico entro il 2030 e che le barriere commerciali dovute alla perdita dei diritti di passaporto potrebbero ridurre il contributo dei servizi finanziari di una percentuale compresa tra lo 0,6 e il 2,2 %. Conseguenza logica del limitato accesso all’UE è la riduzione dell’occupazione: la stima è di 70.000-100.000 posti di lavoro in meno nel breve periodo e di altri 10.000-30.000 in meno entro il 2030 (PwC, 2016). La City teme per il proprio futuro e le sue preoccupazioni più grandi si riferiscono alla possibilità di una “Hard Brexit” sempre più imminente nonché al fatto di avere poco tempo per riorganizzare il proprio business: il 29 marzo 2017 Theresa May ha attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, dando così il via al processo formale di Brexit che durerà due anni. Decorso questo periodo, al termine del quale il Regno Unito sarà ufficialmente fuori dall’UE, le banche avranno a disposizione altri due anni per riorganizzarsi e conformarsi alle nuove regole: “[…] I want us to have reached an agreement about our future partnership

by the time the two-year Article Fifty process has concluded. From that point onwards, we believe a phased process of implementation, in which both Britain and the EU institutions and member states prepare for the new arrangements that will exist between us […]. This will give businesses enough time to plan and prepare for those new arrangements” (Theresa May, 2017).

Si rende necessario fin da ora che le istituzioni finanziarie pianifichino il proprio futuro, e la difficoltà maggiore consiste proprio in questo, nel programmare operazioni con anni di anticipo in uno sfavorevole clima di incertezza in cui non è ben chiaro quale scenario possa verificarsi. La tendenza in atto è che le compagnie si stanno preparando per lo scenario peggiore, quello in cui non avranno più alcun passaporto, e stanno programmando le proprie operazioni secondo precisi piani d’emergenza.

I piani di emergenza delle compagnie della City

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10 dovranno necessariamente stabilirsi altrove con una nuova filiale. Questo comporterebbe un’ingente esborso di denaro, infatti l’operazione potrebbe arrivare a costare miliardi, quando i margini di profitto non sono molto ampi. Probabilmente, qualunque cosa accadrà, Londra continuerà ad essere il più grande centro finanziario europeo, ma il mondo finanziario è tutt’altro che statico e i servizi finanziari possono dirigersi verso molte altre città rivali, come Francoforte, Dublino, Amsterdam o persino al di fuori dell’Europa. Il rischio della perdita di posti di lavoro nella City è più che concreto: la società finanziaria JP Morgan Chase ha avvertito che Brexit potrebbe costarle una perdita di 1.000 posti di lavoro, HSBC (uno dei più grandi gruppi bancari di tutto il mondo, con sede proprio nella City) ha dichiarato la propria intenzione di trasferire fino a 1.000 dipendenti a Parigi, Standard Chartered sta progettando di creare una nuova filiale in Germania. Questi sono solo alcuni esempi di compagnie che hanno annunciato il trasferimento altrove di una parte della loro attività. Oliver Wyman (una delle società leader mondiali in consulenza) ha stimato nel report “The Impact of the UK’s exit from the EU on the UK-based financial services sector” commissionato da TheCityUK che una Hard Brexit potrebbe costare fino a 75.000 posti di lavoro in totale, un durissimo colpo per il settore dei servizi finanziari. Secondo Mark Boleat, presidente della City of London Corporation, un terzo dei posti di lavoro persi potrebbe essere ricollocato in Europa, un terzo a New York mentre per la parte restante non ci sarebbe alcuna possibilità di venire assorbita dal mercato occupazionale (The Economist, 2016). Per avere un quadro più completo e dettagliato della situazione che stanno attraversando le più importanti compagnie finanziarie della City e comprendere come sarà influenzato il mercato del lavoro, è utile guardare ai loro piani di emergenza e alle strategie che esse in tendono attuare.

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11 Europa sul tema del passaporto e che ad ogni modo è bene essere preparati nel caso in cui non si riesca a raggiungere alcun accordo.

Nel gennaio 2017 il colosso bancario inglese nonché la più grande banca d’Europa HSBC ha annunciato che operazioni rappresentanti un quinto dei ricavi del trading generato nel Regno Unito sarà trasferito in Francia nel giro di due anni. Stuart Gulliver, amministratore delegato della società, si è infatti detto pronto a trasferire una parte della propria attività nella capitale francese: si tratta proprio di quelle operazioni che rientrano nell’ambito della legislazione europea, operazioni capaci, per l’appunto, di generare fino ad un quinto dei ricavi di HSBC (Stephen and Partington, 2017). In un’intervista alla Bloomberg Television al Forum Economico Mondiale di Davos (in Svizzera), Gulliver ha reso pubblica la propria intenzione di procedere a piccoli passi una volta avuta la conferma che Theresa May lascerà il mercato unico europeo. Gulliver tuttavia si è proclamato piuttosto ottimista ed è convinto che il settore dei servizi finanziari in Gran Bretagna si ristabilizzerà rapidamente. Una sua preoccupazione riguarda invece i dipendenti della banca: una percentuale di essi dovrà essere necessariamente trasferita a Parigi una volta che il Regno Unito avrà lasciato il mercato unico e si tratta in modo particolare di coloro che si occupano di prodotti aventi a che fare con la legislazione europea (secondo la stima di Gulliver, essi sono circa 1.000 dipendenti).

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12 dei Paesi appartenenti al blocco europeo. Tornando al caso di Standard Chartered, lo stesso Viñals ha dichiarato che Brexit le causerà solo un minimo scompiglio (egli ha usato l’espressione “minimal disruption”). E questo per due motivi differenti: dal punto di vista del mercato del lavoro, la società non avrà bisogno di allocare un’ingente numero di dipendenti alla sede di Francoforte, presso la quale lavorano già circa 90 persone (sarebbe così coinvolto solo un numero minimo di posti di lavoro). Dal punto di vista prettamente economico, premesso che la società si rivolge in modo particolare a mercati emergenti e che il fatturato realizzato dalle vendite nell’Europa continentale costituisce solo il 5% di quello complessivo, si prevede che i ricavi della società non subiranno una diminuzione sensibile (Martin, 2017). Il differente mercato di riferimento distingue Standard Chartered da altre banche internazionali, le quali hanno ugualmente sede a Londra, ma realizzano fette importanti del loro fatturato in Europa. Tuttavia, ciò fa riflettere sul fatto che l’incertezza che Brexit ha provocato colpisce anche realtà relativamente piccole in Europa: nonostante il fatturato derivante da operazioni in Europa sia una piccola percentuale di quello totale, non appena il Regno Unito ha attivato l’articolo 50, Standard Chartered ha iniziato a mettere a punto un piano concreto per gestire il fenomeno Brexit. Questo la dice lunga riguardo l’urgenza con cui le società finanziarie internazionali stanno gestendo il problema: ognuna di esse ha definito o sta definendo la propria strategia, la quale dovrà essere messa in atto nel giro dei prossimi due anni, al termine dei quali avrà luogo un nuovo inizio per il Regno Unito.

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13 della City che lo stesso amministratore del gruppo Goldman Sachs non vede roseo, anzi ha avvertito del rischio elevato che il centro finanziario londinese vada in stallo: il caos e l’incertezza generati da Brexit potrebbero rallentare il suo sviluppo e renderlo più debole. Ogni società deve pianificare in anticipo le proprie azioni future ed avere a disposizione un “piano di emergenza”. Lo stesso Gnodde, in una registrazione del 24 aprile, ha sottolineato l’importanza di essere provvisti di un piano di emergenza da mettere in atto nella situazione peggiore, paragonando quest’ultimo ad una polizza assicurativa: “You hope you’re not going to use it, but if you do, you’re pleased you’ve got in place” (si veda Finch, 2017).

Come ultimi esempi di compagnie finanziarie che hanno dichiarato di voler trasferire parte dei propri asset al di fuori del Regno Unito, vale la pena citare UBS e Morgan Stanley. UBS, che attualmente conta una forza lavoro di 5.000 unità nella City, ha in programma di trasferire lavoratori dal Regno Unito ad altre città europee, probabilmente Francoforte o Madrid (Arons and Foerster, 2017). Morgan Stanley ha intenzione di trasferire circa 300 dipendenti a Francoforte o Dublino, ma nessuna decisione è stata ancora ufficializzata (Callanan, Smyth, Finch, 2017). Hugh Fraser, portavoce della società, ha affermato che il diffuso franchising e la forte presenza materiale in Europa della società lasciano aperte molte possibilità e che le idee saranno più chiare una volta che si avranno più dettagli su Brexit.

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Box“Branch e subsidiary: le maggiori differenze”

BRANCH e SUBSIDIARY: le maggiori differenze

In un’ottica di crescita, un’impresa può utilizzare diverse strategie per espandere la propria attività e guadagnare una più ampia quota di mercato. Se essa desidera essere presente in un mercato estero, la scelta verte principalmente sulla costituzione di due modelli d’impresa: “branch” o “subsidiary”. Per branch (che si potrebbe tradurre come ‘ufficio’, ‘filiale’) si intende un’estensione della società madre che svolge generalmente le medesime operazioni di business. Esso non costituisce un’entità legale separata e non assume la forma di società a responsabilità limitata. Essendo un’estensione della casa madre, il reddito prodotto dalla filiale concorre alla determinazione dell’utile della casa madre. Può assumere piccole, medie o grandi dimensioni, ma ciò che è rilevante è che si tratta di un’entità che opera per raggiungere gli stessi obiettivi della casa madre.

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III. L’impatto di Brexit sulle compagnie assicurative

Essendo il più importante centro finanziario europeo, Londra è un punto di riferimento anche per il mondo assicurativo. Secondo l’ABI - Association of the British Insurers il settore assicurativo britannico è il più grande d’Europa e il quarto più grande del mondo (dopo Stati Uniti, Giappone e Cina), in cui conta per il 7% nell’incasso totale di premi assicurativi (ABI, 2016). Il settore assicurativo contribuisce in maniera significativa alla performance economica del Regno Unito: gestisce investimenti per 1.9 trilioni di sterline, pari al 25% del reddito netto totale del Regno Unito, genera entrate fiscali per 12 miliardi di sterline e contribuisce al PIL britannico per 25 miliardi all’anno (ABI, 2016).

Protagonisti del settore sono le compagnie ed i broker assicurativi, che operano all’interno del Lloyd’s of London, mercato che conta 56 managing agents indipendenti e 91 sindacati. Il Lloyds’s è il mercato assicurativo più grande e influente del mondo, ha alle spalle 328 anni di storia, è situato nel principale distretto finanziario della City e nel 2016 ha realizzato un profitto di 2.1 miliardi di sterline (Lloyd’s Annual Report 2016). È entrato nella cerchia di quei business che hanno deciso di trasferire altrove parte della propria attività in seguito alla decisione dei cittadini britannici di abbandonare l’UE. Anche le compagnie assicurative della City, quindi, stanno predisponendo o hanno già predisposto dei piani d’azione, piani di emergenza da mettere in pratica nel caso in cui il sistema di passaporto non dovesse essere più valido per il Regno Unito.

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16 Perdere l’accesso al Mercato Unico significa non avere più la possibilità di servire i clienti globali, abbandonare un mercato di 500 milioni di individui e con esso 6 miliardi di sterline di premi assicurativi da incassare (Sean McGovern, 2016). Attualmente le compagnie assicurative utilizzano il sistema del passaporto, che consente loro di svolgere la propria attività assicurativa secondo modalità cross-border in tutti e 27 gli Stati Membri; essendo il passaporto un meccanismo legale strettamente vincolato all’appartenenza al mercato unico europeo, l’uscita del Regno Unito sarebbe problematica per le compagnie assicurative della City, per le ragioni precedentemente citate.

Il Regno Unito è, inoltre, il Paese europeo che vanta il fatto di essere la meta privilegiata degli investimenti diretti. Nel 2014 gli investimenti in capitale ammontavano a 35 miliardi (Maude, 2015), pari al 28% del flusso di investimenti in Europa. Lo stesso anno il Regno Unito è stato destinatario di ben 909 progetti di investimento diretto estero, un numero significativo se confrontato con quello di altre importanti economie europee come Germania (378), Spagna (252) e Francia (237). Dei 909 progetti, 222 riguardavano il settore finanziario (Maude, 2015). La stessa base patrimoniale del Lloyd’s, essendo costituita prevalentemente da capitale proveniente dall’estero, afferma McGovern, è un’evidenza a favore della forte capacità di attrazione di capitale del Paese. Quando il Regno Unito abbandonerà l’UE, non vi è alcun dubbio che il flusso di capitale subirà una diminuzione e che il mondo assicurativo londinese ne subirà le conseguenze.

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17 trasferimento. Ma è Berlino ad aver avuto la meglio: il Lloyd’s convertirà la propria filiale avente sede nella capitale tedesca in sussidiaria (Martin, 2017), seguendo l’esempio di molte compagnie finanziarie che stanno mettendo in atto la medesima strategia per far fronte a Brexit.

Tuttavia, non si deve dimenticare che il Lloyd’s di Londra è un mercato, più che una compagnia. È un “luogo” al quale pervengono assicuratori da tutto il mondo e tramite cui essi riescono ad intercettare i clienti di tutta Europa, grazie al sistema del passaporto. Non avendo, però, alcuna certezza sul futuro di tale sistema, le compagnie internazionali che passano per il Lloyd’s hanno dovuto necessariamente pensare ad un modo alternativo per continuare ad operare all’interno dell’Unione, creando una nuova sussidiaria in una città europea o dando nuova forma ad una filiale che già possiedono in territorio europeo. Ne è un esempio la compagnia di assicurazione globale AIG-American International Group, con sede a New York e operante in Europa dai suoi uffici locati a Londra. Come reazione a Brexit, la compagnia sembrerebbe aver deciso di utilizzare la città di Lussemburgo come base per le proprie operazioni in Europa, per non correre il rischio di perdere sia i clienti sia i partner commerciali nel continente. La scelta di trasferire parte del proprio business in un altro territorio europeo consentirebbe alla compagnia assicurativa americana di conservare la quota di fatturato proveniente dall’Unione: a fine esercizio 2016, il reddito operativo della divisione europea ammontava a 4.4 miliardi di sterline, pari a circa l’11% del totale (Du, Chiglinsky, 2017). QBE, compagnia assicuratrice australiana, seguirà la stessa strada: a causa dell’incertezza relativa all’accesso al mercato europeo, essa trasferirà altrove la propria sede situata attualmente nella City. La compagnia australiana impiega più di 14 migliaia di persone in tutto il mondo, fra cui 1950 in Europa. Nel 2016 la divisione europea ha generato ricavi per premi sottoscritti per un valore di 4 miliardi di dollari (Weir, 2017): una perdita considerevole se la società non decidesse di prendere alcun provvedimento in seguito a Brexit.

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IV. Analisi economica del settore finanziario

In questo capitolo analizzeremo dal punto di vista quantitativo l’impatto che Brexit potrebbe avere sul settore finanziario focalizzando l’attenzione su tre segmenti in particolare: quello bancario, assicurativo e riassicurativo e dell’asset management.

Tab 1. Performance del settore dei servizi finanziari del Regno Unito per segmento

Source: Oliver Wyman 2016, The Impact of the UK’s exit from the EU on the UK-based financial services sector

Tab 2. Segmentazione del settore finanziario del Regno Unito

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19 Banking

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20 Oliver Wyman (2016) stima che circa un terzo delle attività collegate con l’Europa, 8 miliardi in termini di fatturato, è a rischio.

Insurance and Reinsurance

Il settore assicurativo e riassicurativo vanta un fatturato che ammonta a circa 40 miliardi di sterline, pari ad un quinto del totale, e impiega circa il 30% degli individui che lavorano all’interno del più ampio settore finanziario. Intorno al 10% dei 40 miliardi di sterline di fatturato realizzato annualmente dal settore proviene da attività di business con l’Unione Europea (Oliver Wyman, 2016). L’industria assicurativa dipende dal mercato europeo in misura minore rispetto agli altri servizi finanziari: infatti, nel 2015, solamente il 28% delle esportazioni in servizi assicurativi era diretto verso l’Unione Europea (Scarpetta and Booth, 2016). Il dato non deve sorprendere in quanto per il settore assicurativo non si può propriamente parlare di mercato unico: infatti, come si è discusso nel capitolo precedente, i servizi vengono forniti in grande maggioranza attraverso sussidiarie piuttosto che da singoli uffici. Si stima che fino all’87% degli assicuratori serva i clienti europei senza fare uso del sistema del passaporto (Scarpetta and Booth, 2016). Per questo motivo, la perdita dello stesso è meno rilevante per questo settore. Un’eccezione importante è rappresentata dal Lloyd’s of London: l’attuale legislazione prevede che i suoi assicuratori possano servire da Londra tutti i clienti europei. Per il Lloyd’s, come già messo in rilievo precedentemente, le operazioni con l’Unione Europea contano per circa l’11% dei premi lordi complessivi sottoscritti, 2.9 miliardi di sterline di cui meno di un terzo (800 milioni di sterline) realizzati attraverso l’utilizzo del passaporto (Scarpetta and Booth, 2016). Da tutto ciò si deduce dunque che la perdita del passaporto non sembrerebbe avere conseguenze determinanti per il settore assicurativo, in quanto la maggior parte delle società possiede delle sussidiarie in Paesi UE. Poiché la quota di fatturato proveniente da operazioni europee è pari a circa 4 miliardi di sterline e solo il 25% di questi è generato attraverso l’uso del passaporto, si può ragionevolmente dedurre che la quota di fatturato che la City perderà sarà pari ad un miliardo di sterline (Oliver Wyman, 2016).

Asset Management

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21 2017). La maggior parte degli asset, 1.2 trilioni di sterline, viene gestita per i clienti europei, 310 miliardi sono gestiti invece per il mercato statunitense e i rimanenti per il resto del mondo. The Investment Association (2016) informa che le attività gestite riguardano in particolare: fondi pensionistici (che rappresentano il 40,2% del totale delle attività e contano per 1.9 trilioni di sterline), fondi assicurativi (contano per 960 miliardi di sterline) e consulenze immobiliari (contano per 480 miliardi di sterline). Circa 6 miliardi (il 25% dei ricavi totali del settore) derivano da operazioni con l’Unione Europea è rappresentano la parte di business che sarà colpita in maniera diretta da Brexit. In mancanza di una forma di equivalenza o di passaporto, qualsiasi transazione con l’Unione Europea dovrà essere conforme a norme nazionali o soggetta a restrizioni poste da ogni Paese UE. Per questa ragione, gli asset manager della City potrebbero aver bisogno di stabilirsi altrove in Europa per continuare a svolgere il proprio business e gestire i fondi in maniera efficiente: le attività di investimento potrebbero diventare quindi maggiormente costose e complesse per i clienti. Le stime mostrano che da un terzo a metà dei ricavi derivanti da operazioni con l’Unione potrebbero essere perduti (Djankov, 2017). Ammontando tali ricavi a circa 6 miliardi di sterline, la City potrebbe dover rinunciare a 2-3 miliardi, cioè il fatturato derivante da operazioni che potrebbero essere trasferite altrove. Il fatto che il Regno Unito possa continuare ad essere uno dei più importanti mercati di asset management dipenderà in larga misura dai clienti europei e dalla loro volontà o meno di rimpatriare le loro attività di asset management all’interno dell’UE.

Impatto sull’ecosistema

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V. Post-Brexit: modelli alternativi per le società di investimento

Come afferma Colchester (2016) nel suo articolo per The Wall Street Journal, esistono quattro diversi modelli a cui le banche di investimento stanno guardando:

1. “The introductory model”. È il modello ideale dal punto di vista delle banche, in quanto non richiede una grande opera di ricollocazione di risorse. Ci si limiterebbe infatti a mantenere nel Regno Unito la maggior parte dei traders e del compliance team (gruppo che segue la situazione finanziaria della società e controlla che leggi e regole siano applicate correttamente) e a trasferire solamente il sales team, che provvederà a presentare ai clienti europei la società con sede nel Regno Unito. In realtà si tratta di un’ipotesi che difficilmente troverà realizzazione, perché le autorità europee rischierebbero di non avere più il pieno controllo delle banche.

2. “The European branch”. Questo modello eviterebbe alle banche la creazione di una sussidiaria in un Paese estero e consentirebbe loro di operare tramite semplici uffici, piccoli distaccamenti dell’impresa, appunto dei “branch”. Il vantaggio del modello è quello di presentare un minor costo per le banche, perché non sarebbe necessario versare del capitale per la creazione della sussidiaria ma il suo svantaggio è, d’altra parte, quello di non consentire alle banche di operare in quei Paesi UE in cui esse non abbiano stabilito un branch. Esperti in materia dichiarano che questo tipo di soluzione potrebbe eventualmente funzionare per banche di piccole dimensioni perché le autorità dell’UE avrebbero intenzione di imporre alle grandi banche di stabilirsi con una filiale in uno degli Stati membri.

3. “The back to back model”. In questo caso ciò che verrebbe richiesto alle banche è di trasferire il compliance team e parte dei traders in un Paese UE: gli accordi con la clientela verranno così stipulati in territorio UE e poi rivolti alla sede più grande del Regno Unito. Il vantaggio risiede nel fatto che il rischio è proprio dell’entità con sede nel Regno Unito e quindi il capitale che dovrà essere versato nell’entità europea sarà di ridotto ammontare. Che questo modello sia realizzabile o meno dipende ancora una volta dalla volontà delle autorità UE.

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VI. Conclusione

Nel complesso si stima che Brexit possa causare l’esodo di migliaia di lavoratori: a seconda dell’esito dei negoziati da 3.000 a 35.000 di essi potrebbero abbandonare la City. Dal report di Oliver Wyman (2016) si evince come le conseguenze siano nettamente differenti a seconda del tipo di scenario che si verificherà, cioè a seconda del tipo di relazione che intercorrerà tra Regno Unito e Unione Europea. Un’uscita dall’UE a cui non si accompagna la perdita del passaporto e vengono mantenute le forme di equivalenza in termini quantomeno simili a quelli attuali comporterebbe solo una modesta flessione della performance del settore. Numericamente parlando, si stima una perdita di 2 miliardi di sterline nel fatturato connesso ad attività UE, una riduzione delle entrate fiscali per mezzo miliardo di sterline all’anno e da 3.000 a 4.000 posti di lavoro a rischio. Nel caso opposto, vale a dire nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna forma di passaporto o equivalenza, le conseguenze appaiono ben diverse: la relazione fra Regno Unito e Unione Europea si baserebbe sulle regole poste dalla WTO - World Trade Organization). Ciò può significare una perdita di 18-20 miliardi di sterline nel fatturato relativo ad attività UE, una riduzione delle entrate fiscali da 3 fino a 5 miliardi di sterline all’anno e da 31.000 a 35.000 posti di lavoro a rischio. La stessa società asserisce che, nonostante per ora sia impossibile prevedere con certezza il risultato delle negoziazioni e conoscere il tipo di relazione che ci sarà tra Regno Unito e UE, è altamente probabile che lo scenario che si verificherà si posizionerà nel mezzo dei due sopra descritti.

Tale analisi ci permette di concludere che l’impatto di Brexit sul settore finanziario britannico può assumere intensità differenti e variare drasticamente a seconda degli accordi che le parti stabiliranno. Se tali accordi garantiranno al Regno Unito un ampio accesso al mercato unico, l’impatto sul settore finanziario britannico sarà reso minimo, Londra continuerà a competere con New York come capitale finanziaria del mondo e sfruttare nuove opportunità di crescita. Oliver Wyman (2016) crede che si possa giungere al massimo livello di occupazione e di entrate fiscali nel Regno Unito, nonché al massimo livello di servizio dei clienti sia europei che britannici tramite un accordo che comprenda cinque elementi. Essi sono:

1. Conformità a norme internazionali - ciò assicurerebbe una maggiore efficienza nell’allocazione di capitale e una minimizzazione dei costi;

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25 3. Forme di equivalenza e salvaguardia dei diritti tra Regno Unito ed UE – le

compagnie con sede nel Regno Unito manterrebbero l’accesso al mercato unico; 4. Chiare informazioni circa il periodo di transizione – si eviterebbe incertezza sia dal

lato delle compagnie finanziarie sia da quello dei loro clienti;

5. Costante collaborazione in campo normativo – ciò spingerebbe la crescita del settore finanziario e migliorerebbe la qualità dei servizi offerti ai clienti.

Un negoziato che comprenda queste caratteristiche garantirebbe benefici ad entrambe le parti e renderebbe sia l’una che l’altra “vincitrici del gioco”. Si discute, infatti, se Brexit sia o meno un gioco a somma zero, cioè se ciò che una parte perde viene guadagnato dall’altra. Se però gli accordi che verranno stipulati sapranno essere vantaggiosi per entrambe le parti e non dettati da altri interessi, essi potrebbero stimolare la crescita e lo sviluppo sia del Regno Unito che dell’Unione Europea.

È utile segnalare che il governo UK ha chiesto recentemente di prolungare il periodo di transizione, in modo tale da approfondire i negoziati e giungere ad una soluzione condivisa con l’UE. Philip Hammond, politico britannico, ha affermato infatti che il rapporto tra il Regno Unito e l’Unione Europea potrebbe rimanere invariato rispetto a quello attuale fino ad un periodo di tre anni dopo il marzo 2019, prima delle elezioni generali del 2022. Durante i tre anni tutto resterà come ora, vale a dire che continuerà ad esserci la libertà di circolazione (di merci, capitale, servizi e persone), l’accesso al mercato unico e l’impossibilità di stringere accordi commerciali con altri Paesi (Mason, 2017). Il governo britannico ha dunque manifestato la propria volontà di estendere il periodo di negoziazioni, un’estensione che pare sia necessaria per attutire l’impatto dell’uscita dall’UE. La proposta del governo di un ulteriore periodo di tre anni dovrà essere tuttavia approvata unanimemente dai Paesi UE e solamente quando questo periodo sarà concluso, il Regno Unito avrà la propria politica di immigrazione, i propri accordi commerciali con l’UE e la possibilità d stringere patti commerciali con altre economie. 2

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VII. Sitografia

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4. BBA - British Bankers’ Association, 2016. What is ‘passporting’ and why does it

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Riferimenti

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