UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA
DIPARTIMENTO DI FARMACIA
Corso di Laurea Specialistica in Farmacia
Il paracetamolo nella popolazione pediatrica:
aspetti farmacotossicologici
Relatori:
Candidata:
Prof. Stefano Fogli
Jessica Pieri
Prof.ssa Maria Cristina Breschi
Anno Accademico 2013/2014
A mio padre
INDICE
Introduzione ………. p. IVPARTE PRIMA
Farmacocinetica e Farmacodinamica del Paracetamolo
1. Generalità ………... p. 2
2. Cenni storici ………. ” 3
3. Elementi di farmacocinetica: come viene assorbito e metabolizzato il paracetamolo ...………... ” 4
3.1 Assorbimento ………... ” 4
3.2 Distribuzione ………... ” 5
3.3 Concentrazione a livello del sito d’azione…... ” 6
3.4 Metabolismo ed eliminazione ……….... ” 9
4. Elementi di farmacodinamica ………... ” 11
4.1 Meccanismo d'azione del paracetamolo ………... ” 11
4.2 Effetti collaterali ……….... ” 13
4.3 Tossicità ………... ” 14
4.4 Condizioni, situazioni e farmaci concomitanti che possono incrementare il rischio di tossicità del paracetamolo a dosi terapeutiche ……… ” 16
4.5 Presentazione clinica dell'intossicazione da paracetamolo ………... ” 18
4.6 Trattamento dell’intossicazione acuta ………... ” 19
4.7 Il paracetamolo e la febbre ………... ” 20
4.8 Il paracetamolo e il dolore ………... ” 23
PARTE SECONDA
La Fobia della Febbre
Uno studio sul Caregiving materno condotto in Germania
1. L’esperienza genitoriale della febbre nei bambini ………. ” 28
2. L’influenza del background culturale sull’esperienza della febbre ” 30 3. Metodi ………... ” 32
3.1 Intento ………. ” 32
3.2 Campionamento e reclutamento ……….. ” 32
3.3 Raccolta dei dati ……….... ” 34
3.4 Analisi dei dati ………. ” 35
4. Risultati ………... ” 36
4.1 Partecipanti ………... ” 36
4.2 La febbre come minaccia e l’impulso materno di proteggere il figlio ……….... ” 37
4.3 Spiegazioni ………... ” 39
4.4 Azioni e strategie ………... ” 40
4.5 Il ruolo del background culturale della madre ………….. ” 43
4.6 La relazione dei risultati con la teoria – il modello del sistema del caregiving ……….... ” 43
5. Discussione ………... ” 45
Uno studio sulla conoscenza e la gestione della febbre nei bambini in età prescolastica condotto in Italia
1. Scenario ………... ” 51
2. Metodi ………. ” 52
2.1 Sondaggio sottoposto a genitori e pediatri ………... ” 52
2.2 Analisi statistica ………... ” 53
2.3 Risultati del questionario sottoposto ai genitori ………. ” 53
2.4 Risultati del questionario sottoposto ai pediatri ……... ” 55
2.5 Consapevolezza dei rischi di overdose-‐abuso degli antipiretici ………... ” 56
2.6 Confronto tra le risposte dei genitori e dei pediatri ….. ” 57
3. Discussione ………... ” 58
4. Limitazioni dello studio ……….... ” 61
Appendice Questionario per i genitori ……….. ” 66
Questionario per i pediatri ……….. ” 69
Conclusioni ………. ” 72 Ringraziamenti ……… ” 77 Bibliografia ………. ” 79
Introduzione
L’approccio al malato prevede, a conclusione dell’iter diagnostico, l’impostazione della terapia e quindi, di solito, la somministrazione di una o più sostanze farmacologiche, anche se a volte tale pratica può non apparire giustificata da motivazioni razionali.
Proprio in questi ultimi anni, l’imponente incremento nella disponibilità di specialità medicinali, le richieste sempre più pressanti di prescrizioni da parte dei familiari dei malati, quasi ad attribuire funzioni magiche al medico e alle medicine, la disinformazione che per tanto tempo ha caratterizzato questo settore della medicina, sono tra i fattori che più hanno contribuito all’abuso o all’uso indiscriminato dei farmaci, rendendo suggestiva l’immagine di una “giungla terapeutica” al centro del quale si colloca il bambino inerme.
In pediatria, ancor più che nell’età adulta, è sentita la necessità di agire immediatamente contro la malattia, e poiché la manifestazione più precoce e più frequente di ogni condizione morbosa è solitamente la febbre, al medico viene richiesto di agire immediatamente contro di essa. In questo caso sarà opportuno chiedersi se sussistono le condizioni perché sia somministrato un farmaco ad azione antipiretica e, in caso di risposta affermativa, quale farmaco somministrare.
Come principio generale, si suggerisce di ricorrere all’uso degli antipiretici quando la temperatura corporea (rilevata all’inguine o al cavo ascellare) supera i 38,5 °C o in presenza di anamnesi positiva per convulsioni febbrili o ancora se la febbre, pur non essendo elevata, si accompagna ad evidente malessere.
I farmaci ai quali si fa comunemente ricorso sono i salicilati, il paracetamolo, e il dipirone.
L’uso dei salicilati va evitato nei bambini affetti da varicella o da sindromi influenzali (per il rischio di comparsa della sindrome di Reye), nei soggetti con patologia infiammatoria a carico della mucosa gastrica o affetti da malattie emorragiche, negli asmatici e nei malati sottoposti a intervento chirurgico sino a 10 giorni dopo l’atto operatorio. L’acido acetilsalicilico è nel complesso ben tollerato nel bambino ed ha un buon assorbimento sia per via orale che per via rettale. L’azione antipiretica si esplica rapidamente (meno di 2 ore dopo una singola dose orale) e raggiunge il picco di efficacia nelle 2-‐3 ore successive. La dose antinfiammatoria dell’acido acetilsalicilico è di 80 mg/kg/die, ripartita in quattro somministrazioni di 20 mg/kg (tuttavia, in molte malattie febbrili banali del bambino, anche dosi di 10 mg/kg sono efficaci). I rischi maggiori sono l’iperdosaggio e le lesioni gastriche. E’ disponibile in compresse e in supposte, ed anche per via endovenosa come salicilato di lisina.
Il dipirone è un derivato pirazolonico dotato di buona attività antipiretica e analgesica; l’effetto antipiretico è rapido e si ottiene con una posologia di 10 mg/kg/die. L’agranulocitosi, segnalata in passato come temibile effetto collaterale del farmaco e che ne ha limitato l’uso in alcuni paesi, sembra, secondo studi recenti, un’evenienza piuttosto rara (un caso per milione di soggetti trattati). L’indicazione, in età pediatrica, è costituita dal trattamento di febbri elevate (39,5°C) o resistenti ai primi due antipiretici oppure per trattamenti parenterali, poiché il farmaco è disponibile nella opportuna formulazione in fiale.
Il paracetamolo, è l’antipiretico più usato in età pediatrica ed è disponibile come sciroppo e come supposta, mantenendo anche per via rettale una buona efficacia (l’associazione di due farmaci, ai dosaggi usuali, può essere utile in caso di febbre resistente al singolo farmaco).
In questo mio percorso analizzerò la sua farmacocinetica cioè tutti gli aspetti che riguardano l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e la sua eliminazione. L’effetto del paracetamolo ha inizio 1-‐2 ore dopo la somministrazione e raggiunge la massima intensità dopo 1,5-‐3,5 ore. E’ un farmaco ben tollerato, soprattutto al dosaggio standard di 40 mg/kg/die ripartito in 4 dosi giornaliere.
Di fondamentale importanza, appunto, è la dose di farmaco da somministrare che può essere stabilita in base al peso del paziente, tenendo conto di tutte quelle condizioni inerenti sia l’età sia la malattia e che sono in grado di influenzare l’assorbimento, il metabolismo e l’escrezione della sostanza.
Nel neonato, specie se pretermine, l’immaturità epatica può influenzare in modo significativo la capacità di eliminare il farmaco, mentre sono ridotte le capacità di assorbimento attraverso il canale alimentare. Inoltre alcune malattie, che inducono malassorbimento o ledono in modo significativo il fegato o il rene, possono alterare profondamente l’assorbimento, il metabolismo e l’escrezione di un farmaco: il malassorbimento, infatti, può essere responsabile di concentrazioni ematiche del farmaco più basse di quelle desiderate, e giustificare una non risposta o una scarsa risposta clinica, mentre le malattie del fegato o del rene possono essere responsabili di concentrazioni ematiche e tissutali della sostanza molto più elevate, con il rischio di effetti tossici.
Nella seconda parte analizzerò gli aspetti riguardanti la farmacodinamica vale a dire come agisce il paracetamolo e le problematiche circa gli effetti collaterali e la tossicità.
Tra i vari effetti collaterali ricordiamo il rash cutaneo, la metaemoglobinemia e la trombocitopenia, la necrosi epatica e quella tubulare, queste ultime legate a un sovradosaggio del farmaco (>1,2 g/die).
La necrosi epatica acuta è, infatti, il rischio principale della tossicità da paracetamolo determinata da un suo metabolita, l’acetilbenzochinonimmina che è inattivato dal glutatione ridotto. Inizialmente i sintomi sono estremamente aspecifici (nausea, vomito/malessere, pallore); poi, dopo 24-‐48 ore, compaiono i segni di interessamento epatico, che possono, nei casi più gravi, evolvere verso l’epatite fulminante. La terapia antidotica si basa sull’utilizzo della N-‐
acetilcisteina, che facilita l’inattivazione del metabolita tossico.
Il bambino, riguardo alle prescrizioni farmacologiche, viene spesso considerato erroneamente come un piccolo adulto. Bisogna però tenere conto del fatto che non si tratta “soltanto” di un adulto con parametri auxologici diversi: la farmacocinetica e la farmacodinamica del bambino risentono di altri parametri che rendono impraticabile e rischiosa l’automatica applicazione dei criteri di utilizzo di un farmaco dell’adulto al bambino.
Nella seconda parte, dunque, sarà necessario affrontare il problema dell’inappropriato uso di farmaci in età pediatrica, che non riguarda soltanto il nostro paese, ma rappresenta una seria preoccupazione di molti governi.
La European Medicines Agency (EMA), agenzia scientifica dell’Unione Europea, infatti, sollecita con continuità sia la comunità scientifica che le aziende
farmaceutiche ad approfondire alcuni temi importanti quali la resistenza agli antibiotici, la produzione di farmaci utili per il trattamento di pazienti affetti da malattie rare e il rapporto tra costi e benefici dei trattamenti farmacologici. In particolare l’EMA ha recentemente emanato il Regolamento Europeo relativo ai medicinali per uso pediatrico che ha come obbiettivi principali la promozione della ricerca, lo sviluppo e l’immissione sul mercato di specialità medicinali specifiche per i bambini nelle diverse fasce d’età.
Una parte rilevante delle prescrizioni di farmaci in età pediatrica è comunemente definita off-‐label, ossia realizzata in condizioni e per situazioni che differiscono da quelle per cui il farmaco è stato autorizzato in termini di posologia (dose o frequenza di somministrazione), indicazione terapeutica, età, via di somministrazione, formulazione non approvata per uso pediatrico.
I più recenti dati rappresentativi sulle prescrizioni di farmaci in età pediatrica evidenziano una notevole sovraprescrizione, che riguarda soprattutto gli antibiotici per via iniettiva, i cortisonici sistemici e inalatori, gli antinfiammatori non steroidei, i multivitaminici e i “ricostituenti”.
Alla sovraprescrizione medica si aggiunge poi l’autoprescrizione da parte delle famiglie, che, non raramente, somministrano ai bambini, di loro iniziativa, non solo gli antipiretici ma anche gli antibiotici e i cortisonici e molti altri tipi di farmaci e “integratori” di varia natura.
Perché un farmaco possa essere utilizzato in modo “razionale” e corretto, è necessario che esso sia efficace, privo di rischi, di formulazione qualitativamente adeguata, prescritto per un’indicazione appropriata e a un corretto dosaggio, disponibile al bisogno e, possibilmente, ad un costo
ragionevole e sostenibile: tutte le precedenti sono certamente condizioni necessarie per un uso appropriato di farmaci, ma spesso non sufficienti. Per fare in modo che tutte le suddette condizioni si realizzino, infatti, occorre tempo per acquisire, da fonti scientifiche adeguate, informazioni corrette sulle indicazioni e sulle modalità di utilizzo per stare il più possibile “in the label”, riducendo le prescrizioni “off-‐label”; è necessario soprattutto tempo per informare i genitori circa il motivo della prescrizione e la necessità di rispettare le modalità di somministrazione.
In Italia sono i farmaci a base di paracetamolo a essere maggiormente utilizzati in età pediatrica. I genitori somministrano questi farmaci ai propri figli per qualsiasi evenienza, sia a scopo antipiretica che analgesica: il bambino sta mettendo i dentini? Paracetamolo. Il bambino ha una leggera emicrania? Paracetamolo. Il bambino ha fatto le vaccinazioni? Paracetamolo. Il bambino ha la febbre? Paracetamolo.
Di fronte a tale problematica sarà necessario discutere sull’abuso di farmaci per accelerare la guarigione dei bambini. La febbre non è una patologia, ma la reazione dell’organismo per difendersi da un’infezione virale o batterica. Il rialzo febbrile, quindi, anche quando importante, non dovrebbe preoccupare i genitori che, anzi, dovrebbero considerarlo come la prova che il sistema immunitario del bambino sta lavorando per riportarlo alla guarigione. Purtroppo, invece, quella che viene definita febbre-‐fobia sembra colpire tutti o quasi tutti e alle prime linee di febbre il bambino viene curato con antifebbrili (sotto i sei anni, farmaci a base di paracetamolo e, da qualche anno, di ibuprofene) per far scendere la temperatura. Niente di più sbagliato. Lo scopo
degli antipiretici non dovrebbe essere quello di eliminare la febbre, ma, eventualmente, di alleviare il malessere del bambino, laddove questo sia presente (e spesso non lo è per niente). Gli antifebbrili, purtroppo, sono considerati innocui e somministrati ai bambini senza alcuna indicazione medica, al primo rialzo febbrile.
Lo scopo della mia tesi è, dunque, quello di elencare e analizzare tutti gli aspetti positivi e negativi circa l’utilizzo del paracetamolo in ambito pediatrico e inoltre, analizzare la febbre, il sintomo più comune di malattia nel bambino, che rimane una delle condizioni che spaventano maggiormente i genitori e che si trovano quindi ad affrontare il problema della fobia della febbre.
PARTE PRIMA
Farmacocinetica e Farmacodinamica
del Paracetamolo
1. Generalità
Il paracetamolo (acetaminofene; N-‐acetil-‐p-‐ aminofenolo) è il metabolita attivo della fenacetina, un analgesico derivato dal carbone minerale. A causa della sua associazione con la nefropatia da analgesici, l'anemia emolitica e, forse con il cancro della vescica, la fenacetina non è più disponibile per uso clinico.
Il paracetamolo rappresenta una valida alternativa all'aspirina come composto analgesico-‐antipiretico; tuttavia, i suoi effetti antinfiammatori sono marcatamente inferiori. Nonostante sia indicato nel trattamento del dolore in pazienti con osteoartrite non infiammatoria, infatti, non rappresenta un adeguato sostituto dell'aspirina o di altri FANS in condizioni di infiammazione cronica quali l'artrite reumatoide. Il paracetamolo è ben tollerato e si associa a una bassa incidenza di effetti collaterali gastrointestinali. E' disponibile senza prescrizione medica. Tuttavia, un sovradosaggio acuto può causare gravi danni epatici e i casi di intossicazione accidentale o deliberata sono in continuo aumento. L'uso cronico di meno di 2 g/die non è associato a disfunzioni epatiche.
2. Cenni storici
Il paracetamolo fu sintetizzato per la prima volta nel 1878 da Harmon Northrop Morse per riduzione di p-‐nitrofenolo con stagno in acido acetico glaciale, secondo la seguente reazione:
2 HO-‐C6H4-‐NO2 + 2 CH3COOH + 3 Sn → 2 C8H9NO2 + 3 SnO2
dove l'azione riducente di metallo e acido converte il p-‐nitrofenolo a p-‐ amminofenolo, che viene immediatamente acetilato. Si iniziò a utilizzarlo per fini medici solo a partire dagli anni cinquanta.
L'acetanilide è il capostipite di questo gruppo di farmaci. E' stata introdotta in medicina con il nome di "antifebbrina" da Cahn e Hepp nel 1886, i quali hanno scoperto casualmente i suoi effetti antipiretici. Tuttavia, l'acetanilide si dimostrò troppo tossica. Numerosi derivati di sintesi sono stati sviluppati e studiati successivamente.
Uno dei più soddisfacenti fu la fenacetina, introdotta in terapia nel 1887 e largamente utilizzata in composizioni analgesiche fino a quando fu implicata nella nefropatia da abuso di analgesici e ritirata dal commercio negli anni '80. Il farmacologo clinico Joseph Von Mering fu il primo a utilizzare ii paracetamolo in medicina nel 1893. Tuttavia, questo farmaco ha raggiunto la popolarità solo dopo il 1949, quando venne riconosciuto come il principale metabolita attivo dell'acetanilide e della fenacetina.
3. Elementi di farmacocinetica: come viene assorbito e
metabolizzato il paracetamolo
3.1 Assorbimento
Il paracetamolo è un farmaco dotato di spiccate proprietà analgesiche e antipiretiche conosciute e utilizzate da ben oltre un secolo, che presenta profili di efficacia e tollerabilità tali da averne fatto una delle molecole più utilizzate al mondo tra quelle disponibili in tale categoria farmacologica.
Inoltre la presenza di numerose forme farmaceutiche in commercio (compressa tradizionale, masticabile, effervescente, bustina effervescente, gocce, sciroppo, supposte, etc.) offre la possibilità di scegliere l’opzione più adeguata alla situazione clinica e che meglio soddisfa il paziente.
Il paracetamolo ha un pKa di 9.5, è ampiamente non ionizzato ed è assorbito per diffusione passiva non ionica nell’ambiente alcalino del duodeno. L’assorbimento all’interno dello stomaco è minimo e la fase limitante per l’assorbimento è lo svuotamento gastrico nel duodeno (può essere alterato anche dalla formulazione del farmaco).
Può essere somministrato attraverso diverse vie e presenta una elevata biodisponibilità (per via orale è stimata tra il 63% e l’89%).
Le compresse e le capsule devono essere disintegrate e dissolte, considerando un ritardo nell’assorbimento a livello duodenale. Il paracetamolo in compresse effervescenti e quello liquido (elisir, gocce, sciroppo) sono assorbite assai più rapidamente.
Il tempo per raggiungere il picco di concentrazione è approssimativamente tra i 45-‐60 minuti dopo la somministrazione orale delle compresse a rilascio regolare e ci possono essere grosse variazioni nella concentrazione di paracetamolo nel plasma, misurato dopo 60 minuti dalla somministrazione orale.
Il paracetamolo nella forma farmaceutica liquida, invece, raggiunge il picco di concentrazione in circa 30 minuti.
L’assorbimento per via rettale è considerato il più errato e sconsigliato, con valori di biodisponibilità che vanno dal 24% al 98%; il tempo necessario per raggiungere il picco di concentrazione nel plasma varia tra i 107 e i 288 minuti dalla somministrazione.
Anche l’età ha un impatto sull’assorbimento del paracetamolo a causa del minore svuotamento gastrico, l’assorbimento orale nei neonati è rallentato. La velocità di svuotamento gastrico comparata agli adulti viene raggiunta all’età di 6-‐8 mesi. La via di somministrazione intravenosa evidenzia un picco plasmatico più elevato e precoce come le concentrazioni nel liquido cerebrospinale rispetto alla via orale e rettale.
3.2 Distribuzione
Il legame del paracetamolo con le proteine plasmatiche è modesto (10-‐25%) mentre è largamente distribuito, con un volume di distribuzione di 0.8-‐1 kg/l. A causa delle differenze nella composizione corporea (per esempio un elevato contenuto di acqua) e poiché il paracetamolo è un composto idrosolubile, il volume di distribuzione è più elevato nei neonati: decresce da 27 settimane
nell’età gestazionale per raggiungere il 110% del suo valore a partire dal 6° mese di età.
Il paracetamolo, oltre ad essere capace di penetrare nel fluido cerebrospinale, è anche in grado di penetrare nella placenta ed è escreto nel latte materno a bassi livelli. La dose massima di paracetamolo assorbita dal neonato col latte materno è pari all’1,85% della dose assunta dalla madre in funzione del suo peso.
3.3 Concentrazione a livello del sito d’azione
Il tempo che intercorre tra la comparsa nel torrente circolatorio e l’effetto analgesico è stato misurato in volontari adulti e nei bambini. Inoltre, alcuni studi hanno documentato un ritardo di 1-‐2 h tra il raggiungimento della concentrazione plasmatica massimale e la massima riduzione della temperatura corporea (Fig. 1).
Questo ritardo significa che non c’è una diretta correlazione temporale tra la concentrazione plasmatica e l’effetto. Il paracetamolo deve trasferirsi dal compartimento plasmatico al sito d’azione dove esercita la sua azione farmacologica.
Il CSF (fluido cerebrospinale) è il compartimento più vicino a dove si realizza l’effetto farmacologico (sito d’azione).
C’è un’importante differenza per le concentrazioni richieste nel sito d’azione per l’analgesia e per l’effetto antipiretico. La minima concentrazione efficace nel sito d’azione per esercitare attività analgesica nei bambini è di 10 mg/l (Fig. 2) ed è stata recentemente confermata anche per i neonati.
La minima concentrazione efficace nel sito d’azione per la manifestazione dell’effetto antipiretico è di 5 mg/l (fig.3).
La concentrazione di 10 mg/l è ottenibile sia con la via endovenosa che con la via orale, mentre la via rettale produce, a dosi standard, una concentrazione nel sito d’azione di 5 mg/l. Per ottenere un effetto maggiore, la dose somministrata per via rettale dovrebbe essere più alta e non sicura.
La rilevanza clinica di questi concetti è che l’effetto farmacologico richiesto (analgesia o antipiresi) deve guidare la via di somministrazione (per esempio la via rettale non è appropriata per la gestione del dolore). La scelta dell’intervallo per la somministrazione del farmaco può essere anch’essa guidata dall’evidenza legata al ritardo tra la concentrazione plasmatica massima e il massimo effetto nel sito d’azione. Quindi, se richiesto, la riduzione dell’intervallo di somministrazione standard di 4 h può garantire un’efficace e costante concentrazione allo stato stazionario nel sito d’azione.
3.4 Metabolismo ed eliminazione
Negli adulti il paracetamolo è metabolizzato principalmente nel fegato dalla glucuronazione (50%-‐60%), solfatazione (25%-‐30%) e ossidazione (<10%). Inoltre l’idrossilazione a 3-‐idrossiparacetamolo e la metossilazione a 3-‐ metossiparacetamolo, insieme all’eliminazione del paracetamolo nella forma libera o non coniugata rappresenta una via di eliminazione minore.
Il paracetamolo è soggetto a un metabolismo di primo passaggio epatico che giustifica la variabilità nell’assorbimento tra pazienti diversi in relazione alle differenti età.
Nessuno dei metaboliti del paracetamolo ha effetti analgesici o antipiretici, sono quindi inattivi e sono escreti nelle urine in una quantità dipendente dalla dose somministrata (più del 90% è escreta entro le 24 ore). La circolazione enteroepatica è trascurabile.
La capacità di eliminazione renale è rispecchiata dalla diuresi, dalla velocità di filtrazione glomerulare e dall’attività del tubulo renale.
L’ampia variabilità nella prima infanzia si riferisce alle caratteristiche di maturazione (per esempio il peso alla nascita e l’età) e di malattia (per esempio l’asfissia perinatale e le malformazioni renali congenite).
L’ossidazione del paracetamolo avviene attraverso la via enzimatica delle ossidasi a funzione mista, citocromo P450-‐dipendente, principalmente attraverso l’isoforma 2E1 e 3A4 per formare N-‐acetil-‐p-‐benzochinonimmina (NAPQI).
NAPQI è quasi istantaneamente coniugato dal glutatione intracellulare a 3-‐ glutatione-‐S-‐yl-‐paracetamolo direttamente o attraverso una reazione catalizzata dal glutatione-‐transferasi.
NAPQI può dare epatotossicità se prodotto in quantità eccessiva in quanto porta ad esaurimento delle riserve di glutatione endogeno. Quindi, con dosi terapeutiche di paracetamolo, sono presenti sufficienti riserve di glutatione per coniugare la piccola quantità di NAPQI prodotta; inoltre c’è un processo attivo di recupero del glutatione.
Nei bambini le vie metaboliche del paracetamolo sono le stesse degli adulti ma il contributo di ogni percorso o enzima al metabolismo del paracetamolo cambia con l’età. Il percorso di solfatazione è maturo alla nascita mentre i percorsi di glucuronazione ci mettono circa due anni a maturare.
L’attività di glucuronazione è minore nei bambini più piccoli rispetto ai più grandi e agli adulti, mentre la solfatazione è la più importante via di metabolizzazione nei bambini più piccoli. Anche se il livello di eliminazione dei vari metaboliti del paracetamolo cambia con l’età, la sua emivita plasmatica è simile nei differenti gruppi di età.
I livelli del Citocromo 2E1 sono bassi nei neonati e aumentano gradualmente durante il primo anno di età per raggiungere il valore riscontrato negli adulti all’età da 1-‐10 anni.
Tuttavia, nei neonati, l’eliminazione metabolica del paracetamolo attraverso la solfatazione avviene molto più rapidamente dell’eliminazione attraverso la glucuronazione. Questo si traduce in una più bassa eliminazione del farmaco
dopo che è stato raggiunto il picco di concentrazione, che può portare a fenomeni di accumulo.
Lo sviluppo dell’epatotossicità causata dal paracetamolo dipende dall’equilibrio tra il livello di formazione di NAPQI, dall’eliminazione attraverso i percorsi di solfatazione e glucuronazione, dal contenuto iniziale di glutatione e dal suo recupero a livello epatico.
I bambini più piccoli sono i più resistenti all’epatotossicità indotta da paracetamolo a causa sia dei livelli elevati di CYP2E1 sia per la più alta capacità dei neonati, rispetto agli adulti, di recuperare glutatione.
4. Elementi di farmacodinamica
4.1 Meccanismo d’azione del paracetamolo
Si ipotizza che il paracetamolo agisca principalmente interagendo con l’enzima cicloossigenasi (COX). La sua azione sembra essere prevalentemente se non esclusivamente centrale; passa prontamente la barriera emato-‐encefalica e inibisce la sintesi delle prostaglandine nel cervello. Questa inibizione porta alla riduzione della temperatura probabilmente modificando il set-‐point della temperatura ipotalamica.
Il paracetamolo non ha una significativa attività anti-‐infiammatoria né inibisce la produzione del trombossano A2 (TXA2).
Non agisce a livello periferico il che giustifica l’assenza di effetti collaterali associati alla somministrazione di farmaci antinfiammatori non steroidei come ulcere, emostasi compromessa e ridotto flusso renale.
Il meccanismo d’azione dell’effetto analgesico del paracetamolo è multifattoriale. L’inibizione della sintesi delle prostaglandine nel cervello gioca un ruolo importante, ma ci sono meccanismi d’azione alternativi:
• Meccanismo serotoninergico centrale: il paracetamolo può attivare la via inibitoria serotoninergica del dolore con effetto analgesico.
• Effetto sui recettori cannabinoidi (CB): due gruppi di ricerca hanno dimostrato che un metabolita attivo del paracetamolo (l’ammide dell’acido grasso N-‐arachidonoilfenolammina) ha la stessa capacità dei cannabinoidi di indurre attività analgesica e di abbassare la temperatura corporea.
• Azione inibitoria sulla via spinale L-‐arginina-‐N-‐ossido (NO): la depolarizzazione dei neuroni afferenti per mezzo di stimoli nocicettivi periferici porta all’attivazione dei recettori spinali N-‐metil-‐D-‐aspartato (NMDA). Alcuni studi effettuati sui topi suggeriscono che questi, a loro volta, promuovono la sintesi di NO (un neurotrasmettitore che trasmette informazioni nocicettive a livello spinale). I farmaci anti-‐infiammatori non steroidei e il paracetamolo interferiscono con la nocicezione associata all’attivazione dei recettori spinali NMDA. Questo effetto può comprendere un’azione inibitoria sul meccanismo dell’ossido nitrico a livello spinale.
4.2 Effetti collaterali
Il paracetamolo è generalmente ben tollerato a dosi terapeutiche raccomandate. Le reazioni allergiche e le eruzioni cutanee si presentano occasionalmente; quest’ultime sono generalmente eritematose o urticarioidi ma talvolta sono più gravi e possono essere accompagnate da febbre da farmaco o da lesioni della mucosa. L’uso del paracetamolo è stato associato a neutropenia, trombocitopenia e pancitopenia. Ipotensione, vampate di calore e tachicardia sono altri effetti collaterali riportati dopo somministrazione intravenosa.
Diversi studi hanno riportato associazioni tra l’uso del paracetamolo nei bambini e l’asma ed alcuni studi epidemiologici collegano l’assunzione del paracetamolo in gravidanza con l’asma infantile. I meccanismi biologici sottostanti non sono chiari. L’uso del paracetamolo potrebbe influenzare la patogenesi dell’asma attraverso l’esaurimento del glutatione, un importante antiossidante delle vie aeree.
Questo potrebbe influenzare l’asma in due modi:
• Il metabolita tossico NAPQI può incrementare lo stress ossidativo causando danni epiteliali e incrementare l’infiammazione delle vie aeree. In vitro, l’equivalente di dosi terapeutiche di paracetamolo può ridurre la concentrazione intracellulare di GSH nei macrofagi alveolari i quali, nelle cellule presentanti l’antigene, portano a risposte Th2-‐mediate.
• L’acetaminofene può provocare lesioni dell’epitelio delle vie aeree attraverso l’inibizione selettiva della cicloossigenasi-‐2 (COX-‐2), dal momento che è stato suggerito che la COX-‐2 gioca un ruolo importante nella riparazione dei danni all’epitelio delle vie aeree.
Recentemente è stato proposto un nuovo meccanismo. Uno studio sui topi ha mostrato che l’equivalente di dose terapeutica di acetaminofene produce concentrazioni rilevabili di NAPQI nel polmone. NAPQI a sua volta stimola il potenziale transitorio del recettore TPRA1 che causa infiammazione neurogena delle vie aeree.
Infine, per quanto riguarda i meccanismi che operano in epoca prenatale, Henderson e Shaheen hanno ipotizzato che l’acetaminofene attraversi la placenta e che il feto sia capace di generare NAPQI nella tarda gestazione.
Ricerche future dovrebbero essere indirizzate nello stabilire una solida evidenza sperimentale nell’associazione tra paracetamolo e asma includendo l’entità dell’effetto e i benefici attribuibili al farmaco nella popolazione target come conseguenza degli interventi finalizzati a modificare l’uso del paracetamolo nei differenti gruppi.
4.3 Tossicità
La tossicità del paracetamolo è strettamente connessa al suo metabolismo. A dosi terapeutiche, il paracetamolo è prevalentemente metabolizzato dalla glucuronazione e dalla solfatazione. Approssimativamente tra il 5-‐10% dei farmaci è ossidato dal CYP450-‐dipendente a NAPQI che è detossificato dal glutatione ed eliminato con le urine o con la bile. NAPQI non detossificato può legarsi a gruppi cisteina su proteine formando un addotto paracetamolo-‐ proteina nel fegato. Alti livelli di addotti inducono tossicità epatica nei pazienti trattati con alte dosi di paracetamolo.
Probabilmente NAPQI causa danni attraverso il legame con proteine mitocondriali; questo legame porta a una diminuzione della respirazione mitocondriale, all’aumento di stress ossidativo e quindi alla necrosi delle cellule epatiche. Rapporti di tossicità nel fegato in pazienti pediatrici hanno suggerito che una singola dose di paracetamolo di 120-‐150 mg/kg di peso corporeo (il dosaggio normale è di 20 mg/kg) può essere associata ad epatotossicità.
L’epatotossicità, dopo somministrazione di dosi terapeutiche di paracetamolo nei bambini, è stata riportata di rado in studi di popolazione. Case reports suggeriscono che questo fenomeno può realizzarsi, ma pochi studi contengono dati sufficienti a supporto di un probabile nesso causale. Altri casi riportati di epatotossicità grave da paracetamolo nei bambini, sono stati attribuiti alla tossicità cumulativa dopo dosi ripetute piuttosto che da un’intossicazione acuta da overdose. Gli studi che hanno riportato epatotossicità con dosaggi terapeutici di farmaco possono essere collegati ad una inaccuratezza nel ricordo della dose somministrata o a una riduzione della finestra terapeutica a causa di condizioni patologiche associate (Tabella 1 e 2).
Tabella 1 Condizioni e situazioni che possono incrementare il rischio di tossicità del paracetamolo anche a dosaggi terapeutici
________________________________________________________ Condizioni e situazioni
________________________________________________________ Diabete mellito
Obesità
Iponutrizione cronica Digiuno prolungato
Storia familiare di reazioni epatotossiche Miopatie
Elevata attività del CYP2E1 ereditata o acquisita ________________________________________________________
Teoricamente, un’elevata attività del CYP2E1 sia ereditaria che acquisita può incrementare la conversione di paracetamolo a NAPQI (Tabella 1). Infatti, bambini con una storia familiare di epatotossicità al paracetamolo, hanno un rischio più elevato di sviluppare reazioni tossiche.
Il rene è il secondo organo target per la tossicità del paracetamolo: disfunzioni renali si verificano nel circa 25% dei casi con significativa epatotossicità e in più del 50% di questi con insufficienza epatica. Tuttavia, il danno renale dopo overdose da paracetamolo potrebbe verificarsi in assenza di epatotossicità. Una disfunzione renale dopo overdose da paracetamolo è il risultato di una formazione locale di NAPQI che causa necrosi tubulare renale. Comunque sono stati proposti diversi meccanismi nefrotossici, poiché gravi insufficienze renali sono state riscontrate nonostante adeguati trattamenti con N-‐acetilcisteina (NAC). Il danno renale è prodotto anche da un uso cronico di paracetamolo, è stata mostrata, infatti, una relazione dose-‐dipendente tra abuso cronico e incremento del rischio di malattia renale grave.
4.4 Condizioni, situazioni e farmaci concomitanti che possono incrementare il rischio di tossicità del paracetamolo a dosi terapeutiche
Poiché il tasso di formazione del NAPQI è associato alla tossicità dell’acetaminofene alcune situazioni, condizioni (Tabella 1) o farmaci (Tabella 2) possono portare a incrementare il rischio di tossicità del paracetamolo attraverso l’incremento di NAPQI o riducendo le riserve di glutatione.
Tabella 2 Farmaci che possono stimolare l’attività del CYP2E1 con conseguente aumento della conversione del paracetamolo a NAPQI
____________________________________________ Farmaci ____________________________________________ Carbamazepina Etanolo Isoniazide Fenobarbital Rifampicina ____________________________________________
Il digiuno è associato con un incremento dell’epatotossicità da paracetamolo negli umani e negli animali apparentemente a causa dell’aumento del metabolismo di NAPQI. La malnutrizione proteico-‐calorica, l’obesità e il diabete poco controllato sono associati a un aumento dell’attività del CYP2E1 che può aumentare la formazione di NAPQI.
La detossificazione può essere ridotta nei pazienti con malnutrizione proteico-‐ calorica e che presentano anche bassi livelli di glutatione.
Numerosi farmaci (Tabella 2) possono influenzare l’eliminazione del paracetamolo o la detossificazione di NAPQI e alcuni dei loro effetti sull’attività del CYP2E1 sono variabili. L’isoniazide prima inibisce poi aumenta la formazione di NAPQI; l’assunzione di etanolo incrementa in maniera cronica l’attività del CYP2E1 ed esaurisce il glutatione che intensifica la suscettibilità alla tossicità da paracetamolo, mentre l’assunzione acuta di etanolo riduce la tossicità del paracetamolo attraverso una forte inibizione di CYP2E1.
Il co-‐trattamento con uno o più farmaci elencati in Tabella 2 potrebbe essere piuttosto comune tra i bambini con malattie croniche. In casi come questi dovrebbero essere presi in considerazione un adeguato dosaggio e durata del trattamento. Se e come il danno epatico correlato dalle condizioni sottolineate,
quali infezioni virali o malattie metaboliche, sia aggravato dal paracetamolo rimane ancora incerto. Tuttavia, alcuni studi mostrano che una delle condizioni sottolineate può aumentare il rischio di danno epatico. Per esempio Ceelie e collaboratori mostrano come alcuni bambini con miopatie, sottoposti a dosi standard di paracetamolo, potrebbero essere esposti a un rischio maggiore di sviluppare tossicità con conseguente insufficienza epatica acuta.
4.5 Presentazione clinica dell’intossicazione da paracetamolo
L’intossicazione da paracetamolo generalmente include 4 fasi. La prima consiste in anoressia, nausea, vomito, malessere, diaforesi, che può portare alla somministrazione di dosi addizionali di paracetamolo. Nella seconda fase, la prima si risolve ed è sostituita da dolore o indolenzimento al quadrante superiore destro, ingrossamento del fegato e oliguria in alcuni pazienti. Aumentano la bilirubina, i livelli di enzima epatico e il tempo di protrombina. Nella terza fase, generalmente dopo 3/5 giorni, ricompaiono anoressia, nausea, vomito e malessere insieme a danni epatici compresi itterizia, ipoglicemia, coagulopatia ed encefalopatia. Potrebbero svilupparsi anche danni renali e cardiomiopatia.
La quarta fase è associata con il recupero o l’evoluzione verso la morte da completa insufficienza epatica. L’avvelenamento da paracetamolo può anche presentarsi con depressione del sistema nervoso centrale, shock, ipotermia e acidosi metabolica.
4.6 Trattamento dell’intossicazione acuta
Con un’ingestione acuta di paracetamolo, il nomogramma di Rumack-‐Matthews è un prezioso strumento per valutare il rischio di epatotossicità. Il paracetamolo somministrato per via endovenosa crea uno specifico problema di gestione, un normale nomogramma non può essere applicato direttamente. Nei casi di overdose da paracetamolo somministrato per via endovenosa, il picco plasmatico è raggiunto immediatamente dopo la somministrazione e normalmente sarà inferiore rispetto a quello previsto con la stessa dose di farmaco somministrato per via orale, a parità di intervallo di tempo dall’assunzione.
Indicazioni sulla gestione della dose endovenosa di paracetamolo sono disponibili nello UK National Poisons Information Service (NPIS) e sono regolarmente aggiornate su Toxbase, il database del NPIS. Il paracetamolo per via endovenosa è potenzialmente molto tossico se somministrato in quantità eccessive e i medici che hanno in gestione il paziente devono discutere con lui di questa possibilità.
Il trattamento antidotico è basato sull’uso del N-‐acetilcisteina (NAC). Una dose di carbone attivo è raccomandata entro 6/8 ore dopo l’ingestione acuta. La somministrazione endovenosa di NAC oltre un periodo di 10 ore è associata con una più alta frequenza di reazioni allergiche e anafilattoidi (angioedema, ipotensione, broncospasmo) rispetto alla somministrazione per via orale. Periodi più lunghi di somministrazione endovenosa di NAC (48 ore o più) si risolvono in una migliore tolleranza e ridotti effetti avversi. Il trattamento di
epatotossicità causata da overdose subacuta è difficile e sarebbe consigliato rivolgersi ad un esperto.
4.7 Il Paracetamolo e la febbre
La febbre è uno dei più comuni sintomi clinici gestiti dai pediatri e da altri professionisti della sanità, mediante alcune stime, per un terzo di tutte le condizioni riportate nei bambini. Non è una malattia ma un meccanismo psicologico omeostatico che ha effetti benefici nella lotta contro le infezioni. La febbre ritarda la crescita e la riproduzione dei batteri e dei virus, esalta la produzione di neutrofili e la proliferazione dei linfociti T ed è di supporto nella reazione di fase acuta. L’entità della febbre di solito non è correlata con l’entità della malattia. Inoltre la maggior parte delle evidenze indicano che i clinici non possono basarsi sulla risposta agli antipiretici per predire la gravità della malattia con febbre. Recenti dati sulla causa della meningite evidenziavano nessun miglioramento nei pazienti trattati con paracetamolo insieme ad antimicrobici in confronto con placebo ed antimicrobici. Altri studi hanno mostrato anche scarsi risultati nei pazienti con sepsi e batteriemia trattati con FANS rispetto al paracetamolo, quindi i clinici dovrebbero fare attenzione al potenziale effetto collaterale per trattare la febbre in presenza di malattie infettive in termini di peggioramento della prognosi in pazienti trattati con antipiretici.
La preoccupazione più consistente delle persone che prestano cure sanitarie è che la febbre alta, se non trattata, è associata con convulsioni, danni cerebrali e morte.
Si sostiene che creando indebite preoccupazioni su tali presunti rischi della febbre, per i quali non c’è una chiara relazione, i medici non facciano altro che promuovere un esagerato desiderio nei genitori di raggiungere la normotermia tramite un aggressivo trattamento della febbre nei loro bambini. Inoltre non c’è alcun indizio che una terapia antipiretica decrementi la ricorrenza di convulsioni febbrili.
Alla luce di ciò è raccomandato trattare solo i bambini febbricitanti che presentano malessere. Può essere utile anche trattare i bambini che presentano sonnolenza per distinguere se queste condizioni siano semplicemente da ricondursi alla febbre o a possibili gravi malattie. Dosi di paracetamolo di 5-‐15 mg/kg ogni 4/6 ore per via orale o 15-‐20 mg/kg per via rettale generalmente sono considerate sicure e efficaci (massima dose 75 mg/kg/die). Una dose di 90 mg/kg/die è considerata da molte autorità essere per definizione “dosaggio sovra-‐terapeutico”. Tipicamente, un antipiretico ha effetto entro 30-‐60 minuti; approssimativamente l’80% dei bambini beneficeranno di un decremento della temperatura entro quell’intervallo di tempo. Sebbene siano stati suggeriti altri schemi di dosaggio alternativi, nessun indizio indica che l’uso di una dose di carico iniziale attraverso la via orale (30 mg/kg) o rettale (40 mg/kg) migliori l’efficacia antipiretica. L’uso elevato di dosi di carico iniziali nella pratica clinica aggiungerebbe rischi potenziali di sviluppo di epatotossicità e quindi tali dosi non sono raccomandate.
Nabulsi e altri hanno mostrato un’efficacia simile antipiretica del paracetamolo in dosi standard somministrate per via orale (15 mg/kg), rettale (15 mg/kg) e a più alte dosi per via rettale (35 mg/kg). La concentrazione sufficiente per