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La sepoltura delle vittime delle frontiere in Italia

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Academic year: 2021

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1 Sommario

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 ... 6

1. Il costo umano delle frontiere ... 6

1.1 Borther death ... 9

1.2 La metodologia del progetto di ricerca Human Cost of Border Control in Italia ... 11

1.3 Il luogo di ricerca del progetto Human Cost of Border Controll in Italia ... 14

2. I dispersi nel Mediterraneo ... 16

2.1 Il disperso ... 19

2.2 Metodologia del progetto Mediterranean Missing in Italia ... 27

2.3 Il luogo di ricerca del progetto Mediterranean Missing in Italia ... 28

3. Riflettere sul ruolo dei corpi e delle tombe delle vittime delle frontiere ... 29

3.1 il corpo morto della biopolitica ... 32

3.2 la morte proibita dell‟antropologia ... 39

CAPITOLO 2 ... 42

1. Il recupero dei corpi delle vittime delle frontiere ... 43

1.1 Implicazioni del recupero dei corpi per la futura gestione ... 52

2. La gestione dei cadaveri delle vittime delle frontiere la loro identificazione ... 55

2.1 Rinvenimento cadavere ... 56

2.2 Le indagini ... 62

2.3 Le analisi ... 72

2.4 L‟identificazione ... 80

2.5 Registrazione del decesso ... 85

2.6 Trasporto cadavere... 94

2.7 La sepoltura ... 100

CAPITOLO 3 ... 103

1. Mappatura dei cimiteri... 106

1.1 Sardegna ... 107

1.2 Sicilia ... 111

1.3 Calabria ... 181

1.4 Puglia ... 185

CAPITOLO 4 ... 196

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1.1 Addomesticamento del lutto ... 201

1.2 La vita politica delle vittime delle frontiere ... 210

1.3 Dei materiali umani eccedenti ... 216

1.4 Parole sulle vittime delle frontiere ... 219

2. La matrice del lutto per le vittime delle frontiere in sud Italia ... 225

3. Il valore della morte delle vittime delle frontiere ... 227

CONCLUSIONE ... 232

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3 «E molti di noi affondarono nei pressi delle coste, dopo lunga notte, alla prima aurora./

Verrebbero, dicevamo, se solo sapessero./ Che sapevano, noi non lo sapevamo ancora.»

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INTRODUZIONE

Le tragedie del mare e i cadaveri dei migranti sono fra le immagini più rappresentative della crisi dei rifugiati alle periferie dell‟Unione europea. Come dimenticare la foto del piccolo Aylan Kurdi, morto annegato il 2 settembre 2015, scattata sulla battigia della spiaggia di Kos in Grecia? Oppure quella del barcone, custodito nella base NATO di Melilli, del naufragio del 18 Aprile 2015 in cui morirono, si stima, più di 700 persone? Queste immagini non hanno lasciato indifferente l‟opinione pubblica, che scossa, ha cominciato a poco a poco a parlare del fenomeno delle morti in mare e a pretendere che i propri governi prendessero delle misure al riguardo.1

Se queste immagini popolano ultimamente i nostri telegiornali e bacheche facebook, è bene tenere a mente che da decenni migranti e richiedenti asilo continuano a morire, i più senza far notizia, cercando di oltrepassare le barriere esterne dell‟Ue senza regolare permesso, per entrare nel territorio dei paesi membri. Da quando, più precisamente, tali confini hanno assunto lo status attuale di frontiera dell‟Ue, ovvero, verso la fine degli anni ‟80.2

È un fenomeno di lunga durata dunque, ciononostante sono ben pochi i dati disponibili che consentano di analizzarne gli sviluppi e di accertare quali fattori – riconducibili a determinate politiche o ad altro – contribuiscano a incrementare o ridurre la mortalità dei migranti nel Mediterraneo. Purtroppo ancora poco o nulla si sa di queste persone, delle loro morti, di cosa sia stato ai loro corpi.

Scrivo questa tesi a seguito di due importanti lavori di ricerca, esposti nel primo capitolo, che mi hanno spinta ad occuparmi della questione dei migranti deceduti nel tentativo di oltrepassare le frontiere esterne dell‟UE. Il primo lavoro in cui sono stata coinvolta è il progetto di ricerca dal titolo Human Cost of Border Control, condotto dall‟Università Vrije (libera) di Amsterdam, coordinato dalla dott.ssa Tamara Last e

1 Sul ruolo delle immagini del corpo esamine del bambino siriano e della corrente “crisi dei rifugiati”

si consiglia: Vis, F., Goriunova, O.. (2015). The Iconic Image on Social Media: A Rapid Research Response to the Death of Aylan Kurdi.

2 Sugli effetti dell‟introduzione area Schengen sull‟immigrazione in EU confrontare, fra gli altri: E.

Balibar, We, the People of Europe? Reflections on Transnational Citizenship, Princeton University press, Princeton , NJ, 2004; H de Haas, “The myth of invasion: The inconvenient realities of migration from Africa to the European Union”, in Third World Quarterly (29), 2008, pag 1305 ‐1322; L. Weber, “Knowing-and-yet-not-knowing about European border deaths”, in Australian Journal of Human Rights 15 (2), pag 35-58, 2010.

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diretto dal Prof. Thomas Spijkerboer.3 L‟obbiettivo della progetto era la creazione di una banca dati dei morti di frontiera4 fondata sui documenti ufficiali prodotti dalle autorità locali, che mi ha portato ad addentrarmi nei meccanismi di gestione e registrazione dei decessi dei migranti in mare.

A seguito di questo studio, ho lavorato come ricercatrice sul campo per il progetto Migrants and Deaths at the EU‟s Mediterranean Border: Humanitarian Needs and State Obligations, 5 coordinato da Simon Robins, Iosif Kovras ed Franck Laszko, responsabili per la ricerca rispettivamente per l'Università di York, la City University di Londra e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM).6 Lo scopo dell‟indagine era quello di ricercare le procedure, le politiche e le leggi relative all‟identificazione di migranti trovati senza vita e la risposta che i governi europei danno alle famiglie i cui cari sono dispersi.

Nel secondo capitolo mi sono soffermata sull‟analisi delle procedure attuate dalla autorità italiane dal ritrovamento del cadavere di un migrante morto nel tentativo di oltrepassare le frontiere, fino alla sua sepoltura, passando attraverso la svariata produzione documentaria che attesta -o dovrebbe- il decesso.

Tra le maglie di queste indagini sono emersi inaspettati elementi di analisi che saranno l‟oggetto principale di questa tesi: ovvero complessi meccanismi culturali messi in opera dalle comunità locali del sud Italia, per affrontare l‟ingresso dei migranti deceduti all‟interno del luogo sacro per la collettività, il cimitero.

L‟analisi etnografica tra i cimiteri del sud Italia, esposta nel terzo capitolo, si fondata sul desiderio di apprezzare le distinzioni, le differenze e gli scarti delle modalità di addomesticamento del cordoglio per i migranti.

Nel capitolo conclusivo, infine, mi sono proposta di analizzare quanto osservato e in particolar modo il comportamento “significativo”, cioè culturalmente codificato, di chi entrava in contatto con i corpi dei migranti e ad indagarne il significato attraverso l‟analisi etnografica svolta.

3

Il progetto è stato finanziato dalla Nederlandse Organisatievoor Wetenschappelijk Onderzoek (NWO).

4 La banca dati è il risultato di una ricerca sul campo multi-situata, consultabile

su:www.borderdeaths.org. In questa occasione sono stata la coordinatrice della parte italiana del progetto nonché ricercatrice sul campo, affiancata dalla dott.ssa Amélie Tapella.

5 I risultati della ricerca sono consultabili rispettivamente su www.mediterraneanmissing.eu.

6 Lo studio è finanziato dal ESRC, ovvero il Concilio per la Ricerca Economica e Sociale, il fondo di

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CAPITOLO 1

1. Il costo umano delle frontiere

L‟immigrazione irregolare verso l‟Ue è stata soggetta a numerose discussioni. Non possiamo enumerano le pubblicazioni che tendono a contare, diagnosticare, classificare e medicalizzare coloro che entrano in maniera (resa) irregolare e risiedono nel territorio italiano ed europeo.

Diverso è invece l‟atteggiamento nei confronti dei decessi.

Gli organismi che si occupano dei migranti che cercano di oltrepassare i confini dell‟UE, come le Guardie Costiere nazionali o Frontex, non includono i dati dei morti nelle loro relazioni annuali o pubblicazioni statistiche. Questi decessi non rientrano negli archivi statistici dello Stato poiché, in quanto non residenti, non viene stilato un certificato ISTAT alla loro morte. Lo Stato, di fatto, non ha come “contarli”.7

Gli unici dati su coloro che sono morti nel tentativo di oltrepassare le frontiere sono forniti dalla stampa.

I dati più esaurienti, raccolti lungo tutte le frontiere esterne dell‟ Unione Europea, sono contenuti nella lista dei decessi (List of 22.394 documented deaths of asylum seekers, refugees and migrants due to the restrictive policies of Fortress Europe)8 dell‟associazione olandese UNITED for Intercultural Action, che ha sede ad Amsterdam. La lista si basa su informazioni prese dalla stampa, la cui fonte è riportata accanto ad ogni caso. L‟elenco venne creato nel 1993 come un‟iniziativa di monitoraggio di un gruppo di attivisti della società civile per annotare le morti dei rifugiati e dei migranti che, secondo loro, potessero essere attribuite alle politiche di immigrazione e controllo delle frontiere di Fortress Europe. L‟ultima versione delle lista include 17,306 casi, dal 1993 al 2012. Ad ogni modo questa lista comprende non solo chi è perito nell‟atto di migrare verso l‟Europa, ma anche chi vi è morto nel centri di detenzione per migranti, le vittime di aggressioni razziste, chi nei

7 Fatta eccezione che per il Registro dei corpi non identificati, elaborato dal Ufficio del Commissario

del Governo per le Persone Scomparse, che, come dice il titolo stesso, non comprende tutte le vittime delle frontiere in quanto “conta” solo quelle non identificate. La limitatezza della lista è data inoltre dal suo anno di creazione, 2007, e comprende quindi i decessi precedenti. Fattore più grave che inficia la rilevanza dell‟elenco ministeriale è la mancata partecipazione degli enti locali che dovrebbero contribuire alla sua redazione. Tale argomento sarà sviluppato nel cap 1.

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spostamenti interni e chi ancora in Africa. Pertanto questa non può essere considerata una lista attendibile per lo studio di chi è morto nel tentativo di oltrepassare i confini esterni dell‟Ue.

Un‟altra frequente fonte di dati utilizzata per l‟analisi dei decessi dei migranti è la lista del blog del giornalista Gabriele del Grande, Fortress Europe9, che riporta le notizie prese dalla stampa italiana ed internazionale sui migranti deceduti dal 1988 a oggi. Creata nel 2006 con lo scopo di denunciare le leggi europee che rendono impossibile a molti viaggiare in maniera sicura, la lista usa, al pari della precedente, i media come fonte primaria e le organizzazioni della società civile come secondaria. I decessi vengono riportati in un elenco cronologico in cui è segnata la data del ritrovamento, il paese, una descrizione sommaria dell‟incidente (es, “13 cadaveri rinvenuti”) e la fonte giornalistica. Ancora come la precedente, la lista manca una definizione precisa di quali siano i decessi da riportare e ne enumera diversi che non sono riconducibili ai al tentativo di oltrepassare le frontiere.

Alle due iniziative citate si aggiunge il recente Missing Migrants Project10 dell‟Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM). Nato sull‟onda emotiva del famoso naufragio del 3 ottobre 2013 a largo di Lampedusa, si tratta di un sito internet che non solo riporta una lista di decessi avvenuti – questa volta con una maggiore coerenza di selezione del dato- ma anche una fonte di dati grafici, quali mappe e schemi. Anch‟esso è fondato principalmente su notizie mediatiche ed integrato con altre fonti, siano esse organizzazioni non governative, associazioni, enti statali e gli stessi operatori OIM in loco, presenti agli sbarchi.

L‟annotare di questi elenchi potrebbe far pensare che il problema del quantificare il numero dei decessi sia pressoché risolto. Di fatti le ricerche accademiche sui migranti morti e dispersi nel mediterraneo sono ampiamente dipendenti da queste fonti (Cuttitta 2006; Carling 2007; Spijkerboer 2007; Weber and Pickering 2011; Pickering and Cochrane 2013; Williams and Mountz 2016). È bene sottolineare da subito però che queste liste sono lontane dal riportare lo stesso numero di morti e, peggio ancora, il numero esatto. Il motivo principale di questa inefficienza è imputabile alle fonti con cui sono costituite tali liste: le notizie della stampa.

I grandi naufragi sono ampiamente documentati nelle liste riportate, dato l‟interesse mediatico che cresce parallelamente al numero delle morti. Si osserva, in aggiunta a

9http://fortresseurope.blogspot.nl/p/la-strage.html 10

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ciò, che alcuni luoghi di passaggio di migranti, come per esempio Lampedusa e Lesbos negli ultimi anni, sono stati trasformati negli anni nell‟isola-frontiera per eccellenza, venendo spesso soprannominati “Porta d‟Europa” da politici e media europei. È il fenomeno di “spettacolo del confine” descritto da Paolo Cuttitta (2013) con preciso riferimento al caso lampedusano, ripreso a sua volta dagli studi di Federica Sossi che parla dell‟isola trasformata come pochi altri posti in “luoghi drammaticamente spettacolarizzanti” (Sossi 2006,10). Pertanto possiamo sospettare che le morti in questi posti sono riportate in maniera sistematica dai media.

Ma ciò che è vero in questi casi, non lo è per tutti, come sostengono Tamara Last e Thomas Spijkerboer (2014), il quali specificano che: i naufragi, o i ritrovamenti dei cadaveri, possono non essere stati considerati come “notizie” dai media, per l‟assenza dell‟attenzione pubblica sul fenomeno in quel dato periodo, oppure per la sua sovra esposizione per cui l‟ennesimo caso potrebbe esser considerato superfluo da raccontare; ogni storia è riportata differentemente e le informazioni importanti per un articolo di cronaca non sono le stesse necessarie per una ricerca accademica (identità, causa di morte, origine del deceduto, punto di ritrovamento e così via); le informazioni del giornalista sono raccolte al momento del disastro, quando la notizia è fresca e “spendibile”, e sono quindi prive dei dettagli o correzioni dati dagli sviluppi dell‟indagine; in fine, c‟è il rischio che lo stesso caso venga contato più volte se, per esempio, un giornalista riporta la notizia di un naufragio ed un altro il ritrovamento di un cadavere fra le reti dei pescatori, cosa che si riscontra facilmente nella lista di Fortress Europe.

Le notizie di stampa fin ora riportate si soffermano sull‟enorme numero di morti e poco ci dicono su chi siano i queste persone e le circostanze della loro morte. Inoltre, queste stime sono gonfiate rispetto alle morti accertate ufficialmente in quanto includono l‟enorme numero dei dispersi, dedotto dalle testimonianze dei sopravvissuti ai naufragi o dai calcoli in base alla grandezza delle imbarcazioni, e i cui corpi non sono mai stati rinvenuti. Peccano di qualsiasi precisione di calcolo in quanto frutto di stime approssimative.

Se c‟è da un lato la necessita di gridare al massacro e quindi di enfatizzare il numero dei morti, dall‟altro urge sapere di chi e di cosa stiamo parlando.

Nel tentativo di rispondere a questa domanda è stato istituito il progetto Human Cost of Border Control (HCBC). Nel 2011 venni contattata dal Thomas Spijkerboer, professore di diritto dell‟immigrazione presso la Facoltà di Legge dell‟Università

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Vrije (libera) di Amsterdam. La sua richiesta era quella di organizzare e di eseguire con lui uno studio pilota in Sicilia, con lo scopo di stabilire se fosse possibile e in che modo “contare” i deceduti nel mediterraneo. L‟obbiettivo del professore era quello di creare una lista di deceduti del mediterraneo che contenesse quante più informazioni possibili su ogni singolo morto. Al contrario delle liste sopra citate che, sebbene cerchino di contare i decessi, si limitano ad enumerare i ritrovamenti e raggruppare i deceduti per incidente, Spijkerboer sperava di poter inserire le informazioni su ogni individuo ritrovato che potessero aiutare le famiglie ad identificare i corpi e permettere ai studiosi di delineare delle caratteristiche della popolazione dei deceduti. Era quindi necessario raccogliere le informazioni ufficiali, contenute nei documenti pubblici dello Stato, basate sulle prove e analisi fatte sui corpi e non opinioni degli astanti, come nel caso delle notizie giornalistiche. Ciò avrebbe permesso di tracciare non solo una geografia della morte alle frontiere, ma anche un ritratto collettivo e innumerevoli ritratti individuali. Altro fattore chiave per la creazione della lista riguardava la fruibilità di questi dati, ovvero che fosse pubblici e liberamente consultabili dai ricercatori.

La ricerca pilota si svolse nel Comune di Porto Empedocle, ad Agrigento, Pozzallo e Ragusa. Se ne determinò che era possibile contare i deceduti, raccogliere delle informazioni individuali per ogni persona e che queste erano pubbliche e fruibili ai ricercatori. I risultati di questo studio pilota sono riportati da Spijkerboer (2013) e nell‟appendice della mia tesi di laurea per la triennale, ed hanno contribuito a motivare il finanziamento richiesto dal professore alla fondo olandese di ricerca (NWO). Due anni dopo, nel 2013, questi approvava il progetto Border Policies and Sovereignty. Human rights and the right to life of irregular migrants11 di cui HCBC è una costola. Veniva quindi finanziata la creazione di una banca dati delle morti in mare non solo in Italia, ma in tutti i paesi lungo le frontiere esterne dell‟Ue: Spagna, Gibilterra, Italia, Malta e Grecia.

1.1 Borther death

Prima di iniziare la ricerca e, adesso, prima di proseguire nella trattazione delle modalità di questa, è bene fare un passo indietro e spiegare dettagliatamente quale fosse l‟oggetto di studio.

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Abbiamo visto come fosse problematico definire chi doveva essere inserito e chi no nelle liste fondate sulle notizie di stampa. Errore comune è contare i migranti morti, tutti, sottolineando non il motivo per cui è si è deceduti ma il fatto che si trattasse di un migrante. Ciò ha portato Gabriele del Grande e gli attivisti di UNITED ad inserire nelle loro liste svariati casi di migranti deceduti nel tentativo di entrare in Europa, di uscire da questa, di viaggiare dentro i suoi confini e di una svariata gamma di modi in cui accade che i migranti muoiano. È già sospetto l‟uso, in queste condizioni, di chiamarli migranti e non persone.

Nel caso della creazione della lista del progetto HCBC è stato evidente fin da subito definire quali fossero i soggetti da includere nell‟analisi, i così detti border death, su cui si è costituito il Border Deaths Database.

Border death o vittime delle frontiere sono coloro che sono morti cercando di oltrepassare il confine ed entrare nell‟Unione Europea clandestinamente. Preferendo tale termine al più generico e forviante “migranti”, si vuole così evidenziare come la loro morte sia causata dall‟esistenza stessa delle frontiere. Pertanto non è la condizione di migrare, spostarsi, quella rilevante, ma il fatto che si cerchino di oltrepassare le pericolose frontiere esterne dell‟Ue. Per specificare, sono messi in questione i confini creati dal trattato di Schengen, il quale, se da un lato ha abbattuto le frontiere interne dei paesi europei, ha imposto ai paesi firmatari che rafforzassero i controlli alle loro frontiere esterne comuni con le relative nefaste conseguenze, come sostengono in molti (Balibar 2004; Spijkerboer 2007; H de Haas 2008; Weber, 2010).

Visto che la nostra trattazione si concentrerà sul caso italiano che ho personalmente studiato, preciserò alcuni elementi: sono esclusi tutti i deceduti la cui provenienza fosse riconducibile via mare alla Grecia, ma sono inclusi coloro che provenivano dall‟Albania; per quanto concerne i confini via terra, l‟Italia non ha paesi confinanti che non appartengano all‟Ue –eccezion fatta per la Svizzera-, pertanto nessun sopralluogo è stato effettuato lungo i confini sloveni, austriaci ne tantomeno francesi. In secondo luogo, sono fermamente convinta che si debba respingere la distinzione sempre più netta tra migranti economici e richiedenti asilo, che hanno davvero diritto. Una separazione in termini radicali ignora la pluralità di situazioni concrete che spinge un uomo, una donna e, sempre più spesso un minorenne non accompagnato, ad abbandonare il proprio paese di origine. La stessa Costituzione italiana, all‟articolo 10, ignora tale distinzione e si esprime nettamente:

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“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l‟effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d‟asilo nel territorio della Repubblica”

Sebbene si riconoscano le categorie legali distinte a cui ci si riferisce generalmente parlando di migranti –rifugiati, migranti economici, richiedenti asilo e così via- il termine border death non fa distinzione ne vuole farne tra queste in quanto la natura dei cadaveri è ambigua indipendentemente dal loro status legale prima della morte, e gli obblighi degli stati riguardo a quei resti umani sono gli stessi a prescindere dal loro status legale.

Il concetto di border death include coloro che sono annegati a seguito di naufragi, morti per disidratazione o ipotermia sulle navi o in aree selvagge vicine al confine, per violenze dirette (per esempio colpiti da arma da fuoco) ed indirette causati da attori statali e non. Inoltre sono inclusi nella banca dati coloro che sono morti poco dopo essere arrivati, la cui causa di morte è attribuita a fattori direttamente riconducibili l‟aver oltrepassato le frontiere, ma non coloro che sono morti nei centri di detenzione (siano essi CIE, CARA, Hot Spot, SPRAR e così via) a causa della malgestione di questi, o coloro che sono morti subito dopo essere arrivati per altri incidenti.

1.2 La metodologia del progetto di ricerca Human Cost of Border Control in Italia Una volta stabilito l‟oggetto dell‟indagine è il caso di concentrarsi sul come questa sia stata condotta. La metodologia della ricerca è il frutto dell‟accurato lavoro di Tamara Last, che ha coordinato le ricerca nel 5 paesi in cui si è svolta ed i 9 ricercatori che vi hanno partecipato. L‟analisi della metodologia applicata durante l‟elaborazione del database è stata pubblicata in un lavoro collettivo intitolato Deaths at the Borders Database: evidence of deceased migrants‟ bodies found along the southern external borders of the European Union (Last et alia, 2017) di cui quello che seguirà si limiterà a riassumerne gli aspetti riguardanti le operazioni svolte in Italia.

Il fenomeno dei border death è stato studiato comprendendo l‟arco temporale che va dal 1 gennario 1990 al 31 dicembre 2013. Sebbene le politiche di chiusura delle frontiere siano nate alla fine degli anni ottanta (il trattato di Schengen è stato firmato nel 1985) è stato scelto di analizzarne gli effetti a partire degli anni ‟90, periodo in

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cui i paesi Ue presi in esame hanno introdotto le prime misure al riguardo ed hanno cominciato ad essere soggetti di immigrazione irregolare attraverso le loro frontiere esterne. In Italia, in particolare, le prime disposizioni in materia d‟immigrazione sono prese nella legge n. 943 del 198612, che recepiva la convenzione n.143 dell‟ Organizzazione Iinternazionale del Lavoro13 (O.I.L.) ed affermava il principio della parità di trattamento dei lavoratori stranieri, la regolarizzazione del mercato del lavoro, ma anche la condizione dello straniero disciplinata sotto vari profili. Tuttavia la legge presentava notevoli limiti dovuti a una lettura non adeguata del fenomeno migratorio, soprattutto in quanto la regolarizzazione del mercato del lavoro veniva effettuata in un‟ottica di carattere poliziesco. Si comincia a considerare l‟immigrazione come un problema di ordine pubblico, circoscritto ai tamponamenti della pressione esercitata in modo sempre più massiccio dai paesi extra europei in via di sviluppo –allora rappresentati dai paesi dell‟est Europa. In sostanza, la scelta del legislatore era quella di condizionare l‟accesso al lavoro alla normativa sulla pubblica sicurezza, inaugurando il tratto che contraddistinguerà la legislazione successiva. È stato scelto il 2013 come data conclusiva per lo studio perché era l‟ultimo anno disponibile ai ricercatori in cui fossero completati i Registri degli Atti di Morte, base della fonte di dati della ricerca. Questo dato è inerente alla fruibilità dei documenti per i ricercatori e sarà spiegato in seguito. I sopralluoghi, invece, si sono svolti in Italia dal maggio 2014 al febbraio 2015.

A seguito del primo studio pilota condotto in Sicilia, è stato determinato che i certificati di morte14 (Spijkerboer 2013) fossero una fonte attendibile di dati riguardanti i border death. Eppure, data la limitatezza di questo studio pilota – condotto in sole 2 Province- e la natura esplorativa della ricerca, questa conclusione non sarebbe potuta essere generalizzata.

Secondo le analisi condotte dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organisation, WHO) la registrazione dei decessi in Italia –effettuata dagli Uffici di Stato Civile- è pari al 100%, il che vuol dire che ogni morte viene

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Recante “Norme in material di collocamento e trattamento dei lavori extracomunitari e contro le immigrazioni clandestine”, pubblicata in G.U. n.8 del 12 gennaio 1987.

13 Convenzione sui lavoratori migranti n. 143 del 1975 dell‟O.I.L. dal titolo Convenzione sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti.

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Si noti che per certificato di morte si indicano comunemente svariati documenti prodotti da attori diversi. Si definisce generalmente con lo stesso nome infatti sia il referto prodotto dal medico legale che attesta il decesso, sia il documento pubblico redatto dall‟Ufficio di Stato Civile. Nella presente trattazione ci riferiremo a questa seconda categoria, mentre la produzione di documenti relativa ai border death e la loro denominazione sarà analizzata nel capitolo successivo.

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correttamente annotata dalla gestione statale (Mathers et al. 2005). Purtroppo, il sistema di gestione statale dei decessi non è stato strutturato con riguardo al caso dei border death per cui è stato necessario, al fine della ricerca, capire come questo vi si adattava. Lo studio di Spijkerboer (2013) ha accertato esclusivamente l‟attendibilità del certificato di morte, eppure nelle procedure relative alla gestione di un decesso vengono prodotti svariati documenti ufficiati che all‟occorrenza sarebbero potuti essere più accessibili ed affidabili. È stato quindi necessario realizzare svariati altri studi pilota, in modo da verificare in che misura i Registri di Morte15 fossero altrettanto accessibili come nel primo studio. Questi sono stati condotti in Grecia, Malta, Spagna, Gibilterra, oltre che in Italia, per mappare le procedure locali di gestione delle salme e possibili fonti di dati sui border death. In ogni studio pilota si sono tenute formali interviste semi strutturate con gli attori chiave coinvolti – e del cui coinvolgimento era da verificare- nel processo di gestione, in modo da ottenere una delucidazione delle procedure seguite, quelle previste dalla legge e la documentazione redatta dal momento del ritrovamento fino alla sepoltura. Gli attori chiave sono stati individuati dapprima attraverso un sondaggio telefonico, ricerche su internet e successivamente, una volta sul campo, con il metodo palla di neve. A seconda del luogo gli intervistati erano poliziotti o guardie costiere, ufficiali di stato civile ed altri uffici comunali, impiegati delle Prefetture, dei tribunali o Pubblici Ministeri, medici necroscopi, responsabili dei cimiteri, becchini e agenzie di pompe funebri. Si noterà l‟assenza, tra gli intervistati, di esponenti della società civile, che sono stati sì incontrati ma solo per escludere il loro coinvolgimento nella procedura ufficiale. L‟obbiettivo degli studi pilota era infatti quello di ottenere delle fonti ufficiali di documentazione e quindi solo secondariamente ci interessava individuare come attori non statali si inserissero nella gestione dei corpi.

Nel giugno del 2014 si tenne quindi un secondo studio pilota, in Puglia, con l‟obbiettivo di verificare la replicabilità dei risultati di Spijkerboer (2013) e determinare l‟attendibilità storica dei Registri di Morte. La Puglia è stata il teatro principale del flusso di immigrazione via mare in Italia negli anni ‟90, con imbarcazioni che attraversavano il Canale d‟Otranto, provenienti dai Balcani (Einaudi 2007). Mentre il pilota condotto in Sicilia ha fotografato la registrazione dei decessi dei migranti a partire dal 2002. Era quindi necessario capire se qualcosa fosse

15 Meglio detti Registri degli Atti di Morte, ovvero registri annuali che contengono appunto gli Atti di

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cambiato storicamente, oltre che geograficamente, nella gestione dei border death. A seguito di questo studio vennero confermate le ipotesi di Spijkerboer sulla fonte primaria dei dati, ma visto le pratiche inusuali applicate della diverse province prese in esame fu stabilito di effettuare un breve studio pilota ogni qual volta si iniziasse la ricerca su una nuova provincia mai presa d‟esame prima, per confermare, smentire o riadattare la metodologia di ricerca sul campo. In fine, un terzo studio pilota è stato effettato a Lampedusa in quanto “teatro di confine” privilegiato dal governo italiano, prima di Mare Nostrum (Cuttitta 2014).

Lo stesso spirito di adattamento mostrato nel rimodellare la metodologia di ricerca alle diverse procedure provinciali, è stato adoperato per guadagnare l‟accesso ai Registri di Morte comunali. Sebbene gli Atti di Morte siano dei documenti pubblici16, l‟accesso a questi non è stato sempre garantito dalle autorità locali, che hanno dimostrato spesso un atteggiamento ambiguo e di insofferenza nei confronti dei ricercatori.Analizzando i Registri di Morte si analizza inevitabilmente l‟operato degli ufficiali che lo hanno redatto, la qual cosa può ovviamente generare delle perplessità agli impiegati. Inoltre, si sottolinea che l‟archivio degli Uffici di Stato Civile subisce una certa restrizione di accesso per quanto concerne i Certificati di Nascita, in quanto questi documenti non sono pubblici –l‟eccezione è dovuta alla salvaguardia dell‟anonimato in caso di adozione. Sebbene questi certificati non siano mai stati oggetto di analisi, se i due tipi di documenti sono custoditi in un unico archivio vi è il ragionevole dubbio che si voglia limitarne l‟accesso. Al posto di imporre quanto sancito dalla legge, è stato quindi necessario adottare le procedure richieste dai diversi uffici comunali, soddisfacendo in questo modo le mutevoli preoccupazioni dei responsabili.

Le variabili più importanti ricercate nei registri sono state: autore della richiesta della registrazione dell‟atto; nome, luogo di morte, luogo di ritrovamento, luogo di registrazione, età, genere e origine del defunto; luogo di sepoltura; causa della morte e altri dettagli sull‟accidente occorso.

1.3 Il luogo di ricerca del progetto Human Cost of Border Controll in Italia

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La legge italiana impone la registrazione degli atti di morte nel Comune in cui è stato rinvenuto il corpo oppure in cui il decesso è avvenuto.17 Quindi, per stabilire quali fossero i Comuni da prendere in esame, era necessario prima stabilire dove i decessi dei border death si fossero verificati o dove potessero essere trasportati i corpi, sia per mano dei soccorritori che della corrente. Si trattava quindi di ispezionare i Comuni della costa. 18 L‟Italia è il luogo di primo approdo di diverse rotte di migranti. Le navi arrivano sulle coste della Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna o naufragano nel tragitto. Partono dall‟Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Turchia e Siria. Passeggeri irregolari sono inoltre stati trovati sui cargo internazionali e navi passeggeri presso i maggiori porti italiani: Genova,

Napoli, Palermo, Catania, Bari, Ancona e Venezia. Inoltre, è molto probabile trovare anche al di fuori di queste zone, negli Uffici di Stato Civile dei Comuni Costieri, atti di morte corrispondenti alle variabili ricerca e che ad un primo esame superficiale possano sembrare border death.

Per scremare quindi quali zone potessero essere all‟indagine, sono state utilizzate le liste del blog di Fortress Europe e quella degli attivisti di UNITED. Con queste è stata creata un elenco di tutte le provincie in cui o vicino cui, secondo le notizie di stampa, sono stati rinvenuti i corpi dei border death. Di conseguenza i sopralluoghi sono stati

pianificati per includere tutti i Comuni costieri delle province emerse dall‟elenco, con l‟aggiunta delle città portuali di Genova, Napoli, Ancona e Venezia.

Come è stato già accennato, per ogni provincia è stato effettato un breve studio pilota per determinare se vi fossero o meno delle anomalie di gestione dei cadaveri e, soprattutto, se i decedessi fossero registrati anche nell‟entro terra. A seguito di questi studi, alle analisi lungo la fascia costiera si sono aggiunte i sopralluoghi nell‟entro terra dell‟Agrigentino e del Ragusano.

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D.P.R. 396/2000, preso in esame nel prossimo capitolo.

18 Ad eccezion fatta per quei rari casi in cui i naufraghi fossero trasportati con l‟elisoccorso

direttamente dal luogo di ritrovamento in mare verso la terra ferma e qui deceduti. E‟ il caso di alcuni border death, trasportati dal Canale di Sicilia verso l‟ospedale Cervello di Palermo e qui deceduti. Gli Atti di Morte sono quindi stati registrati presso l‟Ufficio di Stato Civile di Palermo.

Figura 1 Mappa dei luoghi presi in esame dalla ricerca HCBC in Italia

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In tutto sono stati analizzati 250 Comuni.

Nella Figura 1 sono quindi sottolineati tutti i luoghi che sono stati oggetti della mia indagine per conto dell‟Università di Vrije di Amsterdam, in maniera diretta, attraverso sopralluogo effettuati personalmente, o indiretta, coordinando altri ricercatori che si sono succeduti. La fascia costiera dell‟Italia meridionali sarà quindi anche il luogo preso in esame in questa trattazione, come base geografica della mia esplorazione delle procedure di elaborazione del lutto.

2. I dispersi nel Mediterraneo

Il Deaths at the Borders Database for the Southern EU External Borders (di cui la versione che concerne l‟Italia è la Banca dati delle morti ai confini meridionali dell‟UE-ITALIA)è stato pubblicato il 12 maggio 2015.

Il numero dei decessi e i dati lì riportati non hanno suscitato particolare scalpore. Non quanto, almeno, le stragi concomitanti di migranti nel mediterraneo che tra la primavera e l‟estate 2015 hanno avuto un picco straordinario. Lo scarto tra l‟interesse suscitato dai i due avvenimenti meriterebbe di essere oggetto di ulteriori analisi rispetto a quelle che è possibile compiere in questa sede.

Di fatto ciò che scuote particolarmente l‟opinione pubblica in questo periodo sono due avvenimenti tragici, anche se drammaticamente usuali come dimostrano i dati del Deaths at the Borders Database.

Il primo caso è il naufragio di un barcone di migranti 75 miglia al largo della costa libica il 18 aprile 2015 in cui si stima che muorissero tra le 750 e le 800 persone. Questo fu causato da una collisione tra il peschereccio che trasportava i migranti e un mercantile portoghese, che aveva ricevuto il SOS ed era venuto in soccorso.19 Il giorno dopo la tragedia, dato anche l‟enorme scalpore che la vicenda ebbe nella comunità internazionale, tra i difensori dei diritti umani e i policy maker, l‟allora Primo Ministro italiano, Matteo Renzi, indì una conferenza stampa in ci comunicò la decisione di recuperare il barcone affondato nel Canale di Sicilia in acque internazionali – a più di 400 m di profondità-, estrarne i corpi contenuti ed

19 Le dinamiche dell‟incidente, le analisi su cosa l‟ha prodotto e cosa ne è conseguito sono esposte in

Llewellyn S., Search and Rescue in Central Mediterranean Sea, 2016, (Migreurop, Watch the Med, Arci), disponibile su: http://www.statewatch.org/news/2015/aug/report_wtm_migreurop-arci-ep_08242015.pdf

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identificarli, “per restituire dignità alle vittime”.20 Il 23 giugno dello stesso anno venne siglato un Protocollo d‟Intesa tra il Commissario Straordinario del il Governo per le Persone Scomparse, il Prefetto Vittorio Piscitelli, e il Rettore dell‟Università di Milano, Prof. Gianluca Vago, con lo scopo di identificare le vittime della strage.21

Il secondo episodio che sconvolse l‟opinione pubblica fu il ritrovamento del corpo esamine di un bambino siriano di nome Alan Kurdi, sulla spiaggia di Kos in Grecia. O meglio, non fu tanto il ritrovamento del suo corpo, bensì la foto che ne fece il fotografo turco Nilüfer Demir e che velocemente si diffuse in tutto al globo grazie ai internet ed i mezzi stampa che ripresero la notizia.22 Questo caso si inserì in particolare nel dibattito pubblico canadese in quanto la famiglia del bambino, proveniente dalla città kurda di Kobane, aveva tentato di ottenere il visto d‟accesso per il paese americano ma gli era stato negato. La risonanza mediatica e gli effetti che ne ebbe nelle politica internazionale furono rilevanti, tanto da suscitare importanti cambi di rotta sulle politiche anti-immigrazione di numerosi paesi (Vis, Goriunova et alia 2015).

Tra questi vi è l‟iniziativa della ESRC, il Concilio per la Ricerca Economica e Sociale inglese -il fondo di ricerca del governo della Gran Bretagna- che decise di stanziare 1 milione di sterline per iniziative di ricerca sulla “crisi dei migranti”:

“In response to the on-going migration crisis the Economic and Social Research Council (ESRC) is providing £1 million to support leading UK social scientists to conduct research with migrant and refugee populations who have entered Europe across the Mediterranean. [...] Craig Bardsley, Head of International Development Research at ESRC, said: “Given the unprecedented levels of migration across the Mediterranean this spring and summer, and the catastrophic death toll that resulted, there was an urgent need for new research to better understand the dynamics and drivers of the crisis. “With highly vulnerable people in the midst of a complex international crisis, there is an important role for highly trained, independent social scientists to gather accurate, reliable data. We hope

20I video della conferenza stampa è disponibile su

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/renzi-naufragio-vertice-conferenza-soccorsi-6fe428e2-7825-4b69-a1b8-2a786e79ce90.html. Questo

discorso fu anche la prima occasione in cui lo scafismo venne accusato di creare la schiavitù del XXI secolo.

21 Il testo del protocollo è consultabile sul sito:

http://www.interno.gov.it/it/ministero/commissario-straordinario-governo-persone-scomparse

22 Si cita, per esempio, l‟articolo pubblicato l‟indomani del ritrovamento dalla famosa emittente

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this research programme will make a critical contribution to the evidence to support an effective policy response.”23

Tra i progetti di ricerca finanziati vi è Mediterranean Missing: Understanding Needs of Families and Obligations of Authorities presentato dal Simon Robins dell‟Università di York e rappresenta una sforzo congiunto tra questi, il Iosif Kovras della London City University e l‟IOM. Quindi, anche il secondo progetto di ricerca in cui sono stata coinvolta è un prodotto dello scalpore mediatico suscitato dalla così detta crisi dei migranti –di cui la foto del corpo di Alan Kurdi e della strage del 18 aprile 2015- se non altro per il suo effettivo finanziamento.

Ma ancora una volta è il caso di sottolineare che quanto era in corso in Europa non era né una crisi dei migranti ne né tanto meno una novità. I migranti continuavano a muorire a migliaia già nel ventennio precedente senza suscitare lo scalpore mediatico degli avvenimenti del 2015. Inoltre questa non era una crisi dei migranti, semmai una crisi della capacità europea di gestire il flusso e garantire loro un accesso sicuro oltre i suoi confini esterni.

Al contrario dell‟opinione pubblica, gli accademici ed attivisti si occupano da anni delle questione dei decessi del mediterraneo, come è stato illustrato in precedenza. I promotori del progetto Mediterranean Missing, in particolare, avevano effettuato uno studio pilota nell‟isola greca di Lesbos - diventato anch‟esso “teatro di confine” (Cuttitta 2013)- l‟anno precedente all‟emissione del bando della ESRC (Robins, Kovras, Vallianatou , 2014). In questo si riscontravano i limiti e i difetti nelle politiche prodotte dalle autorità locali, nazionali ed europee riguardo alla gestione delle salme e l‟identificazione dei deceduti. Si evidenziava come nessuna delle numerose organizzazioni che operavano localmente se ne assumevano la responsabilità ed, in aggiunta a ciò, non vi era alcuna disposizione nei confronti dell‟identificazione delle vittime, per informare i familiari dei deceduti e per trattare in manieri decorosa i corpi, incluse le sepolture. Soprattutto, viene sottolineato come i bisogni delle famiglie dei migranti deceduti erano completamente esclusi nelle pratiche e preoccupazioni della gestione delle autorità.

Il richiamo ai bisogno delle famiglie preme particolarmente ai ricercatori, che sviluppano la tematica dell‟elaborazione del lutto nel caso di assenza del corpo. In

23 Testo del comunicato stampa rilasciato dal ESRC il 18 settembre 2015, consultabile su : http://www.esrc.ac.uk/news-events-and-publications/news/news-items/1-million-urgency-grant-to-fund-social-science-research-into-migration-crisis/

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particolar modo, il riferimento va alle significanti ricerche condotte con le famiglie i cui cari sono dispersi -in contesti di conflitto, in fase post bellica o in casi di violenze quotidiane, tra cui quelle a sfondo politico- e la situazione di pericolo che queste stesse famiglie affrontavano in assenza del corpo da piangere o informazioni sulla persona scomparsa (Boss 1999; Robins 2013; Robins 2010; Kovras 2014; Kovras 2012).

Sulla spinta di queste considerazioni iniziali è stato creato il progetto di ricerca Mediterranean Missing, con l‟intento di focalizzare il vuoto di iniziative esistente a livello nazionale e comunitario, esplorando le procedure e le pratiche adottate dalle autorità nell‟investigare, identificare, seppellire e rimpatriare i resti dei migranti, e quindi chiarire i bisogni delle famiglie nei paesi di origine dei dispersi. Quanto analizzato fino ad allora infatti testimoniava come l‟Unione Europea e i suoi stati membri continui a negare la propria responsabilità nel farsi carico sia dei cadaveri che delle informazioni relative, in modo tale da permettere l‟identificazione del deceduto e il diritto delle famiglie di sapere. Si tratta di uno dei primi tentativi di comprendere sistematicamente la situazione nella aree più interessate dal fenomeno per esplorare -e criticamente impegnarsi su- una risposta nei confronti della gestione dei corpi dei migranti.

In parallelo, lo studio coinvolge le famiglie nelle aree toccate dalle migrazioni su larga scala (in Tunisia e nelle comunità dei rifugiati siriani) attraverso un‟indagine entografica multifocale che intende comprendere i bisogni dei parenti dei dispersi.

2.1 Il disperso

Se nella precedente ricerca mi ero occupata meramente del corpo rinvenuto e processato dalle autorità italiane, nel caso della ricerca finanziata dal ESRC si inserisce, oltre il border death, un altro particolare oggetto di analisi: il disperso. Continuando ad occuparmi delle vittime delle frontiere istituite dal trattato di Schengen, Mediterranean Missing pone l‟accento anche sui casi in cui il corpo non viene mai ritrovato. Nello specifico, cosa accade a seguito delle denunce di scomparsa fatte dai sopravvissuti, alle richieste delle notizie da parte dei familiari, o come le autorità italiane entrino in contatto loro per identificare ufficialmente il corpo. Ma chi o cosa sono esattamente i dispersi?

Vengono definiti dispersi coloro per i quali le famiglie non hanno notizie della sorte dei loro cari. Il concetto ampio dei migranti dispersi, include sia coloro i cui corpi

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non sono mai stati rinvenuti, coloro che non sono mai stati identificati seppur rinvenuti ed infine coloro che sono sopravvissuti ma non in grado o intenzionati a contattare i propri cari: per le famiglie, la sorte di tutti loro rimane sconosciuta. Tale definizione è ripresa da quanto precisato dal Comitato Internazionale della Croce Rossa (2003):

“Missing persons are those persons whose families are without news of them and/or are reported unaccounted for, on the basis of reliable information […] The term family and relatives must be understood in their broadest sense including family members and close friends and taking into account the cultural environment.”

Nella precedente ricerca il dato sul disperso era considerato forviante nonché pericoloso in vista dalla conta esatta di coloro che sono morti, in quanto è nella natura del disperso quella di non essere quantificabile. Non sapendo che fine avesse fatto la persona dispersa o il suo corpo, mancando dati su di essa e sulla sua morte, non la si poteva includere nella conta –che comprendeva caratteristiche del deceduto e le circostanze della morte- e, anzi, chi lo faceva falsificava l‟attendibilità dell‟elenco.

Eppure è il caso ricordare che per ogni corpo non identificato rinvenuto presso i confini meridionali dell‟Ue, per tutti coloro che sono dispersi in mare o per chi non riesce a contattare i suoi parenti per qualsiasi motivo c‟è una famiglia che aspetta notizie dei suoi cari.

La differenza sostanziale tra le due ricerche sta nella prospettiva da cui si analizza il fenomeno, ovvero da quale parte si guardano le frontiere. Se si guardano da nord verso sud, con una prospettiva eurocentrica e con in mente la gestione statele e l‟impatto delle politiche migratorie dei paesi membri sulla mortalità dei migranti, ciò che è rilevante è solamente la morte quantificabile e i dati sensibili che abbiamo di questa. Viceversa, se si analizza il fenomeno dalla prospettiva delle famiglie, tutte le vittime sono disperse fino a quando i corpi non vengono ripescati dal fondo del mare ed identificati. Anzi, per la precisione, prima ancora di ciò bisogna stabilire che il disperso sia effettivamente deceduto, perché spesso accade che le famiglie che cercano notizie dei loro cari non prendano in considerazione tale eventualità finché non ne abbiano delle prove tangibili, prima fra tutte il corpo.

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Lo scopo del progetto Mediterranean Missing era in parte quello di rendere visibile quelle vittime che rimangono ampiamente invisibile nella così detta crisi dei migranti: le famiglie dei dispersi.

Le famiglie dei migranti dispersi sono anch‟esse vittime del disastro umanitario in corso e ancora l‟impatto su di loro è pressoché sconosciuto. Di fatti sono trascurate nelle discussioni riguardo la gestione dei corpi e la crisi dei confini, e, purtroppo, incapaci di interfacciarsi con le autorità europee che grazie a tale collaborazione potrebbero identificare i loro cari. Affrontare questo genere di problemi implica che i familiari dei dispersi siano messi al centro degli sforzi per l‟elaborazione di una migliore gestione del fenomeno. Il diritto alla vita famigliare impone la partecipazione delle famiglie alle indagini e alla sepoltura (Grant et alia 2016). Il vuoto nelle politiche che esiste nella gestione statale (Mirto, Carasco e Singleton et alia 2016; Tapella, Mirto e Last 2016; Mirto 2017) suggerisce che tali obblighi non si concretizzano o siano del tutto ignorati.

Il lutto ambiguo

Sebbene questa tesi non si incentra sulla condizione delle famiglie che abbiano un congiunto disperso, trovo moralmente vincolante qui accennare alle ricadute sociali, economiche, psicologiche ed emotive che ciò possa comportare. Il rischio altrimenti è ancora una volta quello di guardare le frontiere da un solo lato, analizzando cosa questi decessi significhino per noi e non per le loro famiglie.

Molti studi sono stati effettuati sia sull‟impatto delle guerre sui civili e sulle famiglie dei dispersi in particolare, dominati dall‟approccio che privilegia l‟analisi della sequela del trauma psicologico e del Disordine da Stress Post Traumatico (Posttraumatic Stress Disorder, PTSD). Quirk e Casco (1994), per esempio, hanno studiato le famiglie dei dispersi in centro America e hanno individuato diversi indicatori di PTSD in numerosi casi. Sono anche state effettuate numerose critiche a questi studi e sulla rilevanza dell‟utilizzo dello studio del fenomeno tramite approcci basati sul trauma in diverse culture (Mezey e Robbins, 2001; Summerfield, 2004; von Peter, 2008), le quali sottolineano l‟importanza di privilegiare il contesto, comprendere gli abitanti ed interventi radicati in base alle comunità colpite. Andrebbe inoltre sottolineato come ogni caso di scomparsa e i suoi impatti sulle famiglie siano molto diversi rispetto ad un unico evento traumatizzante, come può essere un bombardamento o un‟esperienza di guerra, che invece sono alla base delle

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cause dei PTSD. Infatti, quando una persona cara è dispersa le conseguenze di questa assenza sono di natura cronica, continua, ed hanno ricadute emotive, psicologiche oltre che economiche e sociali (Blaauw e Lahteenmaki, 2002). La rete di impatto sulle famiglie e individui che hanno un caro disperso è quindi la somma di questi effetti, mentre l‟abilità di affrontare l‟impatto traumatico di tali eventi è stata chiamata resilienza, definita come una „„good outcomes in spite of serious threats to adaptation or development‟‟ (Masten, 2001, p. 2), e vi è un‟importante letteratura che disamina la resilienza sia in casi di conflitto che nell‟elaborazione del lutto (Bonanno, 2004). Altri studi hanno guardato al fenomeno dei dispersi come una forma di interruzione del processo di sepoltura: P´erez-Sales, Dur´an-P´erez, and Herzfeld (2000) hanno sottolineato come una concreta parte dei parenti abbiano avuto un‟elaborazione del lutto incompleta; Blaauw and Lahteenmaki (2002) hanno analizzato l‟impatto del fenomeno dei dispersi attraverso varie culture in termini di incapacità di poter seppellire il proprio caro, condurre riti funebri e il conseguente impatto psicologico ed emotivo.

Nella situazione in cui un familiare scompare senza motivo, la mancanza di conoscenza del fato del proprio caro dà origine a una sfida per trasformare l‟esperienza traumatica che si sta vivendo in un qualcosa con cui la famiglia potrà convivere.

Numerosi studi -tra cui i risultati delle interviste condotte dal progetto Mediterranean Missing- indicano che le situazioni di scomparsa di un proprio caro preludano a fenomeni di depressione, ansietà e conflitti familiari e comunitari. Si immaginino le famiglie che hanno visto i loro cari lasciare casa per imbarcarsi verso l‟Ue oppure – specialmente nel caso iraqueno e siriano- abbiano viaggiato con loro ed altri familiari. Possono quindi essere anch‟essi traumatizzati dal naufragio a cui sono sopravvissuti. Ma mentre coloro che hanno assistito al naufragio possono supporre che il disperso sia effettivamente annegato, altri hanno la strenua convinzione che il loro parente sia vivo, forse rinchiuso in qualche centro di detenzione in Europa o altrove, e quindi impossibilitato a contattarli. Hanno bisogno di certezze. Avere un parente disperso origina una serie di conflitti familiari, in cui gli individui si isolano e negando le relazioni con gli altri, perpetuando un intereresse ossessivo nei confronti del disperso. In molte famiglie vi sono opinioni contrastanti su cosa è successo al parente disperso, il che porta a conflitti familiari che impediscono di discutere collettivamente dell‟accaduto. Che manchi un componente

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della famiglia, si osserva inoltre, ha un forte impatto sui ruoli familiari, con le donne, in particolare, che devono affrontare un aumento delle responsabilità personali dove gli uomini, soprattutto se i mariti, sono dispersi. Le donne in particolare sono maggiormente esposte a molestie, nei casi in cui i loro mariti sono dispersi, in quanto il loro status identitario di moglie o vedova non è ancora definito. Le mogli dei dispersi rinnegano ogni possibilità di potersi risposare senza avere alcuna notizia certa dei loro mariti. Le famiglie vengono messe a dura prova dalla scarsezza dei mezzi di sostentamento, soprattutto in Tunisia, venendo a mancare un possibile supporto economico, quando a migrare sono sopratutto giovani uomini che potenzialmente sarebbero dei membri produttivi di reddito (Robins, 2016).

Eppure, nonostante la pena e le situazioni di ansia, le famiglie hanno istaurato dei meccanismi di cooperazione che in molti casi si sono rivelati molto efficienti. La solidarietà collettiva è da considerarsi come un grande supporto, soprattutto nei casi in cui si creano contatti tra varie famiglie di dispersi, come nel caso Tunisino dove esistono vere e proprio associazioni fondate su questa base. È il caso delle “madri Tunisine” che sono riunite in diversi gruppi tra cui spicca l‟associazione La terres pour Tous.24

Della disamina della letteratura qui elencata per sottolineare la profondità e rilevanza degli studi riguardo l‟impatto sulle famiglie dei dispersi e, nel nostro caso, delle famiglie nei pesi di origine o di diaspora, che non hanno notizie se il loro caro – disperso a seguito del viaggio- sia vivo o morto, ho intenzione di soffermarmi sull‟approccio fondato sul lutto ambiguo (Boss 2006) in quanto penso sia particolarmente rilevante ed efficace nel caso dei migranti dispersi.

Il lutto ambiguo è „„una situazione in cui un lutto non chiaro si manifesta e in cui non è sicuro se il proprio caro si vivo o morto, assente o presente” (ivi, pag. 554, traduzione mia). Si tratta di un‟ambiguità esterna, oggettiva e misurabile, data dal non sapere e quindi dall‟incapacità di interfacciarsi con l‟assenza: ci si trova divisi tra l‟elaborazione del lutto e la continua speranza del ritorno. Viene meno il cardine centrale dell‟accettazione del decesso perché è questo punto ad essere ambiguo. Il

24 Recita, in arabo, la pagina fece book dell‟associazione: “La terre pour tous dal 2011 rappresenta le

madri di 504 ragazzi dispersi durante il viaggio migratorio verso l‟Italia e le supporta nella loro ricerca, nel tentativo di ritrovarli o di conoscere la verità sulla loro sorte”. Di fatto lo scopo dell‟associazione consiste nel facilitare il dialogo -non sempre facile- tra le famiglie e le istituzioni tunisine e italiane e “nel tentativo di costruire una rete di solidarietà capace di connettere le realtà sensibili alle istanze della ricerca della verità e della giustizia”.

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lutto ambiguo avviene quando il disperso è psicologicamente presente, ma fisicamente assente,25 a causa di conflitti, disastri naturali o migrazioni.

Si evidenzia come l‟approccio fondato sul lutto ambiguo si basa su una prospettiva relazionare che caratterizza lo stress come causato da un fattore esterno e continuo, ovvero come qualcosa di molto lontano dagli approcci basati sul trauma come il PTSD.

Quanto esposto ci serve a capire l‟impatto sulla vita di chi ha un parente disperso – e sottolineare l‟importanza di identificare coloro che sono morti attraversando il mediterraneo- così come cercare vie alternative per aiutare le famiglie a vivere bene nonostante il non sapere.

Dalla letteratura esposta e dai risultati del progetto Mediterranean Missing si rivela il bisogno di dare avvio alla fase del lutto da parte delle famiglie dei dispersi e di terminare la condizione di ambiguità, accettando il decesso, ma in molti contesti questo è negato dalle famiglie stesse. Il modello del lutto ambiguo rielabora questo desiderio di concludere emotivamente la fase del lutto cercando di studiare dei metodi che permettano alle famiglie di trovare un senso nonostante l‟assenza di informazione e la persistente ambiguità.

Al contrario dell‟usuale questione epistemologica sulla verità, il modello del lutto ambiguo vorrebbe rispondere alla domanda „„How do people manage to live well despite not knowing?‟‟(Boss, 2007, pag. 106). Il concetto di resilienza viene qui utilizzato come la capacità di essere in grado di vivere pur non sapendo la verità.

L‟idea di analizzare un modo per convivere non sapendo la verità, piuttosto che usare ogni mezzo possibile per venirne a conoscenza, si noterà, va in netta contraddizione con un approccio ben noto in cui la domanda di verità è la base dell‟advocacy della comunità dei diritti umani. Basti pensare ai lunghi e coraggiosi processi che chiedevano verità e giustizia per i desaparecidos delle dittature sud americane (Caporale, 2014), alle madri di Plaza de Mayo fino ad arrivare all‟odierno movimento della Caravana de Madres Centroamericanas buscando a sus migrantes desaparecidos26 in America del sud ed le Carovane Migranti nel caso italiano.27 È

25 Oppure nel caso in cui il parente sia presente fisicamente ma psicologicamente assente, come per

esempio nella malattia di Alzaheimer o altre malattie croniche (Boss 2006).

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Si tratta di una marcia di donne – o meglio madri, come si definiscono loro- alla ricerca dei migranti scomparsi, promossa dal Movimiento Migrante Mesoamericano. Da undici anni una moltitudine composta da madri, mogli e sorelle si mette in cammino alla ricerca dei parenti scomparsi lungo il più grande corridoio migratorio del mondo, passaggio obbligato tra il sud e il nord, tragicamente simile al nostro Mediterraneo.

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bene precisare che qui non si vuole confutate il bisogno di verità e giustizia delle famiglie, che ritengo debba essere alla base delle richieste non solo dei parenti, ma della comunità tutta, che cerchi di vivere in e di costituire una società civile in cui regni il diritto e la sicurezza dei suoi abitanti.

Una comprensione del lutto ambiguo può servire come base per interventi che abbiano lo scopo di venire incontro a quei parenti che forse mai avranno una risposta riguardo il fato dei loro cari, dove l‟obbiettivo dell‟intervento stesso è uno sforzo nei confronti della resilienza della famiglia.

Un tentativo di applicare la teoria del lutto ambiguo alle famiglie dei dispersi è rappresento dal lavoro di Boss, Wieling, Turner, e LaCruz (2003) con le famiglie delle vittime dell‟attentato dell‟11 settembre 2001 a New York.

Bisogna ovviamente precisare il ruolo che fattori culturali giocano nella definizione di famiglia. Tali fattori sono determinanti nei casi in cui e come si manifesta un lutto ambiguo. Quasi tutti gli studi relativi a questo fenomeno (Carroll, Olson, & Buckmiller, 2007) sono stati prodotti nella così detta cultura occidentale, per la maggior parte negli USA, in famiglie che riflettono il way of life della società nord americana. Ciò si nota attraverso il lavoro fatto su diverse comunità analizzando l‟impatto che ha avuto l‟ambiguità del lutto in famiglie di diverse culture di origine a seguito dell‟attento di New York (Boss et alia, 2003), ma le caratteristiche comuni tra queste sono state poco studiate.

La psicologa Pauline Boss (2006) individua 6 linee guida terapeutiche per analizzare il lutto ambiguo nella sua esperienza ospedaliera e nelle ricerche condotte sul campo:

-la necessità di trovare un significato all‟accaduto attraverso un sopporto relazionale, costruito grazie alla interazione sociale (Berger & Luckmann, 1966);

-il temperare il sopravvento (nel testo Tempering mastery), ovvero la capacità di controllare la propria vita (Pearlin & Schooler, 1978) la qual cosa può essere percepita nella cultura occidentale come un modo di moderare lo stress (Pearlin, 1995). Visto che le famiglie dei dispersi non hanno il controllo sull‟ambiguità della loro perdita, cercare di aumentare il controllo su di sé può contrastare l‟impotenza

27 Ispirate alla carovana delle madre centroamericane ed organizzate da diverse associazioni italiane,

le Carovane Migranti hanno come obbiettivo la sensibilizzare l'opinione pubblica sulla situazione dei migranti, promuovendo il rispetto dei diritti e della dignità umana di quanti ogni anno lasciano il proprio Paese, pagando spesso questa “scelta” con la vita stessa. Maggiori informazioni sono reperibili sul sito: http://carovanemigranti.org/

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vissuta. Eppure tale controllo deve essere temperato per essere in salute, ovvero cedere una parte di questo piuttosto che essere travolto dalla mancanza. Uno studio sui bambini sudanesi rifugiati che sono stati separati dai parenti (Luster, Qin, Bates, Johnson, e Rana, 2008) prova l‟importanza del supporto del gruppo e del concetto di “temperare il sopravvento” di Boss (Boss, 2006, pag 100 – 102).

- Ricostruire una identità, che possibilmente è venuta meno con l‟assenza del membro della famiglia. L‟identità, come sappiamo, è un fattore relazionale (Sparti 1996; Remotti, 2010) ed l‟ambiguità del fato di un qualcuno attraverso cui la propria identità veniva costruita, ne priva le fondamenta.

“A woman whose husband has physically vanished wonders if she is a wife or a widow [...]Such situations can traumatize unless people are able to reconstruct who they are. [...]Symptoms of identity confusion may include uncertainty, indecision, inattention and lack of concentration[...] these symptoms reflect a form of mental blocking that is externally caused.” (Boss, 2006, pp. 115 – 116)

- Rendere normale l‟incertezza e più precisamente il rapporto tra ambiguità e ambivalenza. La prima si riferisce alla cognizione, ovvero a qualcosa che si può sapere, mentre l‟ambivalenza nasce da un conflitto di emozioni e sentimenti, causata dall‟opposizione tra il credere che lo scomparso sia morto ma la speranza che lui o lei possa mai tornare un giorno.

- Modificare l‟attaccamento (nel testo revising attachment), ovvero imparare a convivere con il lutto ambiguo di un parente prossimo con cui si era molto legati, anche se ciò vuol dire creare nuovi legami. Esempio fra tutti, ammettere la possibilità di risposarsi. Al contrario del distacco, che porta all‟isolamento dalla collettività, il modificare l‟attaccamento porta sì a rimanere legati alla persona cara, ma non rinnegare che questa non ci sia più, entrando nella logica di far coesistere due situazione piuttosto che rimanere ancorati al dubbio e alla speranza.

- Lo scopo della Boss e delle linee guida terapeutiche elencate è quello di scoprire la speranza, o meglio capire quale tipo di speranza dovrebbe essere perseguito e quale abbandonata nel caso del lutto ambiguo (Boss, 2006). In sostanza, la speranza è un importante e positivo risultato di un processo terapeutico, nonostante il lutto ambiguo.

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2.2 Metodologia del progetto Mediterranean Missing in Italia

La ricerca è stata condotta su due fronti, uno europeo ed un altro nelle comunità di origine dei migrati, o dove risiedessero le famiglie dopo la diaspora.

Da un lato, dato il vuoto di iniziative esistente a livello nazionale e comunitario, l‟obbiettivo dello studio era quello di investigare le norme, le procedure e le pratiche adottate dalle autorità nell‟investigare, identificare, seppellire e rimpatriare i resti dei migranti, e quindi capire cosa l‟Ue e gli stati interessati facessero per rispettare la gli obblighi legali che hanno nei confronti delle famiglie28, dati dal diritto internazionale (Grant, 2016). Dall‟altro, comprendere i bisogni delle famiglie dei migranti dispersi.

Per entrambi i campi di studio sono state effettuate delle interviste semi strutturate a coloro che erano considerati i soggetti più interessanti. Le linee guida per le interviste sono state concordate dal team di ricercatori e i tre enti coinvolti nell‟indagine – l‟Università di York, la City University di Londra ed IOM- e hanno funto da strada maestra per i coloqui. In linea con la metodologia di selezione degli intervistati a palla di neve, è stato chiesto durante i colloqui di indicare chi altro si ritenesse rilevante contattare in modo da ampliare il raggio di azione del progetto secondo il suggerimento degli attori coinvolti.

Le interviste sono poi state trascritte e tradotte in inglese per poterle condividere con i colleghi.

I 26 attori intervistati sono stati divisi in due categorie: coloro che hanno un ruolo istituzionale e gli esponenti del così detto III Settore. Tra i primi, la competenza riguardo la gestione del ritrovamento di un border death si divide a sua volta tra coloro che si occupano delle indagini e coloro che seguono la vicenda dal punto di vista amministrativo, come i responsabili dei cimiteri e degli uffici tecnici. Questo dato si basa sulla research question del progetto, volta ad analizzare la gestione statale del fenomeno e ne consegue che i principali interlocutori dovessero essere i membri delle istituzioni, principalmente coloro che fossero coinvolti nelle indagini.

Eppure un primo dato rilevante nel procedere della ricerca è stato notare il coinvolgimento di esponenti della società civile nel processo che riguarda l‟identificazione dei migranti deceduti, nonché nell‟assistenza e supporto alle famiglie che richiedevano informazioni riguardo ai loro cari dispersi. Le associazioni intervistate infatti sono intervenute in più fasi relative al gestione del border death:

28 Primo fra tutti, mi riferisco all‟ art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti

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