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Orizzonti inattesi. Percorso nella poesia di Kazimiera Illakowiczowna

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Academic year: 2021

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(2)

Tre poetesse

dell’Europa centro-orientale

con testi e traduzione a fronte

a cura di

Krystyna Jaworska

Massimo Maurizio

Roberto Merlo

testi di

Kazimiera Iłłakowiczówna Ksenija Nekrasova Marta Petreu

Stilo Editrice

(3)

ComitatosCientifiCointernazionale

Mariella Basile (Univ. degli Studi di Bari) Yannick Gouchan (Univ. di Aix-Marseille, Francia)

Simone Guagnelli (Univ. degli Studi di Bari) Domenico Lassandro (Univ. degli Studi di Bari)

Giulia Marcucci (Univ. per Stranieri di Siena) Ferdinando Pappalardo (Univ. degli Studi di Bari)

Domenico Ribatti (Univ. degli Studi di Bari) Ludmila Sproge (Univ. di Riga, Lettonia)

Il presente volume è stato realizzato grazie ai contributi per la ricerca (progetto 2014, ex 60%) assegnati dal Dipartimento di Lingue e Letterature Straniere e Culture Moderne dell’Università di Torino.

ISBn 978-88-6479-194-4 © stilo editriCe

www.stiloeditrice.it

Stampato nel mese di dicembre 2017 presso Arti Grafiche Favia, Modugno (BA)

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i 7 orizzontiinattesi. perCorsonellapoesia

di Kazimiera iłłaKowiCzówna

di Krystyna Jaworska 11

appendiCepoetiCa 29

Ksenija neKrasova: ingenuareietta

di Massimo Maurizio 67

appendiCepoetiCa 89

LospeCChiodiossidiana. InCursioninell’immaginario poetiCodi Marta Petreu

di Roberto Merlo 123

(5)

di

K

azimiera

i

łłaKowiczówna

Krystyna Jaworska

Sebbene ritenuta tra le maggiori poetesse polacche del Nove­ cento, Kazimiera Iłłakowiczówna è un’autrice di fatto scono­ sciuta all’estero e relativamente poco studiata in patria. Tale stato di cose presumibilmente è imputabile a molteplici ragioni, non ultimo il contesto storico in cui si è trovata a vivere e opera­ re. Eppure nel periodo tra le due guerre era considerata, accan­ to a M. Pawlikowska, la più importante poetessa di quegli anni. Nel dopoguerra l’influente scrittore e poeta J. Iwaszkiewicz la paragonò alla Achmatova per la potenza dei suoi versi. Nono­ stante questo, tuttora non esiste una monografia sulla sua opera: disponiamo solo di due volumi, fondamentalmente di carattere biografico, basati su ricordi personali e su quanto la poetessa stessa disse o scrisse a proposito della sua vita, di uno studio sulla valenza della visione cristiana all’interno della sua opera e di diversi articoli su aspetti specifici. Per comprendere quanto sia insolita questa lacuna, è opportuno sottolineare che l’alto apprezzamento di cui godeva la sua opera nella prima metà del secolo si colloca in un periodo in cui la letteratura polacca pul­ lulava di figure femminili di primissimo piano.

La poesia, per sua intrinseca natura così intimamente connes­ sa con la lingua, è il genere che trova maggiore difficoltà a su­ perare le barriere linguistiche per essere pienamente fruibile in traduzione. Non è un caso se sono gli autori delle lingue veico­ lari ad avere normalmente maggiore risonanza, in quanto più fa­ cilmente letti anche in originale; senza considerare poi il fascino del potere emanato dai paesi economicamente e politicamente

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dominanti, che si irradia anche dalla loro cultura. Ovviamente questa non è una regola ferrea, tant’è che uno dei due Nobel let­ terari polacchi della seconda metà del Novecento, W. Szymbor­ ska, ha avuto enorme popolarità anche (se non soprattutto) in Italia. A favorirne la diffusione è indubbiamente il fatto che le sue poesie rispecchiano il modo di sentire di molti lettori di vari ceti sociali e professionali, permettendo così un’identificazione con l’autrice. Eppure, nonostante due sue raccolte fossero state tradotte già prima del Nobel, è solo grazie alla risonanza acqui­ sita con il prestigioso premio che ha raggiunto un più ampio pubblico.

Purtroppo non pare che la moda per quest’autrice abbia pro­ vocato di riflesso un maggiore interesse per la letteratura po­ lacca, nonostante la poesia di Szymborska sia profondamente radicata nella tradizione poetica del Novecento europeo e po­ lacco, e conoscerne il background ne consentirebbe una miglio­ re comprensione, permettendo di rilevare, ad esempio, quanto sia debitrice per vari aspetti alla lirica di Pawlikowska e all’espe­ rienza degli skamandriti (corrente letteraria del periodo inter­ bellico) nella predilezione per una poetica del quotidiano. An­ che Iłłakowiczówna era legata, al pari della Pawlikowska, agli

skamandriti, ma la sua poesia, come vedremo, se ne differenzia

sensibilmente.

K. Dedecius, fine intenditore e traduttore tedesco di poesia polacca, nella sua eccellente antologia Kwartet żeński [Quartet­

to femminile]1, con grande fiuto scelse di accostare due poe­

tesse del primo Novecento con due del secondo Novecento: Iłłakowiczówna, Pawlikowska, Szymborska e Lipska. Anche se qualcuno metterebbe ora, al posto di Lipska, J. Hartwig, è in­ dubbio che le ispiratrici della raccolta sono quelle, così come è indubbio che tra di loro quella dimenticata è Iłłakowiczówna.

A introdurla in Italia si adoperò soprattutto Maria Bersano

1. I titoli delle poesie in italiano sono citati tra parentesi quadre, in corsivo solo se presenti nell’appendice poetica del saggio (o tradotti in italiano in qualsiasi altra edizione).

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Begey, che nel 1931 tradusse il suo breve poema Opowieść o mo-skiewskim męczenniku [Storia del martire di Mosca] e nel 1933

pubblicò la versione di due sue liriche su una rivista e di nove li­ riche nell’antologia curata con la figlia Marina, Lirici della

Polo-nia d’oggi. Nel dopoguerra Marina Bersano Begey propose una

nuova versione di due liriche (tra cui la bellissima Ignoto) in Le

più belle pagine della letteratura polacca, mentre Carlo Verdia­

ni in Poeti polacchi contemporanei ne tradusse dieci, di cui una venne riportata anni dopo da J. Pomianowski nella sua Guida

alla moderna letteratura polacca. Tre poesie di Iłłakowiczówna in

mia traduzione figurano in un’antologia sulla poesia femminile e una, tradotta da F. Fornari, è compresa in un’imponente an­ tologia di letteratura mariana. In rete è inoltre possibile leggere alcune sue liriche nella versione di P. Statuti2.

Rilevandone la particolare immaginazione poetica, per lei il critico S. Kołaczkowski coniò il termine «espressionismo simbolista»3; un eccellente storico della letteratura del dopo­ guerra che insegnò negli Stati Uniti, sottolineò che:

2. K. Iłłakowiczówna, Storia del martire di Mosca, trad. it. e intr. di Maria Bersano Begey, in «Convivium», 1931, pp. 835­854; Maria e Marina Bersano Begey (a cura di), Lirici della Polonia d’oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1933, pp. 95­107; M. Bersano Begey, Parole di fede nella poesia

polacca, in «Convivium», 1933, pp. 803­814; C. Verdiani (a cura di), Poeti polacchi contemporanei, Milano, Silva, 1961, pp. 41­49; Marina Bersano

Begey (a cura di), Le più belle pagine della letteratura polacca, Milano, Nuova Accademia, 1965, pp. 275­276; J. Pomianowski, Guida alla moderna

letteratura polacca, Roma, Bulzoni, 1973, p. 139; G. Davico Bonino e P.

Mastracola (a cura di), L’altro sguardo. Antologia delle poetesse del ’900, Milano, Mondadori, 1996, pp. 163­165; F. Castelli (a cura di), Poesia e

prosa letteraria, in A. Amato (a cura di), Testi mariani del secondo millennio,

Roma, Città Nuova, 2002, vol. VIII, pp. 781­782. P. Statuti, Un’anima a

tre ali, https://musashop.wordpress.com/?s=illakowiczowna&submit=Cer­

ca (ultima consultazione 15/06/2017). La poetessa non fu invece presa in considerazione nella Antologia della poesia contemporanea polacca (a cura di G. Cau e di O. Skarbek­Tłuchowski), Lanciano, Carabba, 1931.

3. L. Eustachiewicz, Dwudziestolecie 1919-1939, Warszawa, WSiP, 1982, p. 99.

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Her poetical world is mysterious, fantastic, and suggestive: her language is adapted to this world and transforms physical phenomena into pure lyrical states. Her verse has in the main little in common with traditional versification: is ‘free’, with very varied length of the line, with only an approximate evenness of accents. In the rhymes we find many bold, often rather remote, assonances; there also occur poems entirely without rhymes4.

Pareri simili si possono trovare in Marina Bersano Begey: «Nelle sue pagine migliori ha dato espressione a stati d’animo irreali in cui sogno e realtà, forme antiche e moderne si fondono in un simbolismo fantastico»5.

Nata a Vilna quand’ancora era parte dell’Impero russo, si pre­ sume nel 1888 (anche se lei dichiarava di essere nata nel 1892), rimasta presto orfana, Iłłakowiczówna trascorre l’infanzia nel governatorato di Vitebsk (in territori che si estendevano tra l’at­ tuale Lituania, la Bielorussia e la Lettonia). Dopo aver frequen­ tato un collegio di Varsavia, sostiene la maturità a Pietroburgo, che lascia con i moti del 1905. Si sposta in Svizzera, dove intanto si era trasferita anche colei che l’aveva allevata; poi va in Inghil­ terra, studia per un semestre a Oxford, quindi si trasferisce a Londra, dove lavora in una libreria e frequenta le suffragette; si iscrive infine all’Università di Cracovia, città dove pubblica la sua prima raccolta di versi, Ikarowe loty [Voli di Icaro, 1908], in cui si ritiene che risenta ancora del clima nietzschiano dell’epo­ ca6. In effetti più che di volontà di potenza, anche se è indubbio un desiderio di trascendere i limiti della condizione umana, si

4. M. Kridl (a cura di), An Anthology of Polish Literature, New York, Co­ lumbia University Press, 1957, p. 553.

5. Marina Bersano Begey, Le più belle pagine cit., p. 275.

6. D. Kielak, Prometeusz z rocznika dziewięćdziesiąt. ‘Ikarowe loty’ Kazimiery Iłłakowiczówny i pokoleniowa lektura nietzscheanizmu in Książka pokolenia. W kręgu lektur polskich doby postyczniowej (pod. red.

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può parlare – a mio parere – di una sensibilità vicina agli aneli­ ti del prometeismo romantico, in particolare a Mickiewicz. La poesia che dà il titolo alla raccolta rappresenta inoltre una deco­ struzione del mito, tratto che – come vedremo – sarà presente in diversi altri suoi componimenti che prendono spunto dalla tradizione letteraria, o, meglio ancora, da un suo capovolgimen­ to: Icaro rinasce per spiccare nuovamente il volo.

Indubbiamente però si possono percepire atmosfere decadenti e crepuscolari in diverse liriche amorose, in cui dominano passioni e pulsioni violente e sensuali. Leggiamo in

Tylko sen! [Solo un sogno!]: «Ja dla cię tylko snem,/ ty dla mnie – tylko złudą./ Wyśnione ty moje cudo,/ cóż ja o tobie wiem?! [...] W mej chorej piersi nóż,/ a róże – na sercu twem./ Ty wieniec na czoło włóż,/ wszak żyjem tylko snem»7. Oppure, in

Dedykacje [Dediche]: «Ale ty poznasz mnie po skrzydeł szumie/

i że mieć będę pióra coraz krwawsze/ i jeszcze po tym – że my jedni w tłumie/ – duch skuty z duchem, serca wolne zawsze»8. Il motivo del volo, dell’uomo che vorrebbe essere un angelo, uno spirito svincolato dal corpo, torna più volte con elementi di metempsicosi, in cui mondo fisico e metafisico si intersecano in visioni oniriche. Altri versi della raccolta incitano alla rivolta, alla lotta per l’indipendenza nazionale.

Una svolta profonda nella sensibilità di Iłłakowiczówna è costituita dalla prima guerra mondiale. Compone Wici [Flagelli, 1914], in cui predomina il dolore per i caduti. Nel 1915 parte volontaria per il fronte come crocerossina, si ammala di colera e

7. K. Iłłakowiczówna, Poezje zebrane (zebrali, oprac. i bibliogr. sporządzili J. Biesiada, A. Żurawska­Włoszczyńska; wstępem opatrzył J. Ratajczak), Toruń, Algo, 1999, t. 1, p. 44. Per tale edizione si userà in seguito l’abbre­ viazione PZ. Trad. it.: «Io per te son solo un sogno/ tu per me – solo illu­ sione./ Mio immaginato tesoro/ cosa so di te?/ [...]/ Nel mio petto malato un coltello,/ sul tuo rose./ Tu cingiti un serto alle tempie/ giacché viviamo solo in sogno!». Qui e oltre traduzione mia, se non diversamente indicato. 8. K. Iłłakowiczówna, PZ, t. 1, p. 67. Trad. it.: «Tu mi riconoscerai dal fragore delle ali/ e dalle penne sempre più vermiglie,/ inoltre solo noi nella folla/ avremo le anime legate e i cuori sempre liberi!».

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rischia di morire. Dopo l’ateismo giovanile rinasce in lei la fede, si acuisce la compassione verso le sofferenze dei soldati: questi temi vengono espressi in forma di canti natalizi e preghiere nella raccolta Kolędy polskiej biedy. W wigilię powrotu [Canti

natalizi della sventura polacca. Alla vigilia del ritorno, 1917] e trapelano in alcuni componimenti, quali *** [Umiera na ręku moim] (*** [Muore tenendo la mia mano])9 di Trzy struny [Tre corde], pubblicata, come la precedente, a Pietrogrado nel 1917, dopo aver lasciato l’esercito. La raccolta comprende anche liriche che riprendono le tematiche di Ikarowy lot, quali le pene d’amore («Módl się dla mnie o śmierć, nieboże!/ już

nie żal, już mi nie szkoda,/ bo zatrute jest niebo i morze,/ bo zatrute są chleb i woda.../ już mnie nie kocha mój miły,/ już

nie mam siły»)10, e l’amore passione (ad esempio in Kochanka

marynarza [L’amante del marinaio] leggiamo per diverse pagine

di come attenda il ritorno dell’amato, di come viva solo per lui, ma quando finalmente lui arriva, al fondo scopriamo che prova solo il desiderio di accoltellarlo). In questi versi domina il male di vivere e una certa ascendenza baudelairiana, che può essere intravista già nel titolo stesso di uno dei cicli della raccolta,

Zatrute kwiaty [Fiori avvelenati]11. È significativo che nella

9. «Leżą pod murem kościoła/ zmieszani oni – i nasi,/ wodę z jednego ku­ beczka/ i oni i nasi piją;/ ‘Gospodi!’ – krzyknął ktos w mroku,/ a drugi – ‘Je­ zus Maryjo!/ [...]/ ‘Dai ruku’ błaga ten z kąta,/ oślepły Kałmuk znad Donu,/ i trzyma dłon mą oburącz,/ i będzie trzymał do zgonu. [...]». K. Iłłakowiczów­ na, ***, in PZ, t. 1, p. 166. Trad. it.: «Giacciono lungo il muro della chiesa/ mescolati, i loro e i nostri,/ l’acqua dallo stesso bicchiere/ i loro e i nostri be­ vono;/ ‘Gospodi’, gridò qualcuno nel crepuscolo,/ e un altro: ‘Gesù Maria’/ [...]/ ‘Daj ruku’ supplica quello nell’angolo,/ un calmucco del Don accecato,/ e con entrambe le mani tiene la mia mano/ e la terrà fino alla morte». 10. K. Iłłakowiczówna, Modlitwa o śmierć, in PZ, t. I, p. 203. Trad. it.: «Prega per la mia morte, non­dio!/ più non mi rammarico, più non rim­ piango,/ perché avvelenato è il cielo e il mare,/ avvelenati il pane e l’ac­ qua.../ più non mi ama il mio amore,/ più non ho forza».

11. M. Ołdakowska­Kuflowa, Chrześciańskie widzenia świata w poezji Kazimiery Iłłakowiczównej, Lublin, RW KUL, 1993, pp. 42 e sgg.

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poesia di Iłłakowiczówna convivano stati d’animo contrastanti: dalla cupa disperazione, dal pessimismo esistenziale, all’amore per il mondo. Vi è anche spazio per una fuga nella fantasia, tant’è che mentre intorno imperversa la rivoluzione, per sollevare gli animi, compone a Pietroburgo un racconto dai tratti fiabeschi ambientato in Estremo Oriente.

Rientrata in Polonia nel 1918, grazie alla sua conoscenza delle lingue trova lavoro al ministero degli Esteri, prima donna a rivestirvi un incarico di responsabilità. Questo non la distoglie dal continuare l’attività poetica. Nel 1922 pubblica Śmierć Feniksa [La morte della Fenice], con versi che svelano un’autrice

ormai pienamente matura, che sa guardare se stessa e gli altri con umorismo, consapevole che anche le questioni serie hanno bisogno di leggerezza. Sintomatico di questo cambiamento è il ciclo Lew [Il leone], in cui in versi briosi ricchi di improbabili e surreali situazioni, narra del leone che si porta a casa e con cui va a spasso per la città: dai commenti delle amiche al tè delle cinque, alla passeggiata nel parco che provoca sgomento tra i passanti, all’innocente leone che sbrana un cigno e il vetturino che si rifiuta di riportarli a casa, costringendo il soggetto lirico a darsi a una rapida fuga con il suo protetto prima di essere arrestati. Come osserva Kwiatkowski, se la raccolta Śmierć Feniksa è la più skamandrita per via dell’ambientazione urbana,

al tempo stesso in essa l’autrice si distanzia dalla poetica del gruppo per la funzione che vi riveste la fantasia. Il ciclo dedicato al leone, inoltre, nella sua apparente futilità, sfiora seri problemi ontologici, in quanto il realismo con cui viene descritta la presenza del felino fa sì che «konwencja fantastyczności [...] w wyjątkowy silny sposób przypomina w tym cyklu o swoich wewnętrznych sprzecznościach: w jakiś sposób tu przecież

istnieje»12. A dare ulteriore spessore alla narrazione è il fatto che

12. J. Kwiatkowski, Lew i straszydlaki Iłłakowiczównej, in Id., Notatki o

poezji i krytyce, Krakow, WL, 1975, p. 190. Trad. it.: «La convenzione del

fantastico [...] ricorda con grande forza in questo ciclo delle sue contrad­ dizioni interne: eppure in qualche modo il fantastico esiste».

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le poesie sul leone sono inframezzate da altre in cui emergono sentimenti di profondo malessere, dove al posto del solare leone compaiono tristi draghi che piangono, corrispettivi lunari e cupi del leone, descritti però con una punta di grottesco umorismo. Emblema dell’età sconfitta è la stella cadente, sorella di Lucifero, che, a differenza dell’Icaro della prima raccolta di versi della poetessa, non potrà più aspirare a innalzarsi nel cielo.

Di rara bellezza le sue poesie per bambini, edite nel 1923, di cui diverse furono musicate da K. Szymanowski nel 1925 e da W. Lutosławski nel 1957. Queste poesie, scritte in un linguaggio semplice che mira a rispecchiare una prospettiva infantile, quasi un modo per avvicinare agli adulti al mondo dei bambini, sono anche una maniera per esprimere riflessioni più profonde, come si può ben vedere in Pająk i Krzysia [Il ragno e Mimma], in cui il

desiderio di ogni creatura di amare ed essere amata e l’asimme­ tria delle relazioni vengono raffigurati attraverso la prospettiva dell’incompreso aracnide13.

Nel 1926 escono due raccolte. La prima, Obrazy imion

wróżebne [Ritratti divinatori dei nomi], è scritta nella conven­

zione dei presunti legami tra nomi e destino, sul modello di quelli che si fanno intercorrere tra segni zodiacali e oroscopo, e l’umanissima esigenza di conoscere qualcosa del proprio carat­ tere e del proprio futuro diviene pretesto per costruire affabili e bonari ritratti dei diversi tipi umani e dei loro comportamenti. Nella seconda, Połów [Caccia], torna il gusto per il surreale con, buffi spiriti che compaiono e scompaiono in un mondo fatato nel ciclo Dziwadła e straszydlaki. La prospettiva da individuale, com’era nel caso del leone, si sposta a quella di un immaginario folclorico in cui però, come osserva Kwiatkowski14, la funzione

13. Iłłakowiczówna tradusse alcune di queste poesie in inglese durante la seconda guerra mondiale ed è degna di nota la strategia adottata: sostituire i nomi polacchi con nomi inglesi e mantenere la centralità dei valori ritmici e fonici (rime e versi) come elementi essenziali dei testi. Si tratta peraltro di una strategia difficilmente ben emulabile.

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dei mostri, o meglio mostriciattoli, è cambiata: non spaventano, ma sono spaventati. Sono esseri che non esistono ancora o non esistono più e desiderano solo vivere. Siamo di nuovo nella pro­ blematica metafisica, tanto più che all’interno del volume com­ pare anche un ciclo dedicato agli angeli, visti in chiave gioiosa. Altre poesie descrivono in tono scherzoso la grigia vita impie­ gatizia e come il soggetto lirico cerchi di evaderne mentalmente con una sfrenata e folle danza nell’ufficio.

Nel 1927 l’autrice dà alle stampe il poemetto Opowieść o moskiewskim męczenniku, dedicato al processo­farsa intentato

contro don Budkiewicz, un prete che aveva conosciuto prima della rivoluzione, e alla sua uccisione. L’opera rivela la capacità della Iłłakowiczówna di rielaborare lo stile della poesia popo­ lare e dei canti sacri medievali, per creare intorno a una cupa vicenda di cronaca un’aura da leggenda antica in cui si mescola­ no terreno e spirituale. Un senso di pietà profonda traspira dai versi, dove al termine compare una povera, amabile vecchietta: è la madre di Lenin15. Il ricorso alla prospettiva del dittatore bambino (utilizzato mezzo secolo dopo da Szymborska in una poesia su Hitler) lega la scena alla tradizione della mater

doloro-sa. Il libro comprende anche il ciclo Złoty wianek [Serto d’oro],

in cui vengono immaginati alcuni episodi delle vite dei santi ba­ sandosi su fonti medievali, tra cui la Leggenda aurea di J. da Va­ ragine, in prospettive che mettono in risalto le vicende in tono minore e profondamente umano (ad esempio, per la leggenda di Sant’Alessio il soggetto è la povera moglie abbandonata dal santo il giorno delle nozze).

15. «Jam jest biedna matka,/ stara Uljanowa;/ mam jednego syna/ Wołodię Lenina./ Och biedne moje stare kości!.../ ... Dobre dziecię

było od małosci./ Strasznie mi bez niego tęskno/ i do nieba niesporo; [...]»; K. Iłłakowiczówna, Opowieść o moskiewskim męczeństwie, in K.

Iłłakowiczówna, PZ, t. I, p. 523. Trad. it.: «Sono una vecchia mamma,/ la povera Ulianova./ Avevo un figlio solo tanto amato/ Che Volodia Lenin era chiamato.../ (o mie povere ossa rattrappite!)./ Era sì buono quand’era piccino!/ Io mi struggo per lui, mi struggo tanto/ Che non posso arrivare in Paradiso». K. Iłłakowiczówna, Storia del martire di Mosca cit., p. 853.

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Sempre del 1927 è la raccolta Płaczący ptak [L’uccello

piangente]: dedicata in misura notevole alle pene d’amore, costituisce l’apice del suo pessimismo, sebbene in alcuni componimenti se ne intraveda un superamento. Il volume è suddiviso in cicli (come si sarò notato, dimensione molto cara all’autrice), di cui il primo si intitola significativamente Z

księgi siedmiu noży [Dal libro dei sette coltelli]; seguono poi Podwójne klisze [Doppie pellicole], Kartki miłosne [Biglietti

d’amore], Zielona bransoletka [Il braccialetto verde], Kamienie [Pietre]. Ricostruisce la storia di un sentimento impossibile e lacerante, da cui però infine il soggetto crede di poter guarire (si veda la lirica Chore serce [Il cuore malato]). Al termine si hanno poesie infantili e versi non rientranti in cicli, tra cui Czarownica [La strega]. L’alternarsi di sentimenti gioiosi e cupi torna in

Zwierciadło nocy [Lo specchio della notte, 1928]. Nello stesso

anno esce anche Z glębi serca [Dal profondo del cuore], che

comprende la poesia Ignoto, a cui si è accennato prima: «Jeszcze nie wszystko we mnie jest dla mnie znajome,/ żyję w przedsionku jak na słonecznym podwórzu/ [...]/ Jest dom i korytarze ciemne i kryjome/ [...]/ i Bóg, który jest wszędzie, jest tam, gdzie mnie nie ma»16. In essa paiono convivere la consapevolezza da parte del soggetto dell’assenza di Dio, ma anche la sua ricerca17.

La nostalgia per i paesaggi della sua infanzia è presente in due raccolte degli anni Trenta: Popiół i perły [Cenere e perle, 1930] e Słowik litewski [L’usignolo lituano, 1934], quest’ulti­ ma da alcuni considerata la sua raccolta migliore per il modo in cui alcune poesie, apparentemente semplici, che attingono a

16. K. Iłłakowiczówna, PZ, t. II, p. 7. Trad. it.: «Non tutto ancora quel che c’è in me conosco/ e vive chiaro nel giardino al sole,/ [...]/ Sono nella mia casa stanze ombrose, anditi chiusi, oscuri:/ [...]/ ma Lui ch’è ovunque, eterno – Iddio/ Mai io ritrovo là dove io sono». Trad. di M. Bersano Begey,

Le più belle pagine cit., pp. 275­276.

17. M. Ołdakowska­Kuflowa, Chrześciańskie widzenia świata w poezji Kazimiery Iłłakowiczównej cit., p. 126, per questa poesia, letta come

ricerca di Dio all’interno del proprio spirito, rimanda a Sant’Ignazio di Loyola e a Santa Teresa d’Ávila.

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motivi del folclore, a leggende, a ballate e a ricordi personali, ri­ mandano in realtà a più livelli di lettura: biografico, storico, esi­ stenziale, mitico, metafisico. I territori divenuti irraggiungibili dopo la prima guerra mondiale, in quanto inglobati nell’Unione Sovietica, vengono ricreati e descritti con il desiderio di fissare nei versi un mondo popolato di persone di lingue e fedi diverse (polacchi, bielorussi, lituani, lettoni, tedeschi, russi, ebrei, catto­ lici, protestanti, vecchi credenti), destinato a scomparire, se non già scomparso. Torna anche il ricordo della madre, che ha perso quando era ancora una bambina, e della seconda madre che l’ha cresciuta e educata. La sua passione per la tradizione popolare e medievale (amava molto il Bertran de Born di Ulhand, model­ lato appunto sui canti dei trovatori) la porta a dare alle stampe, sempre nel 1934, una raccolta di componimenti su personaggi storici, dal titolo Ballate bohaterskie [Ballate eroiche].

Intanto nel 1926 aveva accettato l’invito di J. Piłsudski di as­ sumere l’incarico di sua segretaria personale al ministero della Difesa, per tornare nel 1935, dopo la morte del maresciallo, al ministero degli Esteri18. La convinzione che, in quanto scrittrice, sia suo dovere contrapporsi a quella che chiama «la maledizione di Babele», ovvero la divisione dell’umanità e l’incomprensione tra i popoli, e che la letteratura e le opere d’arte in generale pos­ sano costituire un valido strumento per superare i pregiudizi, la inducono a compiere cicli di conferenze all’estero, per lo più organizzate da associazioni femminili. Fa sua, modificandola leggermente, una frase del Don Carlos schilleriano, opera che aveva tradotto nel 1932: «Nienawidzieć nie będę tych, których mi wskażą» («Non odierò mai chi mi viene imposto di odiare»).

Nel 1939, subito dopo l’invasione della Polonia, aveva scritto una sorprendente poesia: Modlitwa dla nieprzyjaciół [Preghie­

18. Nel 1936 pubblica anche una raccolta di versi dedicati alla figura di Piłsudski, scritti negli anni 1912­1935, e nel 1939 pubblica i suoi ricordi degli anni passati a fianco di Piłsudski, Sciezka obok drogi. Si tratta di un ritratto dello statista, ma anche di un autoritratto della poetessa, il primo di una serie di autoritratti che comporrà nel dopoguerra in cui si presenta con bonario umorismo.

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ra per i nemici], che inizia con le parole «Zmiłuj się Boże nad Niemcami» («O Dio, abbi pieta dei tedeschi»), in risposta a un componimento nazista che incitava ad ammazzare i nemici. Evacuata assieme con il corpo diplomatico in Romania19, si sta­

bilisce a Cluj e trova impiego come insegnante di lingue. Impara il romeno e traduce in polacco numerosi poeti romeni, in pri­ mo luogo M. Eminescu20, oltre a poesie popolari, canti natalizi e pasquali, preghiere per bambini. Quando la città passa sotto l’Ungheria si cimenta con l’ungherese traducendo L. Áprily ed E. Ady.

Di fronte agli orrori della guerra, ribadisce con sgomento che lo stesso Dio è sia nei malvagi sia nei buoni21; scrive poesie in cui esprime la preoccupazione per la sua patria, ma anche per le condizioni in cui versa la popolazione della Transilvania. Come è stato affermato22, la guerra costituisce un nuovo spar­

19. In Romania era già stata per conferenze organizzate anche da Uniunea Femeilor Române nel 1937 e nel 1938, visitando ben nove città tra cui Chişinău, Iaşi, Bucarest, Timişoara, Cluj. Cfr. M. Vârcioroveanu, Kazimiera

Iłłakowiczówna. O poloneză care a iubit România, Bucureşti, Paideia, 2008. 20. Oltre a M. Eminescu, figurano V. Alecsandri, D. Anghel, G. Bacovia, L. Blaga, M. Breslaşu, Al. Caprariu, P. Cerna, G. Coşbuc, Al. Philippide, E. Frunză, L. Georgescu, O. Goga, Gh. Grigurcu, Şt.O. Iosif, M. Isanos, N. Labiş, Al. Macedonski, M.R. Paraschivescu, M. Sorescu, E. Speranţia, N. Stoe, G. Topârceanu, I. Văcărescu e altri. Tutte le sue versioni poetiche sono ora raccolte nel quarto volume di Poezje zebrane.

21. «Który jesteś – i to mnie zdumiewa najwięcej/ Jednocześnie w Polaku, Moskalu i Niemcu/ O Boże z tej wichury, co pali pół świata,/ zstąp i zamieszkaj, błagam/ ciebie, nie w dzieciach, nie w kwiatach,/ nie w czystych duszach, ani jasnych wodach,/ ale w sercach katów!»; K. Iłłakowiczówna,

PZ, t. III, p. 804. Trad. it.: «Tu che sei, e questo mi soprattutto mi

sgomenta,/ al tempo stesso nel polacco, nel russo, nel tedesco.../ O Dio in questa tempesta che arde mezzo mondo/ scendi e abita, ti supplico,/ non nei bimbi, non nei fiori,/ non nelle anime pure o nelle chiare acque,/ ma nei cuori dei boia!».

22. I. Maciejewska, Kazimiera Iłłakowiczówna, in Obraz literatury

polskiej. Literatura polska w okresie międzywojennym (red. J. Kądziela, J. Kwiatkowski, I. Wyczańska), Kraków, Wydawnictwo Literackie, 1979, p. 68.

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tiacque nella sua poesia, questa volta a favore di una poesia del concreto, descrittiva, che sappia rendere frammenti della realtà (tendenza peraltro presente anche prima, ma con minore fre­ quenza). Lo si può vedere nella raccolta pubblicata a Budapest nel 1942 Wiersze bezlistne [Poesie senza foglie], che raccoglie poesie degli anni 1936­1941. È sconvolta dalle persecuzioni de­ gli ebrei (alla cui condizione era sensibile già da tempo, come testimonia anche Pogrom w Płoskirowie [Pogrom a Ploskirov], in Rymy dziecięce). Alla notizia della loro deportazione scrive Bóg jest wszędzie [Dio è ovunque], in cui ricorda come Dio sia

anche con i perseguitati. Nel 1945 compone Pogrom w

Koloz-svárze [Pogrom a Kolozsvár, nome ungherese di Cluj] componi­

mento che ha più valore storico che letterario. Troppo cruda la materia per estetizzarla23.

Riesce a tornare in Polonia solo nel 1947, grazie all’intervento di J. Tuwim, ma le strade del ministero sono per lei sbarrate. La

23. In esso Iłłakowiczówna descrive la brutalità con cui vecchi, donne e bambini ebrei sono trascinati fuori dalle loro case e la mancanza di reazioni con cui la cittadinanza assiste alla scena, salvo poi razziarne subito i beni. Tra la marmaglia vi sono anche i vicini di casa e i notabili del posto: c’è chi ruba il pianoforte, chi i vestiti. L’epilogo narra di come una delle persone che sfoggiava un bell’abito rubato perisce poi in un bombardamento, da cui l’interrogativo finale, su quale mai sarà la condanna divina per i veri colpevoli: «Historia płaczu pełna, straszny psalm Dawida:/ Miasto wydało zbrodni swoich Żydów./ [...]./ Miasto łezkę słynęło: niepochwala zbrodni/ ani jej nie potępia, ani się jej sprzeciwia./ [...]/ Więc ich wiozą i wiodą oszalałych, trupich,/ a już motłoch się wdziera. Co zostało – łupi:/ [...]/ Boże chrześcijan i Żydów, Niemców i Anglików,/ Którego jawnych znaków człek co dzień dotyka./ Jeśli cierpią niewinni tak za cudze czyny./ Jakąż karę z Twej możnej ręki ześlesz WINNYM?!»; in PZ, t. III, pp. 176­177. Trad. it.: «Storia di lacrime piena, terribile salmo di Davide:/ La città ha consegnato i suoi ebrei al massacro./ [...]/ La città ha versato una lacrimuccia: non loda il crimine/ non lo condanna, né si ribella./ [...]/ Così li trasportano e trascinano stravolti, cadaverici,/ e già la marmaglia si intrufola. Razzia ciò che è rimasto./ [...]/ Dio dei cristiani e degli ebrei, dei tedeschi e degli inglesi/ i cui segni tangibili l’uomo ogni giorno tocca./ Se soffrono così gli innocenti per le azioni altrui,/ quale pena con la tua potente mano manderai sui COLPEVOLI?!».

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sua fama cala, e questo anche indubbiamente per motivi politi­ ci: chiunque avesse avuto incarichi di rilievo nell’apparato stata­ le prebellico era potenzialmente sospetto, e Iłłakowiczówna non solo aveva lavorato al ministero degli Esteri, ma era anche stata negli anni segretaria personale del maresciallo Piłsudski. Si sta­ bilisce a Poznań, dove conduce una vita appartata e si mantiene con le traduzioni e con le lezioni di lingua.

Tra gli autori che traduce figurano, nell’ordine di pubblicazio­ ne, L. Tolstoj (la sua versione dell’Anna Karenina ottiene impor­ tanti riconoscimenti), J.W. von Goethe (1956), H. Heine (1957), H. Böll (1957), F. Dürrermatt (1960), H. von Doderer (1963), E. Dickinson (1965).

La sua situazione migliora con il disgelo, le maglie della censura si allentano e gran parte delle sue opere possono essere nuovamente pubblicate, ma, in quanto non allineata, non è certo un’autrice sulla cresta dell’onda. Nel 1954 vedono la luce gran parte delle poesie scritte durante la guerra e dopo (Poezje

1940-1954), seguite nel 1955 e nel 1956 da alcune raccolte antologiche.

Il 1959 è l’anno di una nuova raccolta di versi, Lekkomyślne serce [Cuore spensierato], in cui si nota un tono che diventa

sempre più pacato e di accettazione per la vita così com’è: descrive amabili scenette su Poznań e i suoi abitanti visti nella loro quotidianità, e al senso di meraviglia per il reale si unisce una discreta dose di ironia. Negli 1956­1966 escono alcuni brevi componimenti teatrali sia di carattere storico, più solenni, sia contemporaneo, di cronaca minuta, in cui trova espressione la sua vena burlesca e, a partire dal 1957, diverse raccolte di suoi racconti basati su ricordi personali, tra cui uno scritto in prosa poetica, ricchi di aneddoti divertenti e di bonario umorismo. Negli anni 1960­1970 dà inoltre alle stampe nuove raccolte di componimenti per bambini.

Nell’ultima sua raccolta di poesie per adulti, Szeptem [Sot­ tovoce, 1966], spazio rilevante assume la tematica riflessiva, spesso a carattere religioso, che nel corso degli anni si è appro­ fondita con toni vicini ora a uno spirito francescano, ora a una mistica del silenzio. Di particolare fascino sono le poesie del

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ciclo Małe apokryfy [Piccoli apocrifi], rivisitazione in chiave non violenta (e femminista) di episodi biblici. Diversi componimenti assumono tratti aforistici, che accennano a orizzonti ulteriori, senza dare risposte definitive. Accanto a questo permane uno sguardo lieve nel descrivere la vita di tutti i giorni e il mondo che la circonda. Colpita da una graduale cecità, negli ultimi anni non scrisse quasi più nulla. Mancata nel 1983, solo nel 1999 è apparsa l’edizione completa delle sue poesie, che comprende anche i componimenti non più ristampati dopo la guerra o cen­ surati e alcuni inediti.

Poetessa dotata di una vena particolarmente facile e ferti­ le, creatrice di versi estremamente melodici, Iłłakowiczówna presenta in effetti una produzione ritenuta talvolta da alcuni alquanto discontinua, in cui accanto a componimenti mirabili convivono altri effettivamente caratterizzati da una gradevole leggerezza che non pare rimandare ad altro.

Quando, ancora studentessa a Cracovia, aveva sottoposto a un suo professore i versi di Ikarowe loty, questi le consigliò di non prendere a modello i contemporanei, ma i romantici e i loro predecessori, e soprattutto di restare fedele alla sua sin­ golarissima vena poetica. Così, pur essendo una divoratrice di libri, rimase fedele solo alla sua voce interiore. Marina Bersano Begey, con la sua usuale e acuta capacità di sintesi, aveva segna­ lato la sua abilità di unire «forme antiche e moderne»24. In ef­

fetti, Iłłakowiczówna fa un libero ricorso alle forme del passato, senza lasciarsene ingabbiare, utilizzando misure metriche e rime in modo irregolare, mai scontato, rispondente solo a una logi­ ca interna. Nei suoi versi grande peso hanno i suoni e il ritmo, e una certa regolarità è data non dalla misura metrica, ma dal susseguirsi di elementi ricorrenti, quali l’anafora, l’epifora, i pa­ rallelismi compositivi, l’eufonia, le assonanze: sembra un canto, ma è un canto che assume timbri e tonalità cangianti a seconda del pensiero che esprime.

24. Marina Bersano Begey, La letteratura polacca, Milano, Sansoni Accade­ mia, 1968, p. 266.

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La lirica della Iłłakowiczówna si interroga sullo spazio in­ dividuale di ogni creatura all’interno dell’universo, sia essere umano, pianta o animale. L’autrice è partecipe di questo pulsare della vita, ma anche dei dolori, degli affanni. La sua poesia nasce dall’esperienza interiore, inizialmente soprattutto dal dolore, da un senso di profonda solitudine, da lutti, da amori infelici, ma sa anche aprirsi agli altri, sa alternare alla disperazione la con­ sapevolezza che si deve anche portare sollievo al prossimo con componimenti delicati, scritti spesso con uno stile che riprende quello delle fiabe. Si può notare, quindi, un percorso all’interno della sua poesia che, partito dalla ribellione, dall’inquietudine giovanile, porta gradualmente a un’accettazione della vita e a una ricerca della trascendenza. Ricorrono, anche se con senso mutato, elementi presenti sin dall’inizio: ad esempio gli angeli, la cui descrizione, al pari di altre sue creature, non è priva di un raffinato umorismo surreale. Iłłakowiczówna ricerca l’armonia in un mondo che si presenta fitto di misteri. Ed è proprio questa dimensione fantastica, espressa con un’immaginazione poetica che non trova facili paragoni nella tradizione letteraria, che ren­ de la sua voce unica e affascinante.

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(22)

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Verdiani, C. (a cura di), Poeti polacchi contemporanei, Milano, Silva, 1961.

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(24)

Nim świt rozbłyśnie różanolicy w strępach obłocznej koronki, już stary diabeł dla swej diablicy do torby zbiera skowronki.

Ledwie się zachód zapadł czerwony, ognista skryła się grzywa

-skrada się diabeł między zagony, skowronki ręką nakrywa.

Już ksiądz pokropił pola pobliskie, procesja chodziła ludna,

lecz bruzdy – wąskie, miedze tak śliskie, a droga do nas tak trudna.

Gdzie dawniej krzyż stał, nikt nie pamięta, kiedy się zwalił – nie wiedzą...

Cieszą się w piekle małe diablęta, gdy ojciec podąża miedzą.

Co dzień się piosnka skowrończa żali pod niebem w każdą pogodę. Długoż będziemy spokojnie spali, spokojnie cierpieli szkodę?

Długoż będziemy w nocnej ciemnicy, spętani snami ciężkimi,

szłyszeli diabła, jak dla diablicy wykrada słoneczność ziemi?!

(25)

Prima cha riluca l’alba rosata tra frammentati merletti di nubi,

già il vecchio diavolo per la sua diavolessa raccoglie nella borsa i fringuelli.

Appena è calato il rosso tramonto, la fiammante criniera s’è nascosta, s’infila il diavolo tra i campi, copre con la mano i fringuelli.

Già il prete ha benedetto i campi accanto, la processione era numerosa

ma i sentieri son stretti, le rive scivolose e la strada per raggiungerci è così difficile. Dov’era un tempo la croce nessuno ricorda, non sanno quand’è caduta,

si rallegrano all’inferno i diavoletti, vedendo il padre tornare.

Ogni giorno il canto dei fringuelli geme sotto il cielo con qualunque tempo. A lungo dormiremo quieti,

quieti subiremo il danno? A lungo nel buio della notte in sogni pesanti incatenati

sentiremo come il diavolo per la sua diavolessa ruba la solarità alla terra?!

(26)

«Pokochaj mnie Krzysiu – mówił pająk poważnie – Widziałaś mnie co dzień, gdy patrzałaś uważnie, widziałaś mnie należycie,

bo chodziłem po suficie; po troszeczkę, po troszeczkę

prądłęm cieniutką niteczkę.

patrz, jaki teraz jestem dobrotliwy i gładki: ostatnia zeschła muszka wypadła mi z siatki. Syty jestem, dobry, piękny, mądry i zapobiegliwy, i byłbym zupełnie szczęśliwy,

gdybyś mnie kochała, Krzysiu mała!

Nie odwracaj ode mnie rączki i twarzyczki, nie strząsaj z fartuszka, z spódniczki, w uniesieniu dzikim

nie uciekaj z krzykiem, kiedy się spuszczam do stołu,

by z wami kolorowe włóczki oglądać pospołu». Ale Krzysia aż oczy zamyka

(27)

«Amami Mimma – disse serio il ragno.

– Mi hai visto ogni giorno, se prestavi attenzione, mi hai visto abbastanza,

camminavo sul soffitto della stanza; pian pianino, pian pianino

tessevo un filo sottile.

Guardami ora come sono generoso e garbato: l’ultima moschina secca è caduta dalla tela. Sono sazio, buono, bello, saggio e previdente, e la mia felicità sarebbe piena

se tu mi amassi, Mimmina mia!

Non allontanare da me le manine e il volto, non scrollarmi dal grembiulino, dalla veste, con folle esaltazione

non fuggire urlando, quando mi calo sul tavolo

per guardare assieme a voi i fili colorati». Ma Mimma persino gli occhi chiude e fila via... fila via.

(28)

Szła Lalka wieczorem Puszukać jamniczka, Spadla jej gwiazda Prosto do koszyczka; W koszyczku klucze leżały, Całe z gorąca stopniały.

Mama podniosła w oknie głowę od roboty: «Że też ta mała Lalka zawsze gotowa do psoty!».

(29)

Uscì una sera Lella a cercare il barboncino, le cadde una stella proprio nel cestino.

Nel cestino c’erano le chiavi, si fusero tutte dal calore.

La mamma si volse a guardare dalla finestrella: «Oh, sempre a combinar guai, la mia Lella!».

(30)

Nie kładź na stole łapy, kiedy piszę, nie rycz o świcie, kiedy leżę we śnie; ten szum, co drzewa za oknem kołusze,

jest niczym; z martwych dla nas nikt nie wskrześnie i nic nie przyjdzie do nas, ku nam w gości

z tego co mogło być... stamtąd, z przeszłości. Mnie pieśnią bije krew, ty mruczysz prozą

o piaskach, piaskach, wolnej karawanie, o ciężkich słoniach,co łup wielki wiozą, o palmach, które samum na kolanie zgina, by złamać, lub z nich łuk napina, by słnecznego ubić muezina.

Muezin biały..., w smukłym minarecie są czarne wnęki,skąd jaskółek roje muezin biały rozsyła po świecie;

tam znikło zwinne, chybkie szczęście moje, znikło jak tamte – lecz już nie wybieży... Ach nie rusz, nie rusz, lwie... niech cicho leży...

(31)

Non poggiare le zampe sul tavolo, quando scrivo, non ruggire all’alba, quando sogno nel sonno; questo fruscio che culla gli alberi fuori dalla finestra non è nulla, nulla resusciterà i morti per noi nulla verrà da noi, verso di noi, per esser ospitato di quello che forse sarebbe stato... da laggiù, dal passato. A me il sangue pulsa dal canto, tu fai le fusa in prosa mormorando della sabbia, della sabbia, della lenta carovana, dei pesanti elefanti che trasportano un ricco bottino, delle palme che Simum sul ginocchio

piega per spezzarle o per tenderle ad arco e abbattere il muezzin del sole.

Il muezzin bianco... nell’alto minareto

vi sono nicchie scure, da dove stormi di rondini per il mondo manda il muezzin bianco;

li sparì la flessuosa, repentina mia felicità, sparì come quelle – ma più non volerà... ah, lasciala stare, leone... che resti in silenzio...

(32)

Rozbija mnie o kamienie każde twe westchnienie.

Jam jest żywioł bieżący, płynny, a tyś – brzeg, postawiony na to, abyś mnie strzegł.

Polujesz na łąkach, liczne i celne twe strzały

mordują na mej piersi ptactwo dzikie i kaczuszki białe;

ścinasz olchy i dęby, drzewa pomne wieków,

i puszczasz je na wody me, aby kłody uniosły daleko. I przychodzisz, i klękasz zziajany, brudny i spragniony nade mną, a ja odbijam w sobie obraz twój zmącony i – gdy mnie pijesz – staję się chłodna i czysta, i lekka, a dusza ma przez skrwawione ręce twe przecieka, przecieka.

(33)

Mi getta contro i sassi ogni tuo sospiro.

Io, elemento mobile, fluido, e tu – argine posto per contenermi,

vai a caccia sui prati e i tuoi colpi, molti e ben mirati, uccidono sul mio seno uccelli di bosco e candide anatrelle; tagli ontani e querce, alberi memori dei secoli,

e li getti sulle mie acque affinché portino lontano i tronchi. E vieni, e t’inginocchi ansante, sporco e assetato

su di me e io in me rispecchio la tua immagine torbida e – quando mi bevi – divento fresca e pura, e lieve,

(34)

Co dzien o innej porze noc klęka na dworze, gwiazdami się pleni

i obiecuje, że się już nigdy nie zmieni... A potem

ramiona rozpościera i bzem ciężko szeleści nad płotem. Aż z płaczem ros i słowika, i gwiazd ostrym zgrzytem – łamie wszystkie przysięgi i staję sięświtem.

(35)

Ogni giorno ad un’altra ora la notte si inginocchia fuori, si congiunge alle stelle

e promette che più non cambierà... E poi

stende le braccia e col lillà stormisce forte tra i campi. Finché con il pianto della rugiada e dell’usignolo, e con lo stridore acuto delle stelle

(36)

Serce przez jastrzębia rozdarte przestało boleć;

Może jeszcze odkwitnąc zechce, może się rozraduje powoli. Podaje mu książki, miód, mleko, łagodne akwarele... Leż mi cichutko, uderzaj niegłośno,

(37)

Il cuore lacerato dal falco più non duole, forse vorrà rifiorire, forse lento tornerà a gioire, gli porgo libri, miele, latte, tenui acquarelli, riposa piano, non battere forte,

(38)

Mam mówiącego ptaka, mam gadającą wodę,

mam starego carodzieja i dam ci go potrzymać za brodę; mam węża, co się podnosi na ogonie wśród kwiatów w trawie, mam dwa uczone szerszenie, które mi sypiają w rękawie. Mam cudnego szpaka, mam żabę i żuka, i jeża,

mam mądrą białą kawkę, puszysty kłębuszek pierza:

przemówi do ciebie ptak mój, gdy się najmniej będziesz spodziewał, a smutny smok na podłodze nogi będzie ci łzami oblewał.

Twój sen, najpierwszy na świecie, u mnie ma swą ojczyznę, U mnie mieszka radość, którąś ty wygnał w obczyznę, A leśli do mnie przyjdziesz, zbrojne zmyliwszy straże, To właśnie twe spiące serce w pudełku ci pokaże.

(39)

Ho un uccello parlante, ho l’acqua che discorre, ho un vecchio mago che per la barba potrai tenere; ha un serpente che si erge sulla coda tra le frasche ho due dotti calabroni che dormono nelle tasche.

Ho uno storno magico, una rana, un riccio e uno scarafaggio, morbida palla di piume, ho un corvo bianco e saggio: ti parlerà il mio uccello, quando meno te lo aspetti, e il triste drago accovacciato ti bagnerà i piedi di lacrime. Il tuo sogno, il primo al mondo, in me ha la sua patria, in me dimora la gioia che tu hai esiliato,

ma se verrai da me, ingannate le guardie armate, ti mostrerò il tuo cuore, dorme in una scatola.

(40)

Z pamięci opada liść więdnący jak z lipy,

tak samo go byle wiew potrąca, popycha

I oto stoi – jak anioł odarty Ze wspomnienia, Jak drzewo, które słota szarpie

(41)

Dalla memoria cade una foglia che appassisce, come da un tiglio,

allo stesso modo un vento qualunque la sposta, la spinge.

E ora è lì, come angelo derubato del ricordo,

come albero squassato dalla pioggia in autunno.

(42)

Nie będzie nigdy żyło między nami: ani niewrośnie, anie nie złamie.

Kędysz wystrzeli ciepłem albo światłem, ale nie będzie między nami kwiatem. Nie będzie przenigdy łączyć nas czy dzielić, ani zasmucać, ani też weselić...

Ani opuści nas – bo nie posiędzie!

(43)

Mai non vivrà tra noi:

non si radicherà, non si spezzerà, altrove esploderà di calore o luce, ma non sarà tra noi come fiore. Mai, giammai ci unirà o separerà, non ci rattristerà, né ci rallegrerà...

Non ci abbandonerà, perché non si fermerà, e, a parte questi versi, non esisterà affatto.

(44)

Odejdę od ziemi nieludzkiej, w pustce się straszliwej obrócę, napełnię pustką płuca.

Każdy obrót brzmi jak kapela, z każdej nuty złota gwiazda wystrzela, jakby roje, miodne roje pszczele. Każda pszczoła skrzydłem o mnie trąca,

że się kręcę dźwiękiem promieniująca w groźnej pustce bez początku i końca. Odejdę od ziemi nieludzkiej,

(45)

Lascerò la terra disumana nell’orrido vuoto mi girerò di vuoto riempirò i polmoni. Ogni orbita suona come un coro, da ogni nota parte una stella d’oro, come un mellifluo sciame d’api. Ogni ape mi sfiora con le ali, perché ruoto e irradio suono nell’ostile smisurato vuoto. Lascerò la terra disumana, in vorticosa stella mi muterò.

(46)

Kochając nie pamietać

-dola przeklęta. Pamiętając nie kochać

-lżej trochę.

A najlepiej, oparłszy policzek na chmure, nie pamiętać zupełnie i nie kochać dalej.

(47)

Amando non ricordare, destino maledetto. Ricordando non amare, è già più lieve.

Ma ancora meglio, poggiata la guancia su una nube, non ricordare affatto e più non amare.

(48)

Anioł bije w okna skrzydłem mokrym. Kot zaczaił się na anioła pod oknem. Anioł – nie wie, trzącha złotym kędziorem. Kot najeżył się, wyczekuje pory.

Od różanych palców – zorza na dworze. Od pazurów kocich zachowaj, Boże!

(49)

L’angelo batte alle finestre con l’ala bagnata. Il gatto sotto la finestra s’acquatta,

l’angelo non lo sa, scrolla il ricciolo dorato. Il gatto al balzo s’appresta, l’attimo aspetta. Dalle dita di rosa, fuori l’aurora è in fiore. Dagli artigli del gatto, salvaci o Signore!

(50)

Obiecywało serce, że pęknie. Nie pękło.

Groziło życie, że zwiędnie – nie zwiędło.

Gdzież to się wszystko podziało i czy było prawdziwe?

W poezji skamieniało, jest żywe.

(51)

Prometteva il cuore di spezzarsi, non s’è spezzato.

Minacciava la vita di appassire, non è appassita.

Dove tutto è finito? era vero?

Pietrificato nella poesia, è vivo.

(52)

Nie umiem z aniołami... Nie potrafię wytropić ich śladu ani w tłumie,

ni na niebieskim stropie.

Schytać by jednego: niech się STANIE i zagada

głosem, ruchem, światłem – byle nie słowami. I niech dojrzę, jak ulata lub się w tęczę łamie... Ale ja nie umien z aniołami.

(53)

Con gli angeli non me la cavo, non so scovare le loro orme nella folla

e neppure nella volta celeste.

Afferrarne almeno uno: che DIVENGA e parli

con la voce, il moto, la luce, purché non a parole. E che io veda come s’innalza o si muta in arcobaleno...

(54)

«Nie, nie baranem

byłem, ale rosłym jagnięciem z pastwisk dalekich zabranem... A niósł mnie anioł,

w zarośla lepkie uwikłał i zniknął.

Takie było moje z Izaakiem spotkanie. Nieprawda, że mie zarżnieto!

Poszedłem z nimi na dół: ojciec Izaaka na osiołka wsadził, głaskał nas obu i było swięto».

(55)

«No, non ero un montone, ma un agnello un po’ cresciuto, preso da un pascolo lontano... A portarmi fu un angelo, mi impigliò fra cespugli vischiosi e sparì.

Fu allora che incontrai Isacco. Non è vero che fui sgozzato! Andai con loro a valle:

Il padre pose Isacco sull’asinello,

(56)

O źdźbło opartą pewność

mieć, wzór zapisany w wodzie...

«Ufasz» – «Nie!» – «Widzisz co?» – «Ciemno»... Ano... To też jakiejś pewności rodzaj.

(57)

Avere una certezza su un filo d’erba poggiata, un modello annotato sull’acqua...

«Hai fiducia?» – «No!» – «Vedi qualcosa?» – «È buio». Beh... Anche questa è una sorta di certezza.

(58)

Zapomnisz, jeżeli przebaczysz: lśniące, kolorowe światło zmierzchnie. Lepiej jątrz serce zawsze,

(59)

Dimenticherai, se perdoni: tramonterà l’iridata vivida luce. Meglio esaspera sempre il cuore, l’ira custodirà l’amore al sicuro.

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