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Utilizzo dell'estratto di tannino di castagno nell'alimentazione della gallina ovaiola

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Dipartimento Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni Animali

Tesi di Laurea

Utilizzo dell’estratto di tannino di castagno

nell’alimentazione della gallina ovaiola

Candidato

Relatore

Dott. ssa Sara Minieri

Sonia Salvucci

Correlatore

Prof. Marco Mariotti

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3

INDICE

1. INTRODUZIONE

pag. 3

1.1

Metaboliti secondari: i composti fenolici pag. 3

1.2

I tannini pag. 6

1.3

Estratto di tannino di castagno ed il suo ruolo nell’alimentazione

animale pag. 9

1.4

Studi sugli animali in produzione zootecnica pag. 12

1.5

Razze ovaiole allevate: Mugellese e Livorno Bianca pag. 14

1.6

Allevamento e alimentazione della gallina ovaiola pag. 19

1.7

Apparato digerente e metabolismo della gallina ovaiola

pag. 22

1.8

Produzione e descrizione dell’uovo pag. 30

1.9

Principi nutritivi del tuorlo pag. 37

1.10 Il colesterolo nell’uomo pag. 40

2. OBIETTIVO

pag. 48

3. MATERIALI E METODI

pag. 50

3.1 Animali, ambiente, disegno sperimentale e dieta pag. 50

(4)

4

3.2 Raccolta delle uova pag. 54

3.3 Analisi approssimativa delle diete e delle uova pag. 54

3.4 Determinazione del profilo degli acidi grassi della dieta e del

tuorlo pag. 55

3.5 Analisi gascromatografica del colesterolo pag. 56

3.6 Analisi del colore del tuorlo pag. 57

3.7 Analisi statistiche pag. 58

4. RISULTATI

pag. 59

4.1

Assunzione della razione, produzione e qualità delle uova

pag. 59

4.2 Profilo degli acidi grassi e contenuto di colesterolo del tuorlo

pag. 62

5. DISCUSSIONE E RISULTATI

pag. 66

6. CONCLUSIONI

pag. 70

7. BIBLIOGRAFIA pag 71

(5)

5

1. INTRODUZIONE

1.1 METABOLITI SECONDARI: I

COMPOSTI FENOLICI

Le piante da sempre sono state fonte di nutrimento e cura per gli esseri viventi. Il loro

duplice compito di produttori di sostanze nutritive e medicinali ha giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione degli organismi erbivori e onnivori.

I vegetali sono in grado di sintetizzare, oltre ai metaboliti primari come carboidrati, lipidi, proteine e vitamine, anche una grande varietà di composti, chiamati metaboliti secondari. Essi vengono prodotti in quantità significative dalle piante, sono sintetizzati

in un organo ben preciso e si accumulano in un organo che può essere diverso da quello deputato alla loro sintesi.

I cosiddetti metaboliti secondari (o speciali) sono molecole con ruoli funzionali ben precisi, volti a difendere in primo luogo le piante dagli stress di natura abiotica (luce, disponibilità di acqua ecc. ) e biotica (attacchi da erbivori, funghi, batteri e virus).

I metaboliti secondari sono caratterizzati da un’enorme variabilità strutturale, presentano centri chirali e diversi gruppi funzionali che ne determinano la specifica attività. Tuttavia, la maggior parte di questi composti appartiene ad un numero limitato di famiglie, ognuna delle quali ha particolari caratteristiche strutturali derivanti dalla loro biosintesi.

Tali composti derivano dai metaboliti primari, infatti le sostanze provenienti da processi fondamentali quali la fotosintesi, la glicolisi ed il ciclo di Krebs possono

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originare intermedi biosintetici denominati “mattoni biosintetici”. Il numero di mattoni

biosintetici necessari a costruire una grande varietà di composti è sorprendentemente piccolo; quelli di gran lunga più importanti nella biosintesi dei metaboliti secondari derivano dall’acetil coenzima A (acetil CoA), dall’acido shikimico e dall’acido mevalonico (fig. 1).

Figura 1. Struttura chimica di: acetil CoA, acido mevalonico e acido shikimico.

La via biosintetica dell’acetil-CoA conduce alla formazione di alcuni fenoli, prostaglandine e antibiotici macrolidi, oltre ad una gamma di acidi grassi e loro derivati. La via dello shikimato genera un’ampia gamma di fenoli derivati dell’acido cinnamico, lignani e alcaloidi. La via del mevalonato infine, è responsabile della

biosintesi di metaboliti terpenici e steroidici. E’ importante notare che i metaboliti secondari possono essere sintetizzati anche combinando mattoni biosintetici dello stesso tipo o diversi; questo ne accresce la varietà strutturale.

Il termine “composti fenolici” comprende un elevato numero di metaboliti

secondari caratterizzati dalla presenza, nella loro struttura chimica, di un anello aromatico con uno o più sostituenti ossidrilici. In alcuni casi la funzione ossidrilica è metilata (il gruppo metile CH₃ è legato ad una base azotata) o glicosilata (alla catena peptidica vengono aggiunti degli zuccheri). Inoltre, possono essere presenti altri

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gruppi funzionali che influenzano le loro proprietà chimico-fisiche. Una caratteristica

distintiva di un sistema aromatico derivante dall’acetato è che i sostituenti ossigenati si trovano legati in maniera alternata ad atomi di carbonio del ciclo.

Sebbene un cospicuo numero di sostanze fenoliche sia stato ritrovato in organismi animali, la presenza della componente fenolica è una caratteristica peculiare dei tessuti vegetali.

I composti fenolici potrebbero essere divisi in 10 classi generali in funzione del

numero di anelli fenolici che essi contengono e degli elementi strutturali che legano questi anelli gli uni agli altri, e ne sono stati descritti più di 8000. Quelli più abbondanti nel regno vegetale sono gli acidi fenolici, i lignani, gli stilbeni e i flavonoidi; tra questi composti, gli acidi fenolici e i flavonoidi rappresentano rispettivamente il 30% e il 60%

dei polifenoli totali assunti con la dieta mediterranea.

La classe dei composti fenolici non è distribuita uniformemente tra le diverse famiglie vegetali e all'interno di una stessa famiglia essi presentano, inoltre, una notevole variabilità di struttura. Queste caratteristiche indicano che i composti fenolici

non hanno un unico ruolo fisiologico, presentano infatti molteplici attività biologiche che sono influenzate dal numero e dalla natura dei gruppi sostituenti presenti sulla struttura base. Per esempio, la presenza di ossidrili fa sì che i composti fenolici possano reagire con specifici gruppi recettori principalmente per mezzo di legami idrogeno, o partecipare a reazioni di ossidazione che permettono loro di svolgere precise funzioni

fisiologiche all’interno della pianta, che vanno ben al di là di una semplice azione di detossificazione e di accumulo nel vacuolo. I pigmenti fenolici, oltre a contribuire al colore di fiori e frutti, possono fungere da odori che attirano sui fiori gli impollinatori. I fiori, infatti, sono il sito della riproduzione sessuale nelle piante da fiore, ed esplicano la loro attrazione sugli impollinatori anche ricorrendo a segnali odorosi che molto spesso,

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sono costituiti da una complessa miscela di composti appartenenti a diverse classi

chimiche.

1.2 I TANNINI

I tannini sono un gruppo eterogeneo di metaboliti secondari di natura fenolica, con

peso molecolare generalmente compreso tra 500 e 4000 dalton, ampiamente presenti nel mondo vegetale, dove si accumulano in grandi quantità in radici, foglie, cortecce, semi, frutti e per le quali svolgono una funzione di difesa dei tessuti. Nel meccanismo di difesa è coinvolta la tipica reattività di queste molecole verso le proteine. Queste proprietà sono alla base del largo impiego dei tannini nei processi industriali,

soprattutto nell’industria conciaria in cui il loro uso rende le pelli imputrescibili e resistenti. Anche l’industria delle bevande beneficia delle loro proprietà annoverandoli tra gli ausiliari del processo produttivo.

I tannini sono molecole polifenoliche comunemente presenti in tutti i vegetali in

quantità più o meno rilevanti, in funzione delle specie e nell’ambito della stessa specie, della parte della pianta (foglia, frutto, seme, ecc.). Nella pianta svolgono essenzialmente un ruolo di difesa contro i patogeni e contro le condizioni ambientali sfavorevoli. L’esempio più classico è fornito dalle galle (fig. 2), protuberanze formate dalle foglie

lesionate da punture di insetto, in cui avvengono sintesi importanti di tannini.

Questi ultimi sono solitamente divisi in due categorie: tannini condensati oppure detti proantocianidine, a cui appartengono i tannini delle leguminose e quelli dell’uva e che si ritrovano generalmente nelle felci, e i tannini idrolizzabili suddivisi a loro volta

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in gallotannini (esteri dell’acido gallico e glucosio) ed in ellagitannini (esteri dell’acido

esaidrossidifenico e glucosio), contenuti ad esempio nel castagno (fig. 3).

Figura 2. Foglia di vite americana attaccata dalla fillossera della vite (Daktulosphaira

vitifoliae).

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Tra le specie, contenenti sia i tannini idrolizzabili che quelli condensati, vi

ritroviamo la quercia e alcune specie di aceri, e per finire nei baccelli di carruba non ancora maturi.

La categoria a cui faremo riferimento, parlando dell’estratto di tannini di castagno è quella dei tannini idrolizzabili, così denominati perché se sottoposti ad attacco acido, liberano rispettivamente acido gallico o acido ellagico assieme ad una molecola di zucchero, legata originariamente con legame di tipo estere. Gli zuccheri coinvolti

possono essere pentosi o esosi: glucosio, lixosio, xilosio.

Castagno (Castanea sativa) e quercia (Quercus spp.) sono le principali fonti di tannini ellagici. In letteratura si riportano valori di massa molecolare dei tannini ellagici compresi tra 900 e 2000 dalton. I tannini ellagici possiedono colorazioni scure,

odori più marcati di legno rispetto ai tannini gallici e sono di solito meno astringenti rispetto ai gallici.

In generale i tannini idrolizzabili non esistono allo stato polimerico, a differenza dei tannini condensati, e al massimo si possono riscontrare molecole composte da due o

tre unità di base.

La proprietà più nota dei tannini è rappresentata dalla loro capacità di legarsi specificatamente e selettivamente alle proteine e ad altre molecole. E’stata proprio la loro capacità di complessare e inattivare gli enzimi digestivi, il motivo per cui storicamente i tannini in zootecnia sono stati considerati soltanto come potenziali

fattori antinutrizionali.

Oggi il ruolo dei tannini è stato rivalutato poiché alla loro presenza in modiche quantità in alcune leguminose foraggere si riconosce la capacità di proteggere le proteine senza deprimerne la digeribilità. Infatti quando i tessuti vegetali si rompono, come avviene durante la masticazione degli animali, i tannini vengono liberati e si

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legano alle proteine dell’alimento formando dei complessi. Questi complessi sono

stabili e insolubili nell’ambiente leggermente acido del rumine, ma si solubilizzano e rilasciano le proteine a livello intestinale a causa del cambio di pH (moderatamente alcalino), mantenendo sostanzialmente inalterato il loro valore nutritivo. Quindi costituiscono un vantaggio nutrizionale, poiché aumentano la frazione delle proteine by-passabili.

1.3 ESTRATTO DI TANNINO DI

CASTAGNO ED IL SUO RUOLO NELL’

ALIMENTAZIONE ANIMALE

L’estratto di tannino di castagno è un prodotto completamente naturale che deriva dal legno del castagno. Il legno sotto forma di tronchi e tondelli, dopo un periodo di adeguata stagionatura, viene prima scortecciato, ridotto in scaglie (cippato) e quindi lavato. Successivamente il materiale così ottenuto viene immesso in autoclavi con l’aggiunta di acqua calda priva di additivi chimici per un’estrazione in corrente di

vapore dei tannini e di altre sostanze idrosolubili contenute nel legno.

I composti fenolici purificati come i tannini sono però difficili da ottenere, quindi vi è un crescente interesse per l’estratto di tannino che a volte ha anche una migliore attività antiossidante rispetto a quella delle molecole pure (Calliste et al., 2005).

La messa al bando degli antibiotici come promotori di crescita in alimentazione animale ha aperto la strada alla ricerca di nuovi prodotti che potessero sostituirli adeguatamente, senza creare il problema della resistenza ai patogeni. I tannini condensati erano già noti in letteratura come antimicrobici selettivi, ma poco si sapeva

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sui tannini idrolizzabili, come il tannino di castagno. Provato come additivo nella dieta

di alcune specie di interesse zootecnico, il tannino di castagno ha fornito risultati inattesi. In particolare, ha influito positivamente sul bilancio metabolico dell’azoto di suini, boiler e pecore da latte, migliorando il profilo in acidi grassi del latte ovino prodotto.

L’uso dell’estratto di tannino nell’alimentazione del pollame è limitato dall’ effetto antinutrizionale responsabile della diminuzione di digeribilità della materia organica e,

di conseguenza, della performance di crescita o di una depressione nella produzione di uova (Chang and Fuller, 1964; Ahmed et al., 1991; Longstaff and McNab, 1991a, 1991b; Trevino et al., 1992; Giner-Chavez et al., 1996; Smulikowska et al., 2001; Garcia et al., 2004).

La letteratura ha riportato dati controversi probabilmente perché le proprietà dei tannini sono fortemente legate alla loro origine e alcuni di loro, se usati in dosi appropriate, possono aiutare a prevenire uno sviluppo indesiderato della microflora intestinale (Scalbert, 1991; Chung et al., 1998).

Diversi autori, studiando sull’influenza dell’estratto di tannino di castagno, hanno scoperto che l’uso di queste sostanze nell’alimentazione del pollame non ha influenzato il bilancio dell’azoto, la digeribilità dei nutrienti, la disponibilità minerale, il peso corporeo, il rapporto di conversione degli alimenti e la qualità della carcassa (Salobir et al., 2008; Schiavone et al., 2008; Jamroz et al., 2009).

Inoltre i tannini di castagno sono anche efficaci contro le coccidiosi e contro l’enterite necrotica nel pollame (Elizondo et al., 2010; Bole-Hribovsek et al., 2012; Tosi et al., 2013).

Al contrario, sono state riportate poche informazioni sul ruolo dell’estratto di tannino nell’alimentazione delle galline ovaiole perché la maggior parte degli studi

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trattano l’uso dei tannini condensati (Sell et al., 1983; Jacob et al., 1996; Marzoni et al.,

2005; Imik, 2009).

La sensibilità della gallina ai tannini inseriti nella dieta, varia in base alla loro capacità di denaturare questi composti attraverso gli enzimi digestivi e diversi autori hanno osservato una notevole diminuzione della produzione di uova e un aumento nella frequenza di chiazze nel tuorlo anche con bassi livelli di tannini inclusi nella dieta (Chang and Fuller 1964; Vohra et al., 1966; Fuller et al., 1967; Begovic et al., 1978).

Una prova in vitro sulla capacità del tannino di castagno di controllare l’infezione da Clostridium perfringens nei broiler ha chiaramente dimostrato che ha una forte azione protettrice contro questo patogeno a partire dalla concentrazione dello 0.8% in acqua distillata (Tosi et al., 2003).

Inoltre i tannini sono utilizzati anche in agricoltura e sono stati considerati nel tempo soprattutto in riferimento al settore enologico, solo di recente si è pensato all’applicazione di tali prodotti nel settore della fertilizzazione, come agenti in grado di modificare il rilascio dell’azoto, aumentare l’effetto starter del fosforo e complessare il

ferro.

Anche nel campo alimentare ed in particolare in quello nutraceutico e biomedicale, le caratteristiche antiossidanti e antimicrobiche di estratti e frazioni specifiche di tannini di castagno stanno aprendo interessanti prospettive per la messa a punto di prodotti e processi innovativi per il benessere dell’uomo e degli animali.

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1.4 STUDI SUGLI ANIMALI IN

PRODUZIONE ZOOTECNICA

Negli animali la dimensione della diminuzione della digeribilità apparente dell’azoto e

l’aumento dell’azoto fecale sono indicatori affidabili dell’attività dei tannini condensati. Negli animali alimentati con diete ricche di azoto e tannini condensati, la depressione della proteina grezza digeribile, non spiega completamente la depressione della ritenzione azotata e questo è il punto focale delle ricerche sugli effetti post-ruminali dei tannini condensati. Queste questioni ci sollecitano ad una migliore comprensione

dell’effetto dei tannini sui processi sia ruminali che post-ruminali. Ricerche recenti suggeriscono che il rilascio di azoto nel rumine possa essere mediato soprattutto da proteasi di origine vegetale piuttosto che microbica.

Il fatto che i tannini siano più strettamente associati alle proteine vegetali che a

quelle microbiche ci porta alla necessità di una migliore conoscenza del meccanismo di rilascio di azoto nel rumine e del ruolo della pianta verso gli enzimi microbici nella mediazione di questa reazione.

Nelle vacche da latte bassi livelli di tannini condensati aumentano la produzione di latte nell’ultima fase della lattazione. Il meccanismo non è completamente chiaro ma

può essere dovuto ad un incremento della proteina metabolizzabile o all’assorbimento alterato degli aminoacidi.

Nel bovino da carne l’estratto di tannino di castagno ha un forte effetto astringente e per questa proprietà può essere impiegato nel trattamento di fenomeni diarroici. Inoltre svolge una funzione molto importante a livello intestinale poiché accresce

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attraverso la disgregazione batterica degli alimenti operata dalla microflora

dell’apparato digestivo, e attraverso la creazione di legami intermolecolari tra proteine alimentari e l’estratto naturale di castagno, con formazione di complessi meno aggregabili nel rumine, ma totalmente assimilabili in seguito. In questo modo le proteine vengono protette dall’aggressione batterica ruminale. Inoltre l’inserimento dell’estratto di castagno nella preparazione di alimenti zootecnici, riduce drasticamente le perdite energetiche dell’animale durante l’azione digestiva senza

ridurre la proteosintesi microbica e con un idoneo sfruttamento dell’alimento somministrato (Dell’Orto et al., 2005).

Nelle diete dei polli si può usare il sorgo contenente tannini condensati fino allo 0,6% senza che il consumo di sostanza secca sia compromesso. Comunque ad un livello

superiore all’1,5% sulla sostanza secca nell’alimentazione delle papere determina uno spreco di proteine endogene e un’inibizione dell’attività enzimatica gastro-enterica.

In contrapposizione a questo, i tannini condensati possono avere effetti positivi sulle prestazioni produttive degli animali attraverso la protezione dal meteorismo,

potenziali proprietà anti-elmintiche o possono aumentare la resistenza degli animali alle infezioni da nematodi.

L’estratto di tannino idrolizzabile è stato testato per il controllo della proliferazione di Clostridium perfringens nell’intestino di boiler da carne, infettati tramite sonda gastrica prima con tre ceppi di coccidi (Eimeria tenella, Eimeria

acervulina, Eimeria maxima) all’età di 10 giorni, e poi con Clostridium perfringens

all’età di 15 giorni (Tosi et al., 2013). Il trattamento ha previsto l’utilizzo di una dieta base composta da mais (575 g/kg di tal quale), farina di soia (100 g/kg di tal quale), crusca di orzo (220 g/kg di tal quale), mais senza glutine (30 g/kg di tal quale), olio di semi di soia (25 g/kg di tal quale), premix di vitamine e minerali (49,5 g/kg di tal

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quale), e altre quattro diete ottenute con l’aggiunta dell’estratto di tannino (1,5; 3; 5 e

12 g/kg durante la prima settimana, 10 g/kg durante la seconda settimana e 8 g/kg durante le ultime due settimane) alla dieta base.

I risultati dimostrano che l’estratto di tannino di castagno è efficace anche a bassi livelli di concentrazione nei mangimi (1,5-3,0 g/kg) contro l’infezione da Clostridium

perfringens.

Inoltre, è stato recentemente dimostrato che l’estratto di tannino è efficiente nel

controllo dell’enterite necrotica del pollo, a livelli maggiori di 5,0 g/kg.

1.5 RAZZE OVAIOLE ALLEVATE:

MUGELLESE E LIVORNO BIANCA

Le razze di galline ovaiole utilizzate per questa prova sperimentale sono la Mugellese e

la Livorno Bianca, entrambe razze autoctone della Toscana.

La gallina ovaiola di razza Mugellese è originaria del comprensorio del Mugello nella provincia di Firenze, è una razza utilizzata da tempo immemorabile nel Mugello per le sue buone caratteristiche di cova, infatti, veniva utilizzata per covare le uova del

fagiano, del pollo da carne e di altre razze di ovaiole. Una volta poste una quindicina di uova nel nido, nella gallina insorge l’istinto di cova, che prosegue a volte, covata dopo covata, per quasi tutto l’anno.

Non sono state trovate fonti bibliografiche dove hanno utilizzato la razza Mugellese, se non una consolidata memoria orale tramandata dalle popolazioni locali.

Questa mancanza è probabilmente dovuta al fatto che non la si riteneva a tutti gli effetti una razza da reddito, pertanto sfuggiva ai periodici censimenti sulle razze locali volti

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ad evidenziare le razze più produttive e non aveva sbocco neppure come razza da

carne visto le ridotte dimensioni.

E’ comunque una razza “recente” nella sua formazione e caratteristica di piccole realtà di nicchia: gli avicoli nani si collocano come introduzione in Italia nel periodo in cui fanno il loro ingresso le razze asiatiche (Cocincina, Brama, Langshan ecc.), momento in cui cominciò anche il meticciamento fra razze asiatiche e mediterranee. Tutto ciò non deve stupire in quanto l’Asia, patria delle razze selvatiche progenitrici, fu

il punto di partenza a più riprese per la diffusione mondiale del pollo.

E’ ampiamente diffusa su tutto il territorio, ogni famiglia contadina ne possiede almeno una coppia, per le buone capacità di cova sopra citate.

La gallina Mugellese è assimilabile ad un pollo nano di piccole dimensioni circa

0,700-0,800 kg, infatti nel Mugello è diffuso il proverbio “la gallina Mugellese a due anni dimostra un mese”. La struttura ossea è di media grandezza e ben solida.

Le caratteristiche morfologiche delineano la testa rotonda di media grandezza, il collo ben arcuato con spalle larghe, ali abbastanza lunghe e orizzontali, il petto largo e

portato alto, il ventre ben sviluppato (soprattutto nelle galline in deposizione) e il tronco cilindrico, non troppo allungato, specialmente nella gallina. Gli occhi sono vivaci, la coda è portata alta sia nei maschi che nelle femmine, le zampe sono non troppo evidenti ed i tarsi sono piuttosto corti, nudi e di colore chiaro. La pelle è fine e rosea. Il collo è ben arcuato e ricco di penne lanceolate. La cresta è semplice a 4-6 denti, è

abbondante nel gallo e piuttosto piccola nella femmina, nella quale è pendente da un lato durante la deposizione.

Il piumaggio è abbondante e ben aderente al corpo, i maschi sono generalmente di colorazione dorata scura mentre le femmine possono essere color frumento, nere o dorate (fig. 4). Alla nascita i pulcini si presentano tutti di un giallo molto pallido,

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uniforme, quasi biancastro, ma alla comparsa delle prime penne è già possibile

riconoscere il sesso.

Figura 4. Galline e gallo di razza Mugellese.

Nonostante le piccole dimensioni sono soggetti assai rustici, resistenti e longevi.

Purtroppo i continui incroci con altre razze nane stanno mettendo in serio pericolo la sua sopravvivenza ed è sempre più difficile imbattersi in soggetti di morfologia corretta.

Non presentano grandi difficoltà nell’allevamento, vengono allevati all’aperto tutto l’anno, senza necessitare di particolari accorgimenti.

Le uova deposte, annualmente un centinaio, sono piccole e dal guscio bianco. La carne di questa razza è da sempre riconosciuta come eccellente.

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La razza Livorno Bianca o Livornese, chiamata anche “pollo italiano” è nota

internazionalmente con il nome di Leghorn. Le origini non sono chiare, probabilmente proviene dall’Italia centrale dove è stata selezionata usando polli leggeri allevati nelle campagne toscane, il nome deriva dal porto dal quale nel 1828 questi animali partirono per l’America centrale. Infatti intorno al 1950 si potevano contare alcuni ceppi ben definiti e precisamente la Leghorn americana, la Leghorn canadese e la Leghorn inglese. Nel volgere degli anni per questa razza sono poi nati specifici standard

nazionali, si parla quindi di Leghorn olandese, Leghorn inglese, Leghorn americana, Italiener tedesca (Italiana) e solo recentemente gli allevatori italiani hanno come riferimento per la loro selezione lo Standard Italiano della Livorno tipologia autoctona (FIAV).

Si deve infatti considerare che la generale trascuratezza in cui venivano tenute le razze italiane obbligava gli allevatori italiani ad approvvigionarsi di riproduttori presso la vicina Germania, potendo così ottenere solo animali di razza “Italianer selezione tedesca” che molto differiscono dall’animale originario.

La Livorno autoctona (fig. 5) è una razza più snella e più alta sui tarsi rispetto all’Italianer selezione tedesca, il collo portato eretto e leggermente arcuato gli conferisce un’aria vivace e sempre all’erta, la coda è portata con un angolo di 40-45° nel gallo, 30-35° nella gallina.

Il tronco è cilindrico, mediamente lungo, leggermente inclinato verso la groppa. I

tarsi hanno un’ossatura fine e sono di colore giallo intenso, il ventre è ben sviluppato specialmente nella gallina. La cresta è semplice, a cinque denti, di media grandezza, portata eretta nel gallo, piegata dopo il secondo dente nelle galline. I bargigli sono ovali, di lunghezza media, l’orecchione è bianco, disteso, liscio e senza alcuna traccia di

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rosso. Il peso del gallo varia tra i 2,000 e i 2,500 kg, quello della gallina varia tra 1,700 e

2,000 kg.

Figura 5. Gallina livornese bianca.

Le colorazioni varietali attualmente diffuse sono: Livorno Bianca, Livorno Collo Argento, Livorno Collo Oro, Livorno Fulva, Livorno Nera. Altre varietà sono la Barrata, la Blu, la Collo Arancio e la Pile. Attualmente nuove colorazioni non vengono ammesse allo Standard Nazionale poiché risulta prioritario concentrare tutti gli sforzi sull’ottenimento di animali di classe superiore pienamente aderenti allo Standard

proposto.

La capacità di deposizione della Livorno Bianca è eccellente, può raggiungere produzioni medie annuali assai elevate, da 280 fino a 300-320 uova a guscio bianco del peso di 52-55 g. La preferenza dei consumatori per le uova a guscio pigmentato sembra

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rinnovato interesse riguardo i prodotti tipici in un’ottica di recupero delle produzioni

nazionali sembra poter essere il fattore scatenante.

1.6 ALLEVAMENTO E ALIMENTAZIONE

DELLE GALLINE OVAIOLE

Le ovaiole prese in considerazione nella prova provengono da razze rustiche e il tipo di allevamento utilizzato è quello all’aperto, nel quale gli animali hanno accesso ad un’area esterna con un minimo di 4 m² di spazio per gallina. Quest’area è nelle

vicinanze del pollaio e l’uscita all’aperto è garantita illimitatamente durante il giorno. Nell’allevamento all’aperto le galline ovaiole hanno a disposizione un ricovero al riparo dalle intemperie, dotato di mangiatoie, abbeveratoi e nidi.

Le galline ovaiole hanno bisogno di ricevere 14 ore di luce al giorno in maniera

costante per cui devono disporre di uno spazio all’aperto in cui possano muoversi e razzolare (fig. 6).

Le ovaiole, in questo tipo di allevamento, possono nutrirsi di insetti , lombrichi, vermi, erba e minerali dal terreno ma non riescono ad autoalimentarsi senza la somministrazione di ulteriori mangimi. I mangimi utilizzati per l’alimentazione della

gallina ovaiola a terra sono prevalentemente composti da granoturco e sfarinato. L’alimentazione ha un ruolo di primaria importanza nell’allevamento animale e degli avicoli in particolare, poiché costituisce il mezzo principale per esaltare al massimo il valore genetico degli animali.

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Figura 6. Livorno Bianca e Mugellese nell’allevamento dell’Università di Agraria a

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somministrazione di ulteriori mangimi. I mangimi utilizzati per l’alimentazione della

gallina ovaiola a terra sono prevalentemente composti da granoturco e sfarinato.

L’alimentazione ha un ruolo di primaria importanza nell’allevamento animale e degli avicoli in particolare, poiché costituisce il mezzo principale per esaltare al massimo il valore genetico degli animali.

L’alimentazione inoltre influenza le condizioni sanitarie degli animali perché un organismo ben nutrito presenta un’efficiente resistenza agli agenti patogeni. E’ infine

un fattore economico di indiscussa importanza, esplicando un peso preponderante nel costo di produzione e contribuendo a determinare le performance e le caratteristiche organolettiche dei prodotti.

Con l’allevamento a terra le ovaiole hanno la possibilità di razzolare nel terreno per

cercare insetti e lombrichi o di fare il “bagno” nella sabbia per liberarsi dai parassiti e dagli acari in modo da mantenere più salubre il piumaggio. Nella zona di pascolo è importante assicurarsi l’assenza di cani, volpi, donnole o altri carnivori che potrebbero attaccare le galline, attraverso l’utilizzo di una recinzione.

Nei periodi più caldi le ovaiole hanno bisogno di zone di ombra e di acqua fresca. Per favorire la deposizione delle uova, mettiamo della paglia o dell’erba secca nel nido. Le uova devono essere raccolte costantemente per evitare che possano essere rotte dalle galline stesse. In estate la produzione aumenta perché aumentano le ore di luce, mentre in inverno possiamo notare una produzione ridotta per una diminuzione delle

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1.7 APPARATO DIGERENTE E

METABOLISMO DELLA GALLINA

OVAIOLA

L’apparato digerente è costituito da un lungo tubo che presenta dilatazioni, restringimenti e curvature. Può essere suddiviso in due porzioni, una anteriore che

comprende la cavità orale, la faringe, l’esofago, il gozzo o ingluvie, lo stomaco ghiandolare e quello muscolare e una posteriore che include l’intestino tenue, il crasso, il cieco e la cloaca.

All’apparato digerente sono annesse due grosse ghiandole, il fegato e il pancreas. La cavità orale degli uccelli è molto diversa da quella dei mammiferi perché mancante

di labbra, guance, denti e velopendulo. Queste particolari caratteristiche anatomiche fanno sì che negli uccelli manchi una masticazione vera e propria.

Sul pavimento della bocca poggia la lingua, stretta ed appuntita. Il palato è incompleto per la mancata fusione dei processi palatini per cui la cavità orale comunica ampiamente con le fosse nasali. Nella bocca si trovano numerose ghiandole mucose e

sierose, il cui secreto esplica una funzione emolliente.

La faringe è comune alle vie digerenti e a quelle respiratorie. L’esofago è un tubo muscolare che dalla faringe si porta allo stomaco ghiandolare percorrendo tutta la regione del collo; prima di immettersi nel torace si dilata in un sacco, detto gozzo o

ingluvie, che rappresenta un serbatoio dove il cibo sosta per alcune ore, subendo un processo di rammollimento. Il ritmo col quale il gozzo si vuota dipende da vari fattori, quali la quantità e qualità degli alimenti ingeriti, la mancanza di acqua.

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Le contrazioni peristaltiche del gozzo hanno inizio nell’esofago e proseguono fino

alla porzione distale dello stesso.

Al gozzo fa seguito lo stomaco ghiandolare o proventricolo poco sviluppato, con l’asse maggiore situato tra i due lobi del fegato (fig. 7).

Figura 7. Apparato digerente degli avicoli.

La parete interna dello stomaco è costituita da una tonaca muscolare e da una sottomucosa nella quale hanno sede numerosissime ghiandole che secernono il “succo gastrico”, un liquido a reazione acida, contenente: acqua, acido cloridrico e un proenzima (il pepsinogeno). L’azione catalitica dell’acido cloridrico trasforma il pepsinogeno in pepsina, enzima proteolitico che scinde le proteine in polipeptidi e

peptoni. L’acido cloridrico acidifica il contenuto del proventricolo, concorrendo alla digestione delle proteine. In questo tratto dell’apparato digerente sarebbe secreta anche l’amilasi, enzima che collabora alla scissione dei polisaccaridi.

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Nel proventricolo gli alimenti stazionano per un periodo molto breve, sufficiente

affinchè il bolo alimentare si arricchisca dei secreti suddetti.

Il ventriglio è un organo muscolare a forma di lente biconvessa, rivestito esternamente da una membrana tendinea e internamente da un epitelio corneificato che svolge funzione di triturazione ed omogeneizzazione degli alimenti, poiché è provvisto di una muscolatura molto forte. Il grado di acidità del ventriglio è leggermente inferiore a quella del proventricolo (da 2 a 2,5) e consente di mantenere

l’attività proteolitica della pepsina.

L’intestino tenue comprende duodeno, digiuno ed ileo. Il duodeno ha la forma di un’ansa, tra i cui rami è compreso il pancreas. Gli enzimi prodotti dalle pareti intestinali e attivati dal succo pancreatico e dalla pepsina completano i processi

digestivi consistenti nella rottura dei peptidi in aminoacidi, e del saccarosio e maltosio in zuccheri semplici.

Nel pollo il cieco è formato da due appendici ben sviluppate ed è provvisto di numerosi villi e di tessuto linfoide. In corrispondenza degli orifizi ciecali inizia il colon,

cui fa seguito il retto che termina nella cloaca.

La cloaca è un organo tubolare ove confluiscono i sistemi digerente, urinario e genitale (fig. 8). Comprende il coprodeum, diretta prosecuzione del retto, l’urodeum dove sboccano gli ureteri e i condotti genitali, il proctodeum dove si apre un organo di natura linfoide, denominato Borsa di Fabrizio molto sviluppata nei giovani, con una

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Figura 8. Rappresentazione schematica della cloaca di un avicolo in sezione

longitudinale.

Le ghiandole annesse all’apparato digerente attraverso dei dotti che sboccano nell’intestino tenue, secernono delle sostanze indispensabili alla digestione ed

all’assimilazione degli alimenti.

Il fegato ha colore rosso scuro, è formato da due lobi di cui quello destro è più sviluppato. Dietro al lobo destro c’è la cistifellea che presenta due dotti: quello epatico che si collega col lobo sinistro e il dotto cistico con quello destro.

Le funzioni del fegato sono molteplici e molto importanti: depura l’organismo

annullando l’azione tossica di alcune sostanze; trasforma gli zuccheri in glicogeno, cioè in riserve energetiche; concorre al metabolismo lipidico e proteico, immagazzina alcune vitamine, provvede alla formazione delle proteine del plasma, inattiva gli ormoni polipeptidici, secerne la bile.

La bile è un liquido viscoso di colore gialloverdastro, leggermente acido che non contiene enzimi. La sua funzione è di neutralizzare l’acidità dell’apparato digerente e di consentire la digestione dei grassi emulsionandoli, dando quindi la possibilità alle lipasi, secrete dal pancreas, di aggredirli, rendendoli assimilabili. La bile inoltre facilità

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l’eliminazione del colesterolo e dell’emoglobina attraverso la bilirubina e biliverdina,

responsabili del caratteristico colore della stessa.

Il pancreas è una ghiandola molto sviluppata, di colore giallastro, situata tra due anse del duodeno. E’ formata, nei polli, da tre lobi, ognuno dei quali possiede un proprio dotto, che sbocca nel duodeno. Produce il succo pancreatico che neutralizza la secrezione acida del proventricolo. La secrezione pancreatica è ricchissima in enzimi proteolitici (tripsinogeno, chimotripsinogeno A-B, procarbossipeptidasi A-B,

collagenasi), lipolitici (lipasi, esterasi), amilolitici (amilasi) e nucleo litici (ribonucleasi, desossiribonucleasi) che hanno un ruolo importantissimo nella digestione degli alimenti.

Il livello di ingestione degli animali è influenzato da molteplici fattori quali: il tipo

genetico, il livello produttivo, la tecnica di allevamento, la temperatura ambientale, l’appetibilità. In condizioni standard tuttavia il consumo di alimento è determinato principalmente dal contenuto in energia metabolizzabile della razione.

La quasi totalità degli alimenti che l’animale ingerisce deve subire una serie di

trasformazioni e di scissioni chimiche per essere assorbita. Tali modificazioni vengono operate soprattutto dagli enzimi secreti nei vari tratti dell’apparato digerente. Gli enzimi sono proteine complesse che funzionano da catalizzatori specifici di alcuni processi chimici; processi che sono controllati anche da altri fattori quali per esempio il grado di acidità e la presenza di un’adeguata flora microbica intestinale.

Il tempo occorrente per percorrere l’intero apparato digerente dipende soprattutto dalla durata della sosta nel ventriglio e quindi dalla natura dei componenti la razione. Se la miscela è uno sfarinato fine, il passaggio è rapido, se invece è grossolano, la sosta è molto più lunga (alcune ore). In generale l’alimento ingerito percorre l’intero apparato digerente in circa 16-26 ore. La velocità digestiva risulta anche influenzata

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dall’attività produttiva: nelle ovaiole in deposizione, risulta più rapida che in quelle che

non depongono. Un’illuminazione intensa, infine, accelera la velocità di digestione. Le proteine, per essere assimilate, devono essere scisse in aminoacidi, operazione che inizia a livello del proventricolo e si conclude nel tenue. Appena gli alimenti sono ingeriti si ha, per azione stimolante del vago sulla mucosa dello stomaco ghiandolare, la produzione del succo gastrico il cui grado di acidità, che nello stomaco vuoto è elevato (1,5-2,0 pH), diminuisce sensibilmente (2,4-5,0 pH) determinando la rottura dei legami

delle molecole proteiche, dando quindi la possibilità alla pepsina di scindere le proteine in polipeptidi ed in peptoni che, a loro volta, verranno definitivamente scissi, per azione dei succhi pancreatici ed enterici, in aminoacidi. Alcune proteine (per es. le γ-globuline con attività immunizzante) passano direttamente nel sistema linfatico. Il

pollo può quindi trasferire direttamente nell’uovo, alcuni anticorpi di determinate malattie (es. morbo di Newcastle, bronchite infettiva) in modo simile a quanto si riscontra nei mammiferi lattanti che assorbono anticorpi già preformati dalla madre attraverso il colostro.

Gli aminoacidi, risultanti dalla digestione delle proteine della dieta, sono utilizzati dall’organismo per ricostituire vecchi tessuti o per formarne dei nuovi. Non tutti gli aminoacidi sono indispensabili, molti possono essere prodotti dall’organismo (aminoacidi non essenziali), altri invece lo sono in quantità insufficiente o non lo sono affatto e quindi devono essere forniti dalla dieta (aminoacidi essenziali). Degli

aminoacidi noti, 10 sono sicuramente indispensabili per il pollame e tutti sono necessari per il mantenimento e per la produzione (tab. 1).

Gli aminoacidi eccedenti le esigenze dell’organismo vengono utilizzati per fini energetici dopo essere sottoposti ad un processo di deaminazione. L’azoto espulso viene escreto come acido urico nelle urine e come urato nelle feci.

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Tabella 1. Aminoacidi essenziali e non essenziali, nella dieta del pulcino.

Aminoacidi essenziali Aminoacidi non essenziali

Arginina

Fenilalanina

Istidina Alanina

Isoleucina Ac. Aspartico

Leucina Ac. Glutammico

Lisina Glicina

Metionina Idrossiprolina

Treonina Prolina

Triptofano Serina

Valina

Il metabolismo degli zuccheri consiste nell’assimilazione di composti chimici più o meno complessi (zuccheri semplici, amidi, emicellulose, cellulose, pentosani, lignine) che devono essere scissi in zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, maltosio).

L’amido è contenuto negli alimenti sotto forma di granuli insolubili non attaccabili dagli enzimi, pertanto la sua digestione è subordinata alla rottura dei granuli, ottenuta

attraverso il rammollimento (gozzo) e la triturazione (ventriglio) degli alimenti. Queste operazioni sono indispensabili per consentire l’intervento degli enzimi enterici e del succo pancreatico, che scindono i polisaccaridi in zuccheri semplici. La digestione dei carboidrati si compie definitivamente nell’intestino tenue.

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Gli zuccheri semplici vengono utilizzati dall’organismo quali fornitori di energia e

vengono depositati nel fegato e in altri siti sotto forma di glicogeno. La capacità di stoccaggio del glicogeno è limitata per cui l’energia ancora eccedente viene depositata sotto forma di grasso.

Ogni qualvolta l’organismo lo richieda il glicogeno immagazzinato è scisso in glucosio e quindi trasferito, tramite il sangue, ai vari tessuti.

La fibra grezza è costituita principalmente da emicellulosa, cellulosa e lignina.

Mentre la lignina non è affatto digerita, lo sono, almeno in parte, la cellulosa e le emicellulose con l’aiuto della microflora ciecale.

Rispetto ad altri monogastrici, il pollo assimila molto limitatamente la fibra grezza che costituisce quindi una “zavorra”, atta unicamente ad aumentare il volume del

contenuto intestinale e a favorire la peristalsi.

La digestione dei grassi comporta la loro solubilizzazione e la successiva trasformazione in acidi grassi e glicerolo, operazioni che si svolgono nell’intestino tenue ad opera della bile e della lipasi pancreatica.

I grassi vengono emulsionati dai sali biliari, quindi resi solubili per azione idrolitica della lipasi pancreatica ed infine assorbiti e trasportati per via linfatica e attraverso la vena porta al fegato, ove vengono ceduti all’organismo ed in parte immagazzinati.

La digestione dei grassi inizia già nello stomaco muscolare: circa il 30% dei trigliceridi dietetici vengono infatti idrolizzati nel ventriglio. Gli acidi grassi vengono

utilizzati principalmente come fornitori di energia e, se in eccesso, depositati nei tessuti di riserva.

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1.8 PRODUZIONE E DESCRIZIONE

DELL’UOVO

Dal punto di vista biologico l’uovo è una cellula riproduttiva femminile che, una volta fecondata, contiene la completa informazione genetica per una nuova vita.

Nel caso degli uccelli, in aggiunta all’informazione genetica, l’uovo contiene tutti i nutrienti necessari per la crescita dell’embrione ed è inoltre dotato di un rigido guscio

protettivo che isola e protegge l’embrione, permettendo comunque gli scambi gassosi con l’esterno. Per definizione l’uovo ad uso alimentare è quello non fecondato di gallina cioè della specie Gallus domesticus.

L’apparato genitale femminile comprende l’ovaio e l’ovidutto di sinistra, mentre

quelli di destra restano vestigiali.

L’ovaio è un organo a forma di grappolo, situato a sinistra nella regione sottolombare. Prima della pubertà è piccolissimo e presenta granuli biancastri che rappresentano altrettanti follicoli oofori contenenti cellule uovo a diversi stadi di maturazione. Man mano che i follicoli maturano si spostano nella zona esterna

dell’ovaio, mentre nella zona midollare, costituita da tessuto connettivo, abbondano i vasi sanguigni e i gruppi di cellule interstiziali con funzioni endocrine.

L’ovaio di una femmina prepubere contiene milioni di follicoli primordiali ciascuno costituito da un ovocita circondato da cellule nutritive, di cui la maggior parte regredisce prima della pubertà.

I follicoli sulla base della loro grandezza e posizione si distinguono in quattro categorie: piccoli bianchi, grandi bianchi, piccoli e grandi gialli ed infine pronti per ovulare.

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Il follicolo maturo prossimo all’ovulazione si rileva dalla superficie dell’ovaio e

presenta una struttura molto differenziata. Procedendo dagli strati profondi adiacenti all’oocita a quelli più superficiali troviamo:

• Membrana vitellina e zona radiata – derivate dalla membrana plasmatica dell’ovocita e costituite da una rete di fibre;

• Membrana perivitellina - è una zona acellulare amorfa secreta dalla granulosa;

• Granulosa - è costituita da più strati cellulari secernenti appoggiati su una membrana

basale;

• Teca interna - costituita da tessuto connettivo lasso con predominanza di fibre collagene. Vi si trovano numerosi fibroblasti e cellule luteiniche vacuolizzate con funzioni secernenti;

• Teca esterna - di notevole spessore costituita sempre da tessuto connettivo lasso; • Tunica superficiale - è una derivazione stromatica dell’ovaio molto vascolarizzata; • Epitelio germinativo - copre la superficie esterna del follicolo.

Il follicolo, raggiunta la dimensione di 4 mm, evidenzia una zona apicale povera di

vasi (stigma) che costituirà il punto di rottura e di deiscenza dell’ovulo. In seguito all’ovulazione le pareti del follicolo collabiscono e danno origine ad una struttura simile al corpo luteo (follicoli postovulatori) che secerne per circa 6 giorni degli steroidi (progesterone, testosterone).

L’attività dell’ovario maturo è ciclica; nella gonade sono presenti 4-6 oociti in

avanzata fase di accrescimento tra di loro subordinati gerarchicamente: ogni giorno ovula un ovocita ed un altro viene richiamato dalla massa. Sotto effetto dell’FSH e LH i follicoli si accrescono ed elaborano estrogeni che, immessi nel circolo sanguigno, raggiungono il fegato e inducono la sintesi di proteine destinate a diventare vitello. Il

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follicolo maturo comincia a produrre progesterone che stimola il rilascio di LH e quindi

l’ovulazione.

L’ovidotto è un lungo tubo assai dilatabile (fig. 9), a percorso flessuoso, sospeso alla volta della cavità addominale e suddiviso in 5 porzioni: padiglione, magnum, istmo, utero, vagina. Nella gallina adulta a riposo è lungo 18 cm e largo 0,2 cm mentre in attività ha una lunghezza di 40-80 cm e il suo peso aumenta circa 50 volte.

Figura 9. Apparato riproduttore di gallina.

Il padiglione o infundibulo, a forma di imbuto, è lungo 9-10 cm; i prolungamenti

nastriformi (fimbrie) delle sue pareti, molto vascolarizzate sono rivestite da un epitelio vibratile semplice ed hanno la proprietà di erigersi avvicinandosi all’ovaio così da

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accogliere l’ovulo maturo. Nell’infundibolo, dove l’ovocellula permane 15-30 minuti, si

forma lo strato esterno della membrana previtellina ed avviene la fecondazione.

Il magnum o camera albuminifera, costituisce oltre il 45% dell’intera lunghezza dell’ovidotto (30 cm) ed ha la superficie interna munita di profonde pieghe longitudinali. Al di sotto dell’epitelio si trovano le ghiandole albuminifere che secernono una soluzione di proteine, densa e giallastra, che corrisponde a circa il 40% di quello che si rinviene nell’uovo deposto. La sosta nel magnum si protrae per 2-3 ore.

L’istmo, lungo 10-11 cm e provvisto di pieghe longitudinali, meno alte delle precedenti, elabora la membrana testacea ed una soluzione acquosa contenente ioni potassio che va ad aggiungersi all’albume già presente rendendolo più fluido. L’uovo permane in questo tratto per circa un’ora.

L’utero, è lungo all’incirca quanto l’istmo ma è molto più dilatato essendo provvisto sia di pieghe longitudinali che trasversali. La sua funzione è di formare il guscio (300 mg Ca/ora) e di fluidificare ulteriormente l’albume attraverso una soluzione contenente potassio e glucidi.

La sosta in camera calcigena va dalle 18 alle 20 ore. L’utero termina con uno sfintere che lo separa dalla vagina (circa 12 cm) con una parete ricca di fibre muscolari e la mucosa poco pieghettata. In vagina il guscio si riveste della cuticola (lubrificante e protettiva) e viene quindi scaricato in cloaca.

Nel punto di congiunzione dell’utero con la vagina si trovano le ghiandole vaginali,

adibite alla conservazione degli spermatozoi, dove questi possono mantenersi vitali per un lungo periodo (12-22 giorni) grazie alla presenza di acido poliglutammico e di lipidi. Prima della pubertà la vagina è separata dalla cloaca da una membrana alla cui perforazione concorrono influenze ormonali.

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L’uovo è formato dal tuorlo attorno al quale sono disposti concentricamente

l’albume, la membrana testacea e il guscio (fig. 10).

Figura 10. Struttura dell’uovo di gallina.

Il tuorlo è costituito dall’ovocita maturato; il suo accrescimento nell’ovario è dapprima assai lento, occorrendo circa 60 giorni perché raggiunga un diametro di 6 mm. La crescita è invece assai rapida dal 9° al 4° giorno prima dell’ovulazione per diminuire di nuovo a partire dal 3° giorno. In questo periodo si formano, a intervalli di 24 ore, strati alternati e concentrici di vitello.

Alla fine del processo lo stesso risulta costituito da una zona centrale di vitello bianco (latebra) in connessione con il disco germinativo (blastodisco), e da strati concentrici di vitello giallo e bianco (il più esterno è bianco) che possono essere facilmente identificati nell’uovo lessato o congelato. Il vitello giallo contiene pigmenti

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di origine alimentare e contiene un’alta percentuale di globuli gialli mentre quello

bianco costituisce solo una piccola parte del tuorlo intero.

Questa particolare disposizione del tuorlo dipende in parte dall’alimentazione ma anche dall’alternanza giorno-notte, durante il giorno viene depositato principalmente tuorlo giallo e durante la notte il bianco. Alimentando le galline ad libitum con mangime di composizione uniforme sia il giorno che la notte questa differenza è molto meno accentuata.

Durante la discesa dell’ovidotto, a seguito della rotazione del tuorlo, si verifica una torsione delle fibrille di ovomucina che vanno a formare ai poli opposti dell’uovo due cordoni (calaze) che cooperano a mantenere il tuorlo nella sua posizione centrale.

Si viene così a separare uno strato di albume che si addossa alla membrana

vitellina e determina la formazione di un secondo strato più fluido immediatamente adiacente.

La composizione percentuale media (Sauveur, 1988) dell’uovo è: · Guscio e membrana testacea 9,5% (8,5-10,5%)

· Albume 63% (60-66%)

· Tuorlo o vitello 27,5% (24-30%)

Il guscio è composto principalmente da calcare, formato direttamente sulla membrana testacea, e diviso in uno strato esterno ed uno interno. Lo strato esterno si identifica (dall’esterno all’interno) in cuticola, strato spugnoso e strato mamillare.

Quello interno, delimitato inferiormente dai foglietti testacei, è a sua volta formato da due membrane: una aderente allo strato mammillare e una all’albume.

La cuticola costituisce lo strato più superficiale ed esplica diverse funzioni, la più importante è la protezione, infatti impedisce ai microrganismi di entrare nell’uovo. Lo strato spugnoso è il guscio propriamente detto, costituito da carbonato di calcio,

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carbonato di magnesio e da cheratina. Vi è presente una macro e microporosità che

assicura il passaggio dei gas (ossigeno, anidride carbonica) e di acqua.

L’albume ha la funzione di proteggere l’uovo dai microrganismi e fornisce acqua e nutrimenti all’embrione.

È costituito da uno strato sottile esterno (23% del totale), uno strato denso (57%), uno strato fluido sottile interno (17,3%), due calaze (cioè strutture gelatinose con il compito di tenere al centro dell’uovo il tuorlo) e uno strato sottile interno (2,7%).

La composizione chimica è la seguente (Osuga e Feeney, 1997): · acqua 88,5%

· proteine 10,5% · carboidrati 0,5%

· lipidi 0,02% · sali minerali 0,5%

Le principali proteine dell’albume sono l’ovoalbumina (con importanti funzioni di apportare amminoacidi all’embrione ed attività battericida), l’ovotrasferrina (con

funzione di trasferire ferro all’embrione e protezione dello stesso), il lisozima e l’ovomucina (con proprietà antibatteriche e stabilizzanti).

Per quanto concerne i sali minerali, di rilevante importanza risulta essere la presenza di sodio, potassio, fosforo, magnesio e calcio.

La composizione percentuale del tuorlo è la seguente (Shenstone, 1968

modificato): - 48% acqua; - 33% lipidi; - 17% proteine; - 2% minerali.

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1.9 PRINCIPI NUTRITIVI DEL TUORLO

Il tuorlo, come precedentemente detto, contiene una buona quantità di proteine e lipidi.

Quasi tutte le proteine del tuorlo sono presenti in complessi lipoproteici (Li-Chan e Nakai, 1989), ad eccezione di una piccola quantità presente in forma solubile.

I lipidi sono contenuti esclusivamente nel tuorlo (32-36% sul tal quale, 63% sulla sostanza secca) e sono costituiti per la maggior parte da trigliceridi (60-65%), fosfolipidi (25-30%) ed in minor parte da colesterolo (4%), e pigmenti (1%). Tutti i lipidi sono associati a proteine e quindi facilmente emulsionabili in acqua, caratteristica che li rende altamente digeribili (94-96%) per l’uomo.

In confronto ad altri alimenti di origine animale, i lipidi dell’uovo sono caratterizzati da una elevata quantità di acidi grassi insaturi rispetto alla quantità di acidi grassi saturi. In particolare l’acido oleico, C18:1n-9, risulta quantitativamente il più importante, seguito dall’acido palmitico, C16:0, un acido grasso saturo a 16 atomi di carbonio, ed infine dall’acido linoleico, C18:2n-6, acido grasso polinsaturo essenziale

per l’organismo umano. Tutte queste caratteristiche lipidiche contribuiscono a determinare un valore nutritivo elevato dei lipidi dell’uovo (Watkins, 1995).

Nella tabella 2 è riportata la composizione in acidi grassi dei lipidi dell’uovo da consumo e di altri alimenti (Moretti et al., 2005).

I lipidi del tuorlo includono anche il colesterolo che attualmente viene quantificato in circa 400 mg/100 g di uovo edibile (Narahari, 2003); di conseguenza, si calcola che un uovo di 60 g di peso contenga circa 198-208 mg di colesterolo (Leeson e Summers,

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1991). Questi quantitativi risultano decisamente inferiori a quelli indicati in passato e

corrispondenti a circa 470-500 mg/100 g di edibile (Sauveur, 1988).

Tabella 2. Principali acidi grassi presenti nei lipidi totali di diversi alimenti di origine

animale (Moretti et al., 2005).

Acidi grassi % Carne bovino Carne suino Trota Uovo

C16:0 33.2 25.6 16.2 24.5 C18:0 14.6 9.8 4.9 9.1 C18:1n-9 35.1 41.9 14.3 37.2 C18:2n-6 4.3 7.6 14.5 20.1 C20:4n-6 0.9 1.8 0.8 2.4 C22:6n-3 Non

determinato determinato Non 23.4 1.2

Acidi grassi saturi totali 51.1 37.0 24.0 34.0

Acidi grassi

monoinsaturi totali 41.7 51.5 24.5 40.0

Acidi grassi polinsaturi

totali 7.1 11.4 51.4 25.8

ὠ-6 totali 5.3 10.6 16.5 23.8

ὠ-3 totali 1.8 0.8 34.8 2.0

ὠ-6/ὠ-3 2.9 14.9 0.5 12.1

Il tasso di colesterolo può variare nell’ambito delle razze, ma non può scendere sotto determinati livelli in quanto sarebbe compromessa la schiudibilità dell’uovo

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Per quanto riguarda i pigmenti, questi sono rappresentati prevalentemente da

carotenoidi, come la zeaxantina e la luteina, Vitamina D ed E. Il ruolo metabolico dei pigmenti è legato all’azione di provitamina A e di antiossidanti. Il contenuto di vitamine varia in base all’epoca di deposizione delle uova, una gallina ovaiola vecchia produce uova normali sul piano delle proteine, ma povere in vitamine. I metodi di conservazione dell’uovo non ne alterano il valore calorico, ma ne impoveriscono il valore vitaminico.

Anche nel tuorlo sono presenti una discreta quantità di sali minerali quali: fosforo, calcio, potassio, sodio, magnesio, ferro e zinco.

Il contenuto di colesterolo dell’uovo è stato, negli ultimi anni, criminalizzato come costituente dannoso della dieta. Ciò ha provocato una certa avversione nei confronti

del consumo di uova, fomentata anche da informazioni superficiali che hanno generato una certa confusione tra quello che è il colesterolo ematico e quello invece assunto con la dieta. Bisogna ricordare che il colesterolo è un elemento fondamentale per il corretto funzionamento dell’organismo umano: è il costituente di partenza per la sintesi degli

acidi biliari e di altri steroli, inclusi gli ormoni sessuali, ed è un elemento strutturale indispensabile per il corretto funzionamento delle membrane cellulari.

L’organismo umano sano può sintetizzare per proprio conto buona parte del colesterolo di cui necessita ed è inoltre dotato di un sistema di regolazione che ne limita la sintesi endogena quando il colesterolo viene ingerito in quantità sufficiente

con la dieta. Questo sistema di regolazione può però non funzionare correttamente. Quando ciò avviene, l’assunzione di colesterolo con la dieta non viene bilanciata da una riduzione della sintesi endogena dello stesso, così che si osserva un aumento della colesterolemia. In questi casi particolari è quindi opportuno ridurre, non solo l’apporto

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di colesterolo, ma anche e soprattutto quello di grassi saturi che ne inducono la sintesi

nell’organismo.

1.10 IL COLESTEROLO NELL’UOMO

Il colesterolo ha un ruolo determinante nella biologia dell’organismo umano in quanto

costituente essenziale delle membrane plasmatiche e precursore obbligato per la sintesi di diversi ormoni e metaboliti coinvolti in numerosi processi fisiopatologici.

Da un punto di vista chimico il colesterolo è una molecola lipidica appartenente alla famiglia degli steroidi, una classe di molecole organiche la cui struttura base è rappresentata dal ciclopentanoperidrofenantrene, un idrocarburo policiclico costituito

da 17 atomi di carbonio formanti quattro anelli alifatici condensati tra loro (dei quali tre a 6 atomi di carbonio ed uno a 5 atomi di carbonio). Il colesterolo è il più importante rappresentante della classe degli steroli e come tale possiede, oltre al nucleo ciclopentanoperidrofenantrenico, un gruppo ossidrile in posizione C-3, un doppio legame tra i carboni C-5 e C-6 ed una catena alifatica laterale ad otto atomi di

carbonio in posizione C-17. Inoltre i carboni C-10 e C-13 presentano come sostituenti

due gruppi metilici che, come il gruppo ossidrile in C-3, si trovano in configurazione 

(fig. 11).

A causa di questa struttura peculiare il colesterolo possiede proprietà anfipatiche che gli consentono di essere incorporato nei doppi strati fosfolipidici delle membrane

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Figura 11. Struttura chimica del colesterolo.

Il colesterolo, inserendosi nel bilayer fosfolipidico, orienta il gruppo ossidrile verso le teste polari dei fosfolipidi, in contatto con l’ambiente acquoso extracellulare, mentre

con il nucleo steroideo, che ha una struttura planare relativamente rigida, prende contatto con i gruppi CH₂ prossimali delle catene di acidi grassi. Grazie a questa disposizione spaziale il colesterolo limita la libertà di movimento del tratto prossimale delle catene alifatiche dei fosfolipidi e quindi riduce la fluidità della membrana biologica, aumentandone pertanto la stabilità meccanica e conferendole maggiore

integrità strutturale.

Il colesterolo tuttavia non è solo una molecola organica avente funzione strutturale.

A livello dei pathways biochimici esso infatti rappresenta il substrato iniziale per la sintesi di alcune molecole bioattive quali gli ormoni steroidei, la vitamina D, gli ossisteroli e gli acidi biliari.

In condizioni fisiologiche, i livelli di colesterolo e dei sui principali metaboliti dipendono da un equilibrio omeostatico tra processi di sintesi, assorbimento,

trasporto, catabolismo ed escrezione. Alterazioni nell’omeostasi del colesterolo, dovute a fattori genetici e/o ambientali, risultano pertanto coinvolte in diverse patologie.

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La formazione di accumuli di colesterolo e/o di qualcuno dei suoi metaboliti

bioattivi va dunque evitata ed affinché questo possa avvenire è necessario che sia costantemente mantenuto un bilanciamento tra i meccanismi di ingresso e di uscita di questa molecola e dei suoi derivati biologici.

In una condizione di stato stazionario, in cui il peso dell’individuo non vari e la concentrazione di colesterolo nei diversi tessuti rimanga costante, i processi metabolici del colesterolo risulteranno perfettamente bilanciati. La presenza di qualche

alterazioni in uno di tali processi indurrà, come conseguenza, una risposta omeostatica dell’organismo con conseguenti variazioni degli altri processi al fine di giungere ad un nuovo stato di equilibrio.

Sebbene il mantenimento dell’omeostasi del colesterolo nell’uomo sia il risultato

dell’attività coordinata di diversi organi e tessuti, un ruolo centrale è sicuramente svolto dal fegato. Quest’organo infatti è responsabile di almeno quattro dei cinque processi da cui dipende il carico globale di steroli nell’organismo. In primo luogo le cellule del parenchima epatico sono sia la fonte principale del colesterolo sintetizzato

ex novo, sia le uniche cellule dell’organismo in cui la degradazione del colesterolo ad acidi biliari può essere portata a compimento. Inoltre il fegato regola sia la secrezione biliare che la clearence delle lipoproteine plasmatiche ricche di colesterolo. Infine il tessuto epatico, in quanto specializzato nell’esportazione e deposito di lipidi, è in grado di esterificare il colesterolo con acidi grassi e di immagazzinarlo e/o liberarlo nel

plasma tramite la secrezione di specifiche lipoproteine (Dietschy J.M. et al., 1993; Koster A. et al., 2003).

Il trasporto del colesterolo nel circolo sanguigno è fondamentale affinchè sia la quota assorbita a livello intestinale, sia quella endogena prodotta dal fegato possano raggiungere i diversi tessuti periferici al fine di essere utilizzate per la sintesi di

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membrane e la produzione di biomolecole. Parallelamente il colesterolo in eccesso che

non viene utilizzato dai tessuti periferici deve poter essere ritrasportato al fegato che provvede alla sua eliminazione. Il colesterolo, tuttavia, pur essendo un composto anfipatico è complessivamente poco polare e quindi poco solubile in soluzione acquosa; per questo motivo il suo trasporto nel plasma deve avvenire all’interno di complessi plurimolecolari noti come lipoproteine (fig. 12).

Figura 12. Schema del circolo delle lipoproteine.

Le lipoproteine sono differenziate in diverse classi di molecole sulla base della loro densità, delle loro dimensioni e della specifica composizione lipidica/aproteica.

Le principali lipoproteine coinvolte nel trasporto del colesterolo dall’intestino al fegato e dal fegato ai diversi tessuti sono: i chilomicroni, le HDL (High Density

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Lipoprotein), le LDL (Low Density Lipoprotein), le IDL (Intermediate Density

Lipoprotein) e le VLDL (Very Low Density Lipoprotein) (fig.13).

Figura 13. Caratteristiche delle lipoproteine plasmatiche.

I chilomicroni, particelle relativamente grandi e a densità molto bassa (<0,95 g7ml), trasportano principalmente lipidi di tipo alimentare. Essi sono costituiti da un core lipidico (trigliceridi) circondato da molecole proteiche che conferiscono loro un

maggiore grado di idrosolubilità. Sono prodotti dagli enterociti dai quali fuoriescono per entrare nel circolo linfatico e arrivare quindi a quello ematico (Powell L.M. et al., 1987). Dopo aver distribuito il loro contenuto lipidico ai vari tessuti i chilomicroni si restringono fino a ridursi a residui (remnants) ricchi in colesterolo. Vengono quindi

convogliati al fegato che provvede a degradare il loro involucro proteico ed a riciclare i residui lipidici racchiusi al loro interno. Essi sono rimossi dalla circolazione sanguinea molto rapidamente, difatti il loro periodo di dimezzamento è di circa 5 minuti.

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Le HDL sono le lipoproteine a maggiore densità (1,040-1,080 g/ml) hanno il

compito di rimozione del colesterolo dai tessuti per portarlo al fegato. Sono principalmente secrete nel sangue come precursori apolipoproteici da fegato e intestino. La componente proteica principale delle HDL è l’apoA-I e hanno un periodo di dimezzamento variabile da 3 a 6 giorni.

Le LDL sono lipoproteine a bassa densità (1,019-1,063 g/ml), di dimensioni inferiori rispetto alle precedenti, con maggior componente proteica e ricche di

colesterolo esterificato. Derivano dal metabolismo delle VLDL e delle IDL e rappresentano il principale trasportatore plasmatico del colesterolo ai tessuti periferici. Un’elevata concentrazione di LDL è un fattore di rischio per le malattie del cuore dovute all’ostruzione di un’arteria coronaria (coronopatie), causata da accumuli

di grasso di consistenza cerosa sulle pareti interne delle arterie, costituiti prevalentemente da colesterolo, calcio e altre sostanze che si trovano nel flusso sanguigno.

Le IDL (1,006-1,019 g/ml) sono un tipo di lipoproteine prodotte per effetto della

degradazione delle VLDL (e in misura minore dei chilomicroni); esse contengono trigliceridi e colesterolo in parti uguali e sono a loro volta precursori delle LDL (Eisenberg S. e Sehayek E., 1995; Cohn J.S. et al., 1999). A causa del loro rapido metabolismo generalmente queste lipoproteine non raggiungono concentrazioni plasmatiche significative.

Le VLDL (Very Low Density Lipoprotein) sono lipoproteine a bassissima densità ricche di trigliceridi, sintetizzate e secrete dal fegato, hanno come componente proteica principale l’apoB100, seguita da varie apoC e apoE. Il loro tempo di dimezzamento è di circa 6 ore e la loro degradazione per perdita di trigliceridi e apolipoproteine (apoC e apoE) da origine dapprima alle IDL e poi alle LDL.

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