Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Corso di laurea in Storia v.o.
Tesi di laurea
Lyndon Johnson, “the sixties” e l’idea di libertà.
Relatore: Candidato:
Prof. Arnaldo Testi
Francesco Celebrini
Correlatore:
Prof. Arturo Marzano
“L’homme est né libre et partout il est dans les fers”.
Jean-Jacques Rousseau
Du contrat social ou Principes du droit politique.
(1762)
Indice
INTRODUZIONE...5
I tempi della tesi...5
Lyndon Johnson: analisi di un presidente...10
La struttura della tesi...19
Indicazioni sulle fonti bibliografiche secondarie...22
Indicazioni sulle fonti bibliografiche primarie...24
Indicazioni per ulteriori ricerche...26
CAPITOLO I - LA LIBERTA’ NEGLI ANNI SESSANTA...29
1.1) “The Sixties”, “an idea in the minds”...29
1.2) “Freedom's just another word”...43
1.3) Libertà e diritti civili negli anni sessanta...51
1.4) Libertà e guerra fredda negli anni sessanta...65
CAPITOLO II - LYNDON JOHNSON NEGLI ANNI SESSANTA...75
2.1) Lyndon Johnson, “all the way”...75
2.2) Lyndon Johnson, libertà e diritti civili...87
2.3) Lyndon Johnson, libertà e guerra fredda...109
CAPITOLO III - “THE PUBLIC PAPERS OF THE PRESIDENTS OF THE
UNITED STATES”...125
3.1) Libertà e diritti civili ne “The Public Papers” di Lyndon Johnson...125
3.1.1) Alcune considerazioni...160
3.2) Libertà e guerra fredda ne “The Public Papers” di Lyndon Johnson....160
3.2.1) Alcune considerazioni...196
BIBLIOGRAFIA...198
Fonti primarie...198
Fonti secondarie...199
INTRODUZIONE
“Se vogliamo parlare della libertà senza riferimento alla violenza, ci troviamo nel
mondo dell’utopia”.
1Ludovico Geymonat
I tempi della tesi.
Erano le ore 14:38 del 22 novembre 1963 quando Lyndon Baines Johnson
prestava giuramento come 36° presidente degli Stati Uniti d’America all’interno
della sala conferenze dell'Air Force One. Per motivi di sicurezza l’aereo si
preparava in tutta fretta alla partenza imminente dall’aeroporto di Dallas, in Texas,
con destinazione Washington. Giusto il tempo necessario per trasportare
dall'ospedale e caricare sul velivolo la salma del presidente in carica, John
Fitzgerald Kennedy, colpito senza scampo poco più di due ore prima da colpi di
fucile mentre si trovava a bordo della limousine presidenziale. L’improvvisata
cerimonia fu immortalata dal fotografo ufficiale di Kennedy. L’immagine ritrae una
sala affollata dai volti attoniti e addolorati dei membri dell'entourage presidenziale
all’interno dell’aereo dove, al centro, c’è la figura di Johnson con la mano destra
alzata e la sinistra posata su un messale cattolico, estemporaneo ripiego in
mancanza di una bibbia. Di fronte a lui il giudice federale, al suo fianco, da un lato,
la moglie Claudia Alta "Lady Bird" Taylor Johnson, e dall’altro, in primo piano, la
vedova Jacqueline Lee Bouvier Kennedy, collocata in una posizione che rendeva
quanto possibile nascoste o poco visibili le macchie di sangue del marito sul
tailleur rosa.
21 Ludovico Geymonat, La libertà, Rusconi, 1988, p. 48.
2 La foto è liberamente visualizzabile, e scaricabile, sulla pagina Wikipedia di Lyndon Johnson e su Wikimedia.
In questo modo inusuale e drammatico prende il via uno dei periodi di
presidenza più controversi della storia americana. Da qui inizia e si sviluppa anche
il nucleo temporale centrale di questo lavoro di tesi, più o meno il periodo in cui fu
presidente LBJ – come era soprannominato il personaggio posto al centro della
narrazione di questa ricerca – che avrà termine, se intendiamo considerare una
datazione significativa dal punto di vista dell’interpretazione storiografica, il 31
marzo 1968. Non era l’ultimo giorno da presidente
3di Lyndon Johnson, ma
costituisce una data emblematica per chiunque voglia approfondire l’analisi di
questa presidenza. In quel momento Johnson pronunciava un lungo discorso alla
nazione
4trasmesso in broadcast dal suo ufficio alla Casa Bianca. Il discorso
comprendeva, oltre all’annuncio di una decisa riduzione dei bombardamenti del
Vietnam del Nord e dell’intenzione di dare inizio ai colloqui di pace con Hanoi, la
sua sorprendente rinuncia a presentarsi per una nuova candidatura alla
presidenza. La decisione di ritirarsi a vita privata era maturata, in parte, in
considerazione delle precarie condizioni di salute in cui versava a causa di gravi
problemi cardiaci. Aveva influito anche la delusione, umana e politica, di fronte
all’attenuarsi dei favori di un’economia al termine di una fase di espansione; i
benefici che l’avevano accompagnata sembravano averlo abbandonato e
mettevano in crisi il finanziamento di tutte le misure di intervento sociale sulle quali
aveva concentrato gran parte del suo impegno nel campo della politica interna. Le
ingenti spese per la guerra
5mai formalmente dichiarata in Vietnam e per il
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Lyndon_B._Johnson_taking_the_oath_of_office,_Novemb er_1963.jpg
3 Che fu, invece, come da protocollo, il 20 gennaio 1969, giorno del passaggio delle consegne al successore alla presidenza, il repubblicano Richard Nixon.
4 The President's Address to the Nation Announcing Steps To Limit the War in Vietnam and Reporting His Decision Not To Seek Reelection. March 31, 1968, pp. 469 – 476. Lyndon B. Johnson: 1968-1969 (in two books): containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1 – January 1 to June 30, 1968]. United States Government Printing Office. Washington: 1970.
5 A proposito del rapporto che Lyndon Johnson ebbe con la guerra e l’uso della violenza per scopi politici – con particolare riferimento ai combattimenti in Vietnam – resta, a mio avviso, insuperabile per intensità, chiarezza e onestà intellettuale la seguente dichiarazione: “We who have labored all of our lives to preserve and enrich human life in our own country and abroad grieve that young Americans must go out to the frontier of freedom and fight, taking the lives of others while risking their own. I am often asked, 'Why do you say so little in reply to the critics of the war?' The answer is simple. No one hates war and killing more than I do”. Remarks Upon Presenting the Medal of Honor to Sgt. David C. Dolby, USA. September 28, 1967, p. 870. Lyndon B. Johnson: 1967 (in two
mantenimento dei programmi di riforma interni contribuirono ad aumentare il deficit
di bilancio, mentre l’inflazione cominciava ad aumentare. Ma, la ragione
preminente era inequivocabilmente collegata agli insuccessi della contestata
politica estera dell’amministrazione johnsoniana nel sud-est asiatico. L’incapacità
o l’impossibilità di trovare una rapida e dignitosa uscita da quella che qualcuno
6, in
modo improprio, chiamava “Lyndon Johnson's War” segnarono la fine del
decennale impegno politico di Johnson.
Le due date sopra menzionate, se rappresentano episodi di cronaca politica
di significativa rilevanza diventati in seguito fatti storici di forte valenza simbolica,
sono anche indicazioni utili a semplificare la comprensione degli avvenimenti e a
favorire interpretazioni storiografiche adeguate alla comprensione di quel recente
passato. Il criterio temporale in questo lavoro di tesi è principalmente il frutto della
sovrapposizione e dell’intreccio di tre tempi diversi
7: il tempo lungo della storia di
un principio fondante della civiltà nordamericana, l’idea di libertà; il tempo
intermedio di un momento storico universalmente riconoscibile, gli anni sessanta;
il tempo breve di una parte della vita di un uomo, Lyndon Johnson, appunto, negli
anni di carica da presidente degli Stati Uniti d’America. La considerazione di
questo metodo fondato su tempi distinti mi ha consentito di introdurre il tema
principale di questo lavoro, sul quale ruota tutta la parte di ricerca sulle fonti
dirette: l’analisi dell’idea di libertà in Lyndon Johnson. Per quanto in prima istanza
non sia così palese, ognuna delle periodizzazioni utilizzate risulta evanescente e
dai confini labili, per cui persino un decennio, per acquisire senso compiuto
attraverso l’utilizzo di determinate chiavi interpretative, può non essere compreso
in dieci anni esatti che formano l’intervallo delimitato dall’anno di inizio e quello di
fine, come espongo a breve. Anche il tempo effettivo di una carica presidenziale
può seguire questo criterio, come nell’esempio fatto in apertura dell’introduzione.
books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2 – July 1 to December 31, 1967]. United States Government Printing Office. Washington: 1968. 6 Tra altri, ricordo: Michael H. Hunt, Lyndon Johnson's War: America's Cold War Crusade in Vietnam, 1945-1968, Hill and Wang, 1996, e, Larry Berman, Lyndon Johnson's War: The Road to Stalemate in Vietnam, Norton, 1989.
7 Per l’idea della tripartizione del tempo il riferimento è a Fernand Braudel e “les trois temps de l'histoire”. Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Piccola Biblioteca Einaudi, 2010.
Sui principi e sull’idea di libertà – parola da sempre abusata, affermata e
negata – sulla sua appassionata ricerca e sulla sua strenua rivendicazione, sulla
sua retorica e sulle sue contraddizioni, gli Stati Uniti hanno formato la propria
identità di nazione
8. In nome della libertà si sono emancipati dal vecchio
continente; in nome della libertà hanno raggiunto livelli di sviluppo e di benessere
materiale impensabili altrove nel mondo; in nome della libertà hanno intrapreso
alcune guerre interne ed esterne; in nome della libertà hanno cancellato intere
culture autoctone preesistenti alla loro formazione; in nome della libertà alcuni
uomini hanno ridotto in schiavitù e poi segregato altri uomini; in nome della libertà,
infine, si è combattuto contro questa stessa segregazione, contro il disagio sociale
e la povertà. La libertà, filo d'Arianna interpretativo della storia del Nuovo Mondo, e
il suo tempo lungo, quindi, si prospettano come contenitore e come variabile dai
valori mutevoli; e le sue molte forme rendono impossibile parlare di una sola ed
esclusiva via americana alla libertà. Le molte configurazioni della libertà
americana attraversano tutta la sua storia, già da prima della nascita degli stati e
poi della nazione. All’epoca dei primi insediamenti delle colonie, i nuovi
agglomerati sociali avevano trovato nella libertà come autodeterminazione ed
emancipazione dalla madrepatria europea di origine il proprio elemento
costituente e il collante, imperfetto e parziale, impiegato per la realizzazione di una
società multiculturale e multietnica irrisolta. Il senso dello spirito pionieristico
collegato alla ricerca e al mantenimento della libertà sarebbe sopravvissuto nel
tempo e avrebbe poi accompagnato la storia dello stato federale ininterrottamente
fino ai nostri giorni.
Anche il tempo intermedio, gli anni sessanta, sui quali sono stati realizzati
innumerevoli volumi di cronache, studi e ricerche e sui quali si accendono ancor
oggi accesi dibattiti, sono più sfuggenti di quello che una analisi superficiale possa
mostrare. Il dinamismo e il tumulto di quegli anni formidabili
9richiede una
prudenza interpretativa e un approccio attento. Accogliendo pertanto quelle che
8 “Non esiste idea più essenziale al senso di sé degli americani, come individui e come nazione, dell’idea di libertà”. Eric Foner, Storia della libertà americana, Donzelli Editore, 2009, p. 3.
9 La parola è un riferimento, casualmente tornato alla memoria, a “Formidabili quegli anni” di Mario Capanna. È un libro autobiografico che racconta il Sessantotto in Italia. Mario Capanna, Formidabili quegli anni, Rizzoli, 1988.
sono le indicazioni degli studiosi della materia è possibile accorgersi che i processi
storici, politici e culturali che presero inizio o si svilupparono in quel tempo e che
modificarono la geografia umana, politica e sociale delle aree più sviluppate del
pianeta, con fatica possono essere compresi tra le date 1960 e 1970. Per questo è
possibile parlare di una “idea” di anni sessanta, che possono essere lunghi o
brevi, o comunque non coincidenti con le due date di inizio e di fine. Per Bruno
Cartosio, che ha titolato un suo lavoro “I lunghi anni sessanta”, per fare un
esempio, sono compresi nel periodo che inizia negli anni cinquanta e termina nei
primi anni settanta. Di contro per Eric Foner, invece, sono compresi tra l’anno
1960 e il 1968. Prendendo per valido questo criterio interpretativo del periodo
esaminato nel corso dell’elaborato, ho fatto quindi spesso riferimento a “the
sixties”, sottolineando in tal modo l’attinenza con quello che si considera “more of
an idea than a decade”, con le parole dello studioso Christopher B. Strain.
10Il tempo breve della presidenza di Johnson, il culmine della carriera
professionale e la sua maturità politica, è quasi sincrono al tempo intermedio e vi
si sovrappone parzialmente ma non è coincidente. “The sixties” furono anche per
lui complicati e segnati da radicali cambiamenti personali, da grandi successi e da
disastrosi fallimenti. La sua vita e la sua carriera politica furono sconvolte da
avvenimenti di portata epocale originati da un coacervo di pulsioni, tensioni e
passioni, nei quali lui, in prima persona, agì da esponente di spicco. Liberato dai
precedenti vincoli e dalle limitazioni politiche nelle quali la vice-presidenza lo
aveva costretto, Johnson presidente fu protagonista, o meglio uno dei protagonisti
maggiori, di quel romanzo corale che prese forma in quegli anni e che condusse a
trasformazioni straordinarie di livello globale. Fu, anche, artefice diretto di
importanti decisioni e provvedimenti che contribuirono a declinare i significati di
10 “It is important in doing so to distinguish between the 1960s – discrete period of time beginning in 1960 and ending in 1970 – and the Sixties: a collage of people, places, happenings, ideas, beliefs, impressions, feelings, perceptions, and stereotypes. Often used interchangeably, they are in fact two different things, involving different reference points that render different representations. 'The 1960s', for example, connotes datelines and headlines but 'the Sixties' – more of an idea than a decade – suggests peace signs, flower power, and Volkswagen Bugs. Unlike the 1960s, the beginning and end of the Sixties are marked less by dates than by symbols and turning points”. Christopher B. Strain, The Long Sixties: America, 1955-1973, Wiley-Blackwell, 2016, Preface, p. VI.
elementi costituenti della società americana nelle loro molteplici sfumature
11, tra i
quali si distingue per importanza e valore storico il principio della libertà. Lyndon
Johnson portò il suo importante contributo alla definizione delle libertà di quel
periodo storico. Fu un rapporto biunivoco di influenze con i movimenti e le
tendenze che si svilupparono allora. In qualche modo, fu Johnson stesso che
contribuì a creare il mito degli anni sessanta come è sopravvissuto nel tempo fino
ad oggi. Ma la presidenza di Johnson non si confrontava esclusivamente con
quegli anni ma allungava le proprie radici fino a comprendere il periodo di
presidenza di Franklin Delano Roosevelt. “The sixties” del presidente, infatti, si
portavano appresso un legame quanto mai forte e presente con le politiche
risalenti al progressismo New Deal degli anni trenta e agli interventi di politica
estera tesi a favorire la ricostruzione post seconda guerra mondiale, come, ad
esempio, i piani di sostegno ai paesi europei contenuti nell’European Recovery
Program (ERP). Si configurava in tal senso una sorta di tempo lungo della
presidenza Johnson.
Lyndon Johnson: analisi di un presidente.
Anche se fu una presenza forte e decisiva nel panorama politico della
seconda metà del novecento americano, il successore alla presidenza di Kennedy
è stato per lunghi anni sottostimato
12o valutato in modo approssimativo da parte
di storici, studiosi e intellettuali. Mentre per il largo pubblico è risultato quasi
sconosciuto, al più un oscuro burocrate del quale poco si sapeva, almeno fino al
periodo della sua vicepresidenza, per poi irrompere nella cronaca politica come
11 A partire da quelli già indicati nell’introduzione della Dichiarazione di Indipendenza del 1776 e nel preambolo della Costituzione degli Stati Uniti del 1787.
12 "Johnson represents the foolishness of trying to separate leaders into 'good' and 'bad' [...] Perfect politicians don’t exist, and awful people are capable of doing great things that benefit millions of people. That is not an excuse for terrible people in politics; it’s rather that politicians are infinitely more complicated than the caricatures we have reduced them to. They are human, they are inconsistent, and they are usually attempting to do what they see as right. By ignoring this we create a political environment that demonises the opposition and sanctifies our own – which denies the humanity of our politicians and, in turn, rewards them for inhumanity".
Jack Bernhardt, Why Lyndon Johnson, a truly awful man, is my political hero. https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jan/22/lyndon-johnson-anniversary-death-awful-man-my-political-hero
“an accidental president”
13. Le ragioni di questo scarso appeal del personaggio
Johnson sono molteplici. In primo luogo fu proprio il confronto con il predecessore
a sminuirlo: l’uno rampollo di una ricca famiglia cattolica del Massachusetts di
origini irlandesi, giovane, di bella presenza, carismatico, educato e colto; l’altro
appartenente ad una famiglia di cowboys e agricoltori texani, che nel corso della
sua vita aveva svolto lavori umili per pagarsi gli studi e che era venuto in diretto
contatto con la povertà, poco incline alla cultura, dai modi rudi e, di tanto in tanto,
bizzarri. A dispetto dell’apparenza, Johnson aveva una mente raffinata, una
determinazione fuori dal comune e un indubbio talento politico ma alcuni elementi
caratteriali davvero singolari, certe caratteristiche comportamentali poco ortodosse
e, per un politico della sua importanza, in un certo senso, sconvenienti, lo
rendevano oggetto di valutazioni niente affatto lusinghiere. Certe particolarità che
rendevano Johnson, da determinati punti di vista, un perfetto oggetto di satira
politica. Mi riferisco, a titolo di esempio, al caso del fumetto “The Great Society
Comic Book” del 1966
14, che lo ritraeva nelle vesti di un super eroe in calzamaglia
molto simile a Superman – chiamato appunto Super LBJ – che scopriva nel
Vietnam la propria kryptonite. Johnson era un personaggio che non lasciava
indifferenti. Il cosiddetto “trattamento Johnson”
15, l’ambizione smisurata che gli
veniva attribuita accompagnata dall’impiego di mezzi a volte definiti scorretti e
senza scrupoli, il comportamento politico molto spesso giudicato contraddittorio e
guidato dalla convenienza personale e dalla contingenza politica hanno
influenzato l’analisi di studiosi di indiscutibile valore e di provata serietà
16. Si pensi,
a tal proposito, come il rapporto altalenante e ambiguo che Johnson mantenne
verso i diritti civili nel periodo che precedette la presidenza alimentasse forti dubbi
sulle sue reali intenzioni. Molti furono coloro che vedevano il comportamento
13 Irving Bernstein, Guns or Butter: The Presidency of Lyndon Johnson, Oxford University Press, 1996, p. 541.
14 Il fumetto è ancora reperibile e acquistabile in rete, perlopiù usato. D.J. Arneson and Tony Tallarico, The Great Society Comic Book, Parallax Comic Books, 1966.
15 Un misto di violenza psicologica e adulazione condite da lamentele e promesse sapientemente dosate con il quale Johnson tentava, e spesso ci riusciva, di persuadere il malcapitato che gli stava di fronte.
16 Anche Robert Caro, pluripremiato giornalista autore di una delle più note e valide biografie di Lyndon Johnson in quattro volumi, non è stato immune dall’influenza di alcuni di questi giudizi e pregiudizi. Anzi, è stato Caro stesso, talvolta, ad assicurarne la fortuna.
politico di Johnson guidato principalmente, se non del tutto, dalla convenienza
politica e personale. Porre un accento eccessivo su tali aspetti allontanava la
possibilità di una valutazione critica e attendibile dal punto di vista storiografico
dell’operato del presidente. Un metodo che si dimostrava senza dubbio
superficiale tendeva anche a confondere il Johnson reale con quello immaginato.
Per cui, sarebbe potuto diventare plausibile il Johnson caricaturale dipinto nel
magistrale racconto “Lyndon”
17di David Foster Wallace, e avremmo avuto la
tentazione di confondere il personaggio storico con quello inventato nel
protagonista del film “LBJ”
18di Rob Reiner o in quello del film biografico “All the
Way”
19diretto da Jay Roach.
Un’altra ragione rendeva Johnson poco amato, ed era meno relativa ad
aspetti caratteriali, ben più sostanziale e collegata ai suoi interventi di natura
politica. Il disastro totale delle politiche sul Vietnam e le proteste crescenti che
provocavano
20oscuravano i successi ottenuti con le politiche interne della Great
Society
21– con in testa il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act del 1965.
Questo era il nome con il quale, in continuità con il New Deal di Roosevelt e la
New Frontier di Kennedy, si indicavano una serie di misure legislative con le quali
si intendeva promuovere la lotta a favore dei diritti civili come nessun presidente
prima di lui era riuscito a fare. L’obiettivo era quello di sferrare l’attacco decisivo
contro la discriminazione razziale e avviare, con i programmi Medicare e Medicaid,
politiche efficaci contro la povertà e l’indigenza. I risultati in questo settore, almeno
17 “My name is Lyndon Baines Johnson, son. I am the Senator to the United States Senate from the state of Texas, U.S.A. I am the twenty-seventh richest personal man in the nation. I got the biggest wazoo in Washington and the wife with the prettiest name. So I don't care who your wife's Daddy knows - don't you slouch at this Senator, boy”. David Foster Wallace, Lyndon in Girl with curious hair, WW Norton & Co, 1996.
18 Film del 2016, per il momento, non distribuito nelle sale cinematografiche italiane.
19 Anch’esso del 2016 e non distribuito in Italia, è un tv movie basato sull’omonimo dramma teatrale.
20 “Dapprima minuscole, le proteste di gruppi studenteschi e religiosi contro la politica di Johnson crebbero mano a mano che la violenza e l’ampiezza della guerra parvero tradire il suo stesso scopo: per salvare i vietnamiti dal comunismo si faceva un enorme numero di vittime e se ne devastava il territorio e il tessuto sociale (le stime finali sull’intero conflitto, dal 1959 al 1975, sono di oltre 3 milioni di vittime vietnamite – del Sud e del Nord – e 58.000 statunitensi)”. Federico Romero, Storia della guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, Giulio Einaudi Editore, 2009, p. 181.
21 Oltre alla lotta alla povertà e alla discriminazione razziale, i programmi compresi nella Great Society comprendevano interventi di riforma dell’istruzione, di modernizzazione dei trasporti, di pulizia dell’ambiente, di rinnovamento urbano e di controllo della criminalità.
in un primo tempo, furono innegabili. Johnson, con una potente
azione riformatrice
e progressista, fu, considerando taluni aspetti, l’uomo giusto,
nel posto giusto,
al
momento giusto. Sfruttò le sue capacità e le sue profonde conoscenze dei
meccanismi della politica americana, spinto da un’energia inesauribile e da un
impegno straordinario, per realizzare il suo più grande obiettivo: essere ricordato
come uno dei più grandi presidenti della storia degli Stati Uniti per aver migliorato
le condizioni di vita di una grande massa di persone a livello mondiale.
Rappresentò il culmine del liberalismo progressista statunitense del XX secolo e si
sforzò senza mezzi termini di rendere più efficace il fragile Welfare state degli Stati
Uniti – che però sarebbe rimasto “quella cosa incompleta e ‘riluttante’ che è
ancora oggi”.
22Con la fine dei favori di una economia che rallentava dopo anni di
espansione, la difficoltà a finanziare la politica di riforme, il diffondersi delle rivolte
urbane e l’aumento della violenza politica e non – che culminò con l’assassinio di
Martin Luther King il 4 aprile 1968 e quello di Robert Kennedy il 6 giugno 1968 –
cresceva l’opposizione interna e internazionale alla guerra in sud-est asiatico. Dal
1966, l’amministrazione federale americana affondava inesorabilmente nel
pantano vietnamita.
23Diventò progressivamente impossibile quello che Johnson
aveva ritenuto necessario: continuare a portare avanti il processo di cambiamento
interno consolidato dallo sviluppo e dal mantenimento di poderose, e costose,
misure legislative senza, d’altro canto, tralasciare l’obiettivo strategico di condurre
l’America ad una fine onorevole e vittoriosa della guerra in Vietnam. Tutto ciò
migliorando, al contempo, le condizioni materiali di quei popoli lontani ed essere
riconosciuti come campioni globali della libertà. Quello che i suoi detrattori
avevano chiamato politica del “guns and butter”, sottolineando la velleità della
politica del doppio binario, si era rivelata l’utopia sulla quale sarebbe naufragata
l’esperienza presidenziale di Johnson.
22 Arnaldo Testi, Uccidere Medicare-for-all, una tradizione americana. Il Welfare riluttante. Articolo su rivista. https://www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4635
23 Quando pensiamo a come Johnson affrontò l’intera questione Vietnam non ci dobbiamo dimenticare che, all’epoca, c’era chi propendeva per un intervento ancora più massiccio; in un certo senso, LBJ sembrava assumere una posizione intermedia tra falchi e colombe. Inoltre, fino all’inizio del 1966, pochi membri del Congresso o dell'amministrazione criticarono apertamente la gestione della guerra da parte di Johnson.
Per molti anni le indiscutibili responsabilità di Johnson nella conduzione e
nelle conseguenze della guerra in Vietnam – che comprendevano omissioni e
menzogne in merito all’andamento della stessa
24– hanno oscurato i meriti di LBJ
nell’ambito delle riforme sociali e degli interventi di politica interna. Più
recentemente un gruppo di studiosi più accorto e sensibile ha iniziato a valutare
nell’insieme in modo diverso, più obiettivo e frutto di conoscenze più approfondite,
se vogliamo, l’intera vicenda politica di Johnson, in special modo in relazione al
periodo di presidenza. La valutazione più positiva attribuita all’operato
complessivo di Lyndon Johnson da parte di alcuni studiosi
25negli ultimi anni non è
però uscita interamente dalla trappola di una visione duale che da sempre
accompagna lo studio e l’analisi del personaggio. Il dualismo e la doppiezza
sembrano rimanere, anche se meno marcati, suoi tratti caratteristici. E una
valutazione umana e complessiva del percorso politico di Johnson sembrano, tutto
sommato, non riuscire a negarlo completamente, legato come è ad immagini che
contengono l’intero universo dicotomico johnsoniano – il sud, inteso anche come
categoria culturale e la giurisdizione degli stati contro Washington e il potere
federale, libertà contro oppressione, segregazione contro uguaglianza
– i luoghi
fisici e ideali entro i quali Johnson si mosse per tutta la sua vita. Alcune domande
sostanziali sono rimaste prive di una risposta soddisfacente. Come si conciliano le
poderose politiche di riforma economica, politica e sociale in patria con la
sanguinosa e deludente conduzione della guerra in Sud-est asiatico? Perché il
Johnson presidente, liberale e progressista, artefice delle riforme interne non era
riuscito ad elaborare una politica per il Vietnam meno legata ai rigidi stilemi della
guerra fredda? C’era un collegamento tra questi due poli opposti delle politiche
johnsoniane? Tali domande sono sostanzialmente rimaste senza una risposta
plausibile per molto tempo. Per cui, nella percezione comune, Johnson è
sostanzialmente rimasto una figura problematica e contraddittoria. Hanno
continuato a pesare su di lui gli echi di giudizi frettolosi e le considerazioni che
numerosi storici e biografi gli hanno nel tempo attribuito, comprese alcune
24 Rese pubbliche nel 1971 con le “Pentagon Papers” pubblicate dal New York Times e dal Washington Post.
definizioni fantasiose: “Johnson bifronte”
26, “yin and yang of personality”
27, “a
tangle of contradictions”
28, “Mother Theresa and Machiavelli rolled up into one”
29,
“a bifurcated personality”
30, persona affetta dalla bipolarità di un umore ciclotimico
e dai tratti maniaco-depressivi
31, solo per ricordarne alcuni. Insomma, pareva che
la Great Society e il Vietnam, mondi così lontani da sembrare antagonisti, prodotti
di politiche apparentemente inconciliabili, fossero lo specchio della doppiezza di
Johnson. In realtà, gradualmente, alcuni studiosi
32hanno iniziato a intraprendere
un percorso che li ha condotti ad un progressivo superamento di questa visione un
po’ troppo semplicistica. Ed è partendo proprio da questi che ho individuato un
obiettivo fondamentale di questo lavoro di tesi: se non eliminare, perlomeno
ridimensionare la visione duale del personaggio Lyndon Johnson, e innanzitutto
contribuire a dissipare quell’aurea di negatività, a prescindere dalle verità storiche,
che tale visione avvolge. In breve, restituire a Lyndon Johnson una posizione
storica meno influenzata dalla passionalità e da approcci sbrigativi e più mirata ad
una valutazione meno rigida e schematica. Per dar credito a queste
considerazioni, in particolar modo avvalendomi della consultazione dei documenti
ufficiali della presidenza di LBJ ho dedotto che, almeno in alcuni sensi, tale
dualità, se c’è e quando c’è, è meno evidente di quello che generalmente si
suppone. In certi casi credo di aver verificato come la pulsione ideale che
soggiaceva al Johnson riformatore della Great Society non fosse poi così estranea
da quella del Johnson “cold warrior” impegnato nei combattimenti in Sud-est
asiatico. Innanzi tutto l’attivismo/interventismo di Johnson è un tratto che
accomuna tutte le pratiche del Johnson politico, anche del periodo che precede la
presidenza. E non solo. Direi che è quasi un elemento caratteriale caratteristico
26 Bruno Cartosio, I lunghi anni Sessanta. Movimenti sociali e cultura politica negli Stati Uniti, Feltrinelli, 2012, titolo del capitolo 6, edizione digitale ebook.
27 Irving Bernstein, Guns or Butter. The Presidency of Lyndon Johnson, cit., p. 541.
28 Andrew L. Johns, The legacy of Lyndon B. Johnson, in A Companion to Lyndon B. Johnson, edito da Mitchell B. Lerner, Wiley-Blackwell, 2012, p. 504.
29 Andrew L. Johns, The legacy of Lyndon B. Johnson, in A Companion to Lyndon B. Johnson, edito da Mitchell B. Lerner, cit., p. 504.
30 Andrew L. Johns, The legacy of Lyndon B. Johnson, in A Companion to Lyndon B. Johnson, edito da Mitchell B. Lerner, cit., p. 504.
31 Paola Olimpo, La grande società. Lyndon B. Johnson e la sfida delle riforme sociali negli anni '60, M&B Publishing, 2005, nota 52, capitolo II, p. 100.
32 Tra i quali Randall B. Woods, Patrick O. Cohrs, Steven F. Lawson, Kristin L. Ahlberg e Mario Del Pero.
che pervade e amalgama ogni suo aspetto. In questo senso, ho verificato come
alcune parole d’ordine dell’amministrazione Johnson fossero valide e utilizzabili in
modo quasi intercambiabile sia per gli interventi e le politiche di riforma in politica
interna che in quelli collegati alla conduzione della guerra fredda, e in particolare
alla presenza in Vietnam. Si pensi alla “struggle for freedom”, che nelle intenzioni
di Johnson collegava i minutemen di Concord
33ai soldati del Vietnam, oppure alla
“War on Poverty”, condotta in patria ma, con il programma Food for Peace e Food
for Freedom, nelle intenzioni, da esportare nei paesi bisognosi e nelle zone povere
in oriente. La lotta per i diritti civili per come si era sviluppata ne “the sixties”,
inoltre, sembra strettamente collegata alla guerra fredda, indipendentemente dai
propositi di Johnson. Si considerino le definizioni di “Cold war liberalism” e di
Vietnam come “guerra liberal”
34. Da una parte, lasciare irrisolta la questione dei
diritti in patria esponeva l’amministrazione federale sia a critiche interne, da parte
di un’opinione pubblica sempre più sensibile alle disparità di trattamento, che
internazionali, fra le quali quelle dei paesi africani di recente indipendenza.
Contemporaneamente prestava il fianco alla propaganda e all’attività di
proselitismo del comunismo internazionale. Dall’altra, l’intervento in Vietnam
veniva condotto da soldati pronti a sacrificarsi per esportare la democrazia e la
libertà. Al termine del mio lavoro credo di aver verificato la veridicità di alcune
convinzioni di Randall B. Woods per cui Johnson pareva appoggiare l’ipotesi che il
Vietnam, insieme al movimento per i diritti civili, al Medicare e Medicaid, facessero
parte di un comune disegno legato ad una Great Society globale e, alla fin fine, ad
una idea universale di libertà. Era questa libertà universale, e la lotta per
conquistarla e per mantenerla, che doveva proteggere i popoli dalle ideologie
33 La battaglia di Lexington e Concord, combattuta nell’aprile del 1775, vide affrontarsi le milizie coloniali – che comprendevano i minutemen, uomini che in un minuto dovevano essere pronti al combattimento – e le truppe britanniche. La battaglia vide la vittoria dei primi e segnò l’inizio della Guerra d’indipendenza americana.
34 “La guerra in Vietnam era e doveva essere una guerra liberal. Si poneva il duplice obiettivo di salvare un paese dal comunismo, procedendo alla sua rapida modernizzazione, e di permettere il dispiegamento di un vasto programma riformatore destinato ad ampliare i diritti politici, civili e sociali, a trasformare il volto della democrazia statunitense e a ridefinire e ampliare la stessa idea di cosa dovesse essere la libertà americana. Politica estera e politica interna – impero e libertà – s’intrecciavano così una volta di più: con modalità per molti aspetti nuove; con logiche e obiettivi tradizionali”. Mario Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il Mondo 1776-2011. Editori Laterza. 2014. Edizione digitale ebook.
comuniste ma anche, con le parole di Patrick O. Cohrs, da un “unregulated
capitalism”.
35Vengono, a mio parere, in questo modo superati certi giudizi
precipitosi su alcuni aspetti delle politiche di Johnson. Risultano in questo modo
storiograficamernte poco convincenti le tesi che affermavano una predominante
opportunista del burocrate Johnson negli interventi legati alla Great Society e alla
lotta alla povertà; la sua indubbia ambizione non ha oscurato la sua parte più
sinceramente idealista. Anche l’incapacità di Johnson di uscire dallo stallo
sanguinoso in Vietnam non fu solo il frutto di un suo deciso anticomunismo oppure
della volontà, nell’ottica di salvaguardare la politica di riforme interne, di evitare
accuse di debolezza nei confronti del comunismo e di gratificare i “falchi” e quella
parte degli schieramenti politici statunitensi conservatori che più erano convinti
dell’efficacia di una lotta militare senza quartiere in Indocina
36. Per un certo verso,
fu il suo rapporto con il comunismo internazionale oltre il Vietnam, e cioè
principalmente con la Russia, a dimostrarlo: Johnson perseguì, quando ne ebbe
l’opportunità, politiche conciliative con l'Unione Sovietica, preparando il terreno per
la distensione
37che avrebbe guadagnato spazio negli anni settanta. Fu il
presidente stesso, ormai ritirato a vita privata, a fare chiarezza su alcuni punti
nelle sue memorie raccolte in una biografia da Doris Kearns Goodwin:
35 “The fundamental aspiration of his [di Johnson] foreign policy was to extend the conditions under which human development could flourish unhampered by communist ideologies yet also protected from unregulated capitalism”. Patrick O. Cohrs, Towards a New Deal for the World? Lyndon Johnson’s Aspirations to Renew the Twentieth Century’s Pax Americana, in Beyond the Cold War: Lyndon Johnson and the new global challenges of the 1960s, edited by Francis J. Gavin and Mark Atwood Lawrence, Oxford University Press, 2014, p. 47.
36 “Nelle intenzioni di Johnson, l’intervento in Vietnam doveva servire anche per tutelare la 'grande società' verso cui si indirizzava gran parte delle sue attenzioni. Il mondo conservatore, ostile alla Great Society, non avrebbe potuto accusare Johnson e i democratici di debolezza nei confronti del comunismo, così come aveva fatto nel 1949-50, dopo la vittoria comunista in Cina e lo scoppio della guerra di Corea. Un maggiore impegno militare in Vietnam avrebbe immunizzato la Great Society dagli attacchi della destra, garantendole la necessaria copertura politica”. Mario Del Pero, Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il Mondo 1776-2011, cit., Edizione digitale ebook.
37 “[…] le relazioni tra USA e URSS continuarono a migliorare, a dispetto del Vietnam, e il termine distensione divenne di uso comune. Mentre combatteva ‘l’aggressione comunista’ in Vietnam, Johnson sottolineava pubblicamente la necessità di ‘costruire ponti’ con l’Europa orientale e l’URSS. La bussola della politica estera americana restava la diminuzione del rischio di guerra nucleare. Mosca, Londra e Washington s’impegnarono a non collocare armi atomiche nello spazio, con un trattato firmato nel 1967”. Federico Romero, Storia della guerra fredda. L’ultimo conflitto per l’Europa, cit., p. 185.
“I knew from the start that I was bound to be crucified either way I moved. If
I left the woman I really loved – the Great Society – in order to get involved
with that bitch of a war on the other side of the world, then I would lose
everything at home. All my programs. All my hopes to feed the hungry and
shelter the homeless. All my dreams to provide education and medical
care to the browns and the blacks and the lame and the poor. But if I left
that war and let the communists take over South Vietnam, then I would be
seen as a coward and my nation would be seen as an appeaser, and we
would both find it impossible to accomplish anything for anybody anywhere
on the entire globe”.
38In riferimento a quanto detto sopra, anche le ipotesi che sottolineano il supposto
“provincialismo” di Johnson presente nelle valutazioni di alcuni storici così come le
considerazioni che lo dipingono come un politico con una visione ristretta e in
perenne difficoltà nelle questioni di politica estera, dimostrano, alla luce dei fatti, la
propria inconsistenza. Lyndon Johnson aveva un disegno politico globale, anche
se talvolta non immediatamente identificabile, e una visione politica generale di
vasto respiro e dal carattere ecumenico, molto più unitaria di quanto il prodotto e
le conseguenze reali dei suoi interventi politici possano far supporre
39. La sua
utopia, come spesso – sempre? – accade nella storia di tutte le epoche, si è
infranta nella realtà. In quella tragica della politica estera
40e nel, parziale,
fallimento a medio-lungo termine della svolta liberal-progressista in politica interna.
In linea generale, i meriti e i demeriti di Johnson rimangono tali, difficile negarlo.
Ma in una prospettiva che lo colloca tra i grandi visionari della politica
internazionale del novecento che provarono a cambiare il mondo.
38 Doris Kearns Goodwin, Lyndon Johnson and the American Dream, Open Road Media, 2015, edizione digitale ebook.
39 “[…] a truly Great Society looks beyond its own borders. The freedom, health, and prosperity of all mankind are its proper concern”. Annual Budget Message to the Congress, Fiscal Year 1967. January 24, 1966, p. 68. Lyndon B. Johnson: 1966 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1 – January 1 to June 30, 1966]. United States Government Printing Office. Washington: 1967.
40 La guerra in Vietnam provocò milioni di morti vietnamiti, decine di migliaia di soldati americani e l’impoverimento di centinaia di migliaia di sopravvissuti. Tutta una serie di effetti secondari della guerra segnarono per molti anni sia la società vietnamita che quella americana.
La struttura della tesi.
Il lavoro è diviso in tre parti distinte, dove ogni parte è costituita da un
capitolo. Le prime due sono il prodotto della ricerca su fonti secondarie, la terza su
fonti primarie.
Il primo capitolo è propedeutico. Definisce i tempi e le tematiche più
significative che fanno da sfondo al nucleo centrale tesi ed ha l’obbiettivo primario
di introdurre gli elementi che sono approfonditi nel secondo e analizzati e verificati
con i documenti ufficiali del terzo. Alcune considerazioni generali sul contesto
temporale, i tempi della tesi, e sulla storia dell’eterogenea idea di libertà in
America preludono ad una analisi più dettagliata. In questa parte mi sono
concentrato sul rapporto tra libertà e diritti civili seguita dall’analisi di quello tra
libertà e guerra fredda – divisi in due paragrafi distinti – nell’arco di tempo che
corrisponde più o meno agli anni sessanta, “the sixties”. Dopo una breve analisi
del periodo e dei suoi tratti caratteristici, ho introdotto la complessità delle
valutazioni e delle interpretazioni dell’idea di libertà nella storia degli Stati Uniti,
passando in rassegna quelle di maggiore rilievo. Sono poi passato ad analizzare
le interiezioni di questa con i significati e le modalità della lotta a favore dei diritti
civili nel tempo. L’attenzione si è concentrata sull’inizio del moderno Civil rights
movement propriamente detto, che viene generalmente fissato in coincidenza con
la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che dichiarava incostituzionale la
segregazione razziale nelle scuole pubbliche
41– mentre per il termine si indica
spesso l'assassinio di Martin Luther King Jr..
42L’idea di libertà rivendicata dai neri
afroamericani e promossa dal movimento per i diritti civili andava al di là delle
raffinate distinzioni filosofiche che avevano caratterizzato l’analisi della libertà in
anni precedenti. In un certo senso, l’idea di libertà che si stava imponendo era più
semplice e potente; e significava anche uguaglianza, diritti e opportunità. Gli
episodi drammatici che, dagli anni cinquanta, hanno scandito la crescita della
protesta hanno obbligato l’amministrazione centrale federale americana a
cominciare a porre all’ordine del giorno tutta una serie di interventi impensabili fino
41 Brown v. Board of Education of Topeka, Kansas, 17 maggio 1954. http://caselaw.findlaw.com/us-supreme-court/347/483.html
a pochi anni prima. Il capitolo continua con l’analisi del rapporto tra libertà e guerra
fredda. Nel contesto preso in esame la guerra fredda, se aveva abbandonato le
intemperanze di un clima da caccia alle streghe e l’isteria collettiva che aveva
segnato il decennio precedente, dettava ancora in maniera decisa l’agenda di
politica estera statunitense e influenzava, quindi, pesantemente le scelte di politica
estera dei presidenti Kennedy e Johnson. Erano passati diversi anni ma restava
ancora determinante per le coscienza dei due presidenti lo spirito che aveva
condotto il presidente Truman a considerare la teoria del contenimento sovietico
espressione della libertà statunitense. Anche la “teoria del domino”, enunciata
probabilmente per la prima volta dal presidente Eisenhower, continuava ad
influenzare in maniera decisiva le coscienze politiche durante gli anni di
presidenza dei suoi due successori. John Fitzgerald Kennedy, nel suo discorso
inaugurale, si rivolgeva alle altre nazioni avvisandole che avrebbe fatto qualsiasi
cosa per difendere la libertà. L’enfasi su quel “we shall pay any price […] in order
to assure the survival and the success of liberty“
43non lasciava spazio a
fraintendimenti.
Il secondo capitolo centra il cuore degli argomenti dell’elaborato. Ad un
primo paragrafo che introduce la discussa e interessante figura politica di Lyndon
Johnson – e che comprende anche alcune valutazioni di studiosi e biografi –
seguono i due paragrafi che lo vedono confrontarsi, rispettivamente, prima con la
libertà e i diritti civili, e poi con la libertà e la guerra fredda, seguendo lo schema
già tracciato. I due temi, introdotti nel capitolo precedente, dimostrano quanto
Johnson fosse influenzato, nei suoi principi e nella sua pratica politica, da “the
sixties” ma anche quanto, d’altra parte, rimanesse legato alle idee che lo
mettevano in relazione diretta con Franklin D. Roosevelt e con le politiche del New
Deal. Il capitolo ripercorre la crescita politica di Johnson, soffermandosi
principalmente su quella che si sviluppa durante gli anni della sua presidenza e si
concentra sulla sua idea di libertà e sull’evoluzione che ha avuto. Johnson,
sull’onda dei cambiamenti culturali degli anni sessanta, è andato bel oltre le
convinzioni dei suoi predecessori in materia e l’ha collegata inscindibilmente ai
43 John F. Kennedy's Inaugural Address, 20 January 1961.
principi di uguaglianza, giustizia e pari opportunità. In questa fase ho sottolineato il
percorso che ha condotto gradualmente Johnson alle nette convinzioni nei riguardi
dei diritti civili e delle lotte di emancipazione dei neri come espressioni massime di
libertà, a partire dalle ambiguità e dalle incertezze che lo avevano caratterizzato
negli anni precedenti al periodo di presidenza. Johnson alimentava in tal modo la
propria sensibilità risalente alle esperienze giovanili con le richieste impellenti di
una società in rapido cambiamento. Le parole “Freedom is not enough”
44,
pronunciate in un discorso del giugno 1965
45, rappresentavano un consistente
passo in avanti nella percezione dei diritti civili e della disuguaglianza razziale da
parte delle istituzioni federali americane. L’amministrazione centrale americana si
avvicinava come non era mai successo prima alle rivendicazioni dei neri e del
movimento per i diritti civili, cercando di adoperare in qualche caso anche il solito
linguaggio. Questo è ciò che è successo con le parole “We shall overcome”, titolo
di una canzone di protesta pacifista diventato l’inno del movimento per i diritti civili
in America, che Johnson utilizzò durante un suo discorso al Congresso nel marzo
del 1965. Se nella definizione del rapporto tra libertà e diritti civili Johnson fu, per
certi versi, innovativo in maniera immediatamente riconoscibile, nel caso invece
del rapporto tra libertà e guerra fredda fu, apparentemente, più tradizionalista e
vicino alle convinzioni del suo predecessore alla presidenza. Tale rapporto nella
visione e nella pratica politica di Johnson non può che trovare chiara
esemplificazione nelle intenzioni sottostanti le politiche in Vietnam. In realtà, anche
in questo caso, Lyndon Johnson andò oltre. Johnson era un “cold warrior” e un
anti-comunista di provata convinzione che, pensando alle politiche dell’ERP –
44 Commencement Address at Howard University: “To Fulfill These Rights”, June 4 1965, p. 636. Lyndon B. Johnson: 1965 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2 – June 1 to December 31, 1965]. United States Government Printing Office. Washington: 1966.
45 Alle quali Lyndon Johnson aggiungerà “Rights are not enough”, parole pronunciate in occasione della firma del Voting Rights Act nell’agosto del 1965, e “Freedom from discrimination is not enough”, da un messaggio al Congresso del 28 aprile 1966.
Remarks in the Capitol Rotunda at the Signing of the Voting Rights Act. August 6, 1965 , p. 843. Lyndon B. Johnson: 1965 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2 – June 1 to December 31, 1965]. United States Government Printing Office. Washington: 1966; Special Message to the Congress Proposing Further Legislation To Strengthen Civil Rights. April 28, 1966, p. 466. Lyndon B. Johnson: 1966 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1 – January 1 to June 30, 1966]. United States Government Printing Office. Washington: 1967.
European Recovery Program, detto anche Piano Marshall – del secondo
dopoguerra in Europa, auspicava per le popolazioni del Sud-est asiatico una
liberazione che non fosse limitata all’eliminazione del comunismo ma che, in
maniera non secondaria, implicasse anche il raggiungimento di quella libertà dal
bisogno sulla quale aveva tanto insistito negli interventi di politica interna. La
guerra liberal di cui parla Mario Del Pero.
Il terzo, e ultimo, capitolo propone, sull’analisi del materiale costituente le
fonti dirette, una valutazione del rapporto di LBJ con l’idea di libertà per come
viene citata nei documenti e nei discorsi ufficiali di politica interna ed estera. Viene
mantenuto il criterio utilizzato nei capitoli precedenti. Si tratta, cioè, di focalizzare
l’attenzione su quel materiale che consente, da una parte, di prendere in
considerazione la libertà in relazione ai diritti civili e, dall’altra, di valutare la libertà
in relazione alla guerra fredda, così come sono dedotti dall’analisi dei documenti
ufficiali presidenziali di Lyndon Johnson. Da questa analisi ho verificato alcune
opinioni di qualche studioso citato nel capitolo precedente a questo e ho dedotto
l’importanza dei significati della libertà per Johnson, che fu capace di andare ben
oltre la retorica.
Indicazioni sulle fonti bibliografiche secondarie.
Gli argomenti principali oggetto di questa ricerca sono materia ampiamente
dibattuta da storici, sociologi e studiosi di scienze politiche. Questo fa sì che la
documentazione che costituisce il corpus delle fonti secondarie su cui si basa la
prima parte di questo lavoro sia stata rinvenuta all’interno di una vasta mole di
testi e di materiale bibliografico pubblicato. Reperire una apprezzabile quantità di
tale materiale non è stato quindi un lavoro complicato, anche in virtù degli
strumenti di ricerca messi a disposizione dagli strumenti informatici e da internet e
dalla relativa facilità nel trovare prodotti editoriali nel comodo formato elettronico.
Altra questione è stata cogliere, tra tanta abbondanza, ciò che, ai fini del mio
lavoro, avesse più valore e fosse più significativo. Più vasto è il materiale a
disposizione, più impegnativo è selezionare i testi migliori e concentrarsi su ciò
che realmente merita interesse.
Tante sono le pagine dedicate all’idea e ai significati della libertà negli Stati
Uniti nel corso degli anni fin dalla loro formazione. Filosofi, storici, politologi e
intellettuali di ogni provenienza politica hanno tentato di analizzarla da ogni punto
di vista. Non potrebbe essere altrimenti, considerando cosa ha simboleggiato e
cosa simboleggia ancora oggi per il popolo americano. Dovendo scegliere alcuni
testi principali per iniziare l’analisi di tale argomento ho considerato, tra gli altri, i
lavori di Eric Foner indispensabili; tanto utili per il mio lavoro perché centrati sulla
storia della libertà in America. Sono la dimostrazione di quanto questa visione sia
indispensabile per un serio studio degli Stati Uniti, a partire dalle origini.
Fiumi d’inchiostro sono stati versati per mitizzare, o per denigrare, gli anni
sessanta, “the sixties”, e centinaia di libri stazionano, e hanno stazionato negli
anni, sugli scaffali di biblioteche e librerie. Per non parlare di articoli su giornali e
riviste in occasione di anniversari e ricorrenza. Non si tratta sempre di lavori
qualitativamente eccelsi, per questa ragione ho cercato di dare maggior spazio,
quando possibile, ad autori che fossero studiosi di conclamato valore
internazionale e, tra le loro pubblicazioni, ho prediletto quelle con data di
pubblicazione recente o abbastanza recente. Per fare alcuni nomi, ricordo qui a
titolo di esempio Mark H.Lytle, Terry H. Anderson e David Farber.
Alcune tipologie di materiale sono state escluse in toto e quindi non sono
presenti nella bibliografia perché, con una certa presunzione, non le ho ritenute
sufficientemente attendibili dal punto di vista storiografico. Mi riferisco a tutta
quella letteratura composta dalle tesi complottiste e cospirative che coinvolgono,
con varie modalità e a vari livelli, Lyndon Johnson nell’omicidio di John Fitzgerald
Kennedy
46. Del resto, come ho già ampiamente illustrato, la personalità di Lyndon
Johnson è stata sottoposta per molti anni a forti critiche, è stata analizzata e
psicanalizzata, seppur quasi sempre in modo univoco e riduttivo, e in qualche
caso demonizzata.
46 Tale letteratura, sebbene di scarso valore dal punto di vista scientifico, sembra riscuotere un buon successo di vendite. Per fare alcuni esempi: Barr McClellan, Blood, Money, & Power: How LBJ Killed JFK, Skyhorse Publishing, 2011; Joseph P. Farrell, LBJ and the Conspiracy to Kill Kennedy: A Coalescence of Interests, Adventures Unlimited Press, 2011; Fred T. Newcomb, Murder from Within: Lyndon Johnson's Plot Against President Kennedy, AuthorHouse, 2011; Roger Stone, The Man Who Killed Kennedy: The Case Against LBJ, Skyhorse Pub Co Inc, 2013.
Anche per Johnson sono stati prodotti numerosi lavori biografici molti dei
quali però con un difetto di fondo: l’eterogeneità dell’uomo e del politico è stata
ridotta e talvolta appiattita sul Vietnam e sulle forti ed evidenti responsabilità del
presidente nella condotta disastrosa della guerra. Nel migliore dei casi si è
contrapposto il polo negativo rappresentato dal Vietnam a quello positivo
rappresentato dall’insieme degli interventi racchiusi nell’etichetta della Great
Society, l’universo duale di Lyndon Johnson. Da parte mia, in questo lavoro ho
cercato di dar voce anche, e soprattutto, a quegli autori che hanno cercato di
andare oltre la visione sopra descritta e hanno usato metodi di ricerca che
forniscono un quadro più approfondito e meno schematico. Per fare alcuni nomi
tra questi, Robert Dallek, Sylvia Ellis, Randall B. Woods, Andrew L. Johns, Mary L.
Dudziak e Patrick O. Cohrs. L’obiettivo è stato anche dare importanza a lavori che,
così mi è parso, fossero portatori di idee più originali e meno scontate. Ed è su
questi testi che mi sono soffermato maggiormente e che hanno contribuito a
formare la struttura mentale con la quale ho affrontato l’analisi delle fonti
bibliografiche primarie.
Indicazioni sulle fonti bibliografiche primarie.
La parte di ricerca storiografica sui testi e sulle fonti secondarie è stata
portata a termine con la speranza di essere riuscito nell’intento di tratteggiare, se
pur a grandi linee e in modo sommario, un quadro sufficientemente equilibrato
degli argomenti in oggetto. Come ho già avuto modo di indicare, questo lavoro di
tesi è proseguito con lo sviluppo di una seconda parte costituita dall’analisi delle
fonti primarie contenute nella monumentale raccolta di documenti “The Public
Papers of the Presidents of the United States”, parte della University of Michigan
Digital Library, disponibile integralmente e liberamente consultabile on-line. I
volumi della raccolta coprono le amministrazioni di alcuni presidenti, tra i quali c’è
quella di Lyndon Johnson. Come scritto nella pagina web introduttiva alla
raccolta
47“each Public Papers volume contains the papers and speeches of the
President of the United States that were issued by the Office of the Press
Secretary during the specified time period. The material is presented in
chronological order, and the dates shown in the headings are the dates of the
documents or events”. Anche la sezione che riguarda LBJ è composta da “the
public messages, speeches, and statements of the president”. Sono migliaia di
pagine suddivise in dieci volumi
48in ordine cronologico che coprono l’intero arco
del periodo di presidenza (1963-1969), “the sixties” di Johnson. In realtà si tratta di
cinque libri ognuno dei quali è diviso in due volumi (Book1 e Book2): il primo libro
copre gli anni 1963-1964
49, il secondo il 1965, il terzo il 1966, il quarto il 1967 e il
quinto il 1968-1969
50. Ogni Book1 contiene all’inizio una “foreword” di Lyndon
Johnson e una “preface” scritta da un archivista. La prima consiste nella
proposizione di alcune interessanti riflessioni del presidente sul materiale raccolto,
sul clima politico del periodo preso a riferimento e, spesso con tono apologetico,
sui risultati ottenuti dalla sua amministrazione; la seconda contiene alcune
indicazioni sul trattamento e la presentazione di tutta questa documentazione.
Attraverso la consultazione di tale raccolta ho cercato verifiche o smentite di
alcune opinioni espresse dagli studiosi citati nei capitoli precedenti circa il rapporto
di LBJ con l’idea di libertà; ho cercato, inoltre, in questo modo, di raggiungere una
conoscenza soddisfacente delle caratteristiche di uno dei più tormentati presidenti
degli Stati Uniti. Questa parte della tesi, quindi, ha sostanzialmente tralasciato tutti
48 “Lyndon B. Johnson: 1963-64 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1]”, dal 22 novembre 1963 al 30 giugno 1964; “Lyndon B. Johnson: 1963-64 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2]”, dal 1 luglio al 31 dicembre 1964; “Lyndon B. Johnson: 1965 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1]”, dal 1 gennaio al 31 maggio 1965; “Lyndon B. Johnson: 1965 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2]”, dal 1 giugno al 31 dicembre 1965 ; “Lyndon B. Johnson: 1966 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1]”, dal 1 gennaio al 30 giugno 1966; “Lyndon B. Johnson: 1966 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2]”, dal 1 luglio al 31 dicembre 1966; “Lyndon B. Johnson: 1967 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1]”, dal 1 gennaio al 30 giugno 1967; “Lyndon B. Johnson: 1967 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2]”, dal 1 luglio al 31 dicembre 1967; “Lyndon B. Johnson: 1968-1969 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 1]”, dal 1 gennaio al 30 giugno 1968; “Lyndon B. Johnson: 1968-1969 (in two books) : containing the public messages, speeches, and statements of the president. [Book 2]”, dal 1 luglio 1968 al 20 gennaio 1969.
49 Dal 22 novembre 1963 al 31 dicembre 1964. 50 Dal 1 gennaio 1968 al 20 gennaio 1969.
gli altri aspetti della personalità e della politica di Johnson che sono stati affrontati
nella prima parte della tesi e che sono serviti a introdurre la parte di
approfondimento sulle fonti primarie. La “libertà” è stata il metro di indagine
dell’azione politica del presidente Johnson il quale, al termine del “foreword” del
primo volume della raccolta, recita queste parole: ”[…] for the first time since the
Civil War, we can realistically hope that we are approaching the time of freedom
and complete equality for all our people”
51.
Indicazioni per ulteriori ricerche.
Durante la fase di ricerca e di studio degli argomenti che mi hanno guidato
nella redazione delle pagine di questo lavoro di tesi che seguiranno questa breve
parte introduttiva, mi sono accorto che alcuni temi poco approfonditi nel corso di
questa stesura o quasi completamente sottaciuti, meriterebbero maggiore
attenzione e andrebbero probabilmente affrontati con lavori dedicati.
Mi riferisco, ad esempio, al rapporto di Lyndon Johnson con il “Sud”, non
tanto come espressione geografica quanto piuttosto come categoria politica e
sociale. È innegabile quanto tale rapporto risultasse politicamente determinante
per Johnson che fu, infatti, scelto come vice presidente da Kennedy per prima
cosa in virtù di questa sua appartenenza e dei benefici politici provenienti dal
consenso che gli avrebbe assicurato. Del resto, per gran parte della sua vita
politica alla camera e al senato, Johnson si era spesso comportato come tipico
esponente politico del Sud bianco. Il suo atteggiamento nei confronti dei diritti
civili, la questione aperta dagli scontri razziali e i rapporti con la popolazione nera,
come anche le sue considerazioni in merito al rapporto tra potere statale e potere
federale, sembravano avvicinarlo in più di un caso all’area dei conservatori
democratici “Dixiecrats”
52. Tale impressione, che aveva certamente un fondo di
incontestabile verità, sarebbe poi svanita totalmente con gli anni della sua
51 https://quod.lib.umich.edu/p/ppotpus/4730949.1964.001/10?view=image
52 La parola indica lo “States' Rights Democratic Party”, una formazione politica segregazionista che ebbe vita breve. Nacque nel 1948 nei paesi del Sud come fazione separatista del Partito Democratico, che velocemente la riassorbì. Il termine è poi rimasto nella politica statunitense per indicare i Democratici conservatori del Sud.
presidenza. In realtà Johnson non fu, con tutta probabilità, un tipico uomo del Sud
bianco, o almeno non solo. Lo studioso William Edward Leuchtenburg sottolinea
come Hubert Humphrey, democratico liberal del Nord, amico e collaboratore di
Johnson nonché, con le elezioni 1964, suo vice-presidente, notasse come il
cowboy texano Johnson non considerasse se stesso esclusivamente come un
“Southerner”. Fu anche, e tale si sentì, un “Westerner”. In sostanza soprattutto un
uomo del Texas, la “Lone Star Republic” di un tempo che con le sue peculiarità
storiche continuava a distinguersi dagli altri stati del Sud.
53Partire da queste
considerazioni sul rapporto tra il “Sud” e l’”Ovest” di Lyndon Johnson potrebbe
essere l’obiettivo di una nuova ricerca che mira a far luce su alcuni aspetti dei suoi
comportamenti politici non facili da decifrare.
Un altro argomento su cui porre l’attenzione, a mio avviso, forse ancora più
interessante da analizzare, è il rapporto che Johnson ebbe con la religione. La
sensazione, supportata da alcuni elementi che paiono di una certa valenza
storiografica, è che questo aspetto spesso dimenticato o ritenuto secondario della
sua personalità abbia influito, più o meno direttamente, sulla sua idea di libertà e,
in senso più ampio, su tutta la sua politica a partire dalle sue prime esperienze. Il
Cristianesimo che si impose in America fu un Cristianesimo protestante dove
erano molto forti le “sue espressioni più radicali, quelle di matrice calvinista oppure
evangelica”
54che concorsero a creare “l’idea che gli Stati Uniti avessero un
compito provvidenziale da svolgere [e che] fossero legati con un patto speciale a
Dio – una replica in chiave cristiana dell’antico patto di Dio con Israele”.
55Pur non
avendo una religione ufficiale, il governo federale degli Stati Uniti ha sempre dato
molto credito all’aspetto religioso e alle sue implicazioni sociali e ha posto la libertà
di culto alla base della società americana fin dai tempi delle sue origini. Con la fine
della Seconda Guerra Mondiale si assiste ad un intenso risveglio religioso che
coinvolge anche i vertici della politica e della pubblica amministrazione. In questo
53 William E. Leuchtenburg, The White House Looks South: Franklin D. Roosevelt, Harry S. Truman, Lyndon B. Johnson, Louisiana State University Press, 2005, p. 229; 233.
54 Tiziano Bonazzi, Guerra! Religione e nazione nell’America contemporanea, in Oltre il secolo americano? Gli Stati Uniti prima e dopo l’11 settembre, a cura di Raffaella Baritono e Elisabetta Vezzosi, Carocci editore, 2011, p. 62.
55 Tiziano Bonazzi, Guerra! Religione e nazione nell’America contemporanea, in Oltre il secolo americano, cit., p. 63.